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Tesina maturità sul male di vivere, Tesine di Maturità di Filosofia

Tesina maturità - Il male di vivere

Tipologia: Tesine di Maturità

2013/2014

In vendita dal 02/12/2014

lailottina
lailottina 🇮🇹

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Scarica Tesina maturità sul male di vivere e più Tesine di Maturità in PDF di Filosofia solo su Docsity! IL MALE DI VIVERE Tesina di Maturità a cura di Martina Paolicchi Liceo Scientifico “U.Dini” Pisa Anno scolastico 2012\13 IL MALE DI VIVERE ITALIANO Eugenio Monltale: “Spesso il male di vivere ho incontrato” Analisi e poetica montaliana STORIA La seconda guerra mondiale l’olocausto e le conseguenze della Grande Guerra FILOSOFIA Shopenauer: “il pessimismo radicale” INGLESE Thomas Stearns Eliot “The waste land” Montale nasce nel 1896 e muore il 12 settembre del 1981. Vive dunque sia l’esperienza delle due guerre che il conseguente loro dopogerra, i fatti più tragici del 900. Per Eugenio Montale quella dell’uomo è una condizione difficile, che non lascia spazio alle illusioni. Attraverso gli elementi descritti nelle sue poesie l’autore identifica la situazione dell’uomo nel mondo, risultando estraneo sia alla realtà che all’Assoluto. Il “Male di vivere” per Montale è un male dell’essere, che ostacola l’autoidentificazione, è incomunicabilità, isolamento, nonché intuizione dell’inspiegabilità, inafferrabilità e inconsistenza del mondo e dell’io. Diventa quindi una condizione storica e individuale, estesa all’intera dimensione dell’esistenza, priva di senso e di direzioni, misteriosa e incomprensibile. Questo male di vivere è presente in molte delle sue poetiche, come in “Mareggiare pallido e assorto”, in cui il male di vivere trova espressione nella metafora del camminare lungo il muro con in cima “cocci aguzzi di bottiglia” che ci tengono imprigionati in una rete, legati in una catena che non possiamo ancora spezzare. Anche quando ci sembra di poter raggiungere l’essenza delle cose, della nostra esistenza, del mondo tutto è vano ed è illusione. L’unica cosa che può restare nelle mani dell’uomo è la speranza. Questo è ben chiaro nella sua opera Ossi di seppia: Inizialmente il titolo doveva essere Rottami, perchè secondo Montale l’idea del detrito espulso dal mare era pertinente alle tematiche della sua poesia. In seguito decise di identificare il rottame con l’osso di seppia buttato a riva, l’inutile materia che la risacca del mare porta a riva. Esso è assunto come correlativo oggettivo dell’esilio del poeta dalla vita: il poeta non si sente parte armonica dell’universo, ma si sente estraneo alla sua vitalità, in preda alla tristezza dell'esistenza accomunato all’osso di seppia dalla condizione di residualità. La prima edizione degli Ossi esce in un momento critico per l’italia: il fascismo, dopo il delitto di Matteotti. Montale non si limita registrare la crisi, ma sperimenta la possibilità di una via d’uscita attraverso uno stile e tematiche alternative e originali. I limoni contiene una prima consapevole dichiarazione del poeta: prende le distanze dai poeti laureati, rifiuta il sublime si dedica alla rappresentazione di un ambiente dismesso e quotidiano come i giardini di limoni, che fa da contesto a una vicenda di frustrazione esistenziale. Sullo sfondo resta sempre l’aspirazione all’armonia, alla pienezza del vivere e al disvelarsi di un significato definito,che possa apparire d'improvviso. La vocazione montalina si riscontra nel tema della metamorfosi: proclamata e auspicata dell’uomo in natura e del mare come divinità accogliente. Mentre il rapporto di identificazione dell’io con la natura esprime in d’Anunzio un soggetto poetico che si sente parte del tutto divino, in Montale corrisponde alla sua estraneità, finitezza, condanna. Testimonia una condizione alienata e sofferente, una vegetalizzazione dell’uomo. Montale si riconosce nei frantumi scissi dal contesto, nei particolari espulsi dall’universale, nella devastazione del tutto. Sentimento del distacco e del fallimento sono la tematica del detrito che si lega al motivo dell’insensatezza che incombe sulla condizione individuale. La poesia degli Ossi prende ispirazione dal mare della Liguria, significato ambivalente: l’io poetico cerca di fondersi col mare e insieme ne è rifiutato, espulso, confinato a terra. Il mare è l’assoluto, la pienezza impossibile della vita stessa. Ma è anche emblema della aridità, dell’esilio e della solitudine dell’atteggiamento esistenziale, storico che si basa sulla dignità dell’individuo e la sua capacità di resistenza al male di vivere. La poesia è centrata sul tema della negatività, che viene vista senza scampo ma anche della necessità che stringe gli essere umani lasciando appena qualche spiraglio al caos e al prodigio. Il male di vivere si manifesta con memorie leopardiane, ed è ugualmente patito dagli uomini, dagli animali e dalla natura. La condizione umana è simile a quella di un prigioniero circondato da una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia. La poesia montaliana esprime un’idea della vita come prigione, raramente toccata da sprazzi di vitalità positiva. l’individuo non riesce a cogliere il senso della vita ma può solo vede singoli aspetti del dolore del mondo e cataloga la realtà nei suoi aspetti: cose,fatti e oggetti. Da qui nasce la poesia oggettuale di montale popolata, composta di oggetti il cui valore allegorico confina in un ruolo periferico dove l’io poetico non è più in primo piano ma sceglie di dar rilievo alle cose. Ma ciò che ci permette di comprendere a pieno il significato del male di vivere si ritrova nella poesia “ Spesso il male di vivere ho incontrato” : Spesso il male di vivere ho incontrato: era il rivo strozzato che gorgoglia, era l’incartocciarsi della foglia riarsa, era il cavallo stramazzato. Bene non seppi, fuori del prodigio che schiude la divina Indifferenza: era la statua nella sonnolenza del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato. In questa lirica, concisa ed essenziale ma al tempo stesso efficace, il male di vivere si configura come la condizione esistenziale per eccellenza dell’uomo moderno, che Montale non spiega ma incarna in alcuni elementi (il rivo strozzato, l’accartocciarsi della foglia e il cavallo stramazzato) secondo la tecnica del correlativo oggettivo. Il tramite fra uomo e gli stati dell’essere diventa l’oggetto o l’accadimento che non hanno più una funzione evocativa e non implicano il ricorso all’analogia, piuttosto rinviano a un procedimento allegorico, con evidente richiamo a Dante. Grazie a T.S. Eliot mutua la tecnica del correlativo oggettivo, in virtù della quale l’oggetto diventa un segno fisico che rimanda a una condizione astratta dell’esistenza, una sorta di incarnazione di stati d’animo o di vita. E’ un allegoria vuota,chiamata a fare i conti con l’assenza di valori assoluti, stabili e certi, tipica della modernità. Vuole cercare una verità un senso che è destinato a rimanere senza esito. Di fronte a questa dura verità l’uomo deve ritirarsi e osservare il corso degli eventi senza porsi problemi: è questo l’unico modo per sopportare il vuoto e l’aridità della condizione umana. Montale tenta infine di instaurare, nelle sue poesie, un rapporto di solidarietà col lettore, consapevole del fatto che entrambi, egli stesso e il suo interlocutore, si trovano nella medesima situazione di sofferenza, e stimola, in questo senso, un rapporto di compassione (dal latino cum-pati, ‘sentire assieme’) che aiuti a sopportare meglio il male di vivere. L’unico dato positivo che il poeta ha potuto riscontrare è l’apparizione dell’indifferenza, qui resa come una divinità che vive senza turbamento, lontana dalle cose umane. L’indifferenza non è atteggiamento di cinica freddezza di fronte al male di vivere, nè vile fuga, ma severa posizione di distacco dalla realtà che ci circonda. Non è una conquista assoluta ma un approdo da raggiungere con fatica, è una condizione straordinaria dello spirito che per un attimo schiude le barriere della contingenza. Così che le figure della statua, della nuvola e del falco, elementi caratterizzati dallo stare “in alto” e che per questo godono di un’immobile insensibilità o lontananza, che indica appunto una via d’uscita dal male di vivere. ANALISI METRICA DELLA POESIA Metro: due quartine composte da endecasillabi, tranne il verso finale, costituito da due settenari, di cui il primo sdrucciolo. Le rime sono ABBA,CDDA. Il verso C è irrelato, anche se legato alla rima interna imperfetta “meriggio”. La struttura è bipartita: nella I^ quartina, all'affermazione il “male di vivere”, seguono tre oggetti- simbolo ad esso relativi; Nella II^ quartina all'affermazione positiva del valore dell’Indifferenza (divinità pur sempre negativa!), seguono tre oggetti-simbolo che le si riferiscono. Il contrasto fra il “male di vivere” e il “bene” si rispecchia nella struttura verticale che accomuna “statua”- ”nuvola”-”falco” in “alto elevato”, e quella opposta orizzontale in cui si collocano il “rivo”, la “foglia”, e il “cavallo stramazzato”. Evidente è anche lo stacco netto fra i suoni chiari e distesi della II^quartina: nuvola, falco,alto,levato, e quelli aspri della I^:incarttocciarsi, arsa, strozzato, stramazzato. L’antitesi fondamentale è comunque quella posta fra la norma del male, che l’io incontra “spesso” e l’eccezionalità del bene: “ non seppi”, che è piuttosto un senso di sonnolenta apatia. SCHOPENHAUER Come già prima spiegato Montale ha una visione pessimistica della vita umana: l’uomo contemporaneo è condannato ad una tragica esistenza di solitudine e di alienazione. Questo crea una molteplicità conflittuale di parti e di individui ostili che si contendono l’un l’altro lo spazio e il tempo per mezzo di una lotta. « La formica bulldog australiana rappresenta per noi uno straordinario esempio; poiché, quando la si taglia in due, comincia una lotta fra la parte della testa e quella della coda; quella ghermisce questa col morso, questa si difende validamente pungendo quella; la battaglia dura di solito una mezz'ora, fino alla morte o fino a che i due tronconi vengono trascinati via da altre formiche » L’individuo così appare solo uno strumento per la specie fuori dalla quale egli non ha nessun valore. L’unico fine della natura sembra quello di perpetuare la vita e il dolore. Il fatto che la natura si occupi esclusivamente della sopravvivenza si trova nel concetto di amore. L’amore è uno dei più forti stimoli dell’esistenza, ma il cui fine è solo l’accoppiamento: Dietro il fascino di un bel volto c’è nascosto un desiderio sessuale che con l'innamoramento si traduce nel ciclo accoppiamento-procreazione vuol dire che l’individuo è lo zimbello della natura poichè là dove crede di realizzare maggiormente il proprio godimento e la propria personalità non fa altro che asservire la natura. ( mantide). Ma se l’amore è puro strumento per la continuazione della specie non c’è amore senza sessualità: è per questo che l’amore procreativo viene inconsapevolmente avvertito come peccato e vergogna. Esso commetti infatti il maggiore dei delitti: la perpetrazione di altre creature destinate a soffrire. SCENARIO STORICO DEL 1900 Come analizzato con gli autori Montale e Schopenauer il male di vivere riguardava più una sfera interiore dell’uomo e del suo rapporto con la natura e il mondo esterno. Ma il male di vivere può essere inteso anche da un punto di vista più universale e condiviso da tutti, come conseguenza oggettiva causata da fattori esterni La storia in generale, ma in particolar modo il 900 fu un secolo drammatico non solo per italia ma per il mondo in generale. La prima metà del 900 fu teatro di due orribili guerre mondiali: Quella degli anni 1914-1918 che costò complessivamente la perdita di circa 9 milioni di vite umane e quella ancor più cruenta degli anni 1939-1945 che costò complessivamente la perdita di circa 38 milioni di vite umane. Si possono riscontrare alcune somiglianze e differenze tra le due guerre che possono essere riassunte in questo schema Ma non vorrei soffermarmi sul particolare delle due guerre, ma sugli aspetti più cruenti e tristi delle due guerre: PRIMA GUERRA MONDIALE Le trincee furono uno dei simboli della Prima Guerra mondiale. Inizialmente i vari governi decisero di scendere in campo poichè convinti che si trattasse di un episodio militare in cui era necessario solo sfruttare il tempo, ma l’esito non fu questo. Infatti già dopo poche settimane dallo scoppio del conflitto si verificò il passaggio da guerra di equilibrio fra potenze, ad un conflitto fra sistema democratico e militarismo reazionario austro-ungarico. I fronti europei si stabilizzarono e furono scavate centinaia di chilometri di trincee, dalla Francia fino all’Europa orientale. Anche in Italia comparirono subito sia in pianura che sull’altopiano carsico e in alta montagna, in mezzo alla neve. Si tratta della guerra di logoramento che mobilitò circa 70 milioni di uomini. Le trincee di quei tempo rimanevano per lo più scoperte ed erano semplici fossati che alle volte venivano costruiti anche durante il fuoco e l’attacco dei nemici: tecnica già molto spesso usata nelle guerre di postazione. Certo non offrivano un luogo sicuro e riparato, anche perchè molto spesso erano a pochi metri di distanza da quelle nemiche. Inizialmente venivano considerate come rifugi provvisori ma con il passare del tempo diventarono veri e propri quartieri permanenti dei reparti di prima linea. Costretti a viverci per quattro lunghissimi anni e in condizioni tremende i militari erano soggetti alla sporcizia che regnava sovrana tanto da portare sia alla diffusione di malattie sia al proliferare di topi che peggiorarono le condizioni, al clima che cambiava dal soffocante caldo dell’estate al gelo invernale contribuiva a provocare la morte di molti soldati stremati e il cui stress, sia fisico che mentale, peggiorava anche perchè il cibo che veniva loro offerto spesso era freddo e insufficiente, anche l’acqua mancava, provocando la sete e la sporcizia. Molto spesso i soldati si affidavano al fumo per ingannare la fame così da diventare meno reattivi e da cadere in uno stato di apatia poichè ormai incapaci di sopportare tali disagi, nonostante il ricorso alla propaganda militare mediante cartoline, manifesti e giornali.I soldati trascorrevano mesi e mesi dentro le trincee e si rendevano conto dell’inutilità dei massacri a cui assistevano. L’entusiasmo degli arruolati che erano partiti con l’intento di difendere la patria, fatto considerato come un “sacro dover”, e la fiducia nella vittoria li portavano spesso al dubbio, alla sfiducia e ad un senso di frustrazione. Questo si può notare anche in alcune lettere dei soldati, come quella pubblicata da Monteleone, in cui un soldato rimasto anonimo, invita il governo a smettere questo “macello inutile” che ha portato solo alla “strage di giovani e di padri di famiglia”. Con tono arrabbiato invita i “vigliacchi” che hanno voluto la guerra ad affrontarla per la “loro” patria poichè essi hanno sofferto abbastanza per l’ “ambizioso spudorato capriccio” dei mandanti. E’ lo stesso tema riportato da una canzone degli alpini, grandi protagonisti della prima guerra, nella quale si conclude amaramente “sti vigliacchi di questi signori che gridavano “viva la guerra” se avessero un figlio morto in guerra “ viva la guerra” non griderebbero più!” Ciò che rendeva le sofferenze inaccettabili era l’incessante presenza della morte incombente. Un soldato non sapeva mai se sarebbe riuscito a vedere il giorno dopo, angosciato com’era dalla visione di agghiaccianti spettacoli di cadaveri che rimanevano tra le trincee opposte, “la terra di nessuno”, per giorni o anche per sempre. Tutti i soldati erano consapevoli che nella fase di attacco potevano rimanere impigliati nel filo spinato che contornava le trincee e che sarebbero diventati degli obiettivi ideali per i tiratori nemici, ma soprattutto erano consapevoli che la loro azione sarebbe stata inutile poichè anche se fossero riusciti a conquistare la prima linea sarebbero stati ricacciati indietro. Eppure se l’ordine era di attaccare, si doveva ubbidire. Molto spesso la resistenza dei soldati veniva messa alla prova portando frequentemente alla follia, al suicidio e alla ribellione. Anche la condizione di feriti o ammalati non era una bella Una volta raggiunto il suo scopo Hitler fece uccidere nella notte del 30 giugno 1934 (la notte dei lunghi coltelli) Ròhm e i suoi luogotenenti dall'esercito. Nel giro di pochi mesi Hitler allestì l'apparato istituzionale del "nuovo ordine" nazista che significò la subordinazione di tutta la vita pubblica al controllo del partito, la distruzione dell'ordinamento democratico- parlamentere e la liquidazione violenta di ogni forma e opposizione collettiva ed individuale. Una delle azioni più utili per il regime nazista fu la Bücherverbrennungen ( rogo di libri): Questi erano dei roghi organizzati che iniziarono a dilagare nel 1933 dalle autorità della Germania nazista, durante i quali vennero bruciati tutti i libri che non promuovevano l’ideologia nazista. «Dort, wo man Bücher verbrennt, verbrennt man am Ende auch Menschen » « Là dove si bruciano i libri si finisce per bruciare anche gli uomini » Con questa affermazione di Heinrich Heine si può capire come il nazismo infuì sulla vita delle persone. Questi roghi, che avevano il fine di eliminare lo spirito “non tedesco”, vennero organizzati dall’Associazione studentesca della Germania. Nel 1933 il ministro della Propaganda nazista Joseph Goebbels pose inizio al così detto “aalineamento della cultura”: consisteva nell’adeguare agli obiettivi nazisti tutta la produzione artistica del paese. Il governo cominciò quindi con epurare le organizzazioni culturali dai dipendenti ebrei e da coloro che venivano ritenuti politicamente o artisticamente sospetti. Il più grande rogo avvenne il 10 maggio 1933 nell'Opernplatz berlinese. Quel giorno, infatti, si organizzò un grande falò dove vennero gettati i libri considerati dai nazisti "contrari allo spirito tedesco". Nello stesso giorno il gerarca nazista Joseph Goebbels vi tenne perfino un discorso, dove affermava che i roghi erano un ottimo modo "per eliminare con le fiamme lo spirito maligno del passato".A partire dal settembre 1933, un Gabinetto per la Cultura del Reich (che comprendeva l'Ufficio per la Produzione Cinematografica, quello per la Musica del Reich, quello per il Teatro, quello per la Stampa, quello per la Scrittura e, infine, quello per le Arti e per la Radio) cominciò a controllare regolamentare ogni aspetto della produzione culturale ed artistica tedesca. Particolarmnente importante fu il 6 aprile 1933 quando il principale ufficio della Stampa e della Propaganda dell'Associazione studentesca della Germania proclamò una "azione contro lo spirito non tedesco" a livello nazionale. Era necessario effettuare una "pulizia" (in tedesco Säuberung) della cultura tedesca usando il fuoco. Le sedi locali così rilasciarono dei comunicati e degli articoli che raffiguravano delle autorità naziste che parlavano al pubblico. Questa propaganda fu diffusa anche via radio. L'associazione studentesca elaborò pure un trattato, le 12 tesi, in cui affermò il bisogno di una propria cultura e nazione non "infettate" da altre popolazioni. Un altro inquietante atto si svolse il 10 maggio 1933, quando gli studenti bruciarono più 25.000 volumi di libri "non tedeschi", dando de facto l'inizio alla censura di Stato. Quella notte, nella maggior parte delle città universitarie, gli studenti nazionalsocialisti marciarono in fiaccolate "contro lo spirito non tedesco": professori, rettori e studenti furono radunati alla presenza delle autorità naziste in punti d'incontro dove poterono assistere al rogo dei libri non desiderati, gettati dentro i falò, in un'atmosfera di gioia dove erano presenti perfino delle orchestre. Durante i roghi vennero bruciati anche libri scritti da famosi scrittori socialisti, come Bertolt Brecht e August Bebel, i libri del fondatore del socialismo Karl Marx, i libri degli scrittori austriaci "borghesi" come Arthur Schnitzler, i libri di "influenze straniere corrotte", come quelli di Ernest Hemingway, Jack London, Helen Keller o Herbert George Wells, e i libri di noti autori ebrei come quelli scritti da Franz Werfel, Max Brod e Stefan Zweig. Dopo la seconda guerra mondiale gli alleati confiscarono più di 30.000 opere che esaltavano il nazismo, partendo dai testi scolastici fino ad arrivare alle poesie. Gran parte di queste opere furono confiscate e poi distrutte. Oggi sono stati comunque realizzati numerosi monumenti per ricordare i roghi. Quest’opera commemorante i Bücherverbrennungen si trova nella città di Francoforte sul Meno dove è stata posta una targa dorata sulla quale sono visibili dei libri dati alle fiamme. Thomas Stearns Eliot Eliot was born in St. Louis, Missouri, in 1888. He came from a rich family of the American bourgeoisie. Since his childhood he showed a strong interest for poetry. Even if he was born in America, his cultural background was also English and European thanks to the famous universities he attended such as Harvard and La Sorbonne. When the First World War broke out he moved to London and married with Vivien Wood, a dancer of the British ballet. In 1925 he became director for “Faber and Faber”. In that period his wife had serious problems of mental health. Eliot suffered very much for this so he found a refuge in a Swiss sanatorium where he devoted himself to the composition of The Waste Land. He found that poetry was the only way to express the horror of the war and the unhappiness of his family life. In 1925 he published “The Hollow Man”, a new poem generally considered a sort of sequel of T.W.L. He finally decided to divorce from his wife and to dedicate himself to the moral and philosophical problems of modern society. In 1948 he won the Nobel Prize for Literature and died in London in 1965. Eliot belongs to the so called “modernism”, a cultural movement that developed between 1912 and the Second World War. It influenced and changed all the various forms of artistic expression. The “modernists” declared: 1) The crisis of the Western culture; 2 T)he alienation and loneliness of the artist in a world ruled by the scientific primacy; 3)The refusal of the past and of the tradition. The term “modernism” is linked to the new literary techniques. All the “modernist” artists had in common is the rejection of the Victorian literary tradition and the reevaluation of the Seventeenth century English poetry. At the center of the modernist literary style was the peculiar use of the image. Eliot talks about the objective correlative, that’s to say a metaphor or a symbol that evoke feelings and philosophical reflections in an objective way.
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