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Tesina di maturità sulla resistenza partigiana, Tesine di Maturità di Storia

Aspetti della resistenza partigiana nell'italia nord occidentale e in particolare nella provincia di Imperia. Raccolta di testimonianze e di documenti epistolari, con uno sguardo al tentativo francese di annessione delle alpi occidentali. Tesi di storia.

Tipologia: Tesine di Maturità

2012/2013

In vendita dal 30/04/2013

superiky
superiky 🇮🇹

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Scarica Tesina di maturità sulla resistenza partigiana e più Tesine di Maturità in PDF di Storia solo su Docsity! ASPE T TI DEL L A RESISTE N Z A ITALIA N A NEL L A ZO N A INTE M E LI A E SITU A ZI O N E NEL L E ALPI OCCI D E N T A LI Indice 1. Premessa 2. Introduzione storica 3. Inizio della lotta partigiana 4. La svolta 5. L’armistizio 6. La Liguria 7. Situazione a Ventimiglia 8. Il racconto. L’albero delle pesche 9. Situazione a Vallecrosia 10. Collaborazione tra Garibaldini e Maquisards 11. La guerra diplomatica tra Alleati e Francesi 12. Gli organi di stampa e la propaganda da ambo le parti 13. Il personaggio: Felice Cascione 14. La lettera 15. Considerazioni personali - Cervo: posto di blocco costituito da 22 italiani e 6 tedeschi (3 mitra, 17 moschetti e bombe a mano). - Vegliasco: circa 35 tedeschi in comunicazione con villa chiappa ove trovasi radio – trasmittente. - Garlenda: circa 40 tedeschi con altrettanti cavalli. - Cisano, Salea, Leca, Bastia: forza dislocata, circa 300 tedeschi. Batteria in postazione - Ortovero. 60 tedeschi con carri e cavalli. Il responsabile del SIM, Livio Inizio della lotta Partigiana – Fondazione del C.L.N. La storia della Resistenza italiana si inserisce in un arco cronologico più ampio di quello che racchiude la Resistenza europea, essendo il suo nucleo originario già presente nell'antifascismo degli anni Venti e Trenta. Con il procedere della guerra e con i primi segni di indebolimento del regime fascista causati dalle sconfitte dell'esercito italiano, si consolidò e si strutturò in Italia l'opposizione al fascismo. Gli scioperi che paralizzarono le fabbriche del Nord tra il marzo e l’aprile del 1943, ebbero tra i principali organizzatori gruppi di comunisti che diffondevano le ragioni dell'antifascismo. Ma già nel 1942 l'opposizione al fascismo si era riorganizzata operando per la prima volta sul territorio nazionale: nel giugno 1943 si era costituito il Partito d'azione, nato dalla convergenza tra ex militanti di Giustizia e Libertà, repubblicani di sinistra e liberalsocialisti. Nell'ottobre era stata fondata la Democrazia Cristiana, che raccoglieva l'eredità del precedente Partito popolare di don Luigi Sturzo. In concomitanza con gli scioperi del marzo 1943 i comunisti avevano avviato un'intensa attività clandestina e stabilito contatti con gli altri partiti, dai quali nacque il Comitato delle opposizioni, che si riunì immediatamente dopo la caduta del regime (25 luglio 1943). Comunisti, socialisti, cattolici, uomini del Partito d'azione e liberali uscirono allora dalla clandestinità riprendendo le attività politiche interrotte dal ventennio di dittatura. Nasce così il Comitato di liberazione nazionale o CLN Organismo politico della Resistenza italiana fondato a Roma, il 9 settembre 1943, immediatamente dopo l'armistizio dell'8 settembre e l'occupazione tedesca del territorio italiano seguiti alla caduta del fascismo, con l'obiettivo di promuovere e coordinare la lotta contro il nazifascismo. Questo si diede una struttura decentrata con la formazione di comitati di liberazione regionali, provinciali e comunali. Particolare importanza ebbe il comitato sorto nell'Italia occupata dai tedeschi, che si chiamò Comitato di liberazione nazionale Alta Italia (CLNAI), a cui toccò il compito di dirigere la guerra partigiana. All’identità antifascista italiana riporto quanto detto dal prof. Quazza, docente di Storia contemporanea presso l’università di Torino sulle cause della nascita della Resistenza italiana (discorso tenuto per l’inaugurazione della Mostra della Resistenza a Vercelli nel 1974): Emerge in primo luogo, con la perentorietà delle immagini, come la lotta armata nasca dopo la catastrofe del vecchio Stato segnata dall'armistizio dell'8 settembre e dalla fuga del re e di Badoglio a Pescara, per l'incontro di due antifascismi diversi: quello tempratosi nel ventennio, forte di una ricca esperienza politica ma anche carico del peso di tante sconfitte e di tanti contrasti, e quello nato dalla quotidiana esperienza del divario fra le promesse del regime fascista e la realtà delle sue disfatte: cioè l'antifascismo "organizzato" e cosciente dei politici e l'antifascismo "spontaneo" e istintivo dei giovani vissuti sotto l'influenza e la propaganda del fascismo. Nelle formazioni nate sulle Prealpi biellesi è vivace la presenza dell'antifascismo nato durante la dittatura e molti sono coloro che erano stati nelle galere, al confino o nella guerra di Spagna. Ma essi non avrebbero potuto portare i frutti dell'esperienza coraggiosa, spesso eroica, delle lotte precedenti se non avessero trovato la partecipazione di giovani il cui antifascismo era nato con i bombardamenti, gli sfollamenti, la fame nelle fabbriche dominate dall'autoritarismo padronale confermato, anzi rafforzato dal totalitarismo fascista, nei campi di battaglia d'Albania, d'Africa e di Russia seminati dai morti, dai feriti e dai dispersi dovuti alla farsesca ed al tempo stesso criminale impreparazione del regime. Il CLN fu un interlocutore politico dei governi che si formarono nell'Italia liberata dagli Alleati, collaborando in particolare al governo Bonomi del 1944 e al governo Parri del 1945, che furono emanazione diretta del CLN. Si sciolse al momento dell'elezione dell'Assemblea costituente (2 giugno 1946). La svolta. Il 25 luglio 1943, a Roma, si tenne una riunione del Partito Fascista presieduta da Benito Mussolini. L’ordine del giorno riguardava l’andamento delle ostilità contro gli Alleati sbarcati due settimane prima in Sicilia, e la richiesta al Re Vittorio Emanuele III, da parte di alcuni gerarchi (fra cui Galeazzo Ciano), di assumere il comando delle forze armate. Al termine della riunione il Duce si recò dal Re per il resoconto del dibattito. Quest’ultimo lo fece arrestare (facendolo incarcerare prima a Ponza e poi alla Maddalena), in quanto erano sempre più i gerarchi fascisti che, al contrario di Mussolini, volevano la fine delle ostilità. Così facendo il Re cercò di rimediare, se pur in minima parte, a una situazione sempre più compromessa. Da quel momento in Italia finì ufficialmente il ventennio fascista, mentre veniva istituito un governo transitorio presieduto dal generale Pietro Badoglio. Inizialmente il nuovo governo dichiarò di voler continuare la guerra a fianco della Germania; in seguito prese segretamente contatti con gli Alleati al fine di stipulare un armistizio. Il governo Tedesco, saputo dell’arresto del Duce, ordinò alle truppe presenti in Italia di porre in opera una occupazione formale, non fidandosi più dell’alleanza italiana; i reparti tedeschi avevano già combattuto in Sicilia, dove avvenne il primo sbarco degli Alleati (dove peraltro la popolazione aiutò i soldati americani, tendendo imboscate ai tedeschi). Bisogna fare una distinzione fondamentale tra le forze schierate in campo, onde evitare generalizzazioni. Tra i tedeschi presenti occorre distinguere tra Wehrmacht e Schutz-Staffel (squadre di protezione) ovvero le famigerate SS; i primi facevano parte dell’esercito, dove in prima linea erano mandate le divisioni di giovani arruolati di leva, mentre i reggimenti di riservisti di età compresa tra i 30 e 50 anni venivano impiegati per il controllo dei territori occupati; i secondi erano i corpi paramilitari Nazisti che eseguivano i rastrellamenti, le rappresaglie (come per esempio alle Fosse Ardeatine a Roma) e le deportazioni nei campi di concentramento. Alle SS tedesche si affiancarono con la costituzione della Repubblica di Salò le brigate nere, le SS italiane1, la Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) e la X° MAS. 1 Dipendevano dal comando tedesco; erano ex prigionieri italiani che dopo l’8 settembre e venivano rastrellati e deportati in Germania, dove ricevevano l’addestramento delle SS; vennero inviati in Italia per combattere i partigiani. Una volta in patria in molti disertarono in quanto volevano solamente tornare a casa. L’armistizio Il 3 settembre 1943 venne firmato segretamente a Cassibile in sicilia l’armistizio fra l’Italia e gli Alleati, trattato che venne reso ufficiale solo il giorno 8 dello stesso mese. Saputo dell’armistizio, Hitler diede ordine ad un corpo di paracadutisti (Fallshirmjäger) di liberare il Duce dalla sua prigione posta sul Gran Sasso, a Campo Imperatore il 12 settembre 1943, mettendolo poi a capo di un governo fantoccio filo-nazista, la Repubblica di Salò (R.S.I), che comprendeva i territori del Nord Italia da La Spezia a Rimini (Linea Gotica), dove si sviluppò principalmente la lotta partigiana alimentata da gruppi di uomini armati, militari e civili, sotto il controllo del Comitato di Liberazione Nazionale (C.L.N.) e costituito da forze antifasciste di tutte le ideologie. Questi uomini combattevano contro le ricostituite strutture fasciste, l’invasione tedesca e, quindi, per la liberazione nazionale che avverrà il 25 aprile 1945 con l’ingresso degli Americani e partigiani a Milano. La Resistenza armata al nazifascismo si organizzò quindi dopo l'armistizio dell'8 settembre, quando dalle fila dell'esercito lasciato allo sbando uscirono i primi gruppi di combattenti, reclutati dalle nascenti bande partigiane. In realtà gli uomini del disciolto esercito italiano sarebbero andati incontro alle sicure rappresaglie tedesche del dopo armistizio, e quindi molti fuggirono nelle montagne per evitare le deportazioni in Germania e per non tornare in guerra nelle fila dell’esercito della Repubblica di Salò. I nuclei partigiani furono costituiti dai rappresentanti dell'antifascismo, i quali crearono il Comitato di liberazione nazionale (CLN), al quale si collegarono successivamente organismi analoghi nati su base regionale: Il CLN fu lo strumento politico della guerra partigiana, le cui prime azioni furono messe a segno nell'inverno 1943-44 nel territorio alle spalle delle linee tedesche (linea Gotica). La Resistenza fu espressione di una volontà di riscatto dal fascismo e di difesa dell'Italia dall'aggressione tedesca e coinvolse complessivamente circa 300.000 uomini armati, che svolsero attività di guerriglia e di controllo, dove possibile, del territorio liberato dai nazifascisti. Fu dunque guerra patriottica di liberazione dall’occupazione tedesca, ma fu anche guerra civile contro e all’interno della Repubblica sociale italiana, nel cui esercito militarono gruppi di giovani volontari che in buona fede considerarono l’armistizio con gli Alleati un tradimento nei confronti dell’alleato tedesco. Nell’esercito Repubblichino militarono anche ragazzi obbligati alla leva residenti nel nord. Non ho rilevato alcuna presenza di volontari provenienti dal Sud Italia. Da sottolineare la nascita del Regno del Sud all’indomani dell’armistizio e la creazione dell’esercito del Sud (circa 430,000 uomini, organizzati in gruppi di brigata quali Folgore, Legnano e Mantova, che si distinsero nelle battaglie di Monte Cassino, e la brigata Cremona, che liberò Adria il 26 aprile 1945) che combatté in cobelligeranza con gli Alleati e formato prevalentemente da volontari ed ex prigionieri catturati in Sicilia e soprattutto in Africa Settentrionale. I raggruppamenti partigiani più numerosi furono quelli organizzati dai comunisti nelle Brigate Garibaldi (distinguibili dai drappi rossi al collo); gli uomini del Partito d'azione formarono le brigate di “Giustizia e Libertà”, i socialisti le “Matteotti”, ma senza dimenticare “le Autonome”, mentre i monarchici si identificarono con il governo Badoglio (i Badogliani appunto, riconoscibili dal drappo azzurro); in città presero vita le SAP (Squadre di Azione Patriottica) e i GAP (Gruppi di Azione Patriottica), dediti ad azioni di reclutamento, di sabotaggio, ad azioni di guerriglia urbana (come l’attentato di via Rasella a Roma effettuato da un gruppo di GAP ai danni di 32 soldati delle SS, provocando la reazione tedesca sfociata nell’eccidio delle Fosse Ardeatine, il 24 marzo ‘44) ad attività di propaganda, sostenuti da movimenti di grande impegno quali i gruppi di Difesa della Donna (GDD) e il Fronte della Gioventù (FdG). Ci sono molti vuoti da riempire nella storia della Guerra di Liberazione in Italia. Uno di questi riguarda la ricostruzione , oltremodo difficile, delle diserzioni di militari della Wehrmacht, soprattutto da parte di soldati e ufficiali che si unirono alle forze partigiane o, come accadde per il Freies Deutchland Bataillon - composto da disertori tedeschi, austriaci, cecoslovacchi -, formarono unità di guerriglia che combatterono contro le forze armate germaniche. (Il Freies Deutchland Bataillon operò assieme ai garibaldini delle divisioni Nel nostro cimitero vi sono più di 60 salme insepolte, mancano le casse perché non si trova legname per costruirle. Vi era molta preoccupazione inoltre, a partire dalla primavera del 1945 in alta Italia, per la possibile invasione che le truppe francesi avrebbero potuto compiere al momento della liberazione. Informazioni in questo senso continuarono a giungere da Palazzo Chigi, e tra loro sono quelle recate dal partigiano dott. Eugenio Kahneman di Sanremo (Nuccia). Riguardavano concentramenti di truppe e voci d’annessioni di territori, addirittura fino a Savona. Il timore delle popolazioni era quello di un’occupazione da parte delle truppe marocchine, inquadrate nel corpo di spedizione francese. Erano giunte notizie dei comportamenti tenuti da quei soldati nei confronti della popolazione civile dopo lo sfondamento della linea Gustav e delle battaglie di Monte Cassino, dove vennero perpetrati stupri a danni delle donne del luogo. Il 25 aprile 1945, con Ventimiglia in mano ai partigiani, si aspetta l’arrivo delle truppe francesi anche se ciò non è cosa gradita. Con le truppe transalpine in Ventimiglia ha termine la ”manovra pinguino” elaborata dal generale di corpo d’armata Dajen per il settore della Val Roja. Per il governo De Gaulle, Ventimiglia non rappresentava una città da liberare dai tedeschi, ma al contrario da annettere al territorio Francese. Lo stesso De Gaulle, comunica tra il 24 e il 25 aprile, da Lione tramite il generale Dejen: “La regione dei sei comuni fino al col di Tenda, inclusi la regione del basso Roja, compresa Ventimiglia, devono essere annesse alla Francia. Queste regioni sono state tolte al nemico; saranno poste fino a nuovo ordine sotto l’autorità del generale comandante il Distaccamento dell’Arma delle Alpi, che ne assumerà l’amministrazione”. Il 27 aprile viene creata una nuova frontiera posta al confine con Bordighera, mentre compagnie di senegalesi occupano i paesi della val Nervia. E’ in atto la politica gaullista, ovvero togliere territorio all’Italia e ripagarla con l’identica pugnalata mussoliniana (occupazione di Mentone all’inizio delle ostilità). Gli Alleati erano preoccupati per la libera ed individuale azione francese che intendeva annettersi parte della Liguria, Piemonte e Valle d’Aosta; interventi armati erano minacciati dai partigiani che non volevano vedere vanificati i loro sforzi di cooperazione e di sacrificio per al liberazione. Infatti, la Divisione V si attestò sulle alture di Sanremo, occupata dei soldati senegalesi, in attesa di ordini. Gli Alleati allora inviarono un mediatore, il capitano Garugue, con i pieni poteri di imporre ai francesi il rispetto degli accordi. In un suo rapporto scrive: “la situazione a Ventimiglia era esplosiva e avrebbe potuto precipitare. La tensione tra i rappresentanti del CLN, che avevano combattuto nella resistenza contro i tedeschi e le autorità militari francesi era molto forte; i partigiani minacciavano opera di sabotaggi contro gli occupanti mentre i francesi indicevano nei paesi il referendum di annessione alla Francia”. La diplomazia dell’ufficiale alleato fu provvidenziale per tutta la zona intemelia; dopo essersi insediato nel Comune, e dopo un colloquio con mons Rousset durato circa due ore, fece giungere camion pieni di tegole e medicinali, mentre una compagnia del genio militare inglese riparò la ferrovia su sua direttiva. I poteri civili e militari passarono successivamente in mano al colonnello Romanzetti, il quale rimase al comando fino al 18 luglio 1945, quando i francesi evacuarono Ventimiglia e le zone limitrofe come stipulato dagli accordi di Caserta. Il Racconto. L’albero delle pesche (1945) La fame al quel tempo era tanta, e la gente faceva cose al limite della ragione pur di poter mangiare ed arrivare al giorno dopo. In questo conflitto, la popolazione soffrì privazioni che fino ad allora l’umanità non aveva nemmeno lontanamente immaginato. Voglio riportare a tal proposito un racconto scritto da mio padre, una testimonianza diretta di quello che voleva dire aver fame e di quanto era facile perdere la vita. Questa storia realmente accaduta, si è svolta a Parmeira, piccola frazione di Ventimiglia posta di fronte al monte Lungöira, confinante con il Grammondo luogo di conflitto. Era luglio, e il sole brillava nel cielo sereno mentre il caldo faceva pesare ancora di più il fardello che io e mia nonna Manin portavamo. Poche cose che rimanevano di quel trasloco,2 fatto mesi prima per rifugiarsi sulla collina in un piccolo casolare, dato che la nostra casa in città era stata colpita da una bomba d’aereo. Io e mia nonna camminavamo lentamente lungo una stradina tra erbe aromatiche e cespugli fioriti, mentre le cicale sembravano voler rallegrare il nostro cammino con quel canto incessante. Dopo qualche centinaio di metri, arrivammo davanti ad una bella casa stranamente intatta, non toccata dalla guerra, con un bel giardino e molti alberi di frutta tutti rigogliosi e carichi di succose pesche. Non credevo ai miei occhi; tutta quella grazia di Dio lì che aspettava solo di essere raccolta. Ne rimasi stupito, perché con tutta la fame che c’era a quel tempo, mi domandavo come potevano essere ancora lì tutti quei frutti. Mia nonna si fermò posando il suo fardello e mi aiutò a liberarmi del mio, poi, guardandomi mi disse: “ma dove siamo arrivati? In paradiso? Qui sembra un altro mondo…oppure qui nessuno ha fame!” Con un balzo scavalcai la recinzione, salii sul primo albero che trovai e cominciai a raccogliere pesche meravigliose; mia nonna mi guardava, ma nei suoi occhi notai una certa inquietudine; non mi scoraggiai e continuai a cogliere quelle meravigliose pesche. In quel momento arrivò un uomo anziano e guardandomi anch’egli con sguardo sbalordito mi disse: “Santo cielo, cosa hai combinato piccolo scellerato?” Era il proprietario della casa ed io ebbi un attimo di paura, poi dissi: “Non si arrabbi signore, ho tanta fame che non ho potuto resistere a quell’invito”. Egli allora calmo mi rispose: “Lo sai perché tutte quelle pesche nessuno le coglie? Perché tu, scellerato, sei entrato in un campo minato”. A quelle parole non detti troppo peso. Scesi dall’albero, saltai la recinzione e gli porsi una bella pesca matura. Mi guardò tutto tremante, la prese tra le mani e la baciò. Io non capii subito quel gesto, ma poi mi resi conto che quel bacio era il ringraziamento al buon Dio che non mi volle far saltare su una di quelle maledette mine. Grazie Signore. Il giorno che verrò da te, se potrò, ti porterò una bella pesca matura. Situazione a Vallecrosia. Vallecrosia, nel periodo della Resistenza, svolse un importante ruolo come punto di partenza di gruppi di sbarco partigiani verso le coste francesi, trasportando armi, documenti e uomini. Di queste missioni, risultò di particolare importanza quella affidata ai partigiani Giulio Perdetti e Pasquale Corradi (di Ventimiglia). Dovevano trasportare via mare gli ufficiali Geffrey Long di Pretoria, Paul Morton di Toronto, Mc Lelland, scozzese e R. Larouche di Detroit, dalla costa ligure a quella francese, nella parte occupata dalle truppe alleate il 15 agosto 1944 con l’operazione Dragone. I succitati ufficiali, paracadutati sui gruppi Partigiani Imperiesi per accertare la consistenza e i problemi delle forze di liberazione, vennero accompagnati a Monaco e consegnati ad un gruppo di Maquisards. Perdetti e Corradi, vennero trattenuti per accertare la loro effettiva appartenenza alle formazioni partigiane. Furono condotti a Nizza nell’ufficio operazioni del Comando Americano, in via Victor Hugo, dove chiarirono la loro posizione di partigiani e riferirono sulla situazione partigiana della provincia di Imperia. 2 Si riferisce allo sfollamento dei civili fatto dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943 Su proposta dei comandi Alleati, i due entrarono a far parte dell’Organization Secret Service (O.S.S) composta da altri 25 membri. Venne cos’ ideata la missione Corsaro, dal nome di battaglia del Perdetti, che assumeva il compito del collegamento tra comando alleato e comandi partigiani di Ventimiglia – Limone – Nava – Oneglia e di procurare asilo alle missioni alleate in transito. Tornati a Ventimiglia, i due iniziarono la loro attività, con base nelle loro abitazioni e in quella di Renato Ribono. Corsaro aveva già fatto la spola tra Vallecrosia e la Francia, in settembre, con una barca a remi, trasportando armi per i partigiani e plichi per i comandi alleati. Nella notte del 10 dicembre 1944, Corsaro, insieme ai compagni Boia, Antonio Longo, Giulio Licasale, Luciano Mannini, Luigi Gastaldo, Filatro ed i loro famigliari, in barca, salpavano clandestinamente da Vallecrosia alla volta di Villefranche, insediandosi a Villa Petit Rocher. La notte del 14, partiva con un’altra barca il partigiano Dottor Kanheman (Nuccia), con la pianta di tutte le postazioni tedesche del I° schieramento costiero e delle principali fortificazioni, avuta a Coldirodi, da un incaricato della Divisione Felice Cascione. Occorre anche ricordare che a Vallecrosia fu operante un campo di concentramento (di cui allego fotocopie di lettere) istituito nel dicembre del 1943 con l’ordinanza di polizia n° 5 del Ministero degli Interni, estesa a tutti i prefetti dell’Italia Settentrionale. L’area occupata dal campo sorgeva all’altezza dell’attuale via San Rocco, e occupava lo spazio dei giardini pubblici odierni. Vi erano spazi adibiti a caserma di cui uno destinato alla detenzione di ebrei rastrellati. Rimase in funzione dal 9 febbraio 1944 fino al 2 agosto dello stesso anno; era la prima tappa verso i campi di sterminio nazisti in Germania e fu inoltre teatro di un’azione partigiana che vide protagonista una squadra di partigiani del 4° distaccamento Garibaldi che penetrò nel campo riuscendo a liberare 88 prigionieri tra cui 8 donne. Collaborazione tra Garibaldini e Maquisards. La collaborazione antifascista tra italiani e francesi nelle Alpi Liguri e nelle Alpi Marittime, ha origini anteriori l’8 settembre 1943. Alla vigilia dello sbarco delle truppe anglo-americane in Africa Settentrionale e dell’occupazione da parte della IV armata italiana nel Sud – Est della Francia, avvenuta il 6 novembre 1942, il responsabile della resistenza francese, Armand Fradin3, ordinò ai suoi gregari di non commettere alcun atto di sabotaggio sull’insieme delle truppe italiane e delle camicie nere nel momento in cui fossero entrate in Francia, ma di raccogliere quante più informazioni possibili, di carattere economico, politico e militare. I resistenti francesi raccolsero informazioni e dal 3 gennaio 1943 furono autorizzati dai superiori ad attaccare e sabotare le organizzazioni civili fasciste, cercando di evitare la frattura con le truppe regolari italiane d’occupazione. Una collaborazione vera e propria si ebbe agli inizi dell’agosto 1943, quando il Re insieme a parecchie personalità fasciste e dagli anziani commendatori della corona, intrapresero i primi approcci con i comandi Angloamericani per la conclusione di un armistizio. I resistenti francesi seguirono l’evolversi degli eventi con molta attenzione e, alla fine di agosto, allacciarono contatti con militari italiani, diventati filofrancesi grazie ad una efficiente propaganda. Dal luglio all’8 settembre, vennero preparate evasioni e assicurata protezione a soldati italiani da parte di gruppi partigiani francesi di Joseph le Fou (Joseph Manzoni) e dalle popolazioni di Nizza, Cannes e Monaco. Marinai francesi favorirono imbarchi clandestini verso la costa ligure. Dopo l’8 settembre, alcune guide alpine francesi, presero in consegna gruppi di militari sbandati della disciolta IV armata italiana, dando loro cibo e vestiario, conducendoli poi nel rifugio Nizza al colle di Tenda. Lì, venivano presi in consegna dai resistenti italiani che lavoravano in piena sintonia con i francesi, cercando di convincerli ad aggregarsi a formazioni partigiane alpine o costiere, in 3 Nato in Inghilterra da genitori Belgi, ufficiale francese responsabile dell’azione “immediata” e ufficiale istruttore del quadro sabotaggio M.O.I. Gli organi di stampa e la propaganda da ambo le parti Particolare importanza nel contesto della resistenza venne ricoperto dagli organi di stampa dei gruppi partigiani. Si cercò di dare maggiore risalto al fermento politico di quegli anni, cercando di far conoscere situazioni diverse dalla realtà fascista, o di narrare profili di eroi partigiani caduti durante la difesa della loro terra. Intensa l’attività nella provincia di Imperia con la stampa di alcuni quotidiani come il Garibaldino e il Contadino, cercando di essere sempre vicini sia ai partigiani con le loro azioni di liberazione, sia ai civili, sottoposti a bombardamenti e a continui rastrellamenti. La controparte nazifascista si affidò prevalentemente a volantini e manifesti affissi per dissuadere i civili a collaborari con i partigiani, considerati banditi. IL PERSONAGGIO Felice Cascione Nato ad Imperia il 2 maggio 1918, morto in Val Pennavaira (Savona) il 27 gennaio 1944, medico chirurgo, medaglia d’oro al valor militare alla memoria .e attivo antifascista sin dal 1940, Cascione si era laureato a Bologna nel 1942. L’anno dopo, mentre stava crescendo la sua fama di medico sensibile e generoso, "U megu" (il dottore), fu alla testa, insieme alla madre, delle manifestazioni popolari ad Imperia per la caduta del fascismo. Ciò gli valse il carcere (governava Badoglio) sin quasi all’armistizio. Con l’8 settembre, raccolto con sé un piccolo numero di giovani, Cascione organizzò in località Magaletto Diano Castello la prima banda partigiana dell’Imperiese. Le azioni vittoriose contro gli occupanti e contro i fascisti, si alternavano all’assistenza che quel giovane medico biondo – "bello e vigoroso come un greco antico", com’ebbe a descriverlo Alessandro Natta – prestava ai montanari delle valli da Albenga ad Ormea. Fu proprio la sua generosità di medico a tradire Cascione. In uno scontro con i fascisti, in quella che si ricorderà come "la battaglia di Montegrazie", i partigiani catturano un tenente e un milite della Brigate nere, tal Michele Dogliotti. I due prigionieri rappresentano un impaccio e, dopo un sommario processo, si decide di eliminarli. Interviene "U megu": "Ho studiato venti anni per salvare la vita di un uomo ed ora voi volete che io permetta di uccidere? Teniamoli con noi e cerchiamo di fargli capire". Così i due fascisti seguono la banda in tutti i suoi spostamenti. Cascione si prende particolarmente cura di Dogliotti, che è piuttosto malandato, e divide con lui le coperte, il rancio, le sigarette. A chi diffida e tenta di metterlo sull’avviso replica: "Non è colpa di Dogliotti, se non ha avuto una madre che l’abbia saputo educare alla libertà". Passa circa un mese e il brigatista nero fugge. Pochi giorni dopo, Dogliotti guida alcune centinaia di nazifascisti verso le alture intorno ad Ormea, che sa occupate da unità garibaldine. All’alba la battaglia divampa dal versante di Nasino di Albenga. "U megu", con i suoi, tenta un colpo di mano per rifornirsi di munizioni. Il tentativo fallisce; Cascione, gravemente ferito, rifiuta ogni soccorso e tenta di coprire il ripiegamento dei suoi uomini. Ma due di loro non se la sentono di abbandonarlo e tornano indietro: Emiliano Mercati e Giuseppe Castellucci incappano nei fascisti. Mercati sfugge alla cattura; Castellucci, ferito, è selvaggiamente torturato perché dica dov’è il comandante. Cascione, quasi agonizzante, sente i lamenti del suo uomo seviziato, si solleva da terra e urla: "Il capo sono io!"; individuato viene subito ucciso dai nazifascisti. Il 27 aprile 2003, sulle alture alle spalle di Albenga è stato inaugurato un monumento, dedicato alla pace e alla resistenza ligure, in memoria di Felice Cascione, che a suo tempo, tra l’altro, compose le parole dell’inno partigiano “Fischia il vento” La stele, opera donata dallo scultore tedesco Rainer Kriester, era stata sfregiata, tre giorni prima dell’inaugurazione, da neofascisti che avevano anche tentato inutilmente di scalzarla dalle fondamenta. La lettera Furono molti i partigiani fucilati, ma anche persone che li aiutarono pur non imbracciando un’arma. Riporto a tal proposito la lettera scritta da Franca Lanzone, 25 anni, casalinga, nata a Savona il 28 settembre 1919. Il 1°ottobre 1943 si unisce alla Brigata "Colombo", Divisione "Gramsci", svolgendovi attività di informatrice e collegatrice e procurando vettovagliamento alle formazioni di montagna -. Arrestata la sera del 21 ottobre 1944, nella propria casa di Savona, da militi delle Brigate Nere - tradotta nella Sede della Federazione Fascista di Savona -. Fucilata il I° novembre 1944, senza processo, da plotone fascista, nel fossato della Fortezza ex Priamar di Savona, con Paola Garelli e altri quattro partigiani. Caro Mario, sono le ultime ore della mia vita, ma con questo vado alla morte senza rancore delle ore vissute. Ricordati i tuoi doveri verso di me, ti ricorderò sempre Franca Cara mamma, perdonami e coraggio. Dio solo farà ciò che la vita umana non sarà in grado di adempiere. Ti bacio. La tua Franca Considerazioni Personali. Nella lotta partigiana è presente un forte elemento di “necessità”, ovvero la via obbligata che spinse gli ex appartenenti al disciolto Regio Esercito ad imbracciare nuovamente le armi dopo l’armistizio dell’8 settembre per non ritrovarsi a rischio di deportazione o fucilati per renitenza alla leva della R.S.I. I partigiani quindi, erano composti sia da convinti ideologi antifascisti, sia da uomini che cercarono il modo meno doloroso di sfuggire alla guerra. Nella lotta partigiana coesistono azione eroica ma anche macchie oscure sul comportamento non tanto patriottico del combattenti, specie nei confronti della popolazione civile. Non esiste a mio avviso una netta scissione tra buoni e cattivi. Questa guerra è stata una delle più grandi espressioni di violenza del XX secolo, ed è nostro dovere ricordarla in maniera oggettiva e più neutrale possibile affinchè le atrocità commesse da quelle ideologie non tornino mai più. Per esempio, nel quadro più ampio del conflitto, anche tra i “buoni” americani che hanno liberato l’Europa dall’occupazione nazista ci sono macchie indelebili (a mio modesto avviso) quali le due bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki (non sono forse crimini contro l’umanità da condannare?), i bombardamenti al fosforo di Colonia ed Amburgo ed il profondo razzismo che imperversava tra le truppe a stelle e strisce (i neri erano utilizzati come cuochi, sguatteri ed autisti ma rarissimamente in prima linea, e ancora esistevano i bagni separati). La guerra è sempre guerra civile, in quanto ogni uomo è cittadino del mondo, respira la stessa aria e rientra nella grande famiglia dell’umanità. Bibliografia e Sitografia 1 – La seconda Battaglia delle Alpi, di Maurizio Costantini, edito da Roberto Chiaramente Editore 2 – Sito Internet Ufficiale ANPI, Associazione Nazionale Partigiani d’Italia 3 – Diario di guerra della zona intemelia 1943 - 1945, della Signora Caterina Viale – Compagnia d’ì Ventemigliusi 4 – Enciclopedia Multimediale Encarta, 2005 5 – Fonti orali e ricordi di persone che hanno visto la lotta partigiana e sofferto la guerra: mio padre e mio zio. 7 – Storia della resistenza Imperiese, volume 3° di Francesco Biga 8 – Ventimiglia Partigiana… in città, sui monti, nei lager; 1943 – 1945, a cura del Comune di Ventimiglia e di Don Nino Allaria Olivieri, archivista della curia.
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