Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Tesi di laurea in politiche della sicurezza, Tesi di laurea di Scienza Politica

La paura della criminalità nella città di Forlì: analisi comparativa tra criminalità reale e senso di insicurezza percepito. Il mio elaborato finale è incentrato sullo studio di quel sentimento diffuso di insicurezza, che ormai da anni pervade molte delle nostre città. L'obiettivo che mi sono posto è stato quello di capire, alla luce delle maggiori teorie esplicative, le cause che originano tale sentimento, come nasce e come si sviluppa, chiedendomi, nel contempo, se è del tutto legittimo, oppur

Tipologia: Tesi di laurea

2012/2013

In vendita dal 23/07/2013

kuzmin88
kuzmin88 🇮🇹

2.5

(2)

5 documenti

1 / 281

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Tesi di laurea in politiche della sicurezza e più Tesi di laurea in PDF di Scienza Politica solo su Docsity! Alma Mater Studiorum Università di Bologna – Sede di Forlì FACOLTA’ di SCIENZE POLITICHE “ROBERTO RUFFILLI” Corso di Laurea in Criminologia Applicata per l'investigazione e la sicurezza C.I. (88) TESI DI LAUREA in Politiche della sicurezza La paura della criminalità nella città di Forlì: analisi comparativa tra criminalità reale e senso di insicurezza percepito CANDIDATO Giovanni Giliberti RELATORE Andrea Antonilli CORRELATORE Ugo Terracciano Anno Accademico 2011/2012 Sessione Marzo III INDICE INTRODUZIONE 4 CAPITOLO PRIMO 8 “Fear of crime/ Concern about crime: Dall’insicurezza alla paura del crimine” 1.1 Che cos'è la sicurezza 8 1.2 Evoluzione storica del concetto di sicurezza 15 1.3 Paura del crimine tra percezione e realtà 20 1.4 Paradosso della paura della criminalità: 3 possibili spiegazioni 23 1.4.1 Risposta individuale e razionale 28 1.4.2 La prospettiva ecologica e dell'incivility 33 1.4.3 L'ipotesi della disgregazione sociale 41 1.5 L'insicurezza urbana: società contemporanee come fonte di paura 48 1.5.1 Migrazioni e società multietniche 48 1.5.2 Trasformazioni della struttura sociale 52 1.5.3 I mass media nella costruzione della pdc 55 1.5.4 Sviluppo del contesto urbanistico 60 1.6 Funzionalità e disfunzionalità della pdc 62 CAPITOLO SECONDO 65 “Indagini sulla paura della criminalità” 2.1 La genesi della ricerca criminologica sulla fear of crime 65 2.2 Il filone statunitense 71 2.3. Il filone europeo 75 2.3.1 L'approccio britannico ambientale 76 2.3.2 L'approccio sociologico e antropologico francese 80 2.3.3 L' approccio psicosociale olandese 83 2.3.4. L'approccio italiano 86 1 La paura della criminalità, quindi, è un tema che ha acquistato sempre maggiore importanza; quella che una volta era considerata un'angoscia circoscritta, localizzata, che affliggeva soltanto le persone e i quartieri più poveri, ha iniziato a essere intesa come uno dei problemi sociali più gravi, e come una caratteristica della cultura contemporanea. Fino ad alcuni anni fa, paura ed insicurezza erano legate a malattia, povertà e guerre, oggi invece la paura per la criminalità e l’ansia per la diffusione dei comportamenti devianti preoccupano e favoriscono reazioni che contribuiscono a diffidenza e sfiducia, riduzione della coesione e della partecipazione sociale. Non solo: la paura della criminalità ha iniziato a essere concepita come un problema in sé, indipendentemente dai tassi effettivi di criminalità, a tal punto che si sono sviluppate politiche dirette a ridurre specificamente i livelli di paura, anziché il numero dei reati. Visti i disagi e il senso di indignazione crescenti della popolazione italiana, l'attenzione politica e mediatica si è quindi concentrata sulla discussione di problemi legati alla sicurezza, con il risultato, però, di ingenerare una grande confusione per i comuni cittadini. Molto spesso, infatti, si tende a sottovalutare o ad interpretare male il fenomeno "in/sicurezza urbana", confinandolo nel quadro dell'ordine pubblico, della repressione penale, dell'effettività delle sanzioni. Questo almeno sembra essere l'esito obbligato al quale si giunge in base alla lettura di un qualsiasi quotidiano oppure ascoltando le parole di un qualunque attore politico. Leggere il fenomeno "in/sicurezza" in chiave così riduttiva non può, pertanto, essere corretto da un punto di vista operativo, e, fortunatamente, l'ambito scientifico e sociologico internazionale, ma anche italiano, ha condotto degli studi approfonditi e soprattutto 'neutrali', svolgendo un'analisi attenta alle esigenze principali dei cittadini. Negli Stati Uniti l'interesse dei ricercatori per il tema della sicurezza delle città, che include i sentimenti di insicurezza come conseguenza della paura del crimine, si sviluppa a partire dagli anni settanta; in alcuni Paesi europei come Gran Bretagna, Francia, Olanda, dagli anni '80, mente in Italia solo a partire dagli anni '90. 4 Questa spinta nasce dalla necessità di far fronte alla crisi generalizzata della prevenzione speciale e alla diffusione incontrollata dell'allarme - criminalità. Il punto di partenza coincide, in questo caso, con gli studi sulla paura della criminalità, sui sentimenti d'insicurezza delle persona, sull'analisi della "vittimizzazione", cioè sul fatto che gli individui abbiano o meno subito reati. I risultati di tali indagini costituiscono sicuramente materiale utile per l'elaborazione di adeguate politiche della sicurezza che tengano conto, in modo consapevole, delle differenze che contraddistinguono le nostre società ormai stratificate. La mia tesi è incentrata quindi sullo studio di quel sentimento diffuso di insicurezza, che ormai da anni pervade molte delle nostre città. L'obiettivo che mi sono posto è stato quello di capire, alla luce delle maggiori teorie esplicative, le cause che originano tale sentimento, come nasce e come si sviluppa, chiedendomi, nel contempo, se è del tutto legittimo, oppure frutto di errori o mistificazioni. Il punto di partenza dell'analisi è costituto dall'osservazione dell'allarme sicurezza nell'Italia degli anni novanta e della centralità della paura nelle esperienze quotidiane e nei discorsi pubblici e mediatici. L'interesse che ha mosso questo studio è stato quello di cercare di rispondere ad alcuni interrogativi che ancora oggi rivestono un carattere di attualità: "Quanto è diffusa la paura della criminalità?" e ancora "Quali sono i fattori che la determinano e influenzano?" La risposta inizialmente è apparsa scontata: se si tratta di paura di subire un reato, la criminalità ne costituisce necessariamente la causa principale, e quindi per diminuire l'ammontare della prima non si può fare altro che inasprire le misure di contrasto alla seconda. Tuttavia, ci si è accorti che tale spiegazione non reggeva di fronte alla rilevazione di uno scarto tra la consistenza effettiva del rischio di criminalità e il livello di percezione dell'insicurezza; entrano quindi in gioco concetti quali vulnerabilità, quantità e qualità delle informazioni disponibili sul crimine, percezione della qualità della vita, disordine urbano, 5 livello di coesione sociale e di fiducia istituzionale tutti elementi che fanno parte della ricerca ormai quarantennale sulla fear of crime. Ecco quindi l'emergere di un nuovo quesito che cercherò di approfondire nel mio lavoro: "Vi è una correlazione tra la criminalità reale e il senso di insicurezza percepito dalla popolazione in un determinato territorio"? I dati di letteratura evidenziano come paura e criminalità non sono legati da un rapporto lineare, e che mentre il numero dei reati è invariato rispetto al passato, insicurezza e paura aumentano. Tuttavia, per dimostrare questa tesi ho realizzato una ricerca di tipo quantitativo sul territorio di Forlì, cercando di cogliere ed analizzare il legame tra criminalità reale (ovvero il numero di reati consumati in un dato territorio) e il senso di insicurezza urbana o paura della criminalità ponendo in evidenza la percezione soggettiva, da parte del cittadino, del rischio legato alla criminalità nelle diverse zone della città. Non volendo tuttavia questo lavoro prediligere ipotesi esplicative unidimensionali, bensì sposare un criterio di approfondimento su base sistemica, saranno affrontati argomenti e variabili di diversa natura, a partire dalla declinazione delle varie qualità del sentimento di insicurezza, per descrivere poi gli aspetti mediatici, nonché l’importante valenza del cosiddetto senso di comunità, argomenti e variabili tutti interconnessi a vari livelli di complessità e importanza. Più nello specifico, nel primo capitolo verranno esplicitate le varie forme di insicurezza, con particolare enfasi su quella legata alla criminalità, nonché l'evoluzione storica del concetto di sicurezza. Analizzerò il cd. "paradosso della paura della criminalità" cercando, dopo una breve introduzione, di spiegarne le cause che stanno alla base di questo paradosso servendomi della letteratura criminologica in tema. Ancora nella parte finale del primo capitolo andrò ad esaminare con attenzione le città contemporanee come fonte di paura enucleando i fattori che concorrono all'aumento dell'insicurezza urbana. 6 realizzazione di misure per la prevenzione, porre in essere misure per la sicurezza delle informazione riservate/segrete. Tali misure possono essere materiali e infrastrutturali, ma soprattutto formative ed informative, atte a far conoscere il rischio e quindi evitare il pericolo. Se volessimo fornire una definizione del concetto di sicurezza potremmo intenderlo come la convinzione che tutto quanto accade si possa fronteggiare o manipolare in misura considerata sufficiente, o che si posseggano competenze e capacità revisionali per rispondere in modo efficace ad una minaccia6; può essere vista come l'insieme di condizioni materiali, percezioni, rappresentazioni individuali e collettive che consentono ad un soggetto di avere la convinzione di essere in grado di affrontare, in maniera adeguata una potenziale minaccia7. Più nello specifico la nostra ricerca si focalizzerà sulla sicurezza urbana; facendo principalmente riferimento all’evoluzione del dibattito italiano, il concetto di sicurezza urbana ha trovato interpretazioni e definizioni essenzialmente di ordine sociologico. Solo di recente è stata introdotta nel nostro sistema una definizione giuridica che tuttavia risulta “elastica e omnicomprensiva, mentre essa avrebbe dovuto stabilire confini concettuali, e non essere ampliata sino a ricomprendere l’intera legislazione che regola la vita civile8”. La sicurezza urbana è definita come "un bene pubblico da tutelare attraverso attività poste a difesa, nell'ambito delle comunità locali, del rispetto delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilità nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale9". 6 Fiasco M. (2001), La sicurezza urbana, Il sole 24 Ore, Milano 7 Antonilli A. (2008), La sicurezza urbana. Il ruolo della polizia di prossimità, Roma, Aracne. 8 Italia V., (2010), La sicurezza urbana, Le ordinanze dei Sindaci e gli osservatori volontari, Giuffrè, Milano 9 Decreto Ministero Interno 05.08.2008, G.U. 09.08.2008 n.186. 9 Il quadro di contenuto adottato dal legislatore italiano, nel precisare in cosa debba consistere la sicurezza urbana, rimanda quindi a un articolato complesso di fattori che sollecitano la responsabilità delle autorità locali nella promozione della coesione sociale, nella riduzione delle ineguaglianze urbane, nello sviluppo di un ambiente costruito attento alla qualità urbana e di un uso dello spazio pubblico inclusivo e costruttivo, nonché nella promozione di un presidio attento e rigoroso del rispetto delle regole che governano la vivibilità della città. La sicurezza di una comunità rappresenta uno degli aspetti più importanti della qualità della vita delle persone che vi appartengono e, oggi più che mai, assume una duplice valenza: da un alto costituisce il diritto a non subire episodi di devianza e criminalità, dall'altro è il presupposto essenziale affinché i cittadini possano beneficiare a pieno dello sviluppo economico e sociale della propria comunità10. Fondamentale in relazione al tema che verrà trattato nel mio lavoro è la distinzione tra la sicurezza oggettiva e quella soggettiva11. Se la prima è data dal tasso di criminalità di una data zona in un determinato periodo, dalla diversa tipologia e numerosità delle vittime dei reati, nonché da altre grandezze oggettivamente misurabili, la sicurezza soggettiva è funzione del degrado urbano socio- ambientale, della crisi di alcuni valori sociali, morali e religiosi, del manifestarsi diffuso di segni di inciviltà, dell'emergere di situazione di instabilità economica e politica e dell'influenza dei mass-media che giocano un ruolo importante come vedremo in seguito. Se l'insicurezza soggettiva viene definita come la paura di subire un reato indipendentemente dalla probabilità che questo si verifichi, quella oggettiva ci si riferisce a un sentimento di preoccupazione per la criminalità, ben ponderato sulla effettiva diffusione della criminalità. 10 Regione Veneto, Progettare la sicurezza urbana, Assessorato alla politiche della sicurezza e dei flussi migratori , Osservatorio Regionale per la sicurezza, Centro di documentazione, p.2. 11 Cfr. De Hann W., (1990), The politics of redress: Crime, Punishment , and Penal Abolition, Unwin, London. 10 Sono molti gli studiosi che hanno lavorato su questa distinzione fondamentale non sfociando in definizioni tra loro concordanti. Già agli inizi degli anni 70, Frank Furstenberg12 a partire dai risultati di alcune ricerche compiute a Baltimora, dimostrò come la preoccupazione in astratto per la criminalità (concern about crime) avesse una diffusione e un'intensità molto diverse dalla paura in concreto (fear of crime); la preoccupazione è molto più diffusa rispetto alla paura di subire un reato, mentre quest'ultima dipende maggiormente dal livello di criminalità esistente. Louis Guerin13 definì, invece, la paura in astratto come la preoccupazione nei confronti di un fenomeno riguardante genericamente la società, e la paura concreta come il timore evocato da un fenomeno concreto, in stretto rapporto con la vita quotidiana dell'individuo. Più di recente, in Italia, Marzio Barbagli e Licia Nardi hanno distinto due diversi aspetti del sentimento di paura; la paura personale di essere vittime di reato (fear of crime) e la preoccupazione per la criminalità come fenomeno sociale (fear about crime)14. La prima è una risposta fisiologica ed emotiva ad una intimidazione, che può essere concreta oppure probabile, così che la sensazione di una condizione di pericolo è in grado di indicare sia la probabilità che tale presupposto si realizzi che sia l'incertezza degli esiti possibili. La paura sociale per la criminalità, invece, è un senso di inquietudine che riguarda la possibilità che essa possa propagarsi nei luoghi in cui si vive15. 12 Furstenberg F.J. (1971), Public reaction to crime in the street, American Scholar, 40,601-610 13 Louis-Geurin A., (1983), La peur du crime: mythes et réalités, Criminologie, Vol. 16, N. 1, p.69 14 Barbagli M., (1999), Egregio signor sindaco. Lettere dei cittadini e riposta dell'istituzione sui problemi della sicurezza, Il Mulino, Bologna. 15 Roché S., (1998), Sociologie Politique de l'insecurité, Puf, Paris. 11 L'insicurezza diventa, in questo modo, l'aspetto preponderante o strutturale dell'individuo moderno, connotato fondamentale della società contemporanea; le conseguenze sconosciute o non volute dell'agire diventano dominanti e il rapporto rischi/opportunità viene spinto alle estreme conseguenze. Cresce una domanda di protezione verso nuove minacce che scaturiscono dai cambiamenti a livello globale e che si dispiegano in maniera diffusa, pervasiva e orizzontale. Questi timori alterano la visione del futuro e condizionano fortemente le azioni degli individui e delle comunità determinando serie conseguenze sulla struttura della società e delle relazioni interpersonali. Oggi quindi si è di fronte a ciò che Maslow ha definito bisogno di sicurezza, ovvero un bisogno effettivo e fondamentale, la cui insoddisfazione impedisce alle persone di poter evolvere verso il processo di autorealizzazione21; la sicurezza è così finalizzata all'inclusione sociale in quanto legata ad un desiderio di appartenenza sociale. E' pacifico affermare che la società contemporanea è “ossessionata” dal problema della sicurezza. Quindi tentando di dare una definizione al concetto di insicurezza possiamo considerarla come una condizione oggettiva, legata alla reale esposizione al rischio, o soggettiva, ovvero quell'insieme di sentimenti di tipo emozionale non fondati su una oggettiva minaccia criminale, di singoli o di gruppi sociali derivante tanto da comportamenti quanto da segni considerati e vissuti come "nocivi" dall'individuo. Come sopra accennato l'insicurezza si esplica in 2 dimensioni differenti: se la dimensione soggettiva dell'insicurezza è legata sopratutto a quegli episodi la cui rilevanza penale è ridotta ma che hanno un'alta visibilità ed una immediata attinenza con la vita 20 Beck U., (2000), La società del rischio: verso una seconda modernità; edizione italiana a cura di Walter Privitera, Carocci, Roma. 21 Maslow A.H., (1973), Motivazione e personalità, Armando editore, Roma. 14 quotidiana (inciviltà fisiche e sociali), la dimensione oggettiva è legata alla correlazione diretta tra fenomeni criminosi e andamento della percezione di insicurezza. E' su queste due dimensioni che si basa la mia ricerca empirica con l'intento di disvelare la discrasia tra l'insicurezza soggettiva (astratta e senza forma) ovvero il timore di subire un evento negativo indipendentemente dalla probabilità che questo si verifichi, e l'insicurezza oggettiva caratterizzata da un stato di preoccupazione nei confronti di episodi negativi, ponderato sulla loro effettiva presenza e diffusione. 15 1.2 Evoluzione storica del concetto di sicurezza La domanda di maggiore protezione avanzata dal cittadino, è alla base del cosiddetto patto "hobbesiano" con cui nel '500 è nato lo Stato moderno in cui la paura era il fondamento della morale e della società politica. In base a questo patto, il sovrano assoluto in cambio del monopolio dell'uso delle armi e del prelievo fiscale ha offerto ai propri sudditi protezione tanto nei confronti dei nemici esterni, quanto soprattutto dei pericoli interni. Oggi però questi problemi assumono i tratti di un'autentica emergenza, grazie all'intrecciarsi di una molteplicità di fattori che agendo anche cumulativamente innescano una spirale perversa dall'incredibile potere ansiogeno. Dagli anni '50 in poi, le politiche di Welfare in Europa ed uno sviluppo economico nel Nord del mondo avevano creato la convinzione diffusa che la paura fosse finalmente sconfitta illudendoci di avere costruito grazie alla tecniche previsionali, alla scienza e ai programmi di Welfare la società della sicurezza. E' dagli anni '70 che la situazione cambia; paura della criminalità e domanda di sicurezza si impennano diventando una fenomeno collettivo, e in alcuni casi, uno dei principi organizzatori della vita urbana e sociale; oggi siamo entrarti in una società segnata dal rischio e da un'insicurezza che riguarda tutta la nostra vita. E' la cosiddetta insicurezza e paura ontologica. È la paura collettiva che, unita al preoccupante andamento della criminalità, crea il problema sicurezza urbana che semplici dati statistici sui reati non basterebbero a spiegare e soprattutto ad affrontare. Lo scarto esistente tra l'impennata del sentimento di paura e della preoccupazione per la criminalità e la crescita, costante ma non vertiginosa, dei reati non elude il problema dell'accresciuta insicurezza collettiva. La paura, in questo caso della criminalità, va considerata seriamente quanto meno per due ragioni: 1) perché provoca disagio e talvolta persino sofferenza negli individui; 2) perché le sue conseguenze sono reali. Essa è in grado di determinare atteggiamenti e comportamenti che, agendo cumulativamente, possono addirittura cambiare il volto e le modalità di uso delle nostre città. 16 L'individuo non affidandosi più alla tradizione e alle conoscenze locali, è costretto a riporre fiducia nei cosiddetti "saperi esperti" i quali spesso ricorrendo ad un utilizzo disseminato della scienze e delle tecnica, producono nuovi pericoli ed una irrealistica domanda di continua e costante sicurezza. Nessuna società potrebbe tuttavia pretendere di sradicare la totalità di pericoli che si profilano all'orizzonte e nel momento in cui rischi più forti sembrano scongiurati, il cursore che segnala la sensibilità ai rischi si sposta e fa affiorare nuovi pericoli. Ma oggi questo cursore è collocato così in alto da stimolare una domanda di sicurezza del tutto irrealistica. È così che la cultura del rischio fabbrica pericoli. Il bisogno di sicurezza, insomma, è paradossalmente in larga misura il rovescio della medaglia di una società che garantisce la sicurezza. E' proprio l'economia delle protezioni a produrre una frustrazione securitaria, la cui esistenza appartiene in maniera sostanziale alle società che si costruiscono attorno alla ricerca della sicurezza. E questo per due ragioni: in primo luogo perché i programmi di protezione, non potendo mai essere realizzati pienamente, producono delusione e perfino risentimento; in secondo luogo perché un loro successo, anche relativo, dominando certi rischi ne fa emergere sempre di nuovi25. È quel che accade oggi con l'eccezionale esplosione di questa nozione di rischio e la quale fa sì che l'individuo contemporaneo non possa mai sentirsi totalmente al sicuro e al riparo dai pericoli. Allorché dominano i legami intessuti attorno alla famiglia, linguaggio e gruppi di prossimità e allorché l'individuo definito dal posto che occupa in un ordine gerarchico, la sicurezza, nelle sue linee essenziali, è garantita sulla base dell'appartenenza diretta ad una determinata comunità e dipende dalla forza di questi legami comunitari. Si può parlare ancora di protezione ravvicinata. Con l'avvento della modernità, l'individuo viene riconosciuto di per sé stesso indipendentemente dalla sue iscrizioni in ambiti collettivi ma ciò secondo Hobbes porterebbe ad una società "di insicurezza totale"26. 25 Castel R., (2011), L'insicurezza sociale: che significa essere protetti?, traduzione di Mario Galzigna e Maddalena Mapelli, Torino, Einaudi, p.6-7. 26 Hobbes T.,(1974), Leviatano, 2 vol. Laterza Roma 19 Liberati da ogni regolazione collettiva, gli individui vivono sotto il segno della minaccia permanente poiché non possiedono in sé stessi i poteri di proteggere e di proteggersi. Si può interpretare globalmente la "grande trasformazione che colpisce le nostre società occidentali, come una crisi della "modernità organizzata"; ristrutturazione del mondo del lavoro, de-collettivizzazione, e re-individualizzazione sono i fattori che determinano la produzione di insicurezza27. Se oggi si può parlare di un riemergere dell'insicurezza, è in larga misura perché vi sono frange della popolazione ormai convinte di essere state lasciate ai margini del percorso di sviluppo, incapaci di controllare il loro futuro in un mondo sempre più segnato da cambiamento. Nelle relazioni che intrattengono con gli altri gruppi sociali, queste categorie sacrificate, piuttosto che accogliere la diversità che tali gruppi rappresentano, cercano in essi dei capri espiatori capaci di spiegare la loro sensazione di insicurezza. In relazione al nuovo contesto urbanistico i "quartieri sensibili" assommano i principali fattori che determinano produzione di insicurezza: forti tassi di disoccupazione, di lavoro precario e di attività marginali, habitat degradato, urbanizzazione senz'anima, promiscuità tra gruppi di origine etnica differente, presenza permanente di giovani sfaccendati che sembra esibire la loro inutilità sociale, visibilità di pratiche delinquenziali legate al traffico della droga e alla ricettazione, frequenza di atti di inciviltà, di momenti di tensione e di agitazione, di conflitti con le forze dell'ordine ecc. Insicurezza sociale e insicurezza civile qui si sovrappongono e si alimentano reciprocamente. Oggi assistiamo quindi ad una straordinaria condensazione della problematica globale dell'insicurezza; chiamiamo sicurezza lo stato psicologico che ci viene dal credere di vivere in un ambiente immutato, uguale a se stesso. Quindi ogni turbamento dell'ordinario status quo è visto come fonte di insicurezza. 1.3Paura del crimine tra percezione e realtà 27 Bauman Z., (2000), La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano. 20 La criminalità urbana non è certamente un fenomeno nuovo, né lo è la paura. Ci sono addirittura storici, come Lucien Febvre o Jean Delumeau, i quali sostengono che è possibile tracciare una storia della paura assumendola come leit motiv nello svolgersi della stessa civiltà occidentale28; la storia della nostra civiltà e della città in particolare può essere ricostruita seguendo il filo rosso della paura. Delumeau afferma inoltre che la paura, elemento costante nella storia dell'uomo, è un'emozione universale che appartiene a tutto il mondo naturale, tanto agli uomini quanto agli animali. Però, a differenza dell'animale, l'uomo è l'unico essere vivente a mettere in pratica delle strategie volte ad esorcizzare i timori attraverso la cultura29. Baumann osserva che “ogni epoca della storia si è differenziata dalle altre per aver conosciuto forme particolari di paura, o piuttosto, ogni epoca ha dato un nome di propria invenzione ad angosce conosciute da sempre”30. La paura del crimine è un fenomeno complesso, che sta caratterizzando sempre più la società contemporanea e che comporta gravissime conseguenze sociali e psicologiche; è un fenomeno di difficile analisi, poiché coinvolge l'elemento crimine (oggettività statistica) ed il sentimento paura ovvero un fenomeno privo di specificità e quindi non stimabile oggettivamente. Se l'insicurezza è il fenomeno che caratterizza la nostra epoca, la paura della criminalità è il termine più usato per indicarla. Possiamo definire la paura come un'emozione, un sentimento ancestrale, assolutamente non razionale, una percezione individuale soggettiva che si manifesta come reazione ad un determinato stimolo e che a livello fisiologico funge da strumento di difesa e di protezione dell'individuo stesso dai pericoli; questa a sua volta innesca una reazione psicofisiologia quali l'accelerazione del battito cardiaco, l'innalzamento della pressione sanguigna, il rallentamento della respirazione, l'irrigidimento delle fasce muscolari di collo e spalle31. 28 Febvre L., (1956), Pour l'histoire du sentement: le besoin de sècuritè, in Annales XI: 244-247 29 Delemeau J., (1978), La peur en occcident, Fayard, Parigi, Tr. it. (1994) La paura in occidente, SEI, Torino. 30 Bauman Z., (1999), La società dell'incertezza, Il Mulino, Bologna. 31 Nardone G.,(2000), Oltre i limiti della paura, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, p. 44 21 La criminalità economica, ovvero i reati commessi nell’ambito di un’attività lavorativa legittima (come la corruzione, l’insider trading e così via) è molto diversa dalla criminalità violenta costituita da reati come omicidi e violenze sessuali; la cosiddetta criminalità predatoria, volta a ottenere vantaggi illeciti sottraendo beni e risorse ai legittimi proprietari come avviene nel caso dei furti e delle rapine, è diversa dalla violenza politica o dai reati riconducibili a mercati illegali, come quelli della prostituzione o della droga. Ma sempre più oggi è la criminalità comune, l’insieme degli omicidi, delle violenze, dei furti e delle rapine, a essere al centro delle preoccupazioni dei cittadini, dell’attenzione dei mezzi di comunicazione di massa e delle richieste di intervento rivolte alle istituzioni. Molte ricerche condividono nelle loro conclusioni un paradosso: gli individui che generalmente hanno livelli più alti di paura per la criminalità presentato bassi tassi di vittimizzazione. Ad esempio, come vedremo più avanti, sono le donne e gli anziani ad avere più paura per la criminalità, ovvero quelle categorie di soggetti che tipicamente hanno meno probabilità di essere vittime di reato. Ricerche internazionali ci dicono che in Italia i livelli di paura e di preoccupazione per la criminalità non sono molto dissimili da quelle degli altri paesi del Nord del mondo e, soprattutto, da quelle europei. Tuttavia, la situazione italiana presenta elementi di forte specificità a partire dall'andamento della criminalità, dalla sua composizione per tipologie di reato e dalla sua distribuzione territoriale che ha visto diminuire in maniera sensibile i differenziali regionali. Indipendentemente dall'andamento reale ed oggettivo della criminalità, che mostra peraltro un andamento discontinuo ed irregolare sia per quanto concerne le tipologie di reato che le serie storiche, si va manifestando anche in Italia una sorta di diffusa sindrome sociale da crimine definita come crime complex36caratterizzata da:  alti indici di criminalità considerati come un normale fatto sociale e che la pubblica opinione considera come un tratto strutturale della società; 36 Garland D., (2001), The culture of control - Crime and social order in Contemporary Society, University Pres, Londra, Oxford 24  vasto e intenso investimento emotivo che comprende tanto elementi di attrazione che paura, rabbia e risentimento con una diffusione generalizzata di sentimenti quali paura e impotenza;  timore di subire fenomeni di vittimizzazione;  politicizzazione del problema del crimine rappresentato in termini fortemente emotivi;  forte attenzione alle vittime ed alla sicurezza pubblica nel discorso politico;  convinzione della inadeguatezza ed inefficacia della giustizia penale nel fare luce sugli episodi delittuosi;  sfiducia negli operatori del controllo cosciale e conseguente diffusione di comportamenti e di strategie difensive private con la crescita di un fiorente mercato della sicurezza privata;  istituzionalizzazione del problema del crimine tanto nei media e nella cultura popolare che nelle diverse pratiche amministrative e professionali (urbanistiche,architettoniche ecc). Questo crime complex meglio definibile in italiano come la sindrome pericolo criminalità, segna, ormai, l'esperienza quotidiana dei cittadini di gran parte dei Paesi europei. Nell’opinione pubblica è diffusa la percezione di un aumento del senso di insicurezza dei cittadini: più che dalla gravità dei reati (ad esempio gli omicidi, che rappresentano eventi relativamente rari) questo dipende dalla loro diffusione e visibilità. È questa sindrome che alimenta la diffusa domanda di sicurezza, ne definisce contenuti e ne precisa i destinatari. È, inoltre, particolarmente forte nel caso italiano la rapidità con cui la paura per la criminalità si è posta al centro della vita della città. In pochi anni il tema sicurezza si è affermato come centrale tanto nell'esperienza delle persone, che nell'agenda degli amministratori locali i quali solo sino alla fine degli anni ottanta ritenevano la questione estranea ai propri compiti istituzionali. Con buone ragioni giuridiche, infatti, i sindaci italiani dell'epoca giudicavano il tema sicurezza di competenza esclusiva del governo centrale. Oggi, invece, la sicurezza dei cittadini è la prima tra le promesse politiche anche nelle elezioni locali. Sulle politiche e sulle azioni per la sicurezza si giocano ormai i destini sia dei governi nazionali che dei sindaci delle grandi città. Il dibattito politico, alimentato ed orientato da un'opinione pubblica particolarmente reattiva, ha fatto della sicurezza uno dei principali temi dello scontro tra le forze in campo. 25 Il risultato è stato tuttavia infelice. In primis la competizione ha determinato oltre che un iperenfatizzazione del tema, una crescita esponenziale delle aspettative con la conseguente inflazione della domanda sociale di sicurezza. Inoltre, per conquistare il consenso, i contendenti hanno messo in gioco pubblicamente questioni giuridiche difficili e delicate o temi strettamente tecnici di ingegneria normativa, solitamente riservate ai soli addetti ai lavori creando dei pericolosi corto circuiti nel delicato sistema del funzionamento istituzionale. La rapida crescita del problema della sicurezza urbana non è riscontrabile solo nel dibattito politico e nelle agende di governance; elemento fondamentale della centralità che ha acquisito l'argomento è il mutato rapporto della popolazione con il problema criminalità. Il primo elemento da cui partire per descrivere l'attuale scenario italiano è la pervasività della paura e la comparsa dell'insicurezza come momento centrale dell'esperienza quotidiana che ne viene direttamente influenzata. Il disagio innerva la vita di tutti giorni. Si diffonde la convinzione di essere più vulnerabili tanto individualmente quanto collettivamente. La paura per un futuro, che la maggior parte della gente ritiene essere peggiore del passato, si proietta nel presente ed assume forme diverse. Se prima la paura era limitata ad eventi eccezionali strettamente contingenti oggi è vissuta in maniera diffusa e continua: ci spaventano la criminalità, gli stranieri, le malattie, il terrorismo,la crisi economica e finanziaria, ecc. Il paradosso più macroscopico è costituito, quindi, dal rapporto inverso che emerge tra la gravità della violazione (lungo uno spettro che va dai crimini più gravi ai semplici atti di inciviltà) e il numero di coloro che manifestano il timore di rimanerne vittime. Distinguendo tutti i tipi di violazioni in tre categorie (illegalità “grande”, “media”, “piccola”), è possibile ipotizzare che i delitti della prima categoria, quelli “eclatanti” che occupano le prime pagine di giornali e telegiornali, tendenzialmente non sono temuti da “nessuno”, proprio in virtù della loro portata estrema. Anche l'altra articolazione della “grande illegalità”, quella collegata alla criminalità organizzata, può costituire un profondo fattore di preoccupazione civile specie per la parte più consapevole delle popolazioni coinvolte, mentre lo è meno come percezione di una possibile vittimizzazione. In paragone sono più numerosi coloro che temono una minaccia indiscriminata come quella rappresentata dalla “media” illegalità dei reati predatori (borseggi, scippi, furti in appartamento ecc.), la quale tende a prendere come bersaglio la gente comune. Ma il massimo numero di persone coinvolte nella percezione di insicurezza è quello causato dalla 26 La distanza fra i livelli di paura della criminalità e la vittimizzazione reale è dovuta principalmente alle modificazioni di comportamento che la stessa paura provoca in quei soggetti; una minor frequenza di uscite in orario serale - notturno, l'evitamento di particolari zone della città ritenute insicure o pericolose, l'assunzione di un atteggiamento più sospettoso nei confronti degli estranei, azioni di autoproduzione preventiva (come strumenti di anti-intrusione, presenza di accompagnatori) sono comportamenti conseguenti alle sensazioni di insicurezza che diminuiscono la loro esposizione al rischio. In pratica donne e anziani risultano i meno vittimizzati proprio a causa dei loro alti livelli di paura della criminalità. Nel 1979 Dubow propone una spiegazione teoricamente più strutturata del rapporto paura-vittimizzazione. La maggiore paura degli anziani e delle donne si giustifica non per una loro maggior probabilità di subire atti criminali, ma per una loro maggiore "vulnerabilità personale"41. Gli anziani sono individui con una salute precaria e necessitano quindi di un maggior tempo di recupero rispetto ai giovani in caso di danni fisici; inoltre, hanno una limitata capacità di assorbire eventuali danni economici. Le donne hanno un più alto rischio di subire danni personali, con un impatto più pesante rispetto a quelli materiali, per la loro maggior possibilità di subire aggressioni sessuali. Questi soggetti quindi, percepiscono l'atto criminale come un evento per loro più minaccioso che per gli altri, devastante nel suo impatto e nelle sue conseguenze sulle loro vite; i livelli più alti di pdc di questi soggetti sono quindi giustificati e razionali, nonostante una loro minor vittimizzazione in termini quantitativi e reali. La maggior vulnerabilità personale delle donne è ripresa e rielaborata da Stanko che sottolinea come la violenza sessuale sia una componente centrale dell'identità femminile42. Essendo la violenza sessuale un'esperienza non legata alle persone estranee ma nella maggioranza dei casi compiuta da uomini conosciuti dalle vittime, l'insicurezza e l'ansia 41 Dubow F., (1979), Reactions to the crime: a critical review of the literature, Center of urban Affairs, Northwestern University. 42 Stanko E.A., (1995) , Women , crime and fear , Annals of the American academy of Political and Social Science. 539, 47-58 29 per la propria integrità personale sono quindi sensazioni diffuse a cui si lega un'educazione al pericolo e alla precauzione con gli estranei nel processo di socializzazione delle bambine. Questa identità sociale secondo l'autrice si traduce facilmente in alti livelli di preoccupazione per l'ambiente fisico e contestuale, e quindi in una maggiore paura della criminalità rispetto agli individui di sesso maschile. Questi modelli in realtà offrono una spiegazione parziale del paradosso paura -vittimizzazione, in quanto giustificano le differenze fra i tassi di vittimizzazione e la paura della criminalità di alcuni gruppi demografici, ma non la maggiore diffusione della paura della criminalità rispetto ai tassi di criminalità reale. Skogan e Maxfield riconoscono che "l'esperienza personale con il crimine può giocare solo un ruolo limitato nello spiegare l'incidenza generale della paura della criminalità"43. Tuttavia questi autori ritengono che la vittimizzazione mantenga un ruolo centrale attraverso i suoi "effetti secondari" cioè il suo impatto nell'ambiente sociale della vittima, introducendo così il concetto di vittimizzazione allargata o indiretta: il singolo individuo subisce le conseguenze psicologiche di un atto criminale anche se questo non è diretto contro di lui, a causa dell'amplificazione che i legami sociali della vittima riescono a produrre anche tra chi non è personalmente colpito. Questi autori riprendono anche il concetto di Dubow della "vulnerabilità personale" per le donne e gli anziani allargando la sua azione anche ad altri gruppi socio-demografici; le persone appartenenti a minoranze etniche o a classi sociali a basso reddito presentano una maggiore "vulnerabilità ecologica"; i loro quartieri infatti presentano una maggiore concentrazione di atti criminali che si traduce in un loro più alto rischio ambientale rispetto a chi non abita in quelle zone. Risulta quindi giustificato che gli individui di questi gruppi socio-demografici presentino più alti livelli di paura di criminalità. Vi sono ulteriori ricerche che contribuiscono a confermare queste considerazioni: Toseland individua il soggetto più a rischio di Pdc in una donna, anziana, vedova o nubile, malata, che vive da sola in un aera urbana44. 43 Skogan W.G. e Maxfield M.G., (1981), Coping with crime, Sage, Beverly Ills. 44 Toseland R.W., (1982), Fear of crime : who is most vulnerable?" Journal of criminal Justice, 10, 199-204. 30 Lee che sottolinea come la vittimizzazione sia l'antecedente più forte della paura della criminalità e che la conseguenza più duratura e pesante della vittimizzazione sia la stessa paura della criminalità45. Vitelli ed Edler introducono un ulteriore modello che individua i fattori psicologici, cognitivi ed affettivi che influenzano la percezione del rischio personale, e quindi i livelli di paura della criminalità. Questo modello considera in particolare come fattori cognitivi la "disponibilità al ricordo", la "vividezza del ricordo", e la "capacità percepita"46. La disponibilità al ricordo è definita come la capacità di ricordare esperienze di atti criminali dirette, indirette o mediate da organi di informazione quali tv e giornali; la vividezza del ricordo intesa come precisione con cui è ricordato un atto criminale; la capacità percepita è quella dimensione che valuta il proprio grado di risposta o di fronteggiamento di situazioni rischiose. Per questi autori l'insieme di queste variabili è in grado di spiegare la variazione della paura della criminalità tra individui di sesso maschile e femminile; se per le donne la paura della criminalità dipende in misura maggiore dalla capacità percepita, per gli uomini, legati ad un orientamento di padronanza delle situazioni, il principale perdittore è la competenza specifica. Clemente e Kleiman ripercorrono le considerazioni delle ricerche condotte sino ad allora, criticando l'ambiguità dovuta all'interscambiabilità dei concetti di paura della criminalità (fear of crime) e della preoccupazione per la criminalità (concern about crime)47; secondo questi autori una persona può essere preoccupata dal problema del crimine e allo stesso tempo non avere timore di essere personalmente vitaminizzata. Un altro contributo in questa direzione è fornito da Baril che distingue cinque dimensioni differenti della paura della criminalità48: 45 Lee G.,(1983), Social integration and fear of crime among older persons, Journal of Gerontology, 38, 745-750. 46 Vittelli R. e Edler N.S., (1993), Psychological determinants of fear of crime: a comparisons of general and situational prediction models, Personality and Individual differences , 14 , 77-85 47 Clemente F. e Klaiman M.B., (1977), Fear of crime in the United states, a multivariate analysis, Social Forces, 56, 519-531. 31 Molti studi hanno riscontrato infatti una relazione positiva tra la dimensione del comune di residenza e la diffusione dell'insicurezza53. Con certezza, infatti, possiamo affermare che la sicurezza è un concetto relativo, che dipende dai bisogni individuali in rapporto al contesto di riferimento; in particolare chi vive nei grandi centri urbani ha una maggiore probabilità di sentirsi insicuro rispetto ai residenti delle aree rurali e dei piccoli comuni54. Il problema della sicurezza sociale rimanda, quindi, da un lato quello del controllo sociale55, dall'altro all'ambiente sociale, alla qualità della vita e ai rapporti tra i cittadini e le istituzioni. Da questi spunti negli anni '70/'80 del secolo scorso si è sviluppata una corrente importante di studi: la prospettiva ecologica la quale comprende le teorie e le ricerche che studiano l'influenza delle caratteristiche ambientali sulla diffusione dei reati e della paura del crimine attraverso studi multidisciplinari provenienti da discipline quali la sociologia, l'urbanistica, la psicologia ambientale, la geografia umana e l'architettura. Tra le più importanti teorie in questo ambito vi sono la teoria dello "spazio difendibile" (defensible space) e della territorialità , la teoria delle "finestre rotte" (broken windows theory) e la teoria delle inciviltà (incivilities theory). L'aspetto comune è la condivisione di una particolare attenzione alle caratteristiche dei contesti in cui sui trovano gli attori sociali, mentre le divergenze riguardano il tipo di ambiente oggetto di studio che varia da quello materiale, spaziale e architettonico a quello sociale e/o di utilizzo del territorio. 53 Hale C., (1996), Fear of Crime: Review of Literature, International review of Victimology 4,79-150. 54 Yin P., (1980), Fear of crime among the Elderly: Some Issues and Suggestion, in Social Problem 27,492-504 55 Il concetto di controllo sociale si affaccia per la prima volta nel 1896 per merito di E.A.Ross che raccolse poi tutte le sue riflessioni sul tema in un volume che oggi è ritenuto un classico: Social Control: A Survey of the Foundations of Order. L'autore propone il termine con un significato preciso riferendosi al meccanismo che intenzionalmente viene esercitato dalla collettività sull'individuo per indurlo ad un elevato grado di conformità alla noeme ed ai valori che compongono l'ordine sociale in una società non tradizionale. 34 La teoria dello spazio difendibile 56 elaborata da Newmann nel 1972 sostiene che le caratteristiche dell'ambiente spaziale e architettonico di un quartiere siano in grado di influenzare le opportunità di compiere reati, il senso di controllo del territorio da parte dei residenti e la diffusione della paura del crimine. L'autore muovendosi secondo una traiettoria già abbozzata dalla scuola di Chicago, all'interno di più ampie indagini di stampo socio-criminologico sull'ecologia del crimine, ha individuato ed esaminato il rapporto esistente fra l'iter decisionale del reo e la configurazione architettonica della città. In particolare, la presenza di grandi edifici con ingressi poco visibili, zone dotate di scarsa o insufficiente illuminazione, giardini e cortili "nascosti" e strade ad alta intensità pedonale di traffico contribuiscono ad aumentare le possibilità di successo dei criminali. Per la prima volta, le statistiche criminali sono state consultate sotto il profilo del rapporto esistente fra la tipologia di crimine commesso ed il design ambientale del luogo che ne è stato lo sfondo. Ne è conseguita una esauriente rassegna, supportata da una vasta documentazione di disegni, foto e cartografie, in cui si svelavano le caratteristiche criminali di parti di edifici o di quartieri. Partendo da tali assunti questa prospettiva sviluppa un orientamento di policy in quanto sostiene sia possibile ridurre i tassi di criminalità e insicurezza operando adeguate modifiche alle caratteristiche ambientali. Concretamente queste osservazioni si traducono in interventi per la riduzione delle aree poco illuminate, la costruzione di edifici con porte di acceso e uscita ben visibili, la collocazione di cortili e giardini in prossimità di vie non isolate, la segmentazione del territorio in aree più facilmente controllabili dalla popolazione e dalle forze dell'ordine. Newmann insiste sul potere che, il senso di territorialità, la sorveglianza naturale, l'integrazione sociale, razziale ed economica che possono derivare da determinati interventi sull'ambiente fisico, hanno su fattori come la criminalità e la sicurezza; la perdita del senso di propinquità e dei rapporti sociali di vicinato determina il declino del concetto di strada come centro della vita di relazione e quindi di quella sorveglianza naturale e quel senso di 56 Newman O. (1972), Defensible space: crime prevention through urban design, New York, Mac-Millan 35 territorialità creando, "terre di nessuno" come le definisce Newmann, "che esprimono chiaramente quel senso della mancanza del guardiano che, agli occhi dei potenziali criminali, si traduce in un invito all'azione"57. Nell'ambito della psicologia ambientale, l'approccio della territorialità umana propone un modello interpretativo non distante da quello dello spazio difendibile. In termini generali, l'attaccamento dei cittadini ad un territorio produce una serie di segni di demarcazione, definiti marcatori territoriali, che delimitano un'area che essi intendono controllare e difende dagli attacchi altrui. Nello spazio primario, quello più vicino alle persone, prevalgono marcatori che contraddistinguono la proprietà privata come ad esempio cancelli, inferriate, siepi e cartelli. Le aree territorializzate, invece, sono caratterizzate da una presenza ridotta di marcatori e da un relativo controllo sociale inferiore; è proprio in queste aree che si sviluppano con più facilità fenomeni di devianza che accresce il senso di insicurezza. Le "aree di nessuno" quelle che Marc Augè58 definisce non luoghi sono delle zone interstiziali di passaggio, in cui vi è un'elevata circolazione di persone, uno scarso senso della proprietà e una maggiore presenza di estranei. Le teorie della territorialità mostrano che le caratteristiche dell'ambiente e dello spazio fisico sono rilevanti in quanto percepite e il loro effetto dipende dalle aspettative e dalle considerazioni dei criminali e dei residenti, dalle interazioni reciproche tra i residenti e dall'efficacia del loro controllo sul territorio. La teoria dell'inciviltà parte dalla considerazione che in ogni società esiste un insieme di valori, regole e norme che disciplinano la vita sociale, i rapporti reciproci tra gli individui e il modo di comportarsi in diversi ambienti, spazi e situazioni. In ogni collettività esistono, dunque, delle regole non scritte volte a stabilire degli standard di comportamento che consentano la convivenza pacifica delle persone e la cura il mantenimento della cosa pubblica. 57 Newman O. (1972), Defensible space: crime prevention through urban design, New York, Mac- Millan 58 Augé M., (1993), Non luoghi: introduzione ad una antropologia della surmodernità, Elèutera, Milano. 36 Quello descritto dai due autori è dunque un circolo vizioso: da una situazione di degrado sociale si passa ad una comunità impaurita ed insicura, che diventa sempre meno coesa e disposta alla tutela dei beni pubblici e delle proprietà altrui; ciò, a sua volta, contribuisce a peggiorare la qualità della vita e ad aumentare il numero dei reati e degli atti illeciti. Questi autori evidenziano come non siano in sé i segni di inciviltà a creare preoccupazione e insicurezza nella popolazione; infatti, è normale che l'ambiente urbano si deteriori o che le finestre vengono rotte; ciò che è più importante è in quanto tempo questi segnali di deterioramento vengono riparati. Con l'espressione "vetri rotti" i due autori si riferiscono al fenomeno secondo cui se una finestra rotta non viene sostituita tempestivamente o riparata in breve tempo anche tutte le altre finestre dell'edificio andranno incontro alla stessa sorte. Si crea così una spirale verso il basso nella quale nessun membro della comunità è disposto (per paura, insicurezza o rassegnazione) o è attrezzato nel difendere i beni collettivi altrui da furti o dagli atti di vandalismo. Quindi il disordine è contagioso e ha la tendenza ad auto-propagarsi velocemente. Per rinforzare la loro tesi i due autori richiamano un esperimento condotto da uno psicologo dell'università di Stanford , lo statunitense Philip Zimbardo. Questo studioso ha condotto un interessante esperimento per le strade di due città americane (profondamente diverse), lasciando un'auto, senza la targa posteriore e con il cofano alzato, incustodita nel Bronx e a PaloAlto sede dell'università in cui insegnava. Se nel Bronx dopo dieci minuti che l'auto è stata abbandonata, una famiglia ha cominciato a prenderne prezzi e nel giro di 24 ore è stata completamente "smembrata", a PaloAlto per una settimana non è successo niente e nessuno ha toccato l' auto. Allora Zimbardo con una mazza, ha dato alcuni colpi ben assestati alla macchina. All'ottavo giorno dopo l'intervento "incivile" dello psicologo anche che a PaloAlto si è verificato esattamente ciò che era accaduto nel Bronx62. 61 Secondo gli autori della corrente criminologica "razionalista " i segni di inciviltà sono interpretati dai delinquenti come segnali di opportunità di azioni criminali attraverso una scelta razionale basata sul calcolo costi/benefici. 62 Barbagli M.,(1999),"L’insicurezza nelle città italiane", in M. Barbagli (a cura di), Egregio Signor Sindaco. Lettere dei cittadini e risposta dell’istituzione sui problemi della sicurezza, Bologna, il Mulino, pp. 9-55. 39 Questo esperimento suggerisce che se in una zona cominciano a diffondersi segni di inciviltà è probabile che, in assenza di interventi particolari, si sviluppi un effetto moltiplicatore e il disordine si diffonda a macchia d'olio in quanto i cittadini percepiscono un senso di abbandono e di cedimento delle regole sociali e morali. Collegata alla teoria delle finestre rotte troviamo quello dell'inciviltà; secondo questa teorie le inciviltà materiali contano di più degli atti criminali veri e propri per il semplice fatto che sono molto più diffuse e visibili. Se una persona subisce uno scippo o un furto solo poche persone ne verranno a conoscenza; al contrario, i cassonetti e le auto bruciate, i giardini pubblici sporchi o l'immondizia sulla strada sono segni diffusi e ben visibili da tutti. Le inciviltà sociali hanno come prima caratteristica l'imprevedibilità: i cittadini che incontrano mendicanti o tossicodipendenti non conosco l'intenzione di questi soggetti e non sono sicuri che questi rispettino le regole. Inoltre, presenza di prostitute, ubriachi, vagabondi o bande di giovani delinquenti, può essere interpretata dei cittadini come un segnale dell'inefficienza e dell'inefficacia dell'operato delle forze dell'ordine; la presenza di siringhe nei parchi, di atti vandalismo e di edifici abbandonati può essere interpretato come un segnale dell'incapacità dell'amministrazione locale nella gestione del territorio. Queste inferenze possono determinare un indebolimento dei legami verticali con le istituzioni, favorendo la diffusione di sentimenti di sfiducia nei loro confronti e sviluppando l'idea che i cittadini siano abbandonati a loro stessi e ai loro problemi. Specialmente tra gli anziani, la diffusione di inciviltà può essere letta anche come segnale di destabilizzazione dell'ordine sociale e della disgregazione dei legami sociali tra i cittadini causa primaria di sentimenti di insicurezza. I segnali di degrado, perciò oltre che testimoniare l'inefficienza degli agenti del controllo formale e degli amministratori del territorio, possono essere letti come indicatori dell'erosione del controllo informale e delle norme di convivenza civile non scritte provocato dalla riduzione dei legami orizzontali tra cittadini. Il perdurare di una condizione di degrado materiale e sociale può generare sia un senso di demoralizzazione e di rassegnazione nella popolazione, ma anche una vero e proprio senso di insicurezza capace di incidere sulle abitudini quotidiane: le persone possono decidere di uscire di casa meno frequentemente per non fare incontri indesiderati 40 oppure possono sviluppare un senso di sfiducia negli altri, contribuendo alla riduzione del controllo sociale informale. Le persone più sensibili e con disponibilità economiche possono anche decide di cambiare abitazione e zona di residenza. In definitiva, la disorganizzazione e il degrado materiale e sociale possono incidere, attraverso insicurezza e criminalità, ad un deterioramento delle condizioni di vita complessive in una società locale63. Tutti gli studi dunque documentano che un'elevata manifestazione di insicurezza dipende da quello che molti studiosi chiamano "il disordine" cioè una molteplicità di segnali di inciviltà che sono presenti nella zona in cui una persona vive; questi segnali costituiscono una violazione delle norme condivise dalla popolazione riguardo la gestione e l'utilizzo degli spazi pubblici. Va messo in risalto infine come il disordine e l'insieme delle inciviltà abbiano importanti conseguenze sociali: innanzitutto suscitando l'indignazione nei residenti, che appaiono ingiustamente penalizzati dai costi di quella situazione di degrado e conseguentemente incrementando la paura della criminalità, perché pur essendo soltanto dei soft crime le inciviltà in un quartiere veicolano la sensazione che nessuno sappia far rispettare le norme più importanti riguardanti la convivenza civile e che quindi tutto possa succedere. 1.4.3 L'ipotesi della disgregazione sociale Oggi molte ricerche sulla criminalità condotte da autorevoli studiosi mostrano una correlazione tra declino della comunità e allentamento dei legami sociali che condurrebbe, a sua volta, all'indebolimento della sicurezza collettiva. Infatti muovendo da questo presupposto, molteplici studi mettono in risalto un indicativo rapporto tra paura del crimine e fragilità e insicurezza, relazione che indica una diminuzione dell'integrazione sociale. 63 Skogan W.G.,(1990), Disorder and decline, Free Press, New York 41 altrettanti stadi di sviluppo della città: il centro, la zona di transizione, la zona delle case per gli operai, la zona residenziale e la zona dei pendolari. Burgess, Concentric theory, Burgess, (1928 : 119) Shaw e McKay68, a loro volta, osservano che il tasso di delinquenza, cioè il rapporto tra il numero degli autori di reato residenti in un'area e il totale della popolazione di quell'area, raggiunge il punto più alto nella zona di transizione e diminuisce man mano che si passa alle zone esterne. Inoltre, nonostante la popolazione delle varie zone si rinnovasse velocemente e cambiasse anche la sua composizione etnica, gli autori rilevano che le differenze tra i tassi di delinquenza rimangono immutate. Gli autori ipotizzano allora che nelle aree in cui la criminalità è maggiormente presente il tessuto comunitario sia sfaldato da una forte disorganizzazione sociale. In particolare, le caratteristiche della zona di transizione ovvero povertà, eterogeneità dal punto di vista della composizione etnica e forte mobilità ed instabilità della popolazione, provocano un allentamento delle relazioni sociali e dei legami formali ed 68 Shaw C.R., McKay H.D., (1942), Juvenile delinquency and urban areas. A study of rates delinquency in relation to differential characteristics of local communities in American cities, Chicago, University of Chicago Press. 44 informali che in un contesto di maggiore coesione, invece, consentono quel controllo sociale informale che è di ostacolo alla diffusione della criminalità. Il primo effetto sulla comunità risulta essere l'incremento della preoccupazione dei cittadini per il loro contesto quotidiano e della probabilità di sentieri insicuri e quindi di provare maggior paura nei confronti del crimine. In questo senso, quindi, la mancanza di relazioni solide, definita appunto disorganizzazione sociale, determina alti tassi di delinquenza. "Ecco come una maggiore integrazione sociale conduce a un maggior senso di sicurezza e viceversa69". Sutherland70 inizialmente, ha inteso la disorganizzazione sociale nel senso di conflitto di norme: quando cioè in una società le norme, le regole culturali e i costumi sono fra loro contrastanti e contraddittori non assolvono più la fondamentale funzione di socializzazione del rispetto delle leggi nell'interesse generale della collettività. Il conflitto si realizza, per esempio, fra le norme che impongono il rispetto del prossimo e quelle che prescrivono la concorrenzialità o, ancora, fra le regole che prescrivono l'obbedienza ai più anziani anche quando è crollata la struttura patriarcale della famiglia. L'accezione ben più ampia di disorganizzazione sociale data da Sutherland, rispetto a quella di Shaw e McKay, permette di dar conto, più in generale, del dilagare della criminalità in tutte le classi sociali, dalla criminalità delle classi povere fino alla criminalità dei colletti bianchi propria delle classi medio - alte. Successivamente, lo stesso Sutherland amplia e specifica la sua teoria: “Il termine disorganizzazione sociale non è del tutto soddisfacente, e sembra preferibile sostituirlo col termine organizzazione sociale differenziale. Il postulato su cui la teoria si basa, a prescindere dal nome, è che il reato ha le sue radici nell'organizzazione sociale ed è un'espressione di tale organizzazione. Un gruppo può essere organizzato per il comportamento criminale o contro il comportamento criminale. La maggior parte delle comunità sono organizzate sia per il comportamento criminale che per quello anticriminale e, in tal senso, il tasso dei reati è un'espressione dell'organizzazione differenziale del gruppo. L'organizzazione differenziale delle comunità costituisce una 69 Landuzzi C. (1999), L'inquietudine urbana, Tre percorsi per leggere il cambiamento, Franco Angeli, Milano. 70 Sutherland E. H., (1939), Principles of Criminology, Chicago, Lippincott. 45 spiegazione delle variazioni nei tassi di reato, spiegazione in perfetto accordo con la teoria dell'associazione differenziale che riguarda invece i processi attraverso i quali le persone divengono autori di reato”71 Secondo la teoria delle associazioni differenziali come principio di conflitto normativo, il comportamento criminale è appreso attraverso l'interazione con altre persone in un processo di comunicazione, verbale e non verbale; l'apprendimento avviene all'interno di gruppi di persone in stretto rapporto tra di loro e ha per oggetto sia le tecniche di commissione del reato, sia “lo specifico indirizzo dei moventi, delle iniziative, delle razionalizzazioni e degli atteggiamenti”72. Infine, a partire dall'analisi dell'imponente flusso migratorio verificatosi nei primi decenni del '900 da molti paesi europei negli Stati Uniti, Sellin 73 tenta di dar conto della criminalità degli immigrati con la sua teoria dei conflitti culturali. Gli stranieri immigrati infatti si trovano a vivere una profonda contrapposizione tra la propria cultura di origine e la cultura del paese di arrivo, spesso in conflitto rispetto agli usi, i costumi e le regole di convivenza comune. Queste contraddizioni contribuiscono a indebolire quei processi di autocontrollo che assicurano comportamenti onesti e provoca una situazione di disagio e incertezza, esponendo gli immigrati al rischio di ogni tipo di disadattamento, dal vagabondaggio alla criminalità74. Tra i contributi più recenti, è da menzionare il routine activity approach di Cohen e Felson75 che si focalizza sull'osservazione e sull'analisi delle attività di routine e delle opportunità criminali. 71 Sutherland E. H., Cressey D.R., (1978), Criminology, Chicago, Lippincott Company, tr. it. (1996), Criminologia, Giuffrè Editore, Milano. 72 ibidem, p.115 73 Sellin T., (1938), Culture Conflict and Crimes, New York, Social Science Resarch Council. 74 Ponti G., (1999), Compendio di criminologia, Milano, Raffaello Cortina Editore. 75 Cohen L.E., Felson M., (1979), On Estimating the Social Costs of National Economic Policy: A Critical Examination of the Brenner Study”, Social Indicator Research, 6. 46 Il fenomeno della paura della criminalità si sviluppa in un contesto ambientale complesso, spesso segnato da profonde trasformazioni, in cui risulta particolarmente difficile l'isolamento delle singole variabili determinanti e dei fattori che concorrono al verificarsi ed al diffondersi. L'evoluzione dei reati non è quindi sufficiente, da sola, a spiegare la crescita dell'insicurezza: il divario tra la misura e la percezione della criminalità esiste e persiste. Tuttavia è chiaro che alcuni processi sociali vadano ad influire in maniera determinate sulla paura della criminalità. Per queste ragioni ritengo importante affrontare più approfonditamente alcuni elementi delle società contemporanee in cui la paura della criminalità si è effettivamente sviluppata. 1.5.1 Migrazioni e società multietniche La globalizzazione non ha solo aumentato enormemente la possibilità di incontro, di conoscenza e di scambio fra diverse culture, ma ha anche favorito il trasferimento di grandi masse di persone da un paese ad un altro. La formazione di un mercato mondiale delle merci ha portato con sé anche lo sviluppo di un mercato mondiale del lavoro. Il fenomeno stesso delle migrazioni ha subito notevoli mutamenti. In seguito alla siglatura degli accordi Schengen, che sanciscono la libera circolazione dei cittadini appartenenti ai paesi sottoscrittori e facenti parte dell' UE, e all'allargamento del Unione europea nel 200478 con l'ingresso di dieci nuovi Stati membri il fenomeno delle migrazioni ha assunto rilevanza polita e sociale. Se nei precedenti periodi storici le migrazioni erano caratterizzate dallo spostamento di popolazione attraverso la guerra e la conquista e l'immigrato era il ricco e il potente, oggi l'immigrato contemporaneo è il povero, colui che si pone all'ultimo gradino della scala sociale arrivando in cerca di un lavoro che gli permetta la sopravvivenza e quindi affrontando una situazione di emergenza. 78 Il Trattato di Atene noto anche come Trattato di adesione del 2003 è stato firmato il 16 aprile 2003 fra gli allora quindici membri dell'unione europea e Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Ungheria, prevedeva la loro adesione all'Unione europea. Il trattato di Atene fu ratificato in tempo dai Dieci ed è entrato in vigore il 1 maggio 2004. 49 Pur essendo un fenomeno di massa che vede lo spostamento di milioni di persone le migrazioni moderne sono personali a differenza del passato in cui ci si spostava collettivamente con le proprie istituzioni e con la propria organizzazione sociale. Nel fenomeno migratorio, quindi, intervengo tre aspetti imprescindibili:  le società di origine con la loro cultura, le loro leggi, i loro valori specifici;  i migranti con le loro aspirazioni, progetti e i loro legami sociali;  le società riceventi con modalità diverse di accoglienza79. Queste differenze, che a seguito dei processi di migrazione vengono in contatto, spesso producono difficoltà di convivenza tra i cittadini autoctoni e i migranti. Inoltre, oggi assistiamo a fenomeni di discriminazione sociale in base alla razza di appartenenza, un diffuso clima xenofobo e anti-straniero che concorrono ad alimentare il legame tra criminalità e immigrazione riscontrata nell'opinione pubblica. Il diverso, la minoranza deviante per lingua e cultura, sembra suscitare diffidenza e paura: una paura che emerge come percezione di una particolare predisposizione di questo gruppo sociale a commettere atti criminali e di devianza. Questa percezione sociale, per quanto diffusa, è sorprendente quanto ingiustificata, in quanto l'incidenza reale della criminalità degli immigrati non è in genere più alta rispetto a quella degli autoctoni80. Una spiegazione di questa percezione può essere delineata usando come riferimento alcune teorie della "social cognition". Il legame immigrato-criminale può essere considerato una rappresentazione sociale81, cioè una conoscenza collettivamente costruita e condivisa che, attraverso alcuni stereotipi e pregiudizi, offre una spiegazione agli eventi complessi che ci circondano. Ciò favorisce il senso di appartenenza di un individuo alla propria comunità nazionale portando alla creazione e al mantenimento di una propria specificità valoriale positiva rispetto all'altro, all'estraneo. 79 Ambrosini M. (2009), Intraprendere fra due mondi Il transnazionalismo economico degli immigrati, Il Mulino, Bologna. 80 Bandini M., Gatti A., Marugo F., Verde P., (1991), Criminologia, Milano, Giuffrè 81 Moscovici S., (1988), Le rappresentazioni sociali, La costruzione della conoscenza, Milano, Franco Angeli, 255-285 50 La differenziazione fra ingroup e outgroup avviene cioè attraverso l'attribuzione di specifiche caratteristiche positive al gruppo di appartenenza; di conseguenza vengono accentuate le caratteristiche negative dell'altro gruppo, con l'intento di distinguerlo nettamente dal proprio prendendo le opportune distanze. Si formano quindi le categorie degli onesti lavoratori (residenti) che si contrappone a quella dei ladri e nullafacenti (stranieri). Questi processi di categorizzazione portano l'individuo a selezionare e modificare le informazioni, per confermare comunque l'esistenza e la differenza fra i due gruppi. I comportamenti positivi di individui appartenenti ad un gruppo caratterizzato negativamente tendono a non essere ricordati, mentre quelli negativi sono sovrarappresentati; gli atti criminali compiuti da un immigrato sono ricordati più vivamente e giudicati più gravemente di quelli di un autoctono rafforzando e giustificando il legame immigrazione-crimine. Secondo la teoria dell'attribuzione sociale il comportamento del membro di un gruppo sociale viene attribuito non semplicemente a caratteristiche e intenzioni individuali, ma a caratteristiche e intenzioni che si ritengono propri del gruppo di appartenenza82. Queste spiegazioni tendono a creare, mantenere e rafforzare un'identità sociale positiva del proprio gruppo attraverso un insieme sistematico di errate attribuzioni intergruppo modellate in parte dal pregiudizio. Quindi se un immigrato compie un atto criminale, questo atto diventa indicativo della sua natura, di un tratto psicologico immutabile. Queste considerazioni forniscono un primo riferimento teorico utile per verificare quel legame percettivo che si forma tra immigrazione e criminalità, e quindi, quel fenomeno che vede l'immigrazione, le differenze etniche e sociali implicate nella diffusione della paura della criminalità. Minoranze etniche e sensazioni di insicurezza sono infatti legate tra loro sin dalla nascita del concetto di paura della criminalità. Il migrante diventa oggetto di sospetto e paura, metafora dell'incertezza collettiva in cui possiamo leggere, come osserva Dal Lago, la riscoperta dell'autodifesa comunitaria83. 82 Heweston M. e Jaspar J.M.F., (1988), Le dimensioni sociali dell'attribuzione. La costruzione della conoscenza Milano, Franco Angeli, 199-224. 51 Le condizioni e le dinamiche sociali sfuggono perciò sempre più al controllo dell'individuo, e nella vita quotidiana si assiste ad una progressiva invasione di tensioni proprie del sistema sociale. In questo contesto si inserisce la paura della criminalità come parte della sindrome psicologica legata ai problemi della vita urbana contemporanea. La paura della criminalità è determinata fondamentalmente dalla modificazione che la percezione individuale del problema criminalità subisce nelle situazioni d'improvvisa transizione sociale. La diminuzione dei legami sociali, le difficoltà di integrazione in una comunità stabile, la minor capacità di controllo può essere in relazione con un alto livello di ansia sociale e di sensibilità agli atti criminali che potrebbe giustificare la crescente diffusione dell'insicurezza. L'insicurezza sociale può essere quindi considerata come una reazione sociale che, alzando il livello di percezione di un problema, individua una sorta di capro espiatorio ovvero il criminale il quale, condensando su di sé ansie e timori, può permettere di trovare una maggiore coesione sociale. Questa impostazione sembra trovare giustificazione sottolineando da una parte l'inesistenza di un legame diretto fra paura della criminalità ed eventi reali (criminalità), dall'altra l'esistenza di un diffuso bisogno di solidarietà e di nuovi meccanismi regolatori dei gruppi sociali. L'espressione sociale del sentimento di sicurezza diventa allora la creazione sociale di un nemico, attraverso cui mediare la formazione di una diversa solidarietà sociale. In questo quadro complessivo i processi di trasformazione della società hanno conosciuto negli ultimi trent'anni una particolare e sostanziale accelerazione; la crisi economica ha determinato un profondo cambiamento dell' organizzazione del lavoro, una scomposizione e una ridefinizione della struttura sociale in tutti paesi e una concreta modificazione delle aspettative e degli immaginari delle persone. I processi di automazione e informatizzazione permessi dallo sviluppo tecnologico e informatico, la delocalizzazione industriale e la conseguente integrazione degli ultimi anni in un unico mercato mondiale (globalizzazione) sembrano aumentare vertiginosamente la 54 velocità del tempo di vita con una contemporanea compressione dello spazio umano e delle relazioni. Si sta realizzando qualcosa di simile a quanto terrorizzava McLuhan quando proponeva la sua immagine del "villaggio globale"90. Tuttavia questa compressione aumenta ulteriormente il grado di complessità. Nenquin sottolinea come, la paura della criminalità e l'enorme diffusione di apparti di controllo e sorveglianza nei nostri spazi quali polizie private, telecamere, antifurti e metal detector solo per citarne alcuni, siano funzionali al grande aumento di mobilità che le persone, le merci e le informazioni hanno nella nostra realtà91. Questi processi non hanno lo stesso peso e la stessa rilevanza per tutti gruppi sociali che compongono la società. Si può ipotizzare che i soggetti appartenenti alle classi socioeconomiche di livello più basso, collocati nelle zone della struttura sociale maggiormente esposte a tensioni o presenti nei territori più pesantemente travolti da questi cambiamenti ne risentano in maniera particolare. In concreto ci si riferisce a quelle persone che devono affrontare l'enorme crescita di una disoccupazione strutturale e imprevedibile nei paesi occidentali, agli individui coinvolti in un cambiamento di status sociale improvviso e inaspettato, agli abitanti delle grandi città che subiscono più direttamente gli effetti delle migrazioni o alle donne e i giovani che stanno in questi anni acquisendo su di sé un maggior numero di ruoli e compiti sociali oltre a quelli classici. Si possono allora ipotizzare, mettendo a fuoco nei mutamenti contemporanei due elementi di disagio quali la percezione di impotenza dei singoli e l'alto livello dell'integrazione mondiale ovvero i flussi incontrollabili di persone e informazioni, alcune rappresentazioni sociali che diffondendosi nei soggetti più vulnerabili contribuiscono ad aumentare la paura della criminalità. Il disagio sociale dell'individuo viene nominato attraverso la sopravvalutazione di un fenomeno conosciuto (la criminalità), creando nel contempo un out group ben definito da 90 Mcluhan M., (1966), Understanding media :the extension of man, New York, Sage, trad. ita. Gli strumenti del comunicare (1974), Milano, Feltrinelli. 91 Nenquin A., (1993), Tecniques de l'insecurité: la recherche de transparence du social, Reveu de L'Instiut de sociologie, 1, 361-380. 55 cui differenziarsi fortemente (l'estraneo, che può essere l'immigrato, il nero, il tossicodipendente, ecc) 1.5.3 I mass media nella costruzione della pdc Uno dei fattori dell'impennata della paura e della preoccupazione collettiva è la crescente mediatizzaizone della società; se il terzo quarto del secolo è stato quello contraddistinto dalla crescita della criminalità, l'ultimo è stato quello della sua esplosione mediatica. L'influenza sociale dei mass-media è una delle questioni di particolare rilievo nella nostra epoca in quanto una parte consistente di ciò che sappiamo del mondo che ci circonda deriva dai mezzi di comunicazione di massa. Con il termine 'media' si intende l'insieme dei mezzi tecnici e delle istituzioni che, diffondendo informazioni e rappresentazioni del mondo, offrono un quadro cognitivo comune alle esperienze individuali. In quanto spazio intermedio tra realtà e possibilità, i mass media producono un gioco continuo di ansia e di rassicurazione, di confusione e ritualità, di insicurezza e di controllo. Che prevalga ora un momento ora all'altro, non dipende solo dalla loro logica interna, ma dalla turbolenza complessiva della sfera sociale da cui i media stessi dipendono. I mezzi di comunicazione di massa giocano un importante ruolo nel rappresentare e, forse, nel costruire la sensazione di (in)sicurezza personale. Oggi, la risposta dei mezzi di comunicazione alle trasformazioni della contemporaneità sembra essere, globalmente, ansiogena. L'accusa principale mossa nei loro confronti è quella di confondere il rischio con la paura; i meccanismi generati dei media sono quelli di una "frustrazione sicuritaria92: amplificando il pericolo potenziale e semplificando l'individuazione delle cause e dei responsabili, questi alimentano una diffusa richiesta di rassicurazione, destinata, a rimanere insoddisfatta data l'impossibilità politica di affrontare con logiche di emergenza fenomeni complessi. 92 Castel R., (2011), L'insicurezza sociale: che significa essere protetti?, traduzione di Mario Galzigna e Maddalena Mapelli, Torino, Einaudi. 56 Nei media si registra anche un ingiustificato legame tra le notizie di eventi criminosi e le minoranze etniche, confermando quello stereotipo negativo che ho sottolineato in precedenza tra criminalità e immigrato. In risposta al secondo quesito nonostante l'esistenza di risultati controversi di alcune ricerche (si passa da una totale assenza di influenza, ad un influenza soltanto lieve fino ad arrivare ad affermare che i mezzi di comunicazione di massa acquistano un ruolo fondamentale nell'informazione e nel giudizio dei cittadini e quindi nella correlazione tra paura della criminalità e notizie di atti criminali) sembra che il ruolo svolto dai mezzi di comunicazione di massa nella formazione della percezione del problema criminalità e nella paura della crimine sia significativo e che sia importante considerarlo nelle ricerche verificando97:  il livello di divergenza fra le tipologie e le frequenze degli atti criminali reali in un'area e quelli riportati dai giornali;  il peso che l'esperienza personale diretta o indiretta può avere nel modificare opinioni e definizioni che sono state formate attraverso i mezzo di informazione;  la relazione esistente fra paura della criminalità e conoscenze criminali attraverso i mass media. Secondo gli studi sulla produzione delle notizie (news making), le redazioni selezionano e raccontano gli eventi in base a criteri di rilevanza definiti valori notizia, orientati all'efficienza e al risparmio di tempo e risorse: di fronte alla sovrabbondanza di accadimenti criminali quindi vengono scelti quelli che più esprimono valori quali rischio, spettacolarità, celebrità, minori, sesso. Di conseguenza, le notizie offrono nel complesso stereotipi della realtà che insistono sull'aumento del pericolo, sulla pervasività e causalità del crimine, sulla solitudine delle vittime, sull'impotenza della società di riprendere il controllo della situazione sottolineando ed enfatizzando il carattere emergenziale del fenomeno della criminalità. Inoltre i valori notizia sono definiti anche in base alle assunzioni implicite che i giornalisti hanno del loro pubblico; perciò se credono che il pubblico sia più attratto da 97 Jaehnig W.B., (1986), Reporting crime and fear of crime in three communities, Journal of Communication, 31,88-96 59 storie allarmanti e cruente cercheranno di soddisfare le aspettative di audience aumentando la dose di mistero e violenza comunicata nelle notizie. Il crescente profilo di diffuso allarmismo crea così una ansia da informazioni definita come information anxiety98 in cui la paura diviene esse stessa oggetto di scambio, una "merce" trattata con sempre maggiore interesse. I media sembrano talvolta prediligere l'allarmismo ovvero la patologia piuttosto che la causa della mancanza di sicurezza. Rimane, comunque controversa la questione dell'entità degli effetti concreti: se, infatti, sembra teoricamente plausibile che l'emergenza mediatica sulla criminalità incida sulla paura di vittimizzazione degli individui, è difficile trovare in tal senso conferme empiriche definitive. La decennale ricerca alla base della teoria della coltivazione, teoria secondo la quale la televisione nel lungo periodo coltiverebbe le credenze sulla realtà e i valori dei membri di una società, ha dimostrato che consumatori forti di programmi televisivi considerano il mondo pericoloso e violento, e si percepiscono più a rischio rispetto alla loro reale condizione oggettiva99. Certamente, la contrazione delle distanze spaziali e temporali realizzate dai media impone al pubblico una moltitudine di violenze che contribuisce alla sensazione di perdita di controllo e dunque di paura. Le ricerche sull'audience, tuttavia, hanno dimostrato che l'associazione tra esposizione ai media e insicurezza soggettiva è influenzata da molti fattori quali il genere, l'etnia, il ceto sociale, il luogo di residenza e l'esperienza diretta di eventi criminosi. 98 Wurman R.S., (1989), Information anxiety, New York, Double-day. 99 Gerbner G e Gross L., (1976), Living with television: The Violence Profile, Journal of Communication, 26, 173-199. 60 1.5.4 Sviluppo del contesto urbanistico La teoria dello spazio difendibile di Newman e la psicologia ambientale hanno sottolineato il ruolo che la definizione urbanistica dello spazio riveste in alcuni processi psicologici100. Elementi come la composizione di un quartiere, i confini dell'area e la sua collocazione, la presenza di isolati residenziali o di spazi interstiziali come parchi, giardini, centri commerciali, cantieri, il tipo di strade e di vie che collegano i vari spazi pubblici contribuiscono a modificare l'organizzazione della vita sociale e il tipo di interazione fra individui e gruppi sociali. Nella seconda metà di questo secolo, si diffuse in tutte le metropoli occidentali una tipologia di pianificazione urbanistica con il compito ultimo di razionalizzare l'assetto delle città: per fare ciò si è adoperata una divisione funzionale delle zone progettando consapevolmente lo sviluppo delle aree metropolitane e sottoponendo ad un controllo centralizzato ed istituzionale lo spazio pubblico. Lo sviluppo di molte città durante il novecento è stato quindi segnato dall'esistenza di nette divisioni nello spazio urbano fra mondi diversi: le metropoli sono divise per classi sociali o funzionalmente in quartieri omogenei in cui il tessuto sociale era regolato e prevedibile. Questo tentativo negli ultimi trent'anni è stato oggetto di dure critiche e si è scontrato con la difficoltà di riuscire a costruire uno sviluppo regolato delle città. Krier101 sottolinea i rischi di alienazione presenti in quel progetto, avanzando la posposta di comunità indipendenti, spazi modulari inseriti nel contesto cittadino così da permettere l'interazione diretta tra i residenti, dando agli abitanti di un quartiere la possibilità di svolgere tutte le proprie opportunità in un area ristretta. 100 Newman O., (1972), Defensible space: crime prevention through urban design, New York, Mac- Millan. 101 Krier R., (1987), Tradition, modernity, modernism: some necessary explanations, Architectural Design Profile, pag. 65 61 crimine perciò può essere una fonte di preoccupazione, di paura e di allarme per le persone in caso di un processo di adattamento incompleto o mancante. Il rapporto fra pericolo e paura è però senza dubbio bidirezionale: probabilmente essere già preoccupati di subire un crime aumenta la possibilità di rilevare nell'ambiente circostante dei segnali di allarme e viceversa, la rilevazione di tali segnali può aumentare il senso di insicurezza e di paura. Tuttavia la paura può essere sia funzionale nel momento in cui ci aiuta a far fronte alle situazioni pericolose, che disfunzionale nel momento che non ci permette di svolgere le attività che riteniamo necessarie per la nostra vita. Della stessa opinione sono Lagrange e Ferraro affermando che la paura può sì aiutare la capacità di rispondere dell'individuo ai segnali di allarme esterni ma, allo stesso tempo, può provocare disfunzioni psicologiche e incapacità di agire107. Perciò la paura può diventare, da una reazione a un'effettiva percezione del pericolo attuale o potenziale di diventare vittime del crimine, una fonte di stress dalla quale proteggersi attraverso strategie di fronteggiamento. La paura della criminalità può infatti indurre le persone a evitare molte situazioni (fra le quali opportunità di lavoro o d'incontro sociale) solo per ottenere l'effetto di attenuarla. Come sostiene Riger108 tali misure precauzionali potrebbero essere non necessarie. Infatti come risulta da molte ricerche l'obiettivo rischio di essere vittime di un crimine non è correlato alla paura del crimine. Potremmo invece affermare che a provare più paura sono le persone che si percepiscono come più inadeguate nell'affrontare situazioni pericolose, cioè che possiedono meno strategie di fronteggiamento e di cooping, e che possono essere influenzate anche da aspetti contestuali come il sostegno sociale, le risorse ambientali, ecc. La strategia di barricarsi in casa può proteggere dal crimine e momentaneamente dalla paura, ma impedisce qualsiasi possibilità di familiarizzare con l'ambiente con le persone e di conseguenza di ridurre sia percezione del rischio che la paura ogni volta che ci si allontana da casa; quindi il costo di questa strategia per la gente e per la vita della comunità urbana risulta considerevole. 107 Lagrange S.L., Ferraro K.F., (1987), The Measurement of fear of crime, sociological Inquiry, 57, 72-73 108 Riger S., (1985), Crime as an environmental stress, Journal of Community Psychology,13, 270-280 64 Perciò la paura del crimine, quando non corrisponde ad un effettivo rischio o quando si manifesta in modo sproporzionato (la "sovreccitazione" di cui parla Gofman) può avere dei costi notevoli sia a livello individuale come eventuali disturbi psicofisiologici creati dallo stress, cioè dall'incapacità di far fronte alle richieste ambientali, rinuncia a importanti opportunità personali e lavorative, sia a livello contestuale della vita di comunità, riducendo l'opportunità di sostegno e di controllo sociale, le possibilità di influenzare e di partecipare attivamente alla politica del quartiere della città, ecc. Tuttavia la totale eliminazione della paura del crimine è, oltre che impossibile, probabilmente anche indesiderabile, poiché la paura, entro certi limiti, è una reazione emotiva funzionale, almeno fintanto che conduce la gente ad assumere precauzioni ragionevoli al fine di tutelarsi109. Se infatti la paura è qualcosa di emotivo, la sua costante duplicità (duplice natura razionale e irrazionale) fa sì che essa sia anche positiva nei suoi effetti; addirittura a partire dai riscontri etologici che ne indicano la funzionalità adattativa per la specie, si fa notare che ed oltre alla paura che paralizza vi sono le paure che mobilitano energie, aumentano il livello di vigilanza, forniscono possibilità di fuggire il pericolo110. La paura del crimine in una società costituisce un primo indice di reazione al crimine e quindi è un po’ come il dolore fisico nei confronti delle bruciature: esso è la prima fase della difesa contro la disgregazione111. 109 Travaini G.V. (2002), Paura e criminalità. Dalla conoscenza all'intervento, Milano, Franco Angeli, pag.50. 110 Oliverio Ferraris A. (1998), Psicologia della paura, Bollati Boringhieri, Torino, pag 83. 111 Del Re M.C. (1998), La paura del crimine: prospettive di politica criminale e vittimologica, L’Indice Penale, XXII, pag. 375 65 CAPITOLO II “Indagini sulla paura della criminalità” 2.1La genesi della ricerca criminologica sulla fear of crime La fear of crime rappresenta uno dei temi più studiati nell'ambito della letteratura criminologica internazionale: l'esponenziale crescita dell'interesse scientifico verso questo argomento è andata di pari passo con la sua sempre maggiore rilevanza nei discorsi pubblici e nelle esperienze quotidiane dei cittadini. L’analisi del fenomeno della criminalità solitamente ha preso in considerazione la figura del criminale e le statistiche inerenti questa tematica hanno riguardato, a partire dal secolo XIX, le caratteristiche del reo e il suo percorso processuale all’interno del sistema giudiziario. In particolare la letteratura si è soffermata sullo studio della criminalità dal punto di vista oggettivo, ovvero quella riguardante il numero dei reati denunciati, che permette l’analisi temporale, spaziale e per gravità della criminalità, e quella dal punto di vista soggettivo, inerente invece le caratteristiche degli imputati e dei condannati, quali il sesso, l’età, la cittadinanza, lo stato civile, l’istruzione e l’occupazione, nonché lo studio della recidiva. 66 criminalità in un dato territorio, spesso identificando le caratteristiche socio demografiche delle persone insicure. L'obiettivo dichiarato di queste ricerche è principalmente quello di informare la collettività circa il suo stato di insicurezza. Tuttavia è facile notare da un'analisi storiografica come l'informazione scientifica abbia contribuito in modo rilevante alla formazione dei sentimenti e dei discorsi pubblici e politici. Così, se in origine i sondaggi d'opinione e le prime inchieste di vittimizzazione concorsero a sostenere l'idea di una paura diffusa strettamente connessa ad una criminalità dilagante e della conseguente necessità di intervenire politicamente per ristabilire l'ordine violato, l'ombra di tale "tratto originario" si estende a tutte le inchieste successive; queste vengono spesso utilizzate come strumento a sostegno di campagne allarmistiche o di politiche di "legge e ordine". Quando dimostrano uno stato di allarme crescente, sono citate in modo puntuale, mentre, quando descrivono una situazione di stasi o, addirittura di affievolimento delle preoccupazioni sociali, vengono segnalate in modo generico, omettendone spesso intere parti. Le ricerche sulla paura della criminalità comparsero per la prima volta negli Stati Uniti, a metà degli anni Sessanta, contestualmente al programma di "guerra al crimine" dell'allora presidente Lyndon B. Johnson; un programma che, aveva come scopo quello di eliminare la preoccupazione ormai forte della popolazione per la criminalità attraverso interventi mirati ad accrescere la sicurezza dei cittadini quale primo compito fondamentale del governo. La prima indagine sulla criminalità (National Crime Survery) condotta nel 1972 dal Dipartimento di giustizia degli Stati Uniti conteneva già una parte relativa alla paura del crimine, con l'obiettivo di comparare l'ampiezza del fenomeno con il rischio effettivo di subire un reato. 69 Il modo in cui le istituzioni reagirono "all'allarme criminalità" contribuendo in tal modo alla sua definizione e diffusione, costituì un punto di riferimento inevitabile anche per le linee di azione di molti paesi europei. Anche sul piano della ricerca scientifica, l'approccio e la definizione dei temi collegati all'allarme sociale, operata dagli enti e dalle istituzioni statunitensi negli anni sessanta hanno ispirato contenuti e tecniche delle ricerche degli anni successivi. Da allora gli studi sulla paura del crimine e sul sentimento di insicurezza su sono sviluppati in più direzioni. Molte ricerche sono di tipo descrittivo: misurano, cioè, l'ammontare della paura della criminalità ed identificano a posteriori le caratteristiche socio demografiche delle persone insicure. Altre trattano una complessa combinazione di variabili psicologiche, sociali, economiche ed ambientali in grado di influenzare la paura della criminalità tra cui la fiducia nelle istituzioni, l'aver subito reato, il livello di controllo sociale del quartiere, il ruolo dei mass-media, la presenza di disordine e inciviltà. Nonostante sia cresciuto in maniera considerevole il numero di fattori studiati in relazione alla paura del crimine, il significato del termine "paura della criminalità" risente ancora dell'sue origini politiche: è ancora ambiguo e gli strumenti per misurarlo non sono sempre adeguati. Molte ricerche sulla paura della criminalità, infatti, presentano due problemi di ordine metodologico. Il primo è che gli strumenti di misurazione della paura della criminalità spesso non misurano la paura. Il secondo è che gli strumenti di misurazione della paura della criminalità spesso non misurano in modo adeguato la paura riferita unicamente alla criminalità. Inoltre la rilevazione di una sola parte dei reati costituisce la critica principale mossa alle indagini di vittimizzazione ed in particolare il fatto che rilevano solo il “crimine di 70 strada” e solo quei reati di cui la vittima è consapevole, con il conseguente rischio di sottostimare il numero dei reati realmente accaduti. La possibilità che alcuni reati si possano dimenticare perché poco gravi o al contrario omettere perché molto gravi esiste ed è legata al fatto che queste indagini sono basate sul coinvolgimento diretto dei protagonisti che spesso risultano essere vittime di reato. Da qui sorge il recente interesse degli studiosi alla concettualizzazione (attribuzione di significato ad un termine) e all'operazionalizzazione (passaggio da concetto teorico a concetto empirico attraverso la ricerca di strumenti di misurazione di un concetto) del termine paura della criminalità al fine di elaborare politiche di sicurezza più mirate ed efficaci. A livello internazionale la ricerca sulla paura della criminalità si è sviluppata lungo il solco tracciato dalle prime indagini svolte negli Stati Uniti dopo la metà degli anni Sessanta. Le indagini internazionali di vittimizzazione, che si sono mosse nel solco delle NSC americane, sono state condotte con il proposito di comparare i livelli di criminalità reale percepita nei diversi Stati in diversi periodi temporali. In tal modo, hanno contribuito a ridurre i margini di strumentalizzazione a cui sono inevitabilmente soggetti i dati nei singoli Paesi a condizione, ovviamente che questi partecipino continuativamente al progetto di ricerca. Tuttavia comparare i livelli di criminalità a livello internazionale, rimane un’impresa assai ardua con i soli dati statistici, non tanto a causa delle definizioni legali (che differiscono poco tra loro) ma soprattutto a causa delle regole di contabilizzazione, diversissime da un paese all’altro. Il tentativo di armonizzare le statistiche attraverso l’European Sourcebook of Crime and Criminal Justice Statistics mostra, però, che numerose incoerenze possono essere eliminate attraverso una standardizzazione critica delle statistiche. 71 diffusione di masse dell'utilizzo di sostanze stupefacenti e dalla nascita di una reazione conservatrice che chiedeva il rafforzamento di una politica di "Legge ed ordine"114. Il 9 marzo 1966, in occasione del congresso su "Crime and Law Enforcemen"t, Johnosn in una comunicazione speciale esordì con queste parole: "La criminalità, il fenomeno criminale e la paura della criminalità, segnano la vita di ogni americano"115. E' la prima volta che il termine paura della criminalità (fear of crime) appare in un discorso previdenziale; da questo momento in poi sarà utilizzato costantemente nei discorsi ufficiali di ogni amministrazione americana. Johnson indicò quest'emozione come il più diffuso tra i costi che la criminalità infligge ai cittadini e quindi il problema principale da affrontare in un programma governativo centrato sulla "Guerra al crimine". L'enfasi sulla guerra al crimine secondo alcuni autori116 serviva ad allontanare l'attenzione del pubblico da una sgradevole ed impopolare guerra all'estero, quella del Vietnam, orientandola verso problemi di politica interna. Data l'origine politica e strumentale delle ricerche sulla paura del crimine Richard Quinney sostenne che "ci sono buone ragioni per credere che l'effettiva preparazione dei questionari sull'opinione pubblica che misura la paura del reato non sia stata imparziale"117. Di recente, Murray Lee ha operato un'ampia ricostruzione del momento storico in cui negli Stati Uniti è emerso il tema della paura della criminalità in un articolo, pubblicato 114 Davis M., (1992), Economia politica nell'America tardo-imperiale. Cronache dal centro dell'impero, Edizioni Associate, Roma, pag. 39-73 115 Woolley J., Peters G., The American Presidency Project [online]. Santa Barbara, CA: University of California(hosted), Gerhard Peters (database) 116 Quinney R. (1979), Criminology, Little brown and Company, Boston., cit. in M.J.Lynch., "Percezione del reato da parte del pubblico" in F. Ferracuti (a cura di), Trattato di criminologia, medicina criminologica e psichiatria forense, vol 4 ,Giuffrè editore, Milano, 1991. 117 Ibidem pag. 208 74 sulla rivista "Theoretical Criminology", che descrive la rete di strategie di narrative istituzionali, politiche disciplinari connesse la costruzione della "popolazione che teme" (fearing population)118. A metà degli anni Sessanta, diverse organizzazioni pubbliche e private, anche per effetto dello sviluppo di nuove tecniche di indagine statistica, all'interno del processo di costruzione della knowledge society, incentivato dal governo a guida democratica come supporto alle politiche di welfare, iniziarono ad intervistare singoli cittadini sulla loro personale esperienza di vittimizzazione criminale, con l'obiettivo di ottenere più accurate rappresentazioni dei livelli di criminalità. Nel 1965 il National Opinion Research Centre (NORC) conduce una ricerca intervistando più di 10.000 persone; le domande riguardavano essenzialmente gli incidenti accaduti lungo il periodo di un anno: ai rispondenti veniva chiesto di raccontare dettagliatamente gli episodi vittimizzanti subiti. Ulteriori inchieste furono realizzate dal Bureau of Social Science Research nel 1967 nella città di Washington e dal Research Centre dell'università del Michigan in molte altre città americane. Attraverso queste inchieste venne scoperta per la prima volta la portata della preoccupazione delle persone per la criminalità; la diffusione di indagini statistiche in ogni settore dell'azione pubblica fu principalmente il risultato di un crescente desiderio politico di ammodernamento dello Stato nell'ottica di un suo intervento diretto alla promozione del benessere e di un innalzamento della qualità della vita. Da questa ricostruzione emerge come, l'origine delle ricerche sulla paura della criminalità abbia sofferto della contiguità con le istanze di regolazione governativa della società statunitense degli anni Sessanta. Tracce evidenti di questa contiguità sono presenti nell'ambiguità del concetto di paura della criminalità e nell'approssimazione degli strumenti di analisi utilizzati. 118 M. Lee, " The genesis of "fear of crime" , Theoretical Criminology, 2001, Vol 5(4), pp. 467- 485 75 La raccomandazione emersa durante i lavori della Commissione Katzenbach, di sviluppare lo studio della paura della criminalità all'interno delle inchieste di vittimizzazione, trovò attuazione già nella prima indagine di vittimizzazione americana (National Crime Survery) condotta nel 1972 dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti: una sezione della ricerca fu interamente dedicata all' argomento della mia tesi con l'obiettivo di comparare l'ampiezza del fenomeno "paura della criminalità" con il rischio effettivo di subire un reato. La NCS è proposta dal 1972 ad un campione stratificato di 58000 cittadini in 311 località americane e si pone l'obbiettivo, attraverso alcune centinaio di comande (tra cui la "famosa", " How safe do you fell walking alone in your neighborhood?"), di conoscere l'incidenza dei diversi tipi di atti criminali, le caratteristiche delle vittime e degli aggressori e le condizioni che favoriscono gli atti criminali stessi. Il campione di riferimento venne sondato, nella maggior parte dei casi, mediante interviste telefoniche (metodo CATI) consentendo così un'enorme riduzione dei costi. La ricerca prevedeva la somministrazione di due questionari. Il primo chiamato "foglio di contatto" raccoglieva le caratteristiche socio- anagrafiche del rispondente e del nucleo famigliare nonché le fattispecie criminali di cui il rispondente può essere stato vittima; il secondo, più dettagliato, aveva la funzione di indagare su ogni singolo episodio di vittimizzazione segnalato nel foglio di contatto,e per questo definito "crime incident report".119 Questa indagine fu ripetuta periodicamente le prime due settimane di ogni mese, e i suoi risultati furono riassunti annualmente a cura dell'Ufficio Statistico del Dipartimento di Giustizia (BJS). È sulla base del materiale della commissione Katzenbach, dei discorsi politici dei presidenti Johnson prima e Nixon poi, degli interventi dei componenti della Sottocommissione presieduta da Mc-Clellan, dei dati della National Crime Survery e dei precedenti sondaggi di opinione che venne costruito, tra la fine degli anni Sessanta e 119 Cfr. Antonilli A. (2012), Insicurezza e paura oggi, Franco Angeli, Milano. 76 conflitti urbani legati ai processi di pesante deindustrializzazione che creano sacche di elevata disoccupazione e povertà, con il verificarsi di vere e proprie rivolte nei ghetti di colore, la crescita della delinquenza giovanile e l'emergere del preoccupante fenomeno della violenza sportiva (hooligans). Seguendo l'esempio degli USA, la Gran Bretagna decide di farsi promotrice di inchieste volte a sondare il largo senso di insicurezza che si era diffuso nel paese a partire dagli anni Settanta. Il governo conservatore, guidato da Margaret Thatcher, pone la questione dell'ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini al centro della sua iniziativa politica; il suo progetto di politica criminale si articolava intorno alle due parole chiave "ordine" e "controllo" prevedendo un aumento dei poteri di polizia, la costruzione di nuove prigioni e l'approvazione di legislazioni più severe. E' in questo clima politico che nel 1982 la "Premier" introduce anche in Gran Bretagna l'esperienza statunitense di un'inchiesta nazionale sulla criminalità e sulle sue conseguenze estesa poi anche in Galles e in Scozia: la British Crime Survery123. La survery si apre con il "foglio di contatto" volto a raccogliere informazioni circa il nucleo famigliare, il senso di insicurezza percepito e tipologia e numeri di episodi criminosi subiti; seguono un questionario di "vittimizzazione" e due complementari l'uno all'altro che si focalizzano sulla valutazione dell'operato degli operatori del controllo sociale, dei centri di supporto alla vittime, e sulle strategie che gli individui mettono in atto al fine di prevenire la vittimizzazione; la survery si conclude con un "questionario di delinquenza autodichiarata" in relazione all'uso di sostanze stupefacenti e di piccole violazioni penali. I risultati della prima indagine datata 1982 indicano la presenza di un livello di sicurezza personale non particolarmente alto, con solo una piccola minoranza con alti livelli di "unsafe124" anche se, come negli Stati Uniti, si segnala una maggiore diffusione della paura della criminalità rispetto alla vittimizzazione.125 123 Sarà ripetuta solo nel 1984 e nel 1988. 124 Maxfield M.G., (1984), The limits of vulnerability in explaining fear of crime : a comparative neighborhood analysis, Journal of research in Crime and Delinquency ,21, 233-250. 79 Dopo una prima sperimentazione in cinque città svolta nel 1985, nel 1988 il Governo britannico promuove e mette in pratica un programma organico di prevenzione denominato "Safer Cities". Questo programma finanziava attività di prevenzione della criminalità a livello locale ponendo l'accento sulla ripresa economica e sociale delle città con lo scopo di ridurre la criminalità e la paura. L'obbiettivo principale sotteso a questi interventi era quello di sviluppare un approccio trasversale della lotta alla criminalità da parte delle amministrazioni, di responsabilizzare i cittadini e di promuovere la connessione del settore privato nell'implementazione delle politiche di prevenzione. Dal punto di vista della ricerca, la Gran Bretagna è profondamente influenzata da due caratteristiche principali: primo, la presenza nel paese di una tendenza storica, risalente al primo dopoguerra, di relazione fra l'architettura, la progettazione urbanistica e le conseguenze che queste hanno sulle persone; secondo, l'esistenza di uno stretto legame, anche accademico, con la realtà statunitense e le sue impostazioni teoriche in materia di insicurezza urbana. Infatti sin dagli anni '60 si organizzano incontri e convegni di "psicologia architettonica" e questo rapporto stretto segnerà profondamente la nascente psicologia ambientale inglese producendo una forte influenza nei modelli di interazione persona/ambiente che si sono sviluppati da questa corrente teorica126. In tale contesto le teorie di Newman 127 sullo "spazio difendibile" e gli spunti teorici dell'approccio ecologico sono accolti con particolare attenzione ed interesse, incoraggiando sia numerose ricerche sul rapporto tra caratteristiche urbane e la paura della criminalità, che interventi volti a diminuirla attraverso la modificazione di caratteristiche degli ambienti. 125 Smith S. (1987), FoC : beyond a geography of deviance, Progress in Human Geography, 1, 1-23 126 Bonnes M. e Secchiaroli G,. (1992), Psicologia ambientale, Nis, Roma. 127 Newman O. (1972), Defensible space: crime prevention through urban design, New York, Mac-Millan. 80 Ricordiamo in tema le ricerche di Nair et al. sul rapporto tra illuminazione e paura della criminalità128 che hanno verificato l'aumento della sensazione di sicurezza e una maggiore libertà e quantità di movimenti tra i residenti e i passanti di alcune vie di Glasgow dove era stato introdotto un programma di miglioramento e rafforzamento dell'illuminazione di strade e quartieri. Un ruolo centrale nelle ricerche nel settore è rivestito dalla Smith che introduce tre distinti concetti di paura della criminalità 129: la paura vera e propria (fear), intesa come vulnerabilità percepita dal soggetto, la preoccupazione (concern), intesa come sensibilità al problema sociale e la consapevolezza (awareness) intesa come valutazione dell'incidenza del crimine a livello locale. Nella sua ricerca le variabili che maggiormente determinano la paura della criminalità sono quelle relative al livello socioeconomico (tipologia e valore dell'abitazione, impiego), l'età e il sesso. Dalle sue ricerche quindi, la paura della criminalità appare essere legata più a fattori socio-ambientali che all'incidenza della criminalità reale. Ma che tipo di relazioni si sviluppano tra i 3 concetti di paura di criminalità e questi fattori? L'incivility, così come la disaffezione residenziale lo scarso senso di comunità, appare essere legata più ad una preoccupazione generale sul crimine che direttamente alla paura di essere aggrediti. Secondo la Smith la paura della criminalità si rafforza e si estende nelle aree e nei gruppi sociali dove ci sono alti livelli di isolamento e sfiducia, creando una spirale tra percezioni e sensazioni negative che si alimentano e rafforzano vicendevolmente. L'autrice pone l'accento sull'esistenza di una forte differenzazione locale con una concentrazione della paura della criminalità con livelli molto alti in alcune arie specifici gruppi sociali; Herbert e Kyde in accordo con le tersi della Smith sostengono che la paura della criminalità non può essere affrontata e studiata a livello nazionale ma bisogna concentrare l'attenzione e gli interventi nei quartieri ad alto rischio130. 128 Nair G., Ditton J. e Phillips S., (1993),Environmental improvements and the fear of crime: the sad case of the pond area of Glasgow, British Journal of Criminology, 33, 555-561. 129 Smith S., (1983), Public policy and the effects of crime in the inner city: a British example, Urban Studies 20, 229-239 81 Il rapporto finale della commissione sottolinea l'intenzione di voler prescindere dalle analisi della cause dell'insicurezza partendo dalla constatazione e del dato di fatto di un aumento degli indici di criminalità e invita le strutture istituzionali a promuovere misure preventive non legate specificamente alla criminalità, intervenendo sullo sviluppo sociale delle aree e dei gruppi marginali, con particolare riguardo all'inserimento professionale dei giovani. Molti autori francesi sottolineano così il ruolo dei processi di trasformazione economica nella diffusione dell'insicurezza, l'impatto sulle rappresentazioni sociali e le ideologie di quei ceti che sono sottoposti ad un' improvvisa mobilità sociale delle realtà marginali delle banlieue caratterizzare dalla violenza e dell'assenza dello stato. E' palese quindi la centralità e il ruolo primario svolto dai gruppi sociali nella diffusione dell'insicurezza. I gruppi sociali minacciati dalle trasformazioni strutturali nei rapporti di produzione mostrano una maggiore tendenza verso interventi repressivi nei confronti della devianza e della criminalità; alcune fazioni delle classi e dei gruppi sociali che subiscono una discesa socio-economica rispetto al status consolidato non capendo le cause di questi processi scaricano la colpa del loro disagio su alcuni soggetti stereotipati ovvero devianti e criminali cerando così un'ondata di paura per la criminalità. Coing e Meunier 134 ritengono che questi gruppi sociali minacciati (in particolare i settori della classe operaia) giocano un ruolo centrale nel creare un vero e proprio immaginario sociale, il mito dell'insicurezza. La paura della criminalità non è rivolta ai criminali ma si presenta soprattutto come forte richiesta di protezione da parte dello Stato e delle sue istituzioni. Il risultato di questi processi è la produzione di un senso di insicurezza che si autoalimenta, che a sua volta pone una richiesta di protezione che non può essere soddisfatta. 134 Coing H. e Meunier C, (1980), Insecurité urbaine? Une arme poeu le pouvoir", Paris, Authropos 84 Hall et. all135 ritengono che questa paura sociale dovuta ai processi di rottura della struttura sociale e alla sensazione di spiazzamento culturale di alcuni gruppi prenda la forma di un "panico morale". In pratica, si diffonde una paura verso alcuni simboli della crescente disorganizzazione sociale, attraverso l'attribuzione di stereotipi a determinate categorie quali lo straniero, il giovane ecc. Inoltre questo approccio assegna ai mass-media un ruolo particolarmente importante, ritenendoli una delle fonti principali della conoscenza sulla criminalità e quindi una dei fattori che contribuisce alla produzione del mito dell'insicurezza; in tema Noelle e Neumann136 affermano che l'insicurezza personale è sostanzialmente una costruzione artificiale prodotta dei media (televisioni e giornali popolari) attraverso l'accumulazione di messaggi convergenti, frequenti e stereotipati su atti criminali violenti, agendo in particolare sulla dimensione cognitiva della rappresentazione sociale e generando quindi stereotipi sul crimine e sul criminale. La formazione di queste categorie fornisce al pubblico alcuni schemi cognitivi che sono utilizzati per ancorare e giustificare la rappresentazione sociale della realtà. 135 Hall S., Critcher C., Jefferson T., Clarke J., Roberts B., (1981) "Policing the crisis: mugging, the state and law and order, London, McMillan. 136 Noelle-Neumann E. (1977) "Offentlichkeit als bedrohung, beitrage zur empirischen kommuni- kationsforchung", Freiburg-im-Brisgau, Alber. 85 2.3.2 L' approccio psicosociale olandese Come nel caso degli Stati Uniti, il punto di partenza delle ricerche sulla paura della criminalità è segnato dalla presentazione nei primi anni '80 di un rapporto sulla criminalità e sull'insicurezza della commissione Rorthof del governo olandese che darà vita alla Deutch National Survery . I rapporti (dell1983 e del 1984) della commissione sostenevano la necessità di intervenire strutturalmente sulle cause della criminalità e cercavano di stimolare nuove forme di prevenzione sociale che rivitalizzassero il contro sociale nell'ambito del quartiere, della scuole, delle associazioni aggregative e sopratutto indicavano la necessità di una ristrutturazione delle aree urbane per creare condizioni che aumentassero la percezione di sicurezza dei cittadini nel luoghi pubblici. La commissione ritiene che la criminalità reale sia il problema centrale dell'insicurezza sottolineando la presenza di una crescente preoccupazione fra la popolazione per l'aumentare della criminalità, e la paura che ciò comporti una perdita di fiducia nel governo e nel suo ruolo di protettore di interessi pubblici e privati, oltre che un'ulteriore erosione del concetto di standard e controllo sociale nei cittadini. Inoltre, il governo e la commissione sono in accordo nel ritenere che l'aumento di controllo sociale in grado di diminuire la criminalità e l'insicurezza non possa seguire unicamente la via repressiva, ma chiedono il coinvolgimento diretto di associazioni di cittadini in un'azione di prevenzione a tutto campo e non solo diretta unicamente al problema criminalità. Questa strategia mira a riprendere il controllo sociale a partire dalle aree dove si rivela più debole, sviluppando contemporaneamente un'azione di sorveglianza da parte di 86 Le variabili demografiche che avevano maggiore influenza sono risultate essere l'età, il sesso e la partecipazione ad attività non-domestiche; invece tra quelle psicologiche quelle più influenti erano l'attrattività e l'intento criminale. 2.3.4 L'approccio italiano e la nuova prevenzione In Italia "l'allarme sicurezza" esplode nelle grandi città negli anni novanta con un ritardo di circa un decennio rispetto agli altri paesi europei. Le ragioni del ritardo rispetto ad altri paesi europei come ad esempio Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti sono dovute a diversi fattori. Per molti anni in Italia l'attenzione maggiore dell'opinione pubblica e dello Stato è stata indirizzata verso la macro criminalità: in primis criminalità mafiosa e quella legata al terrorismo politico e ciò ha comportato una minore attenzione verso altre tipologie di criminalità specie quella di natura predatoria. Il problema della diffusione della paura della criminalità emerge unicamente in alcuni contesti ed in alcune aree e situazioni specifiche: lo scontro tra bande mafiose camorriste per il controllo del territorio nelle regioni meridionali; le vicende dei sequestri di persona, particolarmente in Sardegna; alcuni quartieri delle periferie degradate nelle città più grandi come Milano, Roma, Napoli e Bari; la diffusione dello spaccio di droga nelle strade. 89 Tuttavia per tutti gli anni Ottanta non si registrano né particolari movimenti dell'opinione pubblica in merito a questo problema, né l'istituzione di commissioni o indagini ufficiali, né tantomeno lo sviluppo di ricerche e studi sulla questione. È sul finire degli anni '80 che parallelamente all'emergere di una significativa immigrazione di colore nel nostro paese, di estesi processi di deindustrializzazione nelle grandi città del Nord, di una grave crisi economica ed istituzionale ed in concomitanza con un incremento statistico degli indici di criminalità che inizia a registrarsi la diffusione della protesta di gruppi di residenti nei confronti della microcriminalità segnando così l'entrata nell'agenda politica italiana del problema sicurezza. A ciò si aggiunge un aumento della criminalità (soprattutto di strada), il deterioramento della partecipazione politica e l'indignazione per le vicende di Tangentopoli: fenomeni che contribuiscono a spostare l'attenzione della collettività verso la necessità di una maggiore attenzione ai problemi relativi alla sicurezza dei cittadini contro la criminalità diffusa. Negli ultimi anni, questa questione ha assunto sempre più centralità nel dibattito politico locale legandosi sia alla penetrazione della criminalità organizzata anche nelle regioni settentrionali, sia al permanere del controllo mafioso nelle città meridionali. In quegli anni anche i sociologi cominciano a mostrare interesse verso quella che è stata definita la " questione criminalità". Tuttavia, il dibattito politico italiano, contrariamente a quanto avvenuto in altri paesi, è rimasto strettamente connesso alla dimensione locale, divenendo tema di attenzione nazionale solo in alcuni momenti particolari o in casi di emergenza. Questo particolare contesto ha determinato sia l'assenza di commissioni nazionali istituzionali incaricate di svolgere un'indagine nel paese, sia di strumenti di indagine nazionale come la NSC statunitense o la BCS di matrice inglese. Solo alla fine del 1998 l'Istat ha presentato i dati della prima indagine italiana sulla paura della criminalità (rapporto/indagine sulla sicurezza dei cittadini); un'indagine 90 campionaria sulle famiglie e sugli individui che vivono in Italia allo scopo di conoscere aspetti essenziali del fenomeno della criminalità e della sicurezza delle persone141. La rilevazione che si svolge con cadenza quinquennale attraverso un indagine telefonica ha come scopo quello di rilevare informazioni attinenti alla sicurezza dal punto di vista oggettivo (criminalità subita), alla sicurezza soggettiva ovvero alla percezione della sicurezza negli ambienti in cui si vive, sulla presenza nella propria zona delle forze dell'ordine e il giudizio dei cittadini sul loro operato, sulle strategie che gli individui e le famiglie mettono in atto per proteggersi dal rischio della criminalità, sulle modalità di accadimento dei reati, i luoghi, sui modi in cui le vittime hanno subito un reato e su quali rischi si corrono e quali preoccupazioni si hanno. Le indagini in questione prendono in considerazione un numero ben definito di reati: l'attenzione è focalizzata principalmente sulle azioni illegali individuabili secondo parametri oggettivi aventi come vittime principali gli individui e le famiglie. Oltre alle informazioni sull'aver subito o meno un certo reato, lo svolgimento e le conseguenze di tipo economico e fisico dello stesso, i dati raccolti riguardavano anche la denuncia alla forze dell'ordine (o le motivazione che spingono a non denunciare), l'esito delle indagini e i rapporti intercorrenti tra la vittima e il criminale. L'indagine è stata svolta attraverso interviste telefoniche metodo CATI (Computer Asissted Telephone Interview); metodo che garantisce maggiore tranquillità e riservatezza all'intervistato anche rispetto all'ambiente che lo circonda. Attraverso questa indagine è possibile definire l’entità e la diffusione del fenomeno della criminalità rispetto ai reati rilevati, rilevare la percentuale del sommerso, evidenziare quali sono i gruppi della popolazione più a rischio di subire furti, rapine, aggressioni o minacce e violenze, di calcolare qual è il danno e la perdita associata a questi reati e di individuare attraverso quali modalità si sono verificati o di conoscere la relazione con l’autore del reato e cosa espone di più le vittime. 141 L’indagine, condotta con tecnica telefonica assistita da computer (Cati), è svolta su un campione casuale – stratificato a due stadi - di 60 mila famiglie, al cui interno è selezionato, sempre casualmente, un individuo con più di 13 anni per condurre l’intervista. Una sezione particolare del questionario, riguardante le molestie e le violenze sessuali, è invece rivolta alle sole donne in età 14-65 anni. Le stime dell’indagine sono rappresentative fino al livello regionale. 91 CAPITOLO III “La città come fonte di insicurezza” Negli ultimi anni la città è diventata oggetto di ricerca privilegiato da parte di studiosi delle più disparate discipline; oltre ad urbanisti ed architetti, anche storici, economisti e sociologici iniziano a "studiare" la città. Si susseguono, infatti, con rapida cadenza, i convegni e i dibattiti imperniati sul tema del futuro della città contemporanea e delle sue più immediate trasformazioni. Si tratta di un problema che riguarda tutti da vicino, perché la città, con il suo sviluppo, condiziona anche tutto il resto del territorio e rappresenta l’ambiente di vita nel quale trovare la propria realizzazione per tantissimi esseri umani. L'analisi del delicato rapporto città/insicurezza presuppone il ricorso ad un approccio onnicomprensivo in grado di indagare, in maniera approfondita, la natura delle loro relazioni. Dare una definizione di città non risulta certamente agevole vista la complessità della sua struttura e tenendo in considerazione il suo processo storico di evoluzione. Semplificando possiamo affermare che la città è "un sistema sociale globale"146 contraddistinto da macrosistemi in stressa correlazione tra loro e quindi una realtà multiforme ricca di sfaccettature. Ancora, la città è stata definita la casa della società, di una comunità, si presenta come il luogo cin cui avviene l'interazione fra uomo e territorio. Dopo aver dato, seppur semplicisticamente, una definizione di città ora andrò ad analizzare più in profondità alcuni aspetti legati all'insicurezza delle città contemporanee. 3.1 Paura in città La città rappresenta il luogo simbolo della modernità: a partire dalla seconda metà del XVIII secolo e per tutto l'Ottocento, da un lato, si intensificano i processi di concentrazione demografica collegati alla progressiva industrializzazione, causa di una vera e propria rivoluzione del sistema produttivo e, quindi, di tutta la struttura sociale dei paesi europei; dall'altro, cambia radicalmente la natura stessa della città nelle sue dimensioni organizzative, economiche, culturali. 146 Mela A. (2006), Sociologia delle città, Roma, Carocci. 94 Gli agglomerati urbani si espandono ben oltre le mura simbolo delle cittadelle medievali, si sviluppano i sistemi di comunicazione e di trasporto urbani ed extra-urbani, accrescendo così le possibilità di spostamento, mobilità e interazione tra gli individui come mai era accaduto prima.147 La città diventa il campo naturale dove la paura della criminalità si diffonde e si radica e dove si dispiegano i suoi effetti. Quello che nelle città moderne è cambiato è il fatto che il pericolo oggi alberga all’interno delle città stesse, in spazi urbani, divenuti “terra di confine”. Le città moderne, in maniera simile ad una specie di “blob” che si espande inglobando tutto sotto una colata di catrame e cemento, hanno portato al loro interno anche i pericoli, che prima, nella città premoderna, erano al di là delle mura di cinta. Negli anni Novanta era stata coniata l’espressione “città diffusa”, per descrivere l’esito di questa trasformazione, nei termini di una espansione nello spazio, sostenuta dalla diffusione degli autoveicoli privati. Nella “città diffusa” la dispersione abitativa crea lontananza tra le persone, solitudine e isolamento (solo in parte compensati dai mezzi di telecomunicazione), dannosi per il benessere psicologico, specie per bambini e anziani. La città moderna è una città senza qualità, in cui il grigio è il colore dominante. Ora si parla di “sistema urbano”, di “area metropolitana”, in cui centinaia di migliaia di cittadini si spostano quotidianamente per raggiungere il centro della metropoli, ma l’insicurezza resta il tratto dominante del vivere quotidiano. Oggi si assiste ad uno spostamento dell'attenzione e dei timori della gente dalle grandi emergenze criminali alla vita quotidiana; ciò non significa che i problemi della criminalità organizzata, dei gravi reati di sangue e del terrorismo, siano superati; questi restano come grandi temi di fondo che riemergono in occasione di singoli drammatici eventi. La nuova costante è, però, data da una preoccupazione diffusa per la vivibilità quotidiana della città. Ciò che sempre di più la gente avverte a rischio è il fragile mondo della propria prossimità e la tenuta del sempre incerto equilibrio tra le certezze della quotidianità ed i rischi che l'attraversano. La vita quotidiana in città è avvertita come rischiosa soprattutto per i soggetti più deboli come anziani, donne e bambini. A rischio sembrano essere proprio i luoghi che il senso comune e la routine della quotidianità portavano a considerare sicuri come ad esempio la casa, la scuola, i mezzi di trasporto pubblico. 147 Mela A. (2006), Sociologia delle città, Roma, Carocci. 95 Inoltre portatore di possibile pericolo non è soltanto lo straniero, tradizionalmente considerato e stereotipato come una figura inquietante ma anche "l'altro sicuro" si può rivelare minaccioso come i vicini di casa, il compagno di scuola dei figli, il maestro dei bambini, ecc. Lo stesso uso della città risente di questo clima di paura o preoccupazione; se anche in presenza di un accresciuto sentimento di insicurezza, gli abitanti delle grandi città italiane non intendono rinunciare a vivere appieno la propria città, sono visibili alcuni mutamenti nelle modalità d'uso delle città; si diffondono comportamenti più riflessivi e di tipo auto protettivo soprattutto da parte di quelle fasce di soggetti deboli quali donne, anziani ed adolescenti. Ulteriore conseguenza di questo senso di insicurezza è l'aumento tanto della domanda di protezione diretta al governo centrale ed alle amministrazioni locali, che quella di assistenza per ridurre gli effetti del crimine sulla vittima. Il problema sicurezza lascia il segno anche sulle stesse forme architettoniche delle città e sulla sua organizzazione facendo spuntare come funghi mura e bastioni (di cemento ed elettronici, reali o simbolici) dando vita ad "un'architettura della rassicurazione"148; queste riflettono la crescente domanda di sicurezza e le strategie autoprotettive della gente. Dopo oltre due secoli, la logica del Panopticon149, l'edificio progettato nel '700 da Bentham per sorvegliare ed educare gli ospiti sia delle prigioni che dei collegi, torna a segnare la vita quotidiana della città. Gran parte delle nuove tecnologie (video-sorveglianza) utilizzate per la sicurezza urbana si basano sullo stesso principio del Panopticon: è l'idea stessa di essere osservati che può inibire comportamenti vietati. La società sicura, secondo questo modello, è quella dove vige il principio di trasparenza o, retoricamente, dove tutto avviene alla luce del sole; solo eliminando angoli oscuri ed opachi, si può debellare il crimine e ridurre l'insicurezza. Sono discendenti diretti del Panopticon benthamiano il grande orecchio elettronico di Echelon che ascolta le telefonate in tutto il mondo, le banche dati in grado di documentare, archiviare e connettere ogni nostro atto, le telecamere che costellano le strade e punteggiano le facciate di banche, edifici e negozi o semplicemente i cartelli che avvisano 148 Boddy T. (2008), Architecture emblematic : hardened sites and softened Symbols, in Sokin M,; Indefensible Space, New York, Rotledge. 149 Bentham J., (1983), Panopticon ovvero la casa d'ispezione, a cura di Focault M. e Perrot M., Marsilio, Padova 96
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved