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Tesi di laurea - Fisiopatologia e aspetto immunoistochimico della mola vescicolare, Tesi di laurea di Biologia

La placenta è l’organo che consente al feto, per tutta la durata della vita intrauterina, di nutrirsi, di respirare e di depurarsi delle scorie metaboliche; essa costituisce con il feto un’unità funzionale molto stretta: nutritiva, endocrina e immunitaria. Il suo sviluppo avviene nel seguente modo:

Tipologia: Tesi di laurea

2014/2015

In vendita dal 22/04/2015

biologa
biologa 🇮🇹

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Scarica Tesi di laurea - Fisiopatologia e aspetto immunoistochimico della mola vescicolare e più Tesi di laurea in PDF di Biologia solo su Docsity! 1 INDICE Capitolo 1 LA PLACENTA 1.1 Sviluppo embrionale della placenta pag 4 1.2 Struttura della placenta pag 9 1.3 Villi pag 12 1.4 Funzione placenta pag 14 1.5 Circolazione fetale pag 21 Capitolo 2 Ciclo Cellulare 2.1 Introduzione pag 25 2.2 Proteine che regolano il ciclo cellulare pag 26 2.3 Alterazione del ciclo cellulare nell’oncogenesi pag 32 2.4 Il Gene p53 pag 33 2.5 Il Gene P57 pag 36 2 Capitolo 3 Malattia trofoblastica Gestazionale (Mola Vescicolare) 3.1 Introduzione pag 40 3.2 Mola vescicolare completa pag 42 3.3 Mola parziale pag 48 3.4 Mola invasiva pag 51 3.5 Coriocarcinoma pag 53 Capitolo 4 Materiali e Metodi 4.1 Scopo del lavoro pag 56 4.2 Materiali pag 58 4.3 Protocollo di lavoro pag 59 4.4 Metodi pag 61 4.5 Immunoistochimica pag.62 4.6 Immunofenotipizzazione pag 64 5 Il sincizio-trofoblasto in immediato contatto con la decidua, è costituito da elementi cellulari polinucleati, molto ricchi di enzimi capaci di digerire gli strati superficiali dell’endometrio, consentendo alla blastocisti di affondarvisi fino a essere completamente inglobata. In questo processo di lisi del tessuto endometriale si liberano molti principi nutritivi che possono essere utilizzati dalla blastocisti per lo sviluppo dell’embrione; le cellule trofoblastiche, infatti, accanto alla capacità di secernere enzimi digestivi, possiedono anche quella di assorbire sostanze nutritizie. L’estendersi e l’approfondirsi del sincizio-trofoblasto “erode” i numerosi vasi sanguigni dell’endometrio e porta alla formazione di ampie lacune vascolari: i seni venosi, che si riempiono di sangue materno e nei quali “pescano”numerose formazioni villose: le digitazioni trofoblastiche. Prende cosi origine, dalla stretta unione di tessuto embrionale con tessuto materno, il primitivo abbozzo della placenta. Dopo il suo impianto, la blastocisti evolve rapidamente verso la formazione dell’embrione: in questo processo, i blastomeri del bottone embrionale si ordinano in una piastra cellulare (il blastodisco) che viene separata dal trofoblasto dal formarsi di una cavità: l’amnios, ripiena di liquido. Nelle successive fasi dello sviluppo, dal blastodisco si differenziano tre foglietti cellulari sovrapposti: l’endometrio, il mesoderma ed ectoderma, dai quali avranno origine, attraverso una complessa evoluzione morfologica i diversi organi e apparati del nuovo organismo (2) (fig.4,5). 6 Figura 1: Sviluppo dell’embrione (l’embrione realizza in soli 4-5 giorni delle trasformazioni spettacolari, passando dallo stato unicellulare a quello multicellulare (raddoppiando, in media, il proprio numero di cellule ogni 12-15 ore) ed infine a quello di blastocisti. A questo stadio di sviluppo l’embrione umano – costituito da circa 180 cellule – si trova già all’ingresso della cavità uterina e, dopo aver abbandonato il suo rivestimento protettivo (zona pellucida), inizierà il contatto con la parete interna dell’utero (endometrio), dove inizierà ad impiantarsi a partire dal 6°-7° giorno.) 7 Figura 2:Formazione Della Blastocisti Figura 3 :Blastociti impiantata nell’endometrio e dal trofoblasto si originano due gruppi di cellule:Citotrofoblasto, sinciziotrofoblasto 10 La parte fetale (fig.7,8) è rappresentata dai villi coriali. La parte materna della placenta (fig. 9) è la decidua basale, compatta nella parte superficiale e spugnosa nella parte profonda, questa parte è detta spongiosa basale ed è facilmente lacerabile, da qui avviene il distacco della placenta della parte uterina durante il parto (3). . Figura 7:PLACENTA UMANA A TERMINE:faccia fetale con funicolo a impianto eccentrico e membrane corioamniotico che si dipartono dal margine della placenta 11 Figura 8 faccia fetale con funicolo ombelicale ad impianto paracentrale e vasi che si dipartono dalla base del funicolo, visibili attraverso l'amnios (le arterie appaiono biancastre e le vene bluastre) Figura 9: faccia materna con cotiledoni e residui dei setti placentari nei intercotiledoni 12 1.3 Villi E’ possibile paragonare la struttura di un cotiledone fetale a quella di un albero (fig.10): possiamo identificare le strutture più grosse, i villi staminali, all’interno dei quali decorrono grossi vasi, diramazioni dirette dalle arterie ombelicali, da cui originano i villi più piccoli, detti villi intermedi immaturi, percorsi da arteriole. Questi ultimi danno poi origine ai villi intermedi maturi, da cui si dipartono dei gomitoli di capillari, detti villi terminali. E’ proprio a livello dei villi terminali che avvengono gli scambi di ossigeno e anidride carbonica tra sangue materno e sangue fetale. Facendo una sezione traversa a livello dei villi, è possibile notare una diversa struttura istologica tra i vari tipi di villi (fig.11). A livello del villo staminale vi sono due strati di cellule: lo strato esterno è costituito dal sincizio-trofoblasto, lo strato interno è costituito dal cito-trofoblasto. All’interno di questi due strati cellulari c’è il mesenchima, in cui si trovano i vasi fetali. A livello dei villi intermedi maturi, lo spazio tra sangue fetale e sangue materno è diminuito: vi è ancora lo strato esterno del sincizio-trofoblasto, le cellule del cito-trofoblasto non sono più disposte in strato continuo, ma sono più sporadiche, il mesenchima è presente in quantità minore e i vasi fetali hanno relativamente calibro maggiore. A livello dei villi terminali, lo strato del sincizio-trofoblasto si è adattato ai capillari e i nuclei si trovano raggruppati in alcune zone, lo strato del cito-trofoblasto non è più presente, il mesenchima è molto assottigliato, i vasi fetali sono dei capillari, privi quindi di tonaca muscolare ed elastica .Quindi a livello dei villi terminali, il sangue materno negli spazi intervillosi è separato dal sangue fetale solo 15 1) Funzione metabolica L'equilibrio metabolico che si stabilisce tra la madre e il feto è diverso nelle varie epoche di gravidanza. Nella prima metà della gravidanza il metabolismo materno è di tipo anabolico. Questo è dovuto all'aumento dei livelli plasmatici di estrogeni e progesterone, che hanno un'azione iperglicemizzante e quindi determinano una stimolazione delle cellule pancreatiche con aumento della secrezione di insulina che a sua volta determina: 1. aumento del deposito tessutale di glicogeno; 2. diminuzione della produzione epatica di glucosio; 3. incremento dell'utilizzazione periferica di glucosio; 4. riduzione dei livelli plasmatici di glucosio a digiuno. Nella seconda metà della gravidanza si ha un aumento dei livelli plasmatici dell'hPL, della prolattina, del cortisolo e del glucagone. Questi hanno un effetto diabetogeno, perché determinano: 1. ridotta tolleranza al glucosio; 2. insulino-resistenza; 3. riduzione dell'immagazzinamento di glicogeno nel fegato; 4. aumento della produzione di glucosio nel fegato. L'effetto fisiologico che ne deriva è assicurare un costante apporto di glucosio, lipidi ed aminoacidi al feto, nonostante l'alternanza di uno stato di digiuno e di nutrizione della madre. 16 Nella gestante, i valori glicemici dopo il digiuno sono più bassi del 10- 20% rispetto alla donna non gravida. Infatti, sebbene il passaggio di nutrienti al feto sia maggiore dopo i pasti, il glucosio e gli aminoacidi essenziali vengono continuamente trasportati al feto. Di conseguenza la gestante a digiuno deve necessariamente utilizzare, per il proprio fabbisogno energetico, i propri lipidi. Ne consegue un aumento del colesterolo, dei trigliceridi e dei chetoni (che sono da 2 a 4 volte più elevati nella gestante dopo il digiuno notturno). Dopo un pasto si ha nella gestante una rapida assimilazione ed utilizzazione delle principali sostanze nutritive. L'ormone regolante l'utilizzazione dei substrati è l'insulina, i cui livelli aumentano da 2 a 10 volte dopo un pasto. Tale azione è controbilanciata dal glucagone, che previene l'insorgenza di un'ipoglicemia reattiva. Durante la seconda metà della gravidanza si verifica una situazione ormonale detta "diabetogena", dovuta ai diversi ormoni legati allo stato gravidico (prolattina, progesterone, estrogeni, cortisolo, hPL), tale da provocare uno stato di resistenza tessutale all'insulina a livello epatico, muscolare e del tessuto nervoso. Per contrastare l'insulino-resistenza, nella gestante dopo ogni pasto si ha un'iperincrezione d’insulina che aumenta con il procedere della gravidanza. La placenta modula il trasferimento di substrati al feto, il quale è totalmente dipendente dalla circolazione materna. La gravidanza comporta profonde modificazioni del metabolismo intermedio materno, tese a fornire continuamente al feto i substrati energetici di cui ha bisogno. L'hPL contribuisce in modo determinante al mantenimento di un adeguato apporto di substrati anche a digiuno. 17 L'hPL, inoltre, possiede azione lipolitica (di mobilizzazione dei lipidi accumulati) ed esercita effetti sul metabolismo delle proteine aumentando l'apporto di aminoacidi al feto e riducendone l'utilizzazione da parte della madre. 2)Funzione endocrina della placenta Le fasi iniziali della gravidanza dipendono dall'attività ormonale materna: l'embrione raggiunge l'utero ad un ben determinato stadio di sviluppo e la sua permanenza per 3-4 giorni nella tuba è sotto il controllo degli ormoni steroidi prodotti dall'ovario. La trasformazione dell'utero per prepararlo a ricevere l'embrione è indotta dal progesterone (l'asportazione del corpo luteo la impedisce). L'organo endocrino (secernente ormoni) che sostiene tutte le fasi iniziali della gravidanza è il corpo luteo. La presenza di un corpo luteo funzionante è essenziale per il mantenimento della gravidanza solo nelle fasi iniziali e non oltre la 7 a settimana. Inoltre, dei vari ormoni prodotti dal corpo luteo in gravidanza, l'unico veramente essenziale è il progesterone. Successivamente, invece, è la placenta che assume un ruolo fondamentale. 20 La diversa origine dei precursori si riflette anche sul tipo della produzione degli estrogeni. Infatti: fino alla 20 a settimana l'estrone (E1) ed il 17- -estradiolo (E2) prevalgono nettamente sull'estriolo (E3); dalla 20 a alla 30 a settimana i livelli dei tre estrogeni sono in equilibrio e fluttuano insieme; dopo la 30 a settimana fino al termine prevale nettamente l'estriolo, che rispecchia l'intensa attività del fegato e del surrene fetale (unità feto-placentare). Il centro della produzione di ormoni estrogeni in gravidanza è la placenta. Infatti, l'ovariectomia e la surrenectomia bilaterale materna non modificano la produzione estrogenica. Il principale precursore per la produzione placentare di estrogeni è il deidroepiandrosterone solfato (DHEA-S) che viene sintetizzato dal surrene fetale a partire dal colesterolo. Questo è per il 20% di origine materna e per l'80% di origine fetale (8). 21 1.5 Circolazione fetale La circolazione fetale è estremamente complessa, specialmente in termini di adattamento alle condizioni fisiologiche di ipossia come il travaglio di parto. L’ apparato cardiocircolatorio dell’ embrione raggiunge lo sviluppo anatomico, che sarà fondamentalmente quello definito fetale alla 10ª settimana gestazionale (9). Durante la vita fetale lo scambio di ossigeno e lo smaltimento di anidride carbonica non vengono effettuati dai polmoni del feto ma dalla placenta della madre. Questo implica alcune importanti considerazioni. In primo luogo i polmoni del feto durante il periodo di gestazione sono inattivi, al contrario di quanto accadrà alla nascita. Il sangue in ragione di ciò dovrà bypassare il circolo polmonare avvalendosi di alcune vie preferenziali, gli shunts. Tre sono le sedi degli shunts, che normalmente dovrebbero chiudersi dopo la nascita (10):  Forame ovale (intracardiaca): stabilisce una comunicazione interstiziale e quindi fa si che il sangue che arriva all’atrio destro possa passare direttamente nel ventricolo sinistro.  Dotto venoso di Aranzio: stabilisce una comunicazione tra vena ombelicale e vena cava inferiore e quindi permette a quantità variabile di sangue di saltare il fegato.  Dotto di Botallo : determina una comunicazione tra arteria polmonare ed aorta e quindi esclude la circolazione polmonare;durante la vita intrauterina il dotto di Botallo rimane aperto grazie alla bassa pressione di ossigeno nel sangue fetale e, in parte, per azione delle prostaglandine (9). 22 La presenza degli shunts è altresì fondamentale in quanto permette la sopravvivenza del feto,essendo sede di mescolamento tra sangue ossigenato proveniente dalla placenta e sangue venoso proveniente dalla circolazione sistemica che coronarica. Questo perché i polmoni del feto non si espandono e quindi le resistenze vascolari polmonari sono elevate. Inoltre la gettata cardiaca del feto è relativamente bassa, dal momento che solo il 60% di essa,ottenuta dall’azione di due ventricoli, soddisfa le esigenze dell’organismo mentre il restante 40% è distribuito alla circolazione ombelico-placentare. Il percorso compiuto dal sangue ossigenato, inizia dalla placenta per percorrere la vena ombelicale (10). Nella circolazione fetale (fig.12) la vena ombelicale porta il sangue arterioso dalla placenta al feto. Questo sangue è diventato arterioso attraversando i villi coriali, dove assume ossigeno dal sangue materno ed elimina l'anidride carbonica. La vena ombelicale penetra, attraverso l'ombelico, nel corpo fetale. Attraverso la vena cava inferiore il sangue penetra nell'atrio destro del cuore. L'atrio destro fetale, in corrispondenza dello sbocco della vena cava inferiore, presenta una formazione chiamata “valvola di Eustachio”. Per mezzo di essa la corrente sanguigna proveniente dalla vena cava inferiore viene avviata verso il setto interatriale, nel quale è presente il foro ovale o di Botallo che mette in comunicazione i due atri. Di conseguenza, il sangue proveniente dalla vena cava inferiore passa direttamente dall'atrio destro all'atrio sinistro. 25 CAPITOLO 2 CICLO CELLULARE 2.1 Introduzione Il ciclo cellulare è considerato come un orologio che ha le proprietà di integrare in un unico circuito centrale la miriade di molecole coinvolte nella segnaletica cellulare. Tutti i segnali positivi e negativi in grado di dirigere la cellula verso la duplicazione,la crescita, la differenziazione, la quiescenza, l’invecchiamento oppure la morte, si devono relazionare con questo circuito. In tale ottica la trasformazione neoplastica avverrebbe in seguito ad alterazioni insorte nel funzionamento di quest’orologio. All’interno del suo circuito sono stati identificati dei sistemi di controllo definiti checkpoint, attraverso i quali avviene la verifica della corretta attuazione delle varie fasi. Quando la cellula non é più in grado di rispondere correttamente a questi checkpoint, i normali processi proliferativi sono alterati e si scatena una serie di eventi alla base della trasformazione neoplastica. Il ciclo riproduttivo di una cellula eucariotica è suddiviso in quattro stadi principali (fig.13) noti come G1 (1° gap = 1° intervallo), S (sintesi del DNA), G2 (2° gap) e M (mitosi) (11). La fase Gap1 (G1) è fase in cui la cellula normalmente vive e svolge le sue funzioni di cellula differenziata. E' l'intervallo che segue la mitosi e precede la duplicazione del DNA essa può durare pochi giorni (cellule basali cutanee) o a tempo indeterminato (neuroni). La fase S ( sintesi DNA); fase in cui il DNA cellulare subisce la duplicazione. 26 La fase Gap2 (G2) è la fase di preparazione alla mitosi/meiosi; è l'intervallo tra la duplicazione del DNA e la nuova mitosi. Il ciclo cellulare è unidirezionale G1 (-->G0) --> S --> G2 --> M (12). Figura 23 2.2 Proteine che regolano il ciclo cellulare L’ordinata progressione delle cellule attraverso le diverse fasi del ciclo cellulare è diretta dalle cicline, dalle chinasi ciclina dipendenti (CDK) e dai lori inibitori. Mutazioni dei geni che codificano per questi regolatori del ciclo cellulare sono state riscontrate in numerose neoplasie umane. Le chinasi cicline-dipendenti guidano il ciclo cellulare fosforilando specifiche proteine bersaglio che sono indispensabile per la progressione della cellula nelle diverse fasi. Queste chinasi sono espresse costitutivamente durante tutto il ciclo cellulare in una forma inattiva e vengono attivate mediante fosforilazione dopo essersi legate a un'altra famiglia di proteine chiamate cicline (fig.15). A differenza delle CDK, le cicline 27 vengono sintetizzate durante specifiche fasi del ciclo cellulare,e la loro funzione è quella di attivare le CDK. Un’ altra caratteristica delle cicline è che una volta eseguito il compito queste proteine sono degradate molto rapidamente con conseguente abbassamento della loro concentrazione intracellulare (13). Il ruolo delle cicline come proteine coinvolte nel ciclo cellulare è stato messo in evidenza per la prima volta negli anni ’80, esse hanno un emivita di circa 20 minuti e la loro espressione è finemente regolata, infatti, non sono presenti contemporaneamente in tutte le fasi del ciclo, ma sono sintetizzate solo in precise fasi del ciclo cellulare. In base a questa precisa cronologia di espressione, le cicline possono essere suddivise in due gruppi:  Cicline di fase G1: che sono sintetizzate e si legano alla rispettiva chinasi ciclino-dipendente durante la fase G1 permettendo alla cellula di uscire dalla stato di quiescenza e di entrare in fase S.  Cicline mitotiche: che, invece sono sintetizzate e si legano alla rispettiva chinasi ciclino-dipendente durante la fase G2 e consentono alla cellula di entrare in mitosi e di terminarla. Fino ad ora sono state identificate nove tipi di cicline, ma non di tutte si conosce il ruolo. Le più conosciute sono le cicline A, B, D, e E. Esistono otto diversi tipi di chinasi, ma le più caratterizzate sono CDK1 (cdc-2), CDK2, CDK4 e CDK6. I legami tra cicline e chinasi ciclino dipendenti non sono specifici (a parte la ciclina B che lega solo CDK1), ad esempio. la ciclina A lega sia CDK1 e CDK2, la ciclina D lega sia CDK4 che CDK6. 30 Una famiglia di CDKI, composta da tre proteine chiamate p21,p27 e p57,inibisce le CDK in senso lato e sono chiamati CIP/KIP, mentre l’altra famiglia di CDKI agisce specificatamente sui coplessi ciclina D/CDK4 e ciclina D/CDK6. I quattro membri di questa ultima famiglia (p15.p16,p18. p19) vengono talvolta chiamati INK4 (Inquanto inibitori delle CDK4 e CDK6). Dopo queste premesse , risulta facile capire come mutazioni che alterano l’attività delle cicline e delle CDK possano favorire la proliferazione. Infatti modificazione dell’espressione della ciclina D o della CDK4 sembrano rappresentare un evento comune della trasformazione neoplastica(13). Figura 15:Lo schema illustra il ruolo delle cicline e delle CDK nella regolazione del ciclo cellulare. Nell’esempio riportato, la CDK viene espressa costitutivamente in una forma inattiva e viene attivata solo dopo essersi legata alla ciclina D, sintetizzata nella fase G1. La forma attivata della CDK consente alla cellula di attraversare il punto di controllo che si interpone tra la fase G1 e la fase S mediante la fosforilazione della proteina del retino blastoma (pRb). Appena la cellula entra nella fase S, la ciclina D viene degradata,riportando la CDK in uno stato inattivo. 31 Figura 16: Lo schema illustra il ruolo delle cicline e delle CDK nella regolazione del ciclo cellulare 32 2.3Alterazione del ciclo cellulare nell’oncogenesi Ogni tumore può essere definito come una massa costituita da una popolazione di cellule simili che condividono una serie di alterazioni genetiche. Il tratto fenotipico saliente che meglio caratterizza una cellula trasformata é, la sua capacità di proliferare indefinitivamente. Lo sviluppo e la progressione della neoplasia si verifica in seguito all’accumulo di varie alterazioni geniche. Tra i numerosi geni strutturalmente o funzionalmente modificati, molti sono coinvolti nel controllo del ciclo di divisione cellulare. Due classi di geni hanno un ruolo importante nello sviluppo del cancro:  Proto-oncogèni  Geni oncosoppressori. Nella loro configurazione normale, essi regolano il ciclo vitale della cellula, in particolare, l’intricata sequenza di eventi che portano all’ accrescimento e alla divisione cellulare. I proto-oncogèni favoriscono la crescita mentre i geni oncosoppressori la inibiscono. In seguito ad una mutazione, i proto-oncogèni possono diventare oncogèni se acquisiscono una nuova funzione in grado di promuovere una incontrollata moltiplicazione cellulare. I geni oncosoppressori, viceversa, favoriscono l’insorgenza del cancro quando sono inattivati. La conseguente mancanza di proteine di soppressione funzionali priva la cellula di un meccanismo di controllo fondamentale per prevenire una proliferazione eccessiva. 35 Figura 17: Ruolo di p53 nel mantenimento dell’integrità del genoma .L’attivazione di p53 da parte di un insulto ipossico o di agenti che producono un danno al DNA porta all’arresto della cellula nella fase G1 ed al tentativo di riparare il danno mediante attivazione dei geni p21 ( un inibitore delle chinasi ciclina –dipendenti) e GADD45. Se il danno viene riparato con successo,allora la cellula può riprendere il ciclo cellulare,se invece il tentativo di riparare il DNA fallisce, l’attivazione del gene bax, promossa da p53,porta la cellula in apoptosi. Nelle cellule in cui il gene p53 è perso o mutato, un danno al DNA non induce l’arresto del ciclo cellulare né l’attivazione dei meccanismi preposti alla riparazione del danno stesso, e pertanto le cellule che hanno subito un danno al genoma continuano a proliferare, fino a generare una neoplasia maligna. 36 2.5 Il Gene p57 La p57kip2 umana è localizzata sul cromosoma 11p15.5 (16), Appartiene alla famiglia delle cip/kip. Una mutazione di questo gene può portare alla perdita di controllo sul ciclo cellulare che porta a una incontrollata proliferazione cellulare. La p57kip2 è stata associata con la sindrome di Beckwith-Wiedeman,(bws) che è caratterizzata da un aumento del rischio di formazione di tumore durante l’infanzia(17).Importante inibitore del ciclo cellulare perché interagisce con la formazione di complessi molecolari tra cicline e CDK; è codificato da un gene incluso tra quelli soggetti a imprinting genomico di tipo materno. La proteina p57kip2 è correlata strutturalmente ad altri inibitori delle cdk, in particolare p21cip1 e p27kip1(18), ma a differenza della cip1,essa non è regolata dalla p53, l’iperespressione della p57kip2 si ha nell’arresto della cellula nella fase G1. La proteina p57kip2 ha una struttura complessa si compone di 4 siti distinti:  un dominio amino terminale cdk inibitorio,  un dominio ricco di prolina,  una regione ripetuta acidica  e un dominio carbossi terminale. Studi di Ibridazione in situ condotti sul topo hanno rilevato che, durante l’embriogenesi, la kip2 mostra durante lo sviluppo una sorprendente varietà d’espressione, con un alto livello di espressione nel muscolo scheletrico, cervello, cuore, polmoni e occhi. 37 La maggior parte delle cellule che esprimono kip2 sono differenziate, suggerendo che p57kip2 è coinvolta nella decisione di far uscire la cellula dal ciclo cellulare durante lo sviluppo e nella differenziazione (16). Alcuni studi hanno messo in evidenza che la p57 è un marcatore potenzialmente utile per la diagnosi differenziale della mola completa,un inibitore del ciclo cellulare e un soppressore di tumore codificato da un gene trasmesso prevalentemente da parte paterna. Esso è ben espresso nel cito-trofoblasto e nel mesenchima villoso di gravidanze normali, aborti spontanei e mole parzioali, ma assente o notevolmente ridotto nelle mole complete, anche durante il primo stadio del loro sviluppo(19). Infatti la p57kip2 è stata studiata nella placenta nel primo trimestre di gravidanza normale, nelle interruzioni di gravidanza, aborti spontanei, e diversi tipi di neoplasie trofoblastiche proliferative. In condizioni normali di placenta,la p57kip2 nucleare è stata osservata ad alta frequenza (fino asl 100%) nel trofoblasto extravilloso, cito-trofoblasto (fig.19,20), e nel sito interstiziale del trofoblasto, ma è assente in sincizio trofoblasto. P57kip2 è stato espresso anche in cellule stromali della decidua materna (fig.18), che è stato uno dei pochi tessuti adulti che hanno conservati l’espressione della p57kip2. Infatti diversamente da altri inibitori di cdk p57KIP2 ha una distribuzione ristretta nei tessuti umani (18). 40 CAPITOLO 3 MALATTIA TROFOBLASTICA GESTAZIONALE (Mola Vescicolare) 3.1 Introduzione Il termine di malattia Trofoblastica Gestazionale descrive e comprende un continuo di lesioni tumorali a diversa aggressività che originano dal tessuto placentare ed hanno in comune quattro caratteristiche: 1. Elevata chemiosensibilità 2. Produzione di Gonadotropina corionica umana, che rappresenta per questa patologia un marker ideale. 3. Correlazione con un evento gravidico 4. Origina in un tessuto differente da quello dell’ospite(20) La sintomatologia della malattia trofoblastica diviene in genere evidente poco dopo l’avvenuta fecondazione e conseguente impianto dell’uovo. Il primo sintomo consiste in un rapido aumento di volume dell’utero, del tutto sproporzionato con l’età gestazionale. Può comparire sanguinamento vaginale che induce a porre la falsa diagnosi di minaccia d’aborto; mancano completamente i movimenti fetali e posssono insorgere nausea e vomito molto gravi(21). 41 Nella malattia trofoblastica gestazionale sono raggruppati quattro quadri principali aventi in comune l’iperplasia e l’iperfunzione dell’epitelio trofoblastico con iperproduzione di gonadotropina corionica, ma differenti per comportamento biologico e grado di malignità(22). 1. Rigonfiamento idropico delle villosità coriali senza embrione (mola vescicolare completa.) 2. Con embrione (mola vescicolare parziale) 3. Con capacità invasiva (mola invasiva) 4. Neoplasia trofoblastica senza villosità (coriocarcinoma) . L’età materna gioca un ruolo importante nell’insorgenza di questa malattia. Il rischio di sviluppare una mola completa è elevato nella donna con meno di 20 anni e maggiori di 40 anni e continua ad aumentare con l’aumentare dell’età. Un altro fattore di rischio importante di cui dipende la frequenza sia della mola vescicolare che del coriocarcinoma è il tipo di gravidanza precedente. Il rischio di avere una mola completa dopo un aborto spontaneo aumenta di 2-3 volte e di 32 volte dopo aborti consecutivi. Le frequenze delle moli parziali è tra il 10 e il 20% dopo aborti spontanei, percentuale sicuramente inferiore rispetto alla realtà(20). 42 3.2 Mola vescicolare completa La mola vescicolare completa è causata da fecondazioni e gametogenesi anormali. In questa patologia i nuclei delle cellule trofoblastiche contengono soltanto i cromosomi paterni e sono pertanto androgenetici in origine, mentre tutto il DNA citoplasmatico è di derivazione materna. Nella maggior parte dei casi il numero cromosomico è normale; 85% dei casi sono 46 XX e il 15% sono 46 XY. È stato ipotizzato che nei casi di 46 XX, la patogenesi sia dovuta alla fecondazione di un ovulo “vuoto”, cioè di un ovulo che ha perso i cromosomi materni, da parte di uno spermatozoo aploide (23X) (fig.21) che poi si replica senza citocinesi (fenomeno della androgenizzazione dell’uovo), mentre nei casi di 46 XY può esserci fecondazione dell’ovulo “vuoto” da parte di due spermatozoi aploidi (23X e 23Y) con successiva fusione e duplicazione. Tale ipotesi è supportata dall’analisi genetica del DNA mitocondriale molare. In una minoranza di casi, che generalmente si verificano in un gruppo di pazienti di età superiore, la configurazione del DNA è tetraploide. DUPLICAZIONE Figura21:Risultato della fecondazione di un “ovocita vuoto “da parte di un singolo spermatozoo (23x) con duplicazione del materiale genetico che dà luogo a una formula cromosomica diploide 46xx 45 L’iperplasia trofoblastica presenta tipicamente una disposizione circolare ma irregolare intorno al villo individuale, contrariamente alla proliferazione polare che si riscontra nei villi di un primo trimestre normale. Non è presente la conformazione plessiforme di sincizio- trofoblasto e cito-trofoblasto frammisti che si nota nel coriocarcinoma. Dal punto di vista ultrastrutturale, il trofoblasto molare presenta una forte somiglianza con quella che si rileva nel primo trimestre di una gravidanza normale(19). Solitamente non è presente il feto, ma “raramente” se ne può trovare in una mola parziale .I sintomi sono inizialmente simili a quelli di una gravidanza ma più accentuati con nausea e vomito intensi, compaiono quindi perdite ematiche (metrorragia), talvolta associata all’espulsione di qualche vescichetta. Il sanguinamento avviene tardivamente nel primo o all’inizio del secondo trimestre, la diagnosi è ecografia ed è confermata dall’elevata concentrazione di Gonadotropina corionica (beta-HCG) nel sangue o nelle urine (23).In base ad analisi flussocitometrica, il 50% delle mole complete è diploide, il 43% è tetraploide, il 3,6% è poliploide e l’1,7% è triploide. Si sostiene che più pronunciata è l’iperplasia trofoblastica, più elevata è le possibilità di sviluppo di un coriocarcinoma. Comunque, il numero di eccezioni rende tale valutazione di limitata se non alcuna utilità pratica. Ciò è particolarmente vero dall’avvento di tecniche ad alta sensibilità per il monitoraggio dei livelli si siero hCG. 46 Secondo Driscoll, le lesioni molari caratterizzate dalla frapposizione di materiale simil-fibrinico nell’interfase del tumore ospite e dalla presenza di abbondante sincizio trofoblasto rispondono molto bene alla chemioterapia, mentre quelle che hanno una crescita compatta di citotrofoblasto con poca differenziazione tendono a essere relativamente resistenti. Le mole eterozigote (dispermiche), comprese le mole di dispermiche eterozigote XY, sono associate a una più elevata incidenza di patologia trofoblastiche persistente rispetto alle mole omozigote (omospermiche). La terapia iniziale della mola completa consiste nell’evacuazione dell’utero attraverso raschiamento. A questa si fa seguire la determinazione quantitativa sequenziale della sottounità ß del hCG. Di norma si raccomanda la misurazione del livello di siero hCG a 10,20,30,45 e 60 giorni dal termine della gestazione molare. In circa l’80% dei casi, si raggiungeranno livelli normali entro il sessantesimo giorno. Se c’è un aumento del titolo tra il quarantacinquesimi e il sessantesimo giorno o il livello è ancora elevato al sessantesimo giorno, è somministrata la chemioterapia; Ciò è necessario in circa il 20% dei casi. Con quest’approccio, il tasso di guarigione è vicino al 100% (19). 47 A B Figura 22 A,B: mola completa tipicamente descritta a grappolo d’uva (A),con quasi tutti i villi che mostrano degenerazione idropica (B). 50 ASPETTI DELLA MOLA COMPLETA RISPETTO ALLA MOLA PARZIALE ASPETTO MOLA COMPLETA MOLA PARZIALE Cariotipo 46, XX (46xy) Tripliode Edema villoso Tutti i villi Alcuni villi Proliferazione Trofoblastica Diffusa circoferenziale Focale; lieve Atipia Spesso presente Assente HCG del siero Elevata Meno elevata HCG nel tessuto ++++ + Comportamento 2%coriocarcinoma Raro Coriocarcinoma Figura 24:mola parziale con feto 51 3.4 Mola invasiva È così definita una mola che infiltra la parete uterina e, talora, la perfora. Il miometrio appare infiltrato da villi coriali accompagnato da cito e sincizio-trofobasto proliferanti. Questo fenomeno è l’esagerata espressione della normale capacità del trofoblasto di infiltrare il miometrio per favorire l’annidamento dello zigote. Il tumore è localmente aggressivo e può invadere il tessuto parametriale e i vasi sanguigni. I villi idropici possono embolizzare a sedi distanti, come polmone ed encefalo, anche se tali emboli non danno origine a vere metastasi e, anche prima dell’avvento della chemioterapia, andavano incontro a regressione spontanea. Clinicamente, il tumore si manifesta con sanguinamento vaginale e aumento di volume irregolare e l’utero ed è spesso associato a elevati livelli persistenti di gonadotropine e a vari gradi di luteinizzazione dell’ovaia (24). Si presenta con un aspetto a coccarda (fig.25). La diagnosi di mola invasiva deve essere sospettata in caso di persistenza della sintomatologia emorragica dopo evacuazione della cavità uterina di una mola vescicolare e/o quanto il tasso di beta- HCG è anormalmente persistente o in aumento dopo la gravidanza molare. Questi tumori rispondono bene alla chemioterapia (20). Nonostante la mola invasiva sia biologicamente benigna, l’aggressività locale può condurre a rottura dell’utero con gravi emorragie (24). 52 Figura 25:aspetto rigonfio di mola invasiva. Una massa emorragica ha impregnato metà dello spessore della parete miometriale 55 con patologia metastatica. Nella maggior parte dei casi l’utero può essere preservato. L’isterectomia è seguita in quelle pazienti in cui non è desiderata la preservazione della funzione riproduttiva e/o che non rispondono alla sola chemioterapia. La chirurgia è utile altresì nel controllare un’eventuale emorragia da lesioni metastatiche che potrebbe essere mortale (25). A B FIGURA 26 A ,B coriocarcinoma uterino che mostra il tipico aspetto emorragico 56 CAPITOLO 4 MATERIALI E METODI 4.1 Scopo del lavoro È ormai chiaro che la mola idatiforme, per criteri morfologici e citogenetici, è suddivisa in mola idatiforme parziale e mola idatiforme completa. Questa suddivisione non è puramente accademica, ma implica risvolti clinico-terapeutici importanti perché circa il 25% delle mole complete ha un alto rischio di sviluppare corio carcinoma e malattia trofoblastica gestazionale persistente, mentre per la mola parziale questo rischio è estremamente basso (26). La diagnosi differenziale di questi due sottogruppi, talvolta può essere difficile perché i criteri diagnostici morfologici, soprattutto in fasi precoci di malattia, possono risentire della soggettività dell’istopatologo. Lo studio della ploidia e tecniche di biologia molecolare possono essere di enorme aiuto nella diagnosi differenziale tra mola parziale e completa, perché sono in grado di distinguere il pattern diploide di origine paterna tipico della mola completa dal pattern triploide o tetraploide della mola parziale (27), queste tecniche, tuttavia, sono molto costose e laboriose e quindi non possono essere utilizzate nella routine clinica. 57 Alcuni studi (Barlow DP. Gametic imprinting in mammals. Science 1995; 270; 1610–1613.) hanno messo in evidenza che “l’imprinting genomico” è molto importante nell’impianto e nello sviluppo dell’embrione. Molti dei geni implicati, infatti, sono espressi principalmente dall’allele materno per cui in patologie genetiche in cui il genoma è prevalentemente di origine paterna, come la mola vescicolare completa, l’espressione di questi geni risulterà essere ridotta o assente studi (Barlow DP. Gametic imprinting in mammals. Science 1995; 270; 1610–1613.). Il gene che codifica per p57/KIP2 mostra proprio questa particolarità di espressione, quindi è considerato un ottimo marker per la diagnosi differenziale tra la mola parziale e la mola completa(28). In questo studio abbiamo valutato l’espressione di p57, mediante utilizzo dell’immunoistochimica, nei diversi sottogruppi di mola vescicolare al fine di classificarli e di differenziarli 60  Trattamento dei vetrini con anticorpi primari:è stato applicato l’anticorpo contro p57 per 60 minuti, e poi è stato applicato il complesso streptavidina-biotina per 10 minuti.  Cromogeno: i vetrini vengono trattati con l’agente cromogeno DAB (3-3’ diaminobenzidina),per 5-10 minuti, poi si lavano i vetrini con acqua distillata.  Contrasto con amatossilina: s’immergono i vetrini in ematossilina per 2-5 minuti e poi si lavano con acqua distillata e successivamente con acqua corrente. Infine si montano i vetrini che vengono interpretati utilizzando il microscopio ottico. Analogamente ad altri studi una colorazione netta del nucleo è stata considerata positiva, una debole marcatura nucleare e colorazione del citoplasma sono state considerate negative le cellule della decidua sono state utilizzate come controllo positivo interno. Le mole invasive sono state escluse dallo studio. 61 4.4 Metodi Trattamento del materiale biologico I campioni da exeresi chirurgica sono stati trattati secondo le normali procedure per l’allestimento delle sezioni per la diagnostica istomorfologica: 1. Fissazione con formalina neutra tamponata per formare ponti metilici fra le strutture antigniche in grado di preservare gli antigeni da ricercare. 2. Disidratazione e chiarificazione: la prima è stata effettuata attraverso passaggi in alcool a concentrazione crescente; la seconda mediante passaggi in xiloli che permettono la paraffina di penetrare nei tessuti; la paraffina è stata utilizzata allo stato puro a temperature che non hanno mai superato i 58°C. 3. Inclusione dei campioni con formazione di un supporto solido contenente il materiale biologico da analizzare. 4. Taglio e allestimento del preparato: il taglio del materiale biologico,fissato con mezzo chimico e incluso in paraffina,è stato affettato con il microtomo automatico che consente di allestire sezioni molto sottili ai 4-6µ di spessore. Tali sezioni sono state subito messe in un bagnetto termostatico,ad una temperatura non superiore ai 40°C e infine distese su vetrini porta-oggetti e lasciate asciugare in una stufa a 37°C per una notte,oppure in una stufa a 50°C per un’ora,per consentire una più rapida preparazione del materiale su cui eseguire le reazioni immunoistochimiche. 62 4.5 Immunoistochimica L’immunoistochimica nasce dall’unione di tecniche immunologiche ed istochimiche e permette di rivelare ed interpretare la presenza di specifici antigeni all’interno di un contesto morfologico dato. I suoi principali impieghi in anatomia patologica sono:  Tipizzazione delle neoplasie (immunofenotipo);  Valutazione di fattori prognostici (recettori ormonali,prodotti di oncogeni,marcatori di proliferazione);  Dimostrazione di agenti infettivi. È una tecnica di notevole sensibilità e specificità, applicabile a campioni (anche di archivio) preparati con metodiche convenzionali. Le metodiche più comunemente impiegate oggi in immunoistochimica sono quelle immunoenzimatiche. Queste metodiche hanno in comune l’impiego di enzimi che agendo su un substrato,originano un prodotto di reazione che a sua volta modifica una sostanza colorata (cromogeno),consentendo cosi’ di visualizzare la reazione. Dei cinque diversi metodi immunoistochimici, nel nostro lavoro abbiamo utilizzato il metodo PAP (per ossidasi antiperossidasi) e il sistema strepavidina-biotina. La perossidasi (PM=40kDa estratto dal rafano,presente in tessuti e cartilagine umana) si lega Ab con legami covalenti,ma è presente normalmente nei tessuti e può ridurre la specificità della colorazione con il cromogeno diamminobenzidina-DAB. Per ovviare a questo problema è necessario inibire l’enzima endogeno pretrattando i campioni da colorare. 65 3. Trattamento di vetrini con l’anticorpo secondario Link per 15min che rappresenta l’anticorpo “ponte”diretto contro l’anticorpo primario. 4. Trattamento dei vetrini con l’anticorpo terziario Label per 15 min, che rappresenta l’enzima coniugato alla streptavidina , a cui si lega l’enzima e numerose molecole che permettono la visualizzazione della reazione. 5. Trattamento dei vetrini con l’agente cromogeno DAB, che fornisce un prodotto di ossidazione insolubile, colorato in bruno e partecipante sul luogo di reazione. Infine i vetrini sono stati immersi per qualche minuto in ematossilina, usata come colorante di contrasto, lavati sotto acqua corrente e montati in modo permanente. Dopo il montaggio i vetrini sono stati osservati al microscopio ottico. 66 CAPITOLO 5 RISULTATI E CONSIDERAZIONI 5.1 Risultati Nei 30 casi definiti istologicamente come mola completa (Fig.1,2), l’espressione di p57 nelle cellule del trofoblasto è risultata negativa in tutti i casi ( Fig. 3,4,5,) Sezioni di Mola Completa in EE. Figura 3: osservazione al microscopio ottico ingrandimento 10 x 67 Sezioni di Mola Completa in EE. Figura 4: osservazione al microscopio ottico ingrandimento 10 x 70 Nei 30 casi di mola definita istologicamente come incompleta l’espressione di p57 è risultata essere positiva in 22 (74%) casi , mentre nei restanti 8 (26%) casi è risultata essere negativa . Sezioni di mola parziale in EE Figura 1: osservazione al microscopio ottico ingrandimento 10x 71 Sezioni di mola parziale in EE Figura 2: osservazione al microscopio ottico ingrandimento 10x Sezioni di mola parziale in immunoistochimica Esempi di positività nucleare di P57Kip2 (freccia e asterisco) Figura 3: osservazione al microscopio ottico ingrandimento 40x 72 Sezioni di mola parziale in immunoistochimica Esempi di positività nucleare di P57Kip2 Figura 4: osservazione al microscopio ottico ingrandimento 20x 75 5.2 Discussione La diagnosi differenziale tra i due diversi sottotipi di mola idatiforme ha delle importanti implicazioni clinico-terapeutiche, pertanto è un momento diagnostico essenziale. I criteri istologici come, l’iperplasia del trofoblasto, i bordi dei villi irregolari, festonati con incisure ed inclusi trofoblastici, l’edema stromale con la formazione di cisterne, la presenza/assenza dei vasi villari e la presenza/assenza di residui fetali possono guidare nella diagnosi tra i due sottotipi di patologia(31). Tuttavia, questi criteri sono spesso valutati soggettivamente inoltre, con le diagnosi ecografiche sempre più precoci e con l’avvento dei dosaggi sierici di betaHGC, gli aborti terapeutici per sospetta mola idatiforme avvengono in stadi sempre più precoci con conseguente difficoltà per il patologo di una corretta diagnosi differenziale per l’incompleto sviluppo dei caratteri istologici tipici dei due sottogruppi e sovrapposizione dei due quadri morfologici (32). Sicuramente un aiuto in tal senso è apportato dalle analisi di citometria a flusso per la valutazione della ploidia cellulare, che è in grado di differenziare la mola completa (diploide) dalla parziale (triploide o tetraploide), ma, a parte la laboriosità dell’indagine e i costi dell’analisi, alcuni studi hanno messo in evidenza casi di mole parziali con cariotipo diploide (33) con mosaicismo diploide/triploide questo esclude l’analisi citometrica come esame definitivo per differenziare la mola parziale dalla completa. 76 L’utilizzo della proteina p57 come marker differenziativo è ben correlata con la classificazione della patologia molare e per alcuni autori fornisce dati più affidabili e riproducibili rispetto all’esame citometrico(32), pertanto il suo utilizzo è consigliabile nella diagnostica quotidiana soprattutto nei casi di dubbia interpretazione. Dal nostro studio è emerso che la diagnosi di mola completa, per l’evidenza dei caratteri morfologici che essa ha, non offre particolari problemi interpretativi: la negatività di espressione di p57 in tutti i casi istologicamenete diagnosticati come mola completa ha confermato questa diagnosi. Ben più problematico è l’approccio con la diagnosi di mola parziale, infatti dai nostri dati è emerso che ben il 26% dei casi (8 su 30) diagnosticati come mola parziale è risultato essere negativo per p57, tuttavia la rivalutazione morfologica dei casi risultati negativi non ha permesso un chiaro riconoscimento dei caratteri morfologici di mola completa confermando le difficoltà che la patologia molare, soprattutto in stadi precoci, può offrire all’istopatologo.I motivi di tali difficoltà possono essere vari, infatti si possono avere focali villi edematosi con bordi irregolari, incisure ed inclusi trofoblastici, ma che presentano una marcatissima iperplasia del trofoblasto, oppure diffusi ed uniformi villi conformati a cisterna con solo una minima proliferazione di trofoblasto, oppure ancora marcatissima iperplasia trofoblastica con simile a quella presente nella mola completa, con villi focalmente coinvolti e residui fetali; in questi casi l’utilizzo della p57 può essere dirimente ai fini diagnostici. 77 5.3 Conclusioni Alla luce della nostra esperienza di utilizzo dell’anticorpo p57 nella valutazione della patologia molare possiamo concludere che:  La diagnosi differenziale della mola idatiforme è essenziale per il corretto follow-up delle pazienti.  I criteri diagnostici sono ben codificati e consentono, soprattutto nella mola vescicolare completa una corretta diagnosi che non necessita di ulteriori valutazioni. Tuttavia esistono una serie di condizioni, in particolar modo nella mola vescicolare, in cui la diagnosi differenziale può essere difficile per la sovrapposizione dei diversi quadri istologici.  La non espressione della proteina p57 (negatività verso l’anticorpo contro la proteina p57) è fortemente suggestiva di mola completa sia in questo studio (il 100% dei casi con diagnosi istologica di mola completa non esprimevano p57) in coerenza con altri studi; mentre l’espressione di tale proteina è tipica di mole incomplete e di aborti spontanei di altra origine genetica (32).  Una buona parte di casi di mola vescicolare completa (nel nostro studio 8 su 30) possono essere misdiagnosticati quando i quadri istologici sono di transizione La nostra conclusione è che la valutazione dello stato di p57 nella mola vescicolare incompleta potrebbe far riconoscere eventuali casi misconosciuti di mola completa e pertanto dovrebbe essere eseguita di routine in tutti i casi in cui si sospetta una mola incompleta o comunque un aborto per patologia genetica, al fine di indirizzare le pazienti verso la sorveglianza clinica più appropriata. 80 27. (Fox H ed. Gestational trophoblastic disease. In Pathology of the placenta, MPP Series, 2nd edn. London: W.B. Saunders, 1997; 383– 417. 6. Szulman AE. Trophoblastic disease: complete and partial hydatidiform moles. In Lewis SH, Perrin E eds. Pathology of the placenta, 2nd edn. Philadelpia, PA: Churchill Livingstone, 1999; 259– 294) 28. (S-Y Jun, J Y Ro & K-R Kim p57kip2 is useful in the classification and differential diagnosis of complete and partial hydatidiform moles; Histopathology 2003, 43, 17–25) 29. (Szulman AE, Surti U. The syndrome of hydatidiform mole, I: cytogenetic and morphologic correlations. Am J Obstet Gynecol. 1978;131:665–671.): 30. Estratto dalla tesi di laurea sperimentale della dottoressa Ruggiero Cristina 31. (Czernobilsky B, Barash A, Lancet M. Partial moles. A clinicopathologic study of 25 cases. Obstet. Gynecol. 1982; 59; 75–77. ; 11. Szulman AE, Surti U. The syndromes of hydatidiform mole. II. Morphologic evolution of the complete and partial mole. Am. J. Obstet. Gynecol. 1978; 132; 20–27). 32. ((S-Y Jun, J Y Ro & K-R Kim p57kip2 is useful in the classification and differential diagnosis of complete and partial hydatidiform moles; Histopathology 2003, 43, 17–25) 33. Teng NNH, Ballon SC. Partial hydatidiform mole with diploid karyotype: report of three cases. Am. J. Obstet. Gynecol. 1984; 150; 961–964) 81 BIBLIOGRAFIA DELLE IMMAGINI Figura1,4,5:www.cavmelzo./Embrione/evidenze/evidenze.oj.htm. Figura2:http://med.javeriana.edu.co/morfologia/embriologia Figura3: www.forp.usp.br/mef/embriologia/geral.htm Figura6:http://world.altavista.com/babelfish/trurl-pagecontent?Ip0en- it&url=http%A%2F% Figure7,8,9:http//e-learning.med.unifi.it/did online/Anno.I/istologia/embriologia/gam1.htm a cura del Prof P.Romagnoli Figura10,11:www.personalweb.unito.it/tullia.todros/sviluppo- placentare/villi.htm Figura12:www.tpall.unito.it/corso-dip/matoo6/ullio%2006-cardio- circolatorio-Anatomia-fisiologia4.pdf Figura 14:Estratta dalla tesi di laurea del dottor Giuseppe Patitucci Figura13,16:http://users.unimi.it/poletti/biologia/TESTI/ciclocellulare/ciclo cell.html Figura15,17: Estratti da Robbins “Le basi patologiche delle malattie”vol 1 Piccin Figura18,19,20:http://www.siapec.it/immuno/IPERTESTOICH/PAGEMA RKERS/p57/p57.htm Figura 21,22,23:http://www.webmed.unibo.it/didattica Figura 24,25.26: Rosai and Ackerman’s surgical pathology 9th edition 2004 mosby eds 82 La tabella che si trova a pag.50 del capitolo 3 è stata estratta dal Robbins “Le basi patologiche delle malattie”vol 2 Piccin. Le fotografie contenute nel capitolo 5 (risultati) sono state effettuate su reperti prelevati dall’archivio U.O.C. di Anatomia Patologica dell’azienda ospedaliera di Cosenza, responsabile: Dott. Francesco Romeo. 85 La sintomatologia della malattia trofoblastica diviene in genere evidente poco dopo l’avvenuta fecondazione e conseguente impianto dell’uovo. Il primo sintomo consiste in un rapido aumento di volume dell’utero, del tutto sproporzionato con l’età gestazionale. Può comparire sanguinamento vaginale che induce a porre la falsa diagnosi di minaccia d’aborto; mancano completamente i movimenti fetali e posssono insorgere nausea e vomito molto gravi(21). Nella malattia trofoblastica gestazionale sono raggruppati quattro quadri principali aventi in comune l’iperplasia e l’iperfunzione dell’epitelio trofoblastico con iperproduzione di gonadotropina corionica, ma differenti per comportamento biologico e grado di malignità(22). 5. Rigonfiamento idropico delle villosità coriali senza embrione (mola vescicolare completa.) 6. Con embrione (mola vescicolare parziale) 7. Con capacità invasiva (mola invasiva) 8. Neoplasia trofoblastica senza villosità (coriocarcinoma) . L’età materna gioca un ruolo importante nell’insorgenza di questa malattia. Il rischio di sviluppare una mola completa è elevato nella donna con meno di 20 anni e maggiori di 40 anni e continua ad aumentare con l’aumentare dell’età. Un altro fattore di rischio importante di cui dipende la frequenza sia della mola vescicolare che del coriocarcinoma è il tipo di 86 gravidanza precedente. Il rischio di avere una mola completa dopo un aborto spontaneo aumenta di 2-3 volte e di 32 volte dopo aborti consecutivi. Le frequenze delle moli parziali è tra il 10 e il 20% dopo aborti spontanei, percentuale sicuramente inferiore rispetto alla realtà(20). 3.2 Mola vescicolare completa La mola vescicolare completa è causata da fecondazioni e gametogenesi anormali. In questa patologia i nuclei delle cellule trofoblastiche contengono soltanto i cromosomi paterni e sono pertanto androgenetici in origine, mentre tutto il DNA citoplasmatico è di derivazione materna. Nella maggior parte dei casi il numero cromosomico è normale; 85% dei casi sono 46 XX e il 15% sono 46 XY. È stato ipotizzato che nei casi di 46 XX, la patogenesi sia dovuta alla fecondazione di un ovulo “vuoto”, cioè di un ovulo che ha perso i cromosomi materni, da parte di uno spermatozoo aploide (23X) (fig.21) che poi si replica senza citocinesi (fenomeno della androgenizzazione dell’uovo), mentre nei casi di 46 XY può esserci fecondazione dell’ovulo “vuoto” da parte di due spermatozoi aploidi (23X e 23Y) con successiva fusione e duplicazione. Tale ipotesi è supportata dall’analisi genetica del DNA mitocondriale molare. In una minoranza di casi, che generalmente si verificano in un gruppo di pazienti di età superiore, la configurazione del DNA è tetraploide. DUPLICAZIONE 87 Figura21:Risultato della fecondazione di un “ovocita vuoto “da parte di un singolo spermatozoo (23x) con duplicazione del materiale genetico che dà luogo a una formula cromosomica diploide 46xx C’è un’impressionante variazione geografica nella frequenza delle mole complete. L’incidenza di 1 su 2000 parti riportata negli studi classici di Hertig rappresenta una media per le donne giovani e sane negli stati uniti. Nel sud-est asiatico, l’incidenza che viene riportata è almeno quattro, cinque volte maggiore. Incidenze ancora più elevate sono state riportate dal Messico (1 su 200), le Filippine (1 su 173), l’India (1 su 160), la Taiwan (1 su 125) e l’Indonesia (1 su 82). Le pazienti con mola completa tendono ad avere più di 30 anni di età ed è più probabile che seguano una dieta povera di precursori della vitamina A (ciò potrebbe spiegare alcune delle variazioni geografiche menzionate precedentemente). Il rischio viene ridotto da un incremento nel consumo di carotene. Nell’anamnesi, della paziente, un parto pretermine riduce il rischio di gravidanza molare, mentre una mola precedente incrementa enormemente la probabilità di svilupparne un’altra. Mole “ripetitive” sono solitamente di tipo complete, ma possono essere di tipo parziale, oppure una mole completa può essere seguita da una mola parziale. Da un punto di vista clinico, l’utero interessato da mola completa è sproporzionalmente grande rispetto allo stadio di gravidanza. I livelli di siero hCG continuano a salire dopo la quattordicesima settimana, 90 utilità pratica. Ciò è particolarmente vero dall’avvento di tecniche ad alta sensibilità per il monitoraggio dei livelli si siero hCG. Secondo Driscoll, le lesioni molari caratterizzate dalla frapposizione di materiale simil-fibrinico nell’interfase del tumore ospite e dalla presenza di abbondante sincizio trofoblasto rispondono molto bene alla chemioterapia, mentre quelle che hanno una crescita compatta di citotrofoblasto con poca differenziazione tendono a essere relativamente resistenti. Le mole eterozigote (dispermiche), comprese le mole di dispermiche eterozigote XY, sono associate a una più elevata incidenza di patologia trofoblastiche persistente rispetto alle mole omozigote (omospermiche). La terapia iniziale della mola completa consiste nell’evacuazione dell’utero attraverso raschiamento. A questa si fa seguire la determinazione quantitativa sequenziale della sottounità ß del hCG. Di norma si raccomanda la misurazione del livello di siero hCG a 10,20,30,45 e 60 giorni dal termine della gestazione molare. In circa l’80% dei casi, si raggiungeranno livelli normali entro il sessantesimo giorno. Se c’è un aumento del titolo tra il quarantacinquesimi e il sessantesimo giorno o il livello è ancora elevato al sessantesimo giorno, è somministrata la chemioterapia; Ciò è necessario in circa il 20% dei casi. Con quest’approccio, il tasso di guarigione è vicino al 100% (19). 91 A B Figura 22 A,B: mola completa tipicamente descritta a grappolo d’uva (A),con quasi tutti i villi che mostrano degenerazione idropica (B). 92 3.3 Mola parziale Approssimativamente, una percentuale tra il 15% e il 35% di tutte le mole è di tipo parziale. Rispetto alla mola completa, la condizione di mola parziale è spesso associata alla presenza di un embrione (fig.24), sebbene questo di solito sia anormale (“blighted ovum” uovo chiaro, si tratta della cosiddetta gravidanza embrionale). Si pensa che essa sia dovuta alla fecondazione di un uovo con cariotipo 23X con due spermatozoi (23X e 23Y) (fig.23), infatti in questi casi il cariotipo è triploide (69XXY) o tetraploide (92XXXY). Il volume di tessuto placentare è relativamente normale e i villi vescicolari si mescolano a quelli di aspetto normale . I primi mostrano spesso edema focale che porta alla formazione a “cisterna” centrale e il contorno di trofoblasto presenta incisure a volte così accentuate da formare vere e proprie inclusioni stromali di trofoblasto all’interno del villo stesso. Molti dei villi presentano un contorno irregolare e contengono vasi con globuli rossi fetali (nucleati). La fibrosi dello stroma villoso è comune. La proliferazione trofoblastica è presente, sebbene generalmente di grado inferiore rispetto alla mola completa; la vacuolizzazione citoplasmatica del sicinziotrofoblaso è evidente. La maggior parte delle moli parziali sono triploidi (69,XXX o 69,XXY) e alcune mostrano trisomia del 95 3.4 Mola invasiva È così definita una mola che infiltra la parete uterina e, talora, la perfora. Il miometrio appare infiltrato da villi coriali accompagnato da cito e sincizio-trofobasto proliferanti. Questo fenomeno è l’esagerata espressione della normale capacità del trofoblasto di infiltrare il miometrio per favorire l’annidamento dello zigote. Il tumore è localmente aggressivo e può invadere il tessuto parametriale e i vasi sanguigni. I villi idropici possono embolizzare a sedi distanti, come polmone ed encefalo, anche se tali emboli non danno origine a vere metastasi e, anche prima dell’avvento della chemioterapia, andavano incontro a regressione spontanea. Clinicamente, il tumore si manifesta con sanguinamento vaginale e aumento di volume irregolare e l’utero ed è spesso associato a elevati livelli persistenti di gonadotropine e a vari gradi di luteinizzazione dell’ovaia (24). Si presenta con un aspetto a coccarda (fig.25). La diagnosi di mola invasiva deve essere sospettata in caso di persistenza della sintomatologia emorragica dopo evacuazione della cavità uterina di una mola vescicolare e/o quanto il tasso di beta- HCG è anormalmente persistente o in aumento dopo la gravidanza molare. Questi tumori rispondono bene alla chemioterapia (20). Nonostante la mola invasiva sia biologicamente benigna, l’aggressività locale può condurre a rottura dell’utero con gravi emorragie (24). 96 Figura 25:aspetto rigonfio di mola invasiva. Una massa emorragica ha impregnato metà dello spessore della parete miometriale 3.5 Coriocarcinoma 97 E’ una neoplasia maligna del trofoblasto che è di regola preceduta da una mola vescicolare (50%dei casi), ma che può comparire anche dopo un aborto (25%), un parto a termine o raramente nel corso stesso della gravidanza extrauterina. L’insorgenza del coriocarcinoma si verifica per lo più entro settimane o mesi dall’espulsione di una mola, ma esistono anche casi insorti a distanza di molti anni da un’isterectomia per mola o in donne da diversi anni in menopausa, in rapporto all’ammessa possibilità che elementi trofoblastici rimangono nell’utero (ed eventualmente in sede extrauterina) lungamente latenti, prima di subire la trasformazione maligna. A sede abitualmente endouterina si presenta sotto forma di una massa molle, emorragica, che infiltra a varia profondità le pareti dell’utero (fig. 26 A,B). Istologicamente, nei casi tipici, risulta formata di ammassi cellulari costituiti da elementi del citotrofoblasto rivestiti, ai confini con il materiale ematico che li circonda, da cellule sinciziali. Caratteristica è la mancanza dei villi coriali, costante è, inoltre, l’assenza di vascolarizzazione e di stroma proprio che spiega la frequenza e l’entità dei fenomeni di necrosi e che costituisce un importante carattere diagnostico- differenziale nei confronti della mola invasiva, ove la proliferazione trofoblastica si svolge nell’ambito dei villi coriali. La tendenza invasiva verso i vasi, specie venosa, è responsabile dell’aspetto emorragico che caratterizza il coriocarcinoma e delle frequenti metastasi ematogene. Il coriocarcinoma dà frequentemente metastasi ematogene soprattutto ai polmoni, cervello, fegato, reni, ovaie, vagina. In rari casi la metastasi, più spesso a sede polmonare o cerebrale, si sviluppa apparentemente in assenza di un tumore primitivo (22).Il decorso
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