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Studio comparato del trasferimento d’azienda e le garanzie per il mantenimento dei diritti del lavoratore, Tesi di laurea di Diritto del Lavoro

Tesi di laurea in diritto del lavoro internazionale. Studio su i due massimi sistemi di disciplina del trasferimento d'azienda e analisi dei massimi sistemi asiatici

Tipologia: Tesi di laurea

2012/2013

In vendita dal 28/10/2013

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Scarica Studio comparato del trasferimento d’azienda e le garanzie per il mantenimento dei diritti del lavoratore e più Tesi di laurea in PDF di Diritto del Lavoro solo su Docsity! 1 FACOLTA’ DI GIURISPRUDENZA Corso di Laurea in International Business Lawyer TESI DI LAUREA IN DIRITTO DEL LAVORO INTERNAZIONALE STUDIO COMPARATO DEL TRASFERIMENTO D’AZIENDA E LE GARANZIE PER IL MANTENIMENTO DEI DIRITTI DEL LAVORATORE Relatore: Laureando Chiar.mo Prof Giuseppe Tortora Vito Alessandro Mastrorocco 2 ANNO ACCADEMICO 2012/ 2013 INDICE Studio comparato del trasferimento d’azienda e le garanzie per il mantenimento dei diritti del lavoratore. Capitolo 1: Il trasferimento d’azienda secondo l’art. 2112 del Codice Civile italiano. 1.1 La nozione di un trasferimento d’azienda.................……. pag 5 . 1.2 Il problema dell’identificazione del ramo di azienda ..….. pag 11 1.3 Prosecuzione del rapporto di lavoro ..……………………. pag 20 1.4 Conservazione dei diritti dei lavoratori.……..………….... pag 22 1.5 Il trasferimento d’azienda e “l’illeggittimo” utilizzo delle norme...........................................................................................pag26 1.6 Il trasferimento d’azienda in crisi ..………………………..pag 37 Capitolo 2: Transfer of undertaking 5 Presentazione Lo studio che ho condotto riguardante la materia del trasferimento d’azienda è nato dal mio interesse delle problematiche inerenti la figura del lavoratore nella sua situazione di precarietà in determinate situazioni legislative, dovute a lacune normative lasciate da parte dei nostri legislatori. La mia attenzione si è focalizzata su due modalità di disciplina del trasferimento d’azienda una con il common law americano e l’altra con il civil law di stampo europeista. Successivamente ho analizzato le legislazioni degli stati in cui il trasferimento d’azienda è diretto in questo caso delle realtà di Cina Giappone India Singapore e Corea del nord per procedere a rilevare quello che è il sistema che garantisce una più ampia tutela dei diritti del lavoratore. Il trasferimento d’azienda attiene a quella pratica di cambiamento della titolarità di un’azienda o di una parte di essa senza soluzione di continuità. Per rilevare la materia del trasferimento d’azienda americano si dovrebbe fare riferimento transfer of unndertakings. Bisogna considerare che in America il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore è fondato su di una più semplice mobilità lavorativa motivo per cui il contratto stipulato tra datore di lavoro e prestatore risulta più flessibile e ma non per questo medo disciplinato e aperto a soprusi della parte più forte. In sede di trasferimento aziendale o di un ramo di esso la procedura prevede l’informazione dei dipendenti e dei sindacati per poi procedere al licenziamento dei lavoratori trasferiti o la consegna di dimissioni per poi procedere alla riassunzione da parte del cessionario. La difesa del lavoratore in regime di transfer of undertakings si consta in numerosi interventi di tipo federale in merito all’equiparazione delle condizioni contrattuali e lavorative. La prima tra questa è la NRLA in cui in caso di trasferimento di un ramo d’azienda e accorpamento in un'altra si proceda a equiparare quelli che sono i contratti più svantaggiosi grazie anche all’intervento dei sindacati. 6 Un ulteriore manovra è rappresentata dal FLSA fair labor standards act. In cui vengono stabiliti degli standard anche in materia di straordinario per quei lavoratori trasferiti. in ultimo intervengono tutte quelle legislazioni non più a livello federale ma bensì a livello statale per mezzo della pratica del worksman compensation tra cui le responsabilità risarcitorie del datore di lavoro in caso di infortuni sul lavoro del lavoratore trasferito . In Europa non vi è una definizione ben definita di trasferimento d’azienda in tal senso il legislatore ha lasciato che la corte di giustizia europea definisse in seguito alle pronuncie quelli che sono gli elementi essenziali per identificare un’azienda trasferita. Il risultato è in un'entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un'attività economica, sia essa essenziale o accessoria. L’evoluzione normativa ad oggi è culminata in ambito europeo con la direttiva 23/2001 CE in cui sono meglio delineati i diritti spettanti ai dipendenti,questi vengono mantenuti quando la loro impresa viene trasferita. Tali diritti e obblighi sono legati all’esistenza di un contratto di lavoro o di un rapporto di lavoro. Inoltre, il trasferimento dell’impresa non deve costituire un motivo di licenziamento. Al momento del trasferimento, i rappresentanti dei lavoratori mantengono le loro funzioni finché non sia possibile un loro rinnovo. I lavoratori devono continuare ad essere rappresentati, anche in caso di procedura fallimentare o d’insolvenza. Inoltre, i rappresentanti sindacali vengono consultati prima dell’adozione di misure riguardanti i lavoratori. I lavoratori vengono informati sulle condizioni di trasferimento, direttamente o tramite i loro rappresentanti. Tali informazioni riguardano in particolare la data fissata o proposta per il trasferimento, i motivi del trasferimento, le conseguenze giuridiche, economiche o sociali, le misure previste nei confronti dei lavoratori. Dopo aver analizzato il sistema americano e quello europeo che sono i due macrosistemi giuridici più rappresentativi, ho comparato su un livello esterno 7 ossia in direzione di stati verso cui il trasferimento d’azienda è interessato ossia : di Cina, Singapore, India, Giappone, Corea del sud In questo senso ho rilevato come i sistemi asiatici verso cui il trasferimento d’azienda era indirizzato seguono o una o l’altra concezione. La differenza tra i due macrosistemi è la possibilità di continuazione lavorativa del lavoratore trasferito negli stati che seguono la concezione europea come si evince dagli stati di Singapore e Corea del sud mentre negli stati uniti si procede al licenziamento con gli annessi diritti individuali di fine esercizio per poi essere assunti nella nuova impresa e questa concezione è seguita da Cina, Giappone e India. A questo punto durante lo studio ho cercato di rilevare un sistema capace di migliorare l’evoluzione del diritto in merito alla difesa del dipendente in stato di trasferimento d’azienda in ordine alla sempre più veloce evoluzione socio- economica delle imprese. Infatti, in merito alla mia analisi ho rilevato che il sistema italiano e in generale il sistema di civil law ha difficoltà nell’aggiornare le proprie novelle legislative in maniera pronta in ordine ad evitare i frequenti soprusi sui dipendenti grazie ad alcune lacune legislative. La soluzione potrebbe rinvenirsi nel common law un sistema legale articolato sulle decisioni del giudice il quale potremmo dire che detta le regole della società trasmettendo un diritto moderno al passo con l’evoluzione economico sociale. Un passo avanti può essere intravisto nella riforma del codice di procedura civile nel quale all’art.360 bis si è posto l’accento sulla inammissibilità del ricorso in cassazione qual’ora le corti di grado inferiore si siano conformate alla pronunzia di grado superiore. In Conclusione va ricordato che queste considerazioni devono essere poste in un’ottica di contemperamento di quelle che sono le necessità di sviluppo economico di uno stato rappresentato dal lavoro degli imprenditori con le necessità di diritti e tutela dei lavoratori. 10 2112 c.c. e art .47 l.428/1990, d.lgs. n.18 del 2001 e d.lgs. 276 del 2003; direttiva comunitaria 2001/23) In tale aspetto il titolare dell’attività viene a mutare; cambia il datore di lavoro e i rapporti preesistenti continuano con uno nuovo, senza soluzione di continuità, ossia il cessionario acquista l’azienda, ma non ne diventa direttamente l’imprenditore. L'azienda può essere oggetto anche di usufrutto ed affitto, costituiscono in questo caso insieme alla fusione 3 , la scissione, il titolo negoziale o amministrativo un valido titolo di cessione senza la necessità di un titolo di compravendita, ricomprendendo anche quelle operazioni che non prevedono un collegamento contrattuale diretto tra cedente e cessionario; rientrando a buon merito nel trasferimento d’azienda o parte di essa. 4 La disciplina riguarda anche il trasferimento di «parte dell’azienda» intesa come «articolazione funzionalmente autonoma». 5 Restando esclusa invece la cessione dei singoli beni aziendali. Quando il trasferimento ha per oggetto solo una parte del complesso aziendale, ci si trova dinanzi ad una cessione del ramo d’azienda; in questo caso parte dell’azienda stessa deve essere necessariamente preesistente e conservare la sua identità anche dopo il trasferimento. Questa corrente è stata considerata la più autorevole sino alla riforma del mercato del lavoro intervenuta con il d.lgs. 10 settembre 2003. 6 3 Cass., 18 maggio 2011 n.10937, in Giur.it.2012 pag.358 4 Il trasferimento d’impresa tra legge e common law ,Italia e Gran Bretagna a confronto, Jovene,2012 pag.70 5 Art. 2112, co. 5, c.c. 6 Cessione del ramo d’azienda: necessari i requisiti di preesistenza e autonomia Tribunale Ravenna, sentenza 22.01.2013 commento di Giuseppina Mattiello in Altalex.com 11 La giurisprudenza si è espressa a riguardo dell‘art.2112c.c affermando che si ha trasferimento d’azienda “...ogni volta che venga ceduto un insieme di elementi costituenti un complesso organico e funzionalmente adeguati a conseguire lo scopo in vista del quale il loro coordinamento è stato posto in essere, essendo necessario e sufficiente che sia stata ceduta un’entità economica ancora esistente, la cui gestione sia stata effettivamente proseguita o ripresa dal nuovo titolare con le stesse o analoghe attività economiche ...” 7 e che “la nozione di trasferimento di azienda rilevante ai fini dell’art. 2112 c.c. novellato s’identifica con qualsiasi operazione che comporti, indipendentemente dal trasferimento di proprietà dei beni aziendali, il mutamento anche parziale nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità”. 8 Nel caso di cessione di un'azienda il 2112 c.c. elenca la prassi volta a favorire sia i soggetti impiegati nell’azienda e sia la libertà d’iniziativa economica costituzionalmente sancita. Per quanto concerne la procedura da rispettare si fa riferimento all’art. 47 L. 428/90, modificato dall’art. 1, d.lgs. n. 18/2001, questo prevede che in un’azienda con più di quindici lavoratori occupati, il cedente e il cessionario diano preventiva comunicazione dell’atto da cui ne potrebbe derivare il trasferimento o dell’intesa vincolante tra le parti, almeno venticinque giorni prima, alle rappresentanze sindacali aziendali e alle rispettive organizzazioni di categoria. In mancanza delle Rsa, 7 Cass.12 luglio 2002, n. 10193 in Altalex.com 8 Cass. 17 luglio 2002, n. 10348 in Foro italiano 12 l'informazione è dovuta alle organizzazioni sindacali di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Più precisamente, l'informazione deve riguardare i motivi del trasferimento; le sue conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori; le eventuali misure previste nei confronti di questi ultimi. Ricevuta comunicazione, i sindacati, procedono entro sette giorni ad un esame congiunto dell’atto. La procedura d’informazione e consultazione sindacale è comunque esaurita qualora, entro dieci giorni dall'inizio dell'esame congiunto, le parti non raggiungano alcun accordo. Tale obbligo sussiste anche quando la decisione del trasferimento sia stata assunta da altra impresa controllante il cedente. L’obbligo d’informazione grava su cedente e cessionario, che comunicano in maniera scritta alle rappresentanze sindacali (RSA e RSU) nel dettaglio delle unità produttive interessate ed ai sindacati di categoria stipulanti del contratto collettivo applicato, o in mancanza di queste, ai rappresentanti sindacali più rappresentativi. La comunicazione riguarda sia la data effettiva del trasferimento ovvero la data proposta per il trasferimento, i motivi del programmato trasferimento, le conseguenze giuridiche, economiche e sociali che il trasferimento produrrà sui lavoratori, le eventuali misure previste in favore dei lavoratori stessi. L’informazione deve essere eseguita “almeno venticinque giorni prima” al trasferimento, sia in fase d’esordio e sia dal contenuto dell’informazione. In questo modo a fronte dell’informazione suddetta, le organizzazioni sindacali possono chiedere entro i sette giorni successivi sia al cedente sia al cessionario di avviare un esame congiunto, il quale dovrà essere 15 modo tale da attribuire alle parti imprenditoriali il potere d’identificazione del ramo di azienda, inteso come articolazione funzionalmente autonoma di un’entità economica organizzata. La definizione è stata dedotta da quella che è l’oramai abrogata disciplina del marchio di fabbrica. 10 Il ramo d’azienda doveva riprodurre, in dimensione minore, le caratteristiche dell’azienda complessiva, distinguendosi da questa solo dal punto di vista quantitativo e non qualitativo. Quindi la giurisprudenza aveva oramai accettato che l’autonomia del ramo d’azienda dovesse concretizzarsi in un autonomia organizzativa : in cui gli elementi facenti parte della singola frazione aziendale dovevano essere tra loro dotati di una coesione organizzativa e un autonomia funzionale ossia tale da permettere l’esercizio dell’attività produttiva autonomamente. Il ramo d’azienda doveva svolgere un’attività che rappresentava una fase produttiva necessaria al conseguimento del risultato economico finale e al contempo, però, perche potesse essere qualificato come tale il risultato dell’attività del ramo doveva essere assai apprezzabile in sede separata dall’azienda intera. Il principio secondo cui il trasferimento d’azienda non segue la successione nell’impresa, ha influenzato in maniera massiccia la disciplina del ramo d’azienda. Come di consueto l’evoluzione della giurisprudenza riguardante il trasferimento d’azienda ha influenzato anche quella del trasferimento del ramo d’azienda, numerose sentenze hanno cambiato la vecchia concezione con una autonomia del ramo d’azienda solo potenziale. 11 10 Lettura combinata dell’Art.2573 c.c. e dell’Art.15 del R.D. 21 giugno ’45 n.929, in cui il marchio poteva essere trasferito soltanto unitamente all’azienda «o con un ramo particolare di essa» cosi A. Lepore in Il trasferimento d’impresa tra legge e common law, Italia e Gran Bretagna a confronto, Jovene, 2012. 11 Pret. di Milano 16 settembre 1998, cit.Pret.Nola 11 giugno 1998 in Foro.it 16 Con questa inversione di tendenza giurisprudenziale, il ramo d’azienda si ritrova investito di una potenziale idoneità da parte dell’organizzazione ceduta all’esercizio dell’impresa. Ciò significa che le sentenze in materia ravvedono un ramo d’azienda “fermo “ uguale ad un ramo d’azienda operante. Inevitabilmente la fattispecie applicativa si è allargata, infatti, si potrebbe ricondurre ai sensi dell’art.2112 anche il ramo organizzato dall’imprenditore il quale non ha mai eseguito qualsiasi attività, rendendo in un certo senso ammissibile la cessione di un insieme di beni e di rapporti non organizzati presso il cedente prima del trasferimento. 12 Se l’organizzazione di beni e rapporti di lavoro può essere considerata ramo d’azienda, aggregando macchinari, attrezzature e lavoratori in modo tale da creare un ramo d’azienda che, di fatto, non c’è, tale organizzazione può essere creata ad hoc al momento del trasferimento; estremizzando questo comportamento si attribuisce al cedente e al cessionario la massima libertà nell’individuare il ramo da cedere e i lavoratori da licenziare. quindi in questi termini il datore di lavoro si trova in una posizione in cui può espellere il lavoratore senza incappare nel giudizio proprio perche tutto ciò non è avvenuto mediante il licenziamento ma attraverso un “lecito” trasferimento d’azienda. 13 Diverso orientamento invece è previsto qualora vi sia un’effettiva attività del ramo, ossia il ramo deve essere stato organizzato e aver svolto attività, altrimenti non potrà essere considerato come tale ma un insieme di beni ceduti, questa fattispecie effettivamente non è riconducibile all’art. 12 Tesi assunta da S. Ciucciovino in “La nozione di azienda Trasferita alla luce dei recenti sviluppi della giurisprudenza interna e della disciplina comunitaria” p.909. 13 R. Romei, Cessione di ramo d’azienda e appalti, bit, p181 17 2112c.c. ma bensì all’ art.1406c.c. 14 che regola la cessione del contratto per mezzo del consenso del terzo ceduto. Questa giurisprudenza fondamentalmente considera di massima importanza l’attività economica rivestendo il ruolo di “collante” tra gli elementi organizzativi dell’imprenditore, se questi beni sono utili allo svolgimento dell’attività, è pacifico ritenere che costituiscono autonomo ramo d’azienda ex art.2112. Di fatto neanche questa teoria è avulsa da raggiri che potrebbero essere attuati dagli imprenditori proprio perché ci si potrebbe trovare nella situazione in cui beni, macchinari e lavoratori siano parte di un ramo d’azienda regolarmente in attività, ma limitandosi ad una attività temporanea in modo tale da espellere i lavoratori al termine. A questo punto la soluzione potrebbe essere quella disporre cedente e cessionario dinanzi alla condizione di inserire nel ramo degli elementi eterogenei in modo tale che questi possano continuare autonomamente ed effettivamente l’attività, impedendo gli imprenditori della facoltà di convogliare beni non “ eterogenei” inutili a perseguire lo scopo economico del ramo d’azienda. Con il d.lgs. del 2 febbraio 2001, n. 18 si è potuto riscrivere l’art. 2112 c.c. e l’art 47 della l. 428 del 1990 di cui se ne parlerà in seguito, inerente alle procedure di informazione e sindacale. Il nuovo art. 2112 c.c. ha introdotto la fattispecie dell’impresa «ai fini e per gli effetti dell’applicazione dello stesso articolo» definita come «attività economica organizzata» e, per la prima volta, la fattispecie di parte dell’azienda viene intesa come «articolazione funzionalmente autonoma di un attività economica organizzata» 15 . 14 Codice civile commentato ipsoa si veda l’articolo 2112 c.c. 15 Art. 2112 c.c. 5. com., modificato dalla novella introdotta dal D. Lgs. n. 18/2001. 20 conformità a criteri oggettivi ma sulla volontà del cedente e cessionario. 18 A conferma di questa corrente vi era anche una visione della norma nella situazione in cui s’inserisce, ossia una corrente di tipo liberista dedita ad accentuare la flessibilità del lavoro 19 . Il distacco però era ed è evidente tra la forma e la realtà su cui la norma s’impianta, infatti, applicando la norma alla fattispecie in concreto si lascia a cedente e cessionario la capacita di scegliere quando la norma produrrà i suoi effetti, ma tutto ciò si scontra con la realtà che l’art.2112 è una norma inderogabile e dovrebbe produrre degli effetti che prescindono dalla volontà dei soggetti coinvolti. A questo punto una norma inderogabile nella forma diviene derogabile in sostanza non facendo altro che aumentare il contenzioso giuridico. 20 Questa «deriva della nozione di parte dell’azienda» 21 cosi definita da Lepore è stata accentuata dall’intervento dell’articolo 32,comma 4, lett. C, legge 4 novembre 2010 n.186 del 2010 meglio conosciuta come «Collegato Lavoro». La norma in questione tende nella riduzione della tempistica utile per invocare l’applicazione dell’art.1406 c.c. alla vicenda di cessione. Di fatto i termini per l’impugnazione del licenziamento individuale pari a sessanta giorni sono valevoli anche in caso di trasferimento d’azienda con termine decorrente dalla data di trasferimento. Il nocciolo della questione è che nel caso di trasferimento dell’intera azienda il lavoratore ha diritto a ricevere la comunicazione così che per tempo possa impugnare il licenziamento stesso, mentre nel caso di 18 C. Cester, La fattispecie: la nozione di azienda, di ramo d’azienda e di trasferimento fra norme interne e norme comunitarie pag, 219 19 U. Romagnoli, Radiografia di una riforma in lav. e dir. 2004 p.38 20 A. Lepore, Il trasferimento d’impresa tra legge e case law, Italia e Gran Bretagna a confronto. Cit. pag.96 21 A. Lepore, Il trasferimento d’impresa tra legge e case law, Italia e Gran Bretagna a confronto. Cit pag.89 21 trasferimento di un ramo d’azienda quest’obbligo non sussiste lasciando il lavoratore nella situazione di non poter reagire in alcun modo. Parte della dottrina ha ritrovato una soluzione obbligando alla certificazione le aziende che si apprestano a trasferire parte di se stesse. Un’inversione di questa degradante tendenza è riscontrabile nella sentenza del tribunale di Ravenna del 22 gennaio 2013 in cui viene rilevata da parte del giudice un’illegittimità nella cessione del ramo d’azienda avvenuta tra una nota società petrolifera e una new company. Secondo il Tribunale di Ravenna “la presenza dei requisiti previsti dalla norma mira a scongiurare un pericolo anche solo potenziale di elusione della ratio legis; la legge vuole infatti evitare che possano configurarsi progetti di esternalizzazione (astrattamente anche solidi, dal punto di vista imprenditoriale) senza il concreto concorso dei due requisiti; la cui carenza determina di per sé l’illiceità dell’operazione, senza che possa contare né se il cessionario sia più solido del cedente; né se l’attività sia continuata (e per quanto tempo sia continuata): anche perché, sotto questo ultimo aspetto, non conta soltanto se sia continuata la stessa precedente attività; ma conta anche (e soprattutto) come sia continuata”. In questo caso il ramo d’azienda ceduto è stato costituito a ridosso della cessione venendo individuato solo in vista della cessione, la scelta di estrapolare e aggregare alcune entità produttive all’interno di una nuova minore unità è avvenuta, incontestabilmente come dai documenti, solo poco prima e in vista della cessione. Per quanto riguarda il requisito dell’autonomia, il giudice precisa che essa significa autonomia nel funzionamento e nell’organizzazione: il ramo d’azienda non può, pertanto, dipendere per la funzione e per 22 l’organizzazione dal cedente; mentre può dipendere da terzi nei limiti del rispetto dell’identità precedente in quanto cioè lo fosse anche presso il cedente mentre nel caso specifico l’azienda in oggetto dipendeva totalmente dalla cedente ovvero da un contratto di servizio, “necessario per dare continuità all’attività aziendale”. Ad avviso del giudice “Va quindi concluso in termini più generali che l’art. 2112 c.c. non consente di cedere mere attività che debbano essere continuate dal cessionario esclusivamente col ricorso ai servizi del cedente; neppure nell’ipotesi in cui i medesimi servizi siano resi da terzi attivabili dal cedente attraverso subappalto; perché in entrambi i casi manca l’autonomia funzionale e organizzativa del cessionario. Diverso sarebbe nell’ipotesi in cui (nel caso di servizi resi da terzi) si trasferisca al cessionario il potere e la capacità tecnica di attivare da sé il medesimo servizio reso da un terzo”. 22 In conclusione, non ricorrendo gli estremi costitutivi della cessione di ramo d’azienda ex art. 2112 c.c., il giudice ha dichiarato l’illegittimità del passaggio dei ricorrenti alle dipendenze del ramo ceduto e la persistente attualità del contratto di lavoro nei confronti della cedente, condannata ad assegnare ai ricorrenti le precedenti mansioni svolte oppure altre mansioni equivalenti, ai sensi dell’art. 2103 c.c. 23 22 Trib Ravenna, sentenza 22.01.2013 23 Trib. di Ravenna, sent. 22 gennaio 2013 25 tempo. In questo senso si fa riferimento ad una prassi aziendale, ovvero un comportamento ripetuto nel tempo in modo costante, sino a divenire parte integrante del rapporto di lavoro. Una simile prassi rientra tra i cosiddetti "usi negoziali o di fatto": in definitiva, è come se alle clausole previste dalla lettera di assunzione o dal contratto collettivo se ne aggiungesse un'altra, non scritta, ma che diventa comunque vincolante per le parti, e che come tale deve essere rispettata. Anche tale diritto, così come quelli messi per iscritto, non può dunque essere revocato per iniziativa di una sola delle parti, in modo unilaterale, ma deve essere rispettato sino a quando entrambi i soggetti interessati abbiano manifestato la loro intenzione di revocarlo o modificarlo. Dunque, in mancanza di accordi stipulati al momento della cessione dell'azienda, con cui sia stato espressamente autorizzato dai lavoratori (o dai loro rappresentanti) il venir meno della prassi consolidata, questa deve continuare a trovare applicazione. 29 Per la disciplina collettiva, che non s’incorpora nei contratti individuali, il cessionario è tenuto ad adottare per i lavoratori impegnati nella trasferita, i contratti collettivi, anche aziendali, applicati dal cedente prima del trasferimento, tutto questo fino alla scadenza del contratto il quale potrà essere sostituito con uno a livello applicabile all’impresa dell’acquirente. Questo inevitabilmente potrebbe portare ad un sostanziale peggioramento delle situazioni lavorative ma a soluzione di questo eventuale problema 29 Sul mantenimento degli usi aziendali in caso di trasferimento dell’azienda si veda G. Santoro Passarelli, Diritto del lavoro, 56 ss.; Spagnuolo Vigorita, Usi aziendali, Napoli, 1965 e Id., Usi aziendali e diritto del lavoro, Mass. giur. lav., 1988, 684 ss.; De Luca Tamajo in Il trasferimento d’azienda cap. 27 26 subentrano le associazioni sindacali le quali armonizzano i trattamenti tra nuovi e vecchi dipendenti. Nel caso di una modifica sostanziale delle condizioni lavorative il prestatore di lavoro può, nel termine di tre mesi dal trasferimento dimettersi senza preavviso, con il diritto a un’indennità pari a quella sostitutiva del preavviso di licenziamento. Il trasferimento di azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento. Laddove si vada a prefigurare questa particolare fattispecie non si potrà quindi ignorare la mancanza di una giusta causa o di un giustificato motivo ai sensi della disciplina limitativa del licenziamento. La Corte di Cassazione riguardo la questione,ha sancito che il trasferimento, comportando un mutamento nella titolarità dell’azienda e non nella struttura produttiva e organizzativa, non può essere di per sé considerato come giustificato motivo di licenziamento, anche se vi è da considerare la legge,la quale non esclude la possibilità di attivare la procedura dei licenziamenti collettivi per riduzione di personale. 30 Sotto quest’ottica saranno possibili licenziamenti motivati da esigenze tecnico-produttive del cedente o da ristrutturazioni aziendali programmate dal cessionario a condizione che avvengano nel rispetto della disciplina e delle procedure applicabili. In tal senso, nuovamente, la Cassazione ha affermato che la cessione d’azienda può rappresentare un giustificato motivo di licenziamento, nella misura in cui il cedente dimostri la necessità di procedere ad un ridimensionamento del personale occupato dall’azienda, in quanto condizione oggettiva posta dal cessionario per l’acquisizione della stessa. 31 30 Cass. 29 gennaio 1998, n. 796. In foro italiano 31 Cass. 9 settembre 1991, n. 9462. In foro italiano 27 Ove venga illegittimamente disposto il recesso, graverà sul cessionario l’obbligo di ripristinare il rapporto di lavoro, che si considererà come mai interrotto. In caso di licenziamento del lavoratore in occasione del trasferimento d’azienda e d’immediata riassunzione, il datore di lavoro deve provare di non avere alcun intento fraudolento, o l’effettivo, esplicito e anteriore consenso del lavoratore alla risoluzione immediata, altrimenti il rapporto di lavoro si considera come se non si fosse mai interrotto. Il lavoratore, le cui condizioni di lavoro subiscono una modifica sostanziale nei tre mesi successivi al trasferimento d’azienda, può rassegnare le proprie dimissioni per giusta causa con effetto immediato e diritto all’indennità sostitutiva del preavviso. Si tratta di un diritto potestativo in capo al lavoratore in relazione ad eventuali modifiche delle condizioni di lavoro tale da comportare un effettivo detrimento della sua posizione economica, normativa e professionale. L’azienda naturalmente, ove ritenga che i presupposti, nella forma ovvero nella sostanza, siano insufficienti o inesistenti può “opporsi”, qualificando tale recesso, quale semplice dimissione volontaria, trattenendo così il preavviso dalle competenze di fine rapporto. 1.5 Il trasferimento d’azienda e “l’illeggittimo” utilizzo delle norme Qual’ora ci si trovi dinanzi ad una situazione in cui il datore di lavoro proceda al licenziamento in occasione di trasferimento d’azienda si necessita pertanto verificare se l’utilizzo dell’art. 2112 c.c. sia dovuto a un reale e genuino interesse di tipo imprenditoriale, oppure costituisca uno 30 Nella citata sentenza, la Suprema Corte afferma che non sarebbe nemmeno ipotizzabile in maniera astratta, alcuna fattispecie in frode alla legge, dal momento che i licenziamenti collettivi sarebbero stati comunque possibili, e che non vi è nessuna norma che impone la conservazione dell’unità produttiva. In conclusione, secondo la Cassazione «il risultato, proprio della cessione di azienda, di dimettere la veste di imprenditore e datore di lavoro, con le relative obbligazioni, non può in nessun caso considerarsi vietato dalle norme di garanzia dei lavoratori, atteso che l’applicazione di esse non dipende dall’esserne destinatario un soggetto, anziché un altro». Pertanto, esclude a monte che l’istituto del trasferimento di ramo di azienda possa essere utilizzato quale strumento per eludere la disciplina in materia di licenziamenti collettivi. Si tratta tuttavia di una conclusione che ha suscitato diverse – e condivisibili – perplessità in dottrina 35 , e che comunque si pone in contrasto con le conclusioni raggiunte dalla precedente giurisprudenza di merito 36 . 35 P. LAMBERTUCCI, Trasferimento d’azienda e problemi occupazionali, cit., p. 387 36 Nella giurisprudenza di merito un orientamento più consolidato volto a sanzionare, per contrasto con l’art. 1344 c.c., tutte quelle ipotesi in cui lo strumento del trasferimento di azienda venga utilizzato dall’imprenditore quale strumento per realizzare indirettamente lo scopo di espellere dall’azienda i lavoratori esuberanti, senza dover sottostare agli oneri di cui alla legge 223/91. A tale riguardo, cfr. App. Napoli 23 marzo 2001, in Riv. giur. lav., 2002, II, p. 283, con nota di A. SERRETTI, Un diverso strumento di tutela per il diritto del lavoro, e in Lav. giur., 2001, p. 948, con nota di R. VENDITTI, Cessione di azienda e frode alla legge, Ancora su Trasferimento di ramo d’azienda e frode alla legge; T. Padova 25 maggio 2002, cit.; Trib. Treviso 4 novembre 2003, in Lav. Giur, 2004, p. 141, con nota di F. MARCHESAN App. Salerno 24 aprile 2002, cit.;; Trib. Nocera Inferiore 29 maggio 2001, cit.. In dottrina, cfr. ZILIO GRANDI, I fenomeni di esternalizzazione e decentramento produttivo dopo la riforma del mercato del lavoro, in Lav. dir., 2006, p. 431.R. DE LUCA TAMAJO, Le esternalizzazioni, cit., pp. 35 e ss. A. PERULLI, Il trasferimento di ramo d’azienda tra controllo di fattispecie e frode alla legge, in Riv. giur. lav., 2004. 31 È stato infatti correttamente rilevato che non può escludersi a priori una violazione della normativa, ma occorre isolare i singoli precetti di cui alla legge 223/1991, al fini di verificare se con il negozio posto in essere le parti abbiano inteso eluderne l’applicazione. Le norme imperative in relazione alle quali occorre verificare l’eventuale elusione devono infatti essere individuate in tutte quelle disposizioni inderogabili contenute nella suddetta legge e finalizzate a garantire una tutela adeguata ai lavoratori coinvolti, e cioè a quelle che impongono il rispetto di determinati oneri economici e vincoli procedurali 37 , vale a dire: i costi della mobilità (art. 4), le procedure di comunicazione e consultazione sindacale, gli adempimenti amministrativi (art. 4), ma soprattutto il rispetto dei criteri di scelta (art. 5). A tale ultimo riguardo, basti pensare che attraverso il trasferimento di una parte dell’azienda è possibile modificare il novero dei soggetti da comparare al fine dell’applicazione dei criteri di scelta di cui all’art. 5 38 . È infatti indubbio che, affinché possano essere correttamente attuati i criteri di selezione, è fondamentale delimitare l’ambito di applicazione degli stessi, mediante l’individuazione dei lavoratori che svolgano mansioni tra loro fungibili. In definitiva, il risultato vietato - vale a dire la risoluzione dei rapporti di lavoro senza il rispetto delle limitazioni di cui alla normativa in materia di licenziamenti collettivi – viene realizzato attraverso una combinazione 37 A. CESSARI, L’interposizione fraudolenta nel diritto del lavoro, Giuffrè, Milano, 1959, p. 14. 38 Trib. Padova 25 maggio2002, cit., secondo cui è «illegittimo il licenziamento intimato dall’impresa cedente allorché risulti provato,sulla base di circostanza gravi, precise e concordanti, che la cessione dello stabilimento sia stata effettuata al fine di fruire della cessione ex lege dei relativi contratti di lavoro… per eludere in tale modo il sistema di garanzie e tutele previsto per il caso di licenziamento collettivo, con particolare riferimento alle norme che impongono un confronto tra le posizioni di tutti i dipendenti per l’individuazione del personale da porre in mobilità». 32 negoziale fraudolenta costituita dal trasferimento di ramo di azienda e dal successivo licenziamento operato dal cessionario. Pertanto, valutando in modo unitario i due negozi - che singolarmente considerati sono assolutamente leciti – emerge il risultato ulteriore perseguito, corrispondente a quello vietato dalla normativa imperativa di cui alla legge 223/91. A tale riguardo, è stato altresì osservato che, se è vero che non può essere posto a carico del cedente un giudizio prognostico sulle reali ed effettive potenzialità economico-imprenditoriali del cessionario - è però altrettanto vero che la fattispecie del trasferimento di azienda, per definizione, presuppone il subingresso di un diverso imprenditore nella gestione del complesso aziendale al fine di continuare l’attività produttiva. L’art. 2112 c.c., infatti, prevede espressamente che il trasferimento dell’azienda (o di un suo ramo) determina la prosecuzione dell’attività e il mantenimento dei diritti in capo ai lavoratori e che il trasferimento non può costituire, di per sé, un valido motivo di licenziamento. Ulteriore ipotesi di frode alla legge può essere quella in cui il trasferimento di un ramo d’azienda, formalmente legittimo, sia utilizzato quale strumento per eludere la disciplina di cui all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Ciò potrebbe avvenire nelle ipotesi in cui il trasferimento di azienda sia attuato attraverso lo strumento dell’affitto della stessa da un imprenditore che rientra nel campo di applicazione dell’art. 18 ad un altro imprenditore che invece non è assoggettato a tale regime, il quale provveda a licenziare i dipendenti addetti al ramo aziendale ceduto prima di “restituire” lo stesso al cedente alla scadenza del contratto di affitto. 35 Quanto al ruolo da attribuire all’art. 1344 c.c., al fine di verificare la legittimità di un trasferimento di azienda, le opinioni della dottrina sono assolutamente discordanti. Ed infatti, mentre una parte della dottrina valorizza la clausola generale della frode alla legge, quale fondamentale strumento necessario a garantire un’efficace tutela ai lavoratori coinvolti nelle vicende traslative dell’azienda, in particolare nei processi di esternalizzazione 41 , altra parte invece attribuisce scarsa rilevanza alla disposizione di cui all’art. 1344 c.c. evidenziandone il carattere assolutamente residuale (ultimo, minimale, estremo) - utilizzabile solo come extrema ratio, in mancanza di altre e più efficaci forme di tutela 42 – e la scarsa efficacia soprattutto in ragione della notevole difficoltà di dimostrare in giudizio la sussistenza dei relativi presupposti 43 . Tra le due, sembra preferibile la prima impostazione. Ed infatti, anche a voler attribuire carattere residuale al rimedio di cui all’art. 1344 c.c., appare evidente la rilevanza di tale strumento di tutela nelle ipotesi in cui il trasferimento, pur in presenza di tutti requisiti formali e sostanziali di cui all’art 2112 c.c., risulti essere, alla luce di una complessiva valutazione dell’operazione economica - esclusivamente o principalmente finalizzato all’eliminazione di personale sgradito oppure in eccedenza. In siffatte ipotesi, infatti, l’unica tecnica di tutela concretamente utilizzabile è proprio quella della frode alla legge 44 . 41 R. DE LUCA TAMAJO, Le esternalizzazioni, cit, pp. 35 e ss. Lo studioso in questione necessità di «spostare la chiave garantista su una clausola generale anti fraudolenza (sulla falsariga dell’art. 1344 c.c.) capace di colpire qualsivoglia utilizzo indiretto dell’esternalizzazione finalizzata esclusivamente allo smagrimento dell’organico». 42 M.T. CARINCI, Il divieto generale di frode alla legge nel sistema delineato dal D.Lgs. 276/2003 in materia di esternalizzazione, in Lav. giur., 2005, p. 1115. 43 A. PERULLI, Il trasferimento di ramo d’azienda, cit., pp. 797 e ss. 44 A. PERULLI, Il trasferimento di ramo d’azienda, cit. 36 Quanto al problema della prova non vi è dubbio che, in effetti, non è certamente agevole individuare la sussistenza dei presupposti della frode alla legge, soprattutto con riferimento all’intento fraudolento, che spesso si nasconde dietro la fittizia esigenza di ristrutturare e riorganizzare l’impresa 45 e che comunque può emergere solo all’esito di un’attenta valutazione dell’intera operazione economica posta in essere dalle parti. 46 Pertanto, dal momento che gli aspetti maggiormente problematici sono proprio quelli di carattere probatorio, appare allora condivisibile quell’orientamento giurisprudenziale volto alla valorizzazione della prova presuntiva, quale strumento idoneo a far emergere la mancanza di un interesse delle parti meritevole di tutela e quindi, il carattere fraudolento dell’operazione economica. A tal fine il Giudice dovrà valorizzare gli elementi sintomatici dello scopo fraudolento dell’operazione traslativa posta in essere dalle parti. Già la dottrina civilistica, anche risalente, ha messo in evidenza che, per valutare la sussistenza di un’ipotesi di frode alla legge, occorre valutare tutta una serie di particolari circostanze, quali ad esempio il carattere fittizio o apparente delle forme negoziali utilizzate dalle parti, oppure l’inserimento di clausole o patti aggiunti assolutamente inusuali, oppure 45 Trib. Nocera Inferiore 29 maggio 2001, cit., secondo cui «l’illiceità della causa nell’ipotesi di utilizzazione dello strumento negoziale per frodare la legge presuppone un comune intento delle parti di eludere una norma imperativa mediante il negozio in frode alla legge, nel quale ha specifico rilievo il motivo illecito determinante e comune alle parti».Questa posizione non è condivisibile con quanto sopra esposto poiché si necessita valutare il carattere fraudolento nel negozio in senso oggettivo, prescindendo dall’analisi dei motivi, per distinguere le fattispecie dell’ art. 1344 c.c. da quello dell’art. 1345 c.c. 46 Concorde con, E. BARRACO, Cessione di ramo d’azienda, cit. 37 ancora l’esistenza di una successione di negozi diretti ad eludere la norma imperativa. 47 Orbene, applicando la prospettiva appena illustrata alla fattispecie del trasferimento di azienda, assumono rilievo le caratteristiche del cessionario (scarsa consistenza imprenditoriale, sostanziale dipendenza economica dal cedente, eventuale avanzato stato di crisi), le anomale modalità in cui si è realizzata la cessione dell’azienda o di un suo ramo (assenza o inadeguatezza del corrispettivo, totale inconsistenza del ramo oggetto della cessione), oppure l’inserimento del negozio traslativo dell’azienda nell’ambito di una più ampia e complessa combinazione di atti e negozi, volta alla realizzazione di un risultato vietato da norme imperative (trasferimento del lavoratore in epoca di poco antecedente la cessione del ramo aziendale, immediata cessazione dell’attività da parte del cessionario, eventuale riacquisto da parte del cedente di una parte dei beni aziendali trasferiti). La sussistenza delle suddette particolari circostanze consente di superare le difficoltà connesse con l’accertamento in concreto dell’intento fraudolento, non potendosi porre in dubbio la sussistenza della frode alla legge in tutte quelle ipotesi in cui l’operazione non trovi alcuna altra spiegazione, se non quello di eludere l’applicazione di una norma a esse sfavorevole. 48 Questo non vuol dire certamente che la legittimità del trasferimento sia subordinata ad una valutazione prognostica relativa alla continuazione dell’attività produttiva da parte del cessionario, ma semplicemente che non può escludersi a priori il carattere fraudolento dell’operazione laddove, da 47 U. MORELLO, Negozio Giuridico, VI) Negozio in frode alla legge, Enciclopedia Giuridica Treccani, XX, Roma, 1990, pp. 10 e ss. 48 U. MORELLO, Negozio Giuridico, VI) Negozio in frode alla legge, cit. 40 L’accordo sindacale può anche prevedere che una parte dei lavoratori (che vengono definiti “eccedentari”) resti alle dipendenze del cedente. A questi ultimi residuerà però un diritto di precedenza con riferimento alle assunzioni che il cessionario effettui entro un anno dalla data del trasferimento, ovvero entro il maggior termine che all’uopo può essere previsto dagli accordi sindacali. Tale disciplina nazionale, con cui il legislatore aveva concesso di sacrificare tutte o parte delle tutele apprestate dall’art.2112 c.c. a favore dei lavoratori, anche nel caso di aziende soggette a procedure non finalizzate alla liquidazione dei beni, e quindi in accertamento in via amministrativa, risultava però in contrasto con la Direttiva n. 77/187/CEE. In realtà il legislatore italiano aveva, già prima della l. n. 428/1990, emanato una serie di provvedimenti tesi a concedere ad imprese in condizioni di insolvenza o di difficoltà economica la possibilità di deroghe all’art. 2112c.c., al fine di favorirne la commerciabilità La direttiva 77/187, infatti, nell’attribuire ai lavoratori il diritto di passare automaticamente alle dipendenze dell’acquirente e di conservare tutti i diritti maturati in dipendenza del rapporto di lavoro, non recava alcuna disposizione che consentisse di derogare alle tutele previste per i lavoratori, fatta salva unicamente la possibilità per gli Stati membri di prevedere disposizioni più favorevoli per gli stessi lavoratori. L’evidente contrasto tra diritto comunitario e diritto interno non ha fatto altro che intensificare l’azione legislativa e giurisprudenziale per colmare il solco tra le due legislazioni. 41 Non solo, ma la disciplina nazionale contrastava altresì con l’orientamento del giudice comunitario espresso nelle note sentenze D’Urso. 49 e Spano 50 , intervenute, la prima antecedentemente e la seconda successivamente all’entrata in vigore della suddetta legge n.428/1990. Secondo il principio enunciato nella sentenza D’Urso, la Direttiva n. 77/87/CEE non trovava applicazione al ricorrere dell’ipotesi di amministrazione straordinaria, purché la stessa comportasse la cessazione dell’attività dell’impresa ceduta. Nella sentenza Spano, invece, il giudice comunitario censurava le deroghe previste dalla disciplina italiana sui trasferimenti di imprese dichiarate in stato di crisi ex lege n. 675/1977, affermando che: «un’impresa di cui sia stato dichiarato lo stato di crisi è oggetto di un procedimento che, lungi dal tendere alla liquidazione dell’impresa, mira al contrario a favorire la prosecuzione della sua attività nella prospettiva di una futura ripresa» ed affermava, quindi, che una deroga all’art. 2112 c. c. fosse possibile soltanto ove, oltre al requisito dell’accordo, sussistesse anche quella della cessazione dell’attività unita alla finalità liquidatoria. In altri termini, nelle predette pronunce, la Corte di Giustizia europea, sosteneva la necessità, ai fini della disapplicazione della Direttiva 77/187/CEE, della non continuazione dell’attività del cedente. Nell’ambito di tale situazione di contrasto, la Direttiva n.77/187/CEE veniva dapprima modificata attraverso la Direttiva n. 98/50/Ce e, in un secondo tempo, abrogata dalla Direttiva n. 2001/23/Ce, le cui disposizioni, 49 C. Giust. Ce, 25 luglio 1991, C-362/89,Racc.,1991, I, 4139. 50 C. Giust. Ce, 7 dicembre 1995, C-472/93,Racc., 1995, I, 4321.84 DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 2/2013 Approfondimenti cessazione dell’attività unito alla finalità liquidatoria. In altri termini, nelle predette pronunce, la Corte di Giustizia europea, sosteneva la necessità, ai fini della disapplicazione della Direttiva 77/1987/CEE, della non continuazione dell’attività del cedente. 42 oltre a prevedere una serie di tutele e garanzie per i lavoratori interessati dal trasferimento d’azienda, nello specifico agli articoli 3 e 4, contemplavano alcune specifiche ipotesi derogatorie dell’applicazione della stessa. In particolare, la novità più rilevante era rappresentata dalla previsione che consentiva di modificare le condizioni di lavoro dei dipendenti ceduti, nel caso in cui l’impresa fosse interessata da una situazione di grave crisi economica, quale definita dal diritto nazionale e purché, la stessa fosse dichiarata da un’autorità pubblica competente, aperta al controllo giudiziario. Secondo la dottrina maggioritaria, tale previsione appariva come una sorta di sanatoria del contrasto che si era venuto a formare tra l’art. 47, comma quinto, della legge n. 428/1990, che consentiva in specifici casi di disapplicare le disposizioni di cui all’art. 2112 cod. civ., e la Direttiva n. 77/187/ CEE che non contemplava alcuna possibilità di deroga al sistema di garanzie e tutele previsto a favore dei lavoratori . Permanevano, tuttavia, da parte di un certo filone dottrinale 51 , alcuni condivisibili dubbi relativamente alla non conformità della disciplina nazionale con riferimento all’ampiezza della deroga concessa dall’ordinamento italiano in caso di procedure di insolvenza non finalizzate alla liquidazione dei beni dell’impresa, ovvero di procedure amministrative di accertamento dello stato di crisi aziendale . Tali dubbi venivano superati attraverso la valorizzazione della finalità di difesa dell’occupazione cui era ispirata la direttiva, e della considerazione secondo la quale, la contrazione dei diritti dei lavoratori «ceduti», anche di 51 R. De Luca Tamajo, M. T. Salimbeni, Il trasferimento d’azienda in A. Vallebona (a cura di), I contratti di lavoro, tomo 2, in P. Rescigno (diretto da), Trattato dei contratti, Gabriellli, Torino, 2009,1821 e ss. 45 2.1 Il trasferimento d’azienda disciplinato dalla Comunità Europea,dalla direttiva 77/187 sino alla direttiva 2001/23. Come parte del programma d’azione sociale del 1976 nel corso degli anni ’70 fu adottata la direttiva 77/187, sui diritti dei lavoratori nel caso di trasferimento d’azienda, prima, e la direttiva 98/50, poi, la quale ha chiarito i dubbi interpretativi della giurisprudenza europea. Queste direttive rientrano congiuntamente alla direttiva 2001/23 ,nell’ambito della disciplina comunitaria dedita alla salvaguardia dei diritti dei lavoratori, in particolar modo nella tutela dell’occupazione. Esse si prefiggono l’obiettivo di tutelare il lavoratore nel caso di un trasferimento d’impresa. La necessità di queste direttive va rilevata in relazione all’evoluzione economica, sia sul piano comunitario che dei singoli mercati nazionali, che implica modifiche alle strutture dell’organizzazione di impresa, qualora si verificano con trasferimenti d’impresa, di stabilimenti o parti di stabilimenti, ovvero cessione di azienda o rami di azienda a nuovi imprenditori a seguito di cessioni contrattuali o fusioni. Tutto ciò nell’ottica di attenuare le differenze tra gli Stati membri nell’entità della protezione del lavoratore ,e per far sì che queste non si ripercuotano sul funzionamento del mercato comune. Queste le basi su cui era costruita l’iniziale direttiva 77/187, la quale però aveva alcune lacune che sono state colmate dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, come la nozione del lavoratore. In seguito delle innumerevoli pronunce della Corte di giustizia si è giunti alla necessità di fissare i criteri che, la giurisprudenza della predetta Corte aveva elaborato negli anni, da cui è nata la direttiva 98/50 del Consiglio del 29 giugno 1998, la quale apporta chiarimenti alla nozione giuridica di trasferimento d’impresa, estendendo l’applicazione della vecchia direttiva 46 alle imprese private e pubbliche che esercitano attività economiche che perseguano o meno uno scopo di lucro. 2.1.1 I soggetti nella direttiva 77/187/CEE La direttiva 77/187/CEE iniziale s’inquadra nei casi di cessione volontaria d’impresa e fusione. Il legislatore comunitario non si discostava molto da quello nazionale nell’indicazione terminologica dei soggetti coinvolti nel trasferimento, infatti, quello nazionale usava la terminologia “alienante” e “acquirente” rifacendosi direttamente a un’indicazione terminologica tipica delle vendite del codice civile italiano, proprio a indicare il trasferimento di una res o di un’universalità di cose. Quello comunitario individua i soggetti con i termini di “cedente” e “cessionario”, intendendo per cedente ogni persona fisica o giuridica che, in conseguenza di un trasferimento rientrante nell’oggetto della stessa 52 , perde la veste di imprenditore rispetto all’impresa, allo stabilimento o parte dello stabilimento. Per cessionario s’intende ogni persona fisica o giuridica che, al contrario, acquista la veste d’imprenditore rispetto all’impresa, allo stabilimento o a parte dello stabilimento 53 ; per rappresentanti dei lavoratori, quelli previsti dalla legislazione o dalla prassi degli Stati membri; eccettuati i membri degli organi di amministrazione, di direzione o di controllo di società che in alcuni Stati membri quali la Germania che occupano un posto in tale organo in qualità di rappresentanti dei lavoratori. 54 2.1.2 Oggetto della direttiva 77/187/CEE 52 Direttiva 77/187 CEE art.2 a in eur-lex 53 Direttiva 77/187 CEE art.2 b in eur-lex 54 Direttiva 77/187 CEE art.2 c in eur-lex 47 Lo scopo della direttiva era di proteggere i lavoratori in caso di trasferimento d’impresa, in altre parole tutelare i soggetti che già erano all’interno del mondo del lavoro e che svolgevano attività lavorative nel momento in cui si concretava la fattispecie del trasferimento. La direttiva precisava, infatti, che questa si dovesse applicare qual ora si fossero verificati trasferimenti ad un nuovo imprenditore a seguito di cessione contrattuale o fusione; puntualizzando che si dovesse applicare nella misura in cui l’impresa, o stabilimento, o parte dello stabilimento da trasferire si trovi nel territorio della Comunità europea oggi Unione, escludendo le navi marittime. 2.1.3 La tutela dei lavoratori Il legislatore comunitario nella direttiva 77/187 nella seconda sezione disciplina la tutela dei lavoratori sottoposti al trasferimento con l’indicazione di un titolo: «Mantenimento di diritti dei lavoratori» il quale fa trasparire il pieno intento di ancorare la tutela a un principio di conservazione dei diritti e le posizioni contrattuali maturate prima del cambiamento della situazione iniziale. A conforto di ciò vi è la pronuncia della Corte di giustizia nel caso Wendelboe v. L. J. Music 55 , in cui si afferma che la direttiva 77/187 mira a garantire nei limiti del possibile, la continuazione del rapporto di lavoro, senza modificare, con il cessionario, in particolare obbligando quest’ultimo ad osservare le condizioni di lavoro stipulato da un contratto collettivo 56 e tutelando i lavoratori contro i licenziamenti motivati solo con il trasferimento. 57 55 Sentenza Corte di Giustizia della Comunità Europea, 07/10/85, n. 19/83 su eur-lex 56 Direttiva 77/187 CEE art.3 n.2 in eur-lex 57 Direttiva 77/187 CEE art.4 n.1in eur-lex 50 Sagacemente il nostro legislatore indica che l’effetto di sostituzione è destinato a giocare soltanto tra contratti collettivi del medesimo livello, o quando il contratto collettivo applicato nell’impresa cessionaria è affiancato a un contratto integrativo aziendale che determina delle condizioni più favorevoli del contratto collettivo applicato all’impresa del cedente per i lavoratori ceduti. Dalla disciplina della direttiva vanno esclusi i lavoratori che nei singoli contesti nazionali non fruiscono della tutela contro il licenziamento. La norma, quindi, garantisce ai lavoratori ceduti l'applicazione dei contratti collettivi che disciplinano il rapporto di lavoro prima del trasferimento, conferendo a questi contratti collettivi una particolare ultrattività che deroga ai generali principi civilistici sull'efficacia dei contratti, atteso che essi produrranno effetti verso l'acquirente che è un terzo estraneo alla stessa pattuizione. Quest’applicazione “allargata” cessa il suo effetto alla scadenza del contratto collettivo, l'acquirente a questo punto è pienamente svincolato dal rispetto dei contratti applicati in azienda prima del trasferimento. Vi è da annotare che la portata della normativa è limitata in ragione dell'espressa salvezza di altri contratti collettivi applicabili all'impresa dell'acquirente. Questo poiché la ratio della normativa comunitaria e la disposizione attuativa del nostro ordinamento sono indirizzate ad agevolare la circolazione delle vicende d'impresa e stimolare il sub-ingresso del nuovo titolare, evitando chiare situazioni di frizione come nel caso di dover applicare due differenti contratti collettivi nella stesa impresa creando disparità di trattamento, anche a parità di mansione e impiego produttivo, 51 tra i vecchi lavoratori e i nuovi che sono acquisiti per effetto del trasferimento. La prima stesura della direttiva del 77’ come già detto appariva lacunosa era prevedibile pertanto che intervenissero delle richieste di chiarimenti da parte delle corti nazionali presso la corte di giustizia alla quale era stato affidato il difficile compito di fare chiarezza. La prima sentenza di rilievo sul punto è la sentenza Spijkers; la causa è originata dal trasferimento di un mattatoio da un primo imprenditore (Colaris) di un secondo imprenditore (Benedik Abbatoir). Il cessionario del mattatoio aveva rilevato i locali, gli uffici il terreno, alcuni specifici beni e tutti i lavoratori, eccetto il sig. Spijkers e un altro lavoratore. Il sig. Spijkers sosteneva che vi fosse stato un trasferimento d’impresa ai sensi della direttiva 77/187. Secondo la pronuncia della corte si ha trasferimento d’impresa o di stabilimento o di parte dello stabilimento quando è ceduta un’entità economica che ha mantenuto la sua identità nel trasferimento la cui gestione è stata ripresa o proseguita dal nuovo titolare con le stesse o con analoghe attività economiche.60 Per verificare la reale sussistenza della medesima identità da parte dell’entità economica alcuni elementi devono essere rispettati, questi sono: il tipo d’impresa oggetto di trasferimento; se vi è stato o meno trasferimento di beni;il valore dei beni immateriali;se la mano d’opera ha continuato a lavorare presso il cessionario;se vi è stato trasferimento della clientela;se le attività svolte prima e dopo il trasferimento siano simili e la durata di ogni interruzione. 60 C. Barnard, S. Deakin, Il diritto del lavoro della corte di giustizia e le corti britanniche, cit. p. 523 52 Bisogna considerare però che nessuno dei fattori suddetti della sentenza Spijkers vada a chiudere la questione interpretativa . Secondo i giudici della Corte di giustizia gli elementi sopra elencati non devono essere presi isolatamente ma devono essere applicati al caso concreto in combinazione tra loro 61 . La Corte di Giustizia ha preferito un approccio legato al caso concreto e non basato su astratte concettualizzazioni. Tale approccio è preferito dai giudici comunitari perché più adeguato ad armonizzare le discipline degli stati membri sulla nozione d’impresa e di parte dell’impresa. Questo criterio interpretativo è affetto, d’altro canto da, notevole relativismo perché la definizione d’impresa o parte di essa e, di conseguenza, l’ambito di applicazione della disciplina dettata dalla direttiva è sostanzialmente lasciata alle corti dei singoli stati membri. 62 All’interno dei criteri dettati dalla sentenza Spijkers, è possibile leggere due diverse concezioni d’impresa ovvero: l’enterprise-activity (attività d’impresa) e l’enterprise- organization (organizzazione d’impresa) dove stati come Francia Germania e Italia preferiscono il secondo approccio mentre la Gran Bretagna il primo. 63 Dopo alcuni anni dalla sentenza Spijkers la Corte è stata investita dal compito di decidere sull’applicazione della direttiva 77/187 ad alcuni casi di esternalizzazione di servizi. 61 R. Cosio, La cessione delle imprese, in diritto del lavoro dell’unione europea, Milano, 2011, p.339 62 A.Lepore, il trasferimento d’impresa tra legge e “case law”Italia e Gran Bretagna a confronto. 63 P.Davies, Transfer of Undertakings, in S.Sciarra, Labor Law in the Courts, National Judges and the European Court of Justice,Oxford,2001,p.136 55 organizzati per lo svolgimento di un’attività economica. Solo in questo caso l’entità conserva nel trasferimento la propria identità. La sentenza Suzen nella sua novità non abbandona nei passaggi successivi quell’esigenza di raccordo tra legislazioni di stati differenti cercando di trovare un punto di armonizzazione. I giudici comunitari riprendono quelli che sono i principi della sentenza Spijkers, sostenendo che è necessario utilizzare una serie di elementi per valutare se ricorre o meno il trasferimento d’impresa. La semplice similarità dell’attività ceduta non è sufficiente per il giudice interno, poiché l’identità dell’entità economica ceduta emerge da un insieme di elementi ”quali il personale che la compone, il suo inquadramento, l’organizzazione del suo lavoro, i metodi di gestione e ancora, all’occorrenza, i mezzi di gestione a sua disposizione”. 71 Questo relativismo provocherà l’ampliamento della nozione di parte d’azienda nell’ordinamento italiano. In ogni caso è indubbio che la sentenza sia una”pietra miliare” in materia di trasferimento d’impresa tant’è vero che la successiva giurisprudenza della corte di giustizia ha proseguito nel solco dei principi espressi dalla sentenza Suzen. Le conclusioni espresse dalla sentenza Suzen sono state fatte proprie dalla direttiva n.50 del 1998 che ha cosi “legiferato” gli ultimi sviluppi della giurisprudenza della Corte di giustizia e suggellate dalla direttiva comunitaria del 12 marzo 2001 n.23 sintesi dalle due precedenti direttive. 2.2 La direttiva 98/50/CE 71 CGCE, 11 marzo 1997 (causa C-13/95) cit. punto 15in eur-lex. 56 Dopo ventuno anni, dal ’77 al ’98, si avvertiva la necessità di tutelare i lavoratori in adeguamento alla realtà che cambiava. Infatti, si legge nel terzo “considerando” della direttiva che l’obiettivo è di rivedere la direttiva 77/187 “alla luce dell’impatto del mercato interno, delle tendenze legislative degli Stati membri per quanto riguarda il salvataggio delle imprese in crisi, della giurisprudenza della Corte di giustizia, delle norme legislative già in vigore nella maggior parte degli Stati membri”. Facendo nuove considerazioni vi è da dire che la sicurezza e la trasparenza giuridica esigevano un chiarimento della nozione giuridica di trasferimento ,anche alla luce delle pronunzia della giurisprudenza della Corte di giustizia. Tale chiarimento non modificava e non modifica la sfera d’applicazione della direttiva 77/187 come interpretata dalla Corte ; era necessario prevedere espressamente che la direttiva si applicasse alle imprese private e pubbliche che esercitano attività economiche, che perseguano o meno uno scopo di lucro; inoltre era necessario chiarire la nozione di lavoratore; si perveniva a delle modifiche nell’ambito del campo d’applicazione sia oggettivo che soggettivo. Nell’ambito oggettivo si modificava l’art. 1, n. 1, aggiungendo la dizione “parti d’impresa”, a seguito della giurisprudenza della Corte di giustizia che individuava in alcune fattispecie non caratterizzate da cessione di beni materiali un trasferimento d’impresa; in particolare la Corte, nel caso Vidal 72 , ha ritenuto che l’art. 1, n. 1, della direttiva 77/187 deve essere interpretato nel senso che “la direttiva si applica ad una situazione in cui un’impresa, che affidava le pulizie dei suoi locali ad un’altra impresa, decide di porre fine al contratto che la vincolava a quest’ultima e di 72 Cause riunite C-127/96, C-229/96 e C-74/97 in eur-lex 57 provvedere direttamente per il futuro ai lavori di cui trattasi, purché l’operazione si accompagni al trasferimento di un entità economica fra le due imprese” . Ugualmente sussiste trasferimento d’impresa per la Corte nel caso Hidalgo 73 , in cui “un ente pubblico, che aveva dato in concessione il proprio servizio di assistenza a domicilio delle persone disabili o aggiudicato l’appalto per la sorveglianza di alcuni suoi locali a una prima impresa, decide, alla scadenza o in seguito a recesso dal contratto che la vincolava a quest’ultima, di dare in concessione tale servizio o assegnare tale appalto a una seconda impresa, purché l’operazione, anche qui, si accompagni al trasferimento di un’entità economica fra le due imprese”. In entrambi i casi, nelle due sentenze si definiva , entità economica, ciò che la direttiva 98/50/CE ha recepito all’art. 1, n, 1, lett. b), come un insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria; intendendosi per mezzi organizzati anche solo un gruppo di lavoratori specializzati. Nell’ambito soggettivo la direttiva all’art. 2, n. 1, lett. d), recepisce la nozione di lavoratore definendo come tale ogni persona che nello Stato membro interessato è tutelata come lavoratore nell’ambito del diritto nazionale del lavoro. Nell’ambito della conservazione dei diritti dei lavoratori è aggiunta all’art. 3, n. 2, una facoltà in capo ai singoli Stati membri di adottare i provvedimenti necessari al fine di garantire una reale trasparenza nei rapporti tra cedente e cessionario riguardo tutti i diritti e gli obblighi che saranno trasferiti al cessionario, nella misura in cui tali diritti e obblighi siano, o avrebbero dovuto essere, noti al cedente al momento del trasferimento. 73 Sentenza della corte 28 gennaio 1992 ,cause riunite C-173/96 e C-247/96 in eur-lex 60 La direttiva n.2001/23/CE le cui disposizioni, prevedono oltre a una serie di tutele e garanzie per i lavoratori interessati dal trasferimento d’azienda 75 contemplavano alcune specifiche ipotesi derogatorie dell’applicazione della stessa. In particolare, la novità più rilevante era rappresentata dalla previsione (cfr. art. 5.3) che consentiva di modificare le condizioni di lavoro dei dipendenti ceduti, nel caso in cui l’impresa fosse interessata da una situazione di grave crisi economica, quale definita dal diritto nazionale e purché, la stessa fosse dichiarata da un’autorità pubblica competente, aperta al controllo giudiziario. Secondo la dottrina maggioritaria, tale previsione appariva come una sorta di sanatoria del contrasto che si era venuto a formare tra l’art. 47, comma quinto, della legge n. 428/1990, che consentiva in specifici casi di disapplicare le disposizioni di cui all’art. 2112 cod. civ., e la Direttiva n. 77/187/ CEE che non contemplava alcuna possibilità di deroga al sistema di garanzie e tutele previsto a favore dei lavoratori . Permanevano, tuttavia, da parte di un certo filone dottrinale, alcuni dubbi riguardo alla non conformità della disciplina nazionale con riferimento all’ampiezza della deroga concessa dall’ordinamento italiano in caso di procedure d’insolvenza non finalizzate alla liquidazione dei beni dell’impresa, ovvero di procedure amministrative di accertamento dello stato di crisi aziendale. Tali dubbi erano superati attraverso la valorizzazione della finalità di tutela dell’occupazione cui era ispirata la direttiva, nonché della considerazione secondo la quale, la contrazione dei diritti dei lavoratori «ceduti», anche di quello al passaggio automatico, era subordinata al controllo del sindacato, soggetto questi deputato, non solo a mediare tra gli interessi dei lavoratori e 75 direttiva n.2001/23/CE del Consiglio del 12 marzo 2001 artt.3,4 in eur-lex 61 le esigenze dell’impresa, ma soprattutto preposto ad evitare abusi ed utilizzi fraudolenti di cessioni agevolate. 2.3.1 Condanna della Corte Ue Secondo il disposto della Corte, infatti, l’art. 5 della Direttiva n. 2001/23/Ce (riguardante il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’imprese, di stabilimenti o di parti d’imprese o di stabilimenti) fonda la facoltà di disapplicazione delle garanzie previste in caso di cessione di azienda sul presupposto che il cedente «sia oggetto di una procedura fallimentare o di una procedura d’insolvenza aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente stesso e che si svolgono sotto il controllo dell’autorità pubblica competente». In particolare, la Corte ha ritenuto che la disapplicazione dell’art. 2112 c.c. non possa trovare fondamento nella disposizione dettata (cfr. art. 5.3.) 76 dalla suddetta Direttiva, in quanto tale norma autorizza gli Stati membri a prevedere che le condizioni di lavoro possano essere modificate per salvaguardare le opportunità occupazionali, garantendo la sopravvivenza dell’impresa, mentre è pacifico che l’art. 47, quinto comma della legge n. 428/1990, privi semplicemente i lavoratori, in caso di trasferimento d’impresa, di cui sia stato accertato lo stato di crisi delle garanzie previste dagli articoli 3 e 4 della Direttiva n. 2001/23/Ce, non limitandosi a una modifica delle condizioni di lavoro. 2.3.2 Novità legislative successive alla sentenza 76 cfr. art. 5.3 62 A seguito della predetta condanna da parte della Corte di Giustizia europea, il legislatore nazionale, con l’emanazione della legge 20 novembre 2009, n. 166, ha inserito nel dettato dell’art. 47 della legge. n. 428/1990 il comma 4-bis, secondo il quale nel caso in cui sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento anche parziale dell’occupazione, «l’art. 2112 c.c. trova applicazione nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo medesimo» qualora il trasferimento riguardi le aziende delle quali sia stato accertato lo stato di crisi aziendale, ai sensi dell’art. 2, comma 5, lett. c, della legge n. 675/1997 o le aziende per le quali sia stata disposta l’amministrazione straordinaria. Ed è in tale quadro normativo, che s’inserisce la recente modifica legislativa apportata dal c.d. «Decreto Sviluppo», che estende la facoltà di deroga all’art. 2112 cod. civ., con i limiti e le modalità sanciti dal comma 4-bis dell’art. 47, della legge n. 428/1990, anche alle imprese: – per le quali vi sia stata la dichiarazione di apertura del concordato preventivo; – per le quali vi sia stata l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti. L’intervento del legislatore si fonda su un concetto ampio di crisi ed estende la facoltà di deroga all’art. 2112 cod. civ. alle ipotesi d’imprese che versano in situazioni di dissesto, non necessariamente prodromiche all’insolvenza. L’obiettivo di tale modifica legislativa è senza dubbio quello di agevolare la circolazione dell’azienda e rendere più ‘‘appetibile’’ il possibile subentro di altri soggetti nella titolarità dell’impresa. Tale scopo è perseguito, per quanto concerne il concordato preventivo, anticipando gli effetti derogatori dell’art. 2112 cod. civ. al periodo transitorio, che 65 obblighi derivanti dal rapporto di lavoro e preesistenti al trasferimento, il rispetto delle condizioni di lavoro risultanti dai contratti collettivi applicati dal cedente, il divieto di licenziamento connesso al trasferimento d’azienda). Di talché, se da un lato, non può non convenirsi con l’orientamento espresso dal legislatore, secondo il quale nell’attuale situazione di mercato non è possibile, nell’ambito delle vicende circolatorie delle imprese in crisi, congelare le rigide tutele previste dall’art. 2112 cod. civ., dall’altro, risulta, però, difficile valutare fino a che punto possa spingersi il sacrificio dei diritti dei lavoratori sulla scorta di un eventuale accordo in deroga, ai sensi dell’art. 47 comma 4-bis, della legge n. 428/1990, ancorché operato in virtù del principio generale di prevalenza della salvaguardia dell’occupazione sull’interesse alla continuità dei singoli rapporti di lavoro. 2.4 Transfer of Undertakings, Protection of Employment (TUPE) Regulations Alle reazioni negative nei confronti della sentenza Suzen prima e poi alla direttiva 98/50/CE e 01/23CE è seguita la modifica e il rimodernamento del TUPE nel 2006. In questo caso cosi come in Italia il legislatore inglese ha esteso l’ambito di applicazione della nozione di trasferimento d’azienda. La regulation 3del TUPE del 2006 statuisce che la disciplina di tutela si applica alle attività private e pubbliche che operano con o senza scopo di lucro77. Questa definizione consolida l’esistente giurisprudenza della corte 77 TUPE da legislation.gov.uk ;(regulation 3, punto 4) 66 di giustizia che include oramai, le operazioni di esternalizzazione sia nel settore privato sia in quello pubblico. In secondo luogo il TUPE del 2006 include due nozioni a cui è applicata, indistintamente, la disciplina protettiva da esso prevista: una nozione standard, e una estensiva. La regulation 3 al punto 1a, prevede che il TUPE sia applicabile al trasferimento di un Undertaking, business or a part of business or undertaking ”situato immediatamente prima dl trasferimento in Gran Bretagna a un’altra persona. Secondo la definizione standard si applicano le regulation quando è trasferita un azienda o una parte dell’azienda anche se questa non prosegue uno scopo di lucro. Inoltre secondo la stessa disciplina l’azienda o la sua parte è intesa come “un gruppo organizzato di risorse che come obbiettivo ha il perseguimento de un’attività economica principale o accessoria. 78 Secondo la dottrina britannica la definizione standard dimostrerebbe l’attualità dei principi espressi nella sentenza Spijkers del 1986. Di conseguenza nell’interpretazione di questa definizione sono ancora validi i principi espressi da questa pronuncia 79 , con tutte le conseguenze che comporta l’utilizzo dei criteri della sentenza Spijkers. Com’è stato sottolineato, seguendo i criteri dettati dalla Corte di giustizia il trasferimento, dell’entità economica è una questione di fatto che andrà decisa caso per caso sulla base dei criteri dettati dalla sentenza Spijkers. 80 Il TUPE del 2006 ha introdotto una seconda nozione per cui è possibile applicare la disciplina protettiva delle Regulation. Il TUPE risulta 78 TUPE regulation 3 punto2 da gov.uk 79 Vedi sopra sentenza Spijkers 80 J.McMullen,Managing staff transfer,Personel Today,2008,p.10 67 applicabile anche quando vi sia “il mutamento nella fornitura del servizio “ (service forniture change). L’introduzione di questa nuova fattispecie ha due finalità: la prima ravvede le incertezze generate dalla fattispecie di trasferimento d’azienda contenute nella direttiva; la seconda è di creare un substrato unico di tutele tra lavoratori ceduti con un’azienda o parte di essa o lavoratori licenziati e poi assunti dal nuovo datore di lavoro che continua con la medesima attività del cedente. In questo senso la finalità è soprattutto quella di dare maggiore certezza sulla normativa applicabile nel caso di cessione di attività ”labour intensive”, dopo le incertezze che, secondo la dottrina inglese sono arrivate dalla pronuncia Suzen. 81 A ben vedere, ha anche la finalità di ridurre i costi delle esternalizzazioni: tutti i casi di subentro nell’attività non qualificabili come trasferimento d’azienda o di parte di essa cadevano nella redundancy e quindi costavano al datore di lavoro il pagamento di un’indennità di redundancy. Secondo l’art.1b le regulation sono applicabili al “service provision change” cioè al cambiamento nella fornitura del servizio che si verifica in tre casi:1)quando le attività cessano di essere eseguite da una persona (il cliente) per proprio conto e sono eseguite invece da un’altra persona per conto del cliente;2)quando le attività cessano di essere eseguite da un fornitore per nome e per conto del cliente (se o no queste attività sono state previamente eseguite da un cliente per proprio conto) e sono eseguite invece da un'altra persona (un fornitore successivo)per conto del cliente;3) o quando le attività cessano di essere eseguite da un fornitore o da un 81 C. Wynn Evans, Service prevision fragmentation and the limits of Tupe,Law journal; p. 371 70 Com’è stato fatto notare da recenti dottrine l’ampliamento operato dalla seconda nozione introdotta nel TUPE e, in particolare la non introduzione del requisito della conservazione d’identità in questa seconda nozione può vanificare le tutele dei lavoratori con operazioni che aggirino l’applicazione delle norme di tutela attraverso frammentazioni non controllate delle attività trasferite, 84 soprattutto alla luce dell’ultima giurisprudenza della Corte di Giustizia che ha marcato i contorni del requisito dell’identità economica. Secondo la sentenza Dietmar Klarenberg c.Ferrotron tehcnologies Gmbh dopo il trasferimento deve essere conservato il nesso funzionale tra i mezzi che vanno a costituire la parte d’impresa o di stabilimento. 85 La nozione di “service prevision change” consente, invece, sostanzialmente lo smembramento della part of undertaking. A ben vedere con quest’ultima definizione contenuta nel TUPE rimaneggiato nel 2006, può essere inclusa senza difficoltà anche l’ipotesi in cui l’attività sia continuata presso il nuovo fornitore del servizio da un solo lavoratore, mentre prima del trasferimento dovrà esservi un gruppo organizzato di lavoratori com’è prescritto dalla legge. 2.5 Il diritto del lavoro americano e la difesa del “worker” 2.5.1Normativa del lavoro Il lavoro subordinato negli Stati Uniti non differentemente da molte altre nazioni, non ultima l’Italia, è strettamente legato a valutazioni d’interesse pubblico dalle quali ne deriva la particolare regolamentazione in materia di lavoro in generale, di salario minimo, e di trattamento non discriminatorio dei lavoratori. 84 C. Wynn Evans, Service prevision fragmentation and the limits of Tupe,Law journal; p.376 85 CGCE, 12 febbraio 2010; Causa C-466/07 in eur-lex 71 Il sistema del lavoro statunitense permette una certa flessibilità ed è comunque basato sul principio della mobilità lavorativa, ciò non di meno, è protettivo dei diritti dell’individuo nonché di quelli collettivi, ed è altamente regolamentato, con differenze non di poco conto tra Stato e Stato dell’Unione. È quindi sempre consigliabile consultare un avvocato gius- lavorista che possa illustrare adeguatamente la materia e assistere l’imprenditore a evitare i rischi tipici del sistema. 2.5.2Leggi Federali e Statali La legislazione americana sia a livello Federale che Statale, regola ogni singolo aspetto del rapporto tra lavoratore e datore di lavoro. Pertanto, salvo che le parti non si siano diversamente accordate oralmente o per iscritto, la normativa contrattuale consente, sia al datore di lavoro che al lavoratore, la possibilità di risolvere in qualsiasi momento il rapporto lavorativo in essere. Tuttavia, leggi e regolamenti intervengono in materia di ricerca e assunzione del personale, retribuzione, orario di lavoro, previdenza e indennità di lavoro, ambiente di lavoro, norme di comportamento e contro le ritorsioni, licenziamento per esuberi e risoluzione del rapporto. Alcune leggi e regolamenti in materia del lavoro sono estremamente dettagliate, per esempio i regolamenti sui minimi salariali e gli straordinari, altre leggi, invece, stabiliscono principi generali ad ampio respiro che proibiscono certi tipi di comportamenti dei datori di lavoro e dei loro rappresentanti (quali, manager, consulenti, ecc.), a salvaguardia del lavoratore sia esso già dipendente o alla ricerca di un lavoro. 72 La normativa in materia di discriminazione per età, razza, credo religioso, colore della pelle, origine, sesso, invalidità, stato civile, maternità, preferenze sessuali o cittadinanza, è di grande rilevanza e permea tutta la normativa in materia del lavoro. Deve farsi attenzione, in particolare, alle differenti sensibilità, usi, costumi e circostanze sociali, che possono differenziare l’Italia dagli Stati Uniti, in quanto a comportamenti che in questa nazione sono sanzionabili civilmente. Questo è tanto più vero se si considera che negli Stati Uniti azioni civili di rivalsa sono più comuni che in Italia e i risarcimenti per danni anche morali, possono essere molto elevati. Secondo le leggi federali Americane il datore di lavoro è altresì responsabile dell’ambiente di lavoro, non inteso unicamente come sicurezza sul lavoro, bensì come condizioni lavorative in senso più ampio. A tale proposito assume particolare rilievo il concetto di ambiente ostile c.d. “ hostile work environment”. Un ambiente è considerato ostile quando dirigenti, lavoratori o anche consulenti, creino sul posto di lavoro un’atmosfera che interferisce con il lavoro del singolo dipendente o, più in generale, ingenerino un’atmosfera intimidatoria o offensiva. Esempi più ricorrenti di un “hostile work environment” sono: commenti offensivi o lascivi, toccamenti indesiderati, commenti a sfondo sessuale o concernenti parti del corpo, indagini intrusive nella sfera privata del lavoratore, esibizione o messa in circolo di riproduzioni o immagini a sfondo sessuale o che sono irrispettose di altri lavoratori, comportamenti coercitivi volti a ottenere prestazioni di natura sessuale. Anche in materia di persone portatrici di handicap, la legge sia federale che statale detta regole abbastanza dettagliate relativamente all’ambiente di 75 vietano licenziamenti aventi carattere discriminatorio per motivi razziali, religiosi, di salute o di cittadinanza. Nel Michigan si vieta espressamente il licenziamento per questioni di altezza e peso corporeo. Nel Montana invece la tutela legislativa del lavoratore ha raggiunto forse l’ampiezza in assoluto maggiore con il Wrongful Discharge From Employment Act (WDEA) del 1993, il quale riconosce al dipendente licenziato un’azione nei confronti dell’ex datore di lavoro qualora il licenziamento stesso sia stato deciso in assenza di una “good cause”, o in violazione delle regole di disciplina del personale stabilite dall’azienda, o per il fatto che il lavoratore si sia rifiutato d’infrangere norme di public policy. Una legge, quella del Montana, che si ritiene possa indicare la linea di tendenza nazionale in prospettiva futura. Oggi è la legge statale più restrittiva in vigore e si ritiene possa indicare la linea di tendenza nazionale in prospettiva futura. 2.5.4 Transfer of undertakings e outsourcing negli Stati Uniti d’America L’Outsourcing o esternalizzazione è un fenomeno aziendale ed economico in stretta correlazione con la sempre più incalzante globalizzazione. i fenomeni di esternalizzazione più imponenti riguardano l’organizzazione dell’impresa. Annoverabili nel fenomeno di outsourcing ci sono: l’internazionalizzazione; la terziarizzazione, quella pratica aziendale per cui si tende ad affidare a terzi un’attività senza il trasferimento di strutture e dei mezzi a essa necessari; il down-sizing che si sostanzia nella riduzione delle dimensioni dell’organizzazione dell’impresa attraverso il licenziamento; e 76 la delocalizzazione o offshoring il quale consiste nel trasferimento transnazionale di parte dell’azienda portando a un conseguente licenziamento dei lavoratori poiché il loro trasferimento comporterebbe un eccessivo onero per l’impresa esternalizzante. La prassi contrattuale riconosce quattro tipologie di accordi di outsourcing: transfer outsourcing, nel quale un’impresa trasferisce al fornitore del servizio la piena proprietà dell’intero ramo di azienda; simple outsourcing, che non comporta alcuna dismissione di settori aziendali, ma semplicemente la cessazione dell’attività fino a quel momento svolta all’interno dell’azienda e la sua acquisizione sul mercato esterno, sotto forma di servizio; joint-venture outsourcing, in cui un intero settore dell’azienda viene trasferito a favore di una società mista, il cui capitale è suddiviso tra cliente e fornitore; group outsourcing, in cui la società a favore della quale è stato attuato il trasferimento del ramo di azienda rimane interamente controllata dal cliente. Tra le cause che possono portare all’outsourcing l’Union Bustiong è una delle più probabili (appalto a terzi ).L’Union Busting è un termine dispregiativo usato dai media, dalle organizzazioni del lavoro, per descrivere una vasta gamma di attività intraprese dai datori di lavoro, dai loro delegati e dai governi, che tentano di interrompere o prevenire la formazione o l'espansione di organizzazioni sindacali). Mentre i sindacati sono svantaggiati dalla dall'Union Busting, i lavoratori perdono potere contrattuale e sarà più facile per le aziende licenziali e trasferire il loro lavoro all'estero in questo senso è palese come l’outsourcing sia inteso in senso negativo nel nuovo continente proprio per la stretta correlazione con il licenziamento. 77 Di fatto le tecniche utilizzate dall’ordinamento statunitense sono molteplici tese per lo più ad arginare l’esclusione, dei lavoratori esternalizzati, dalle tutele garantite dal contratto collettivo a cui gli altri lavoratori non in questa condizione possono accedere. I datori di lavoro hanno, infatti, la possibilità di esercitare sulla prima tipologia di lavoratori citata, un potere fortissimo per mezzo della stipulazione di un contratto commerciale il quale permette al datore di lavoro la più completa libertà decisionale sul rapporto di lavoro e sulle condizione nelle quali esso si svolge. Il National Labour Relation Act ( NLRA) definita anche Joint Employment Doctrine è una prima tecnica indirizzata ad arginare questo fenomeno poiché permette la “condivisione” del rapporto di lavoro, la caratteristica di questa dottrina permette la qualifica di datore di lavoro a più di due soggetti contemporaneamente di cui uno di questi era il committente . Da ciò ne deriva che irrimediabilmente, i datori di lavoro congiunti sono responsabili della contrattazione collettiva con i rappresentanti identificati dai lavoratori e di quelle che sono le questioni di particolare delicatezza che ne possono derivare dai comportamenti antisindacali e discriminatori posti in essere da uno dei due o più datori di lavoro durante le contrattazioni. La NLRA prevedeva inoltre che in una medesima unità non potessero essere ricompresi dipendenti “condivisi” e dipendenti di un unico datore di lavoro senza il consenso degli imprenditori; questo perché era necessario che gli imprenditori si dotassero di un unico contratto collettivo da usare come base per la contrattazione di gruppo. 86 86 Disciplina raccolta nel sito del Dipartimento del lavoro statunitense; http://www.dol.gov/opa/aboutdol/lawsprog.htm 80 malattia terminale, si può notare come il mercato si sia rimesso ancora una volta in movimento, e di come alcune società con una forte liquidità o con un robusto sostegno finanziario sono alla ricerca di nuovi businesses. Questa potrebbe essere una buona opportunità per ambedue le parti, infatti, il cedente procede per un trasferimento di una parte d’’azienda indesiderata, e l'acquirente acquisisce una nuova linea di attività che integra e aggiorna le sue operazioni correnti. Una situazione a prima vista vincente per tutti, senza tenere in considerazione i dipendenti che lavorano per l'azienda che sta per essere trasferita La maggior parte dei dipendenti, potrebbero preferire il trasferimento insieme al ramo d'azienda, dal momento che probabilmente non ci sarà lavoro per loro dopo la chiusura della transazione. Tuttavia, il compratore non può volere questi dipendenti, poiché potrebbe già avere una forza lavoro che potrebbe gestire tranquillamente e autonomamente il nuovo business in modo più efficiente e conveniente. Solitamente la legge in queste situazioni, sia in Europa sia nel resto del mondo, mette I’ acquirente nella condizione di doversi " mettere nei panni” del venditore e "assumere" tutti i dipendenti con le loro attuali condizioni individuali o collettive indipendentemente dalla giurisdizione in cui si trovano. Tuttavia, il discorso non va fatto solo nella ristrettezza del trasferimento d’azienda in generale ma anche in quello che è il trasferimento di parte di questa. Di seguito si procederà a richiamare i due sistemi generali sopra descritti per poi analizzare quelli che sono i cinque stati asiatici emergenti nell’economia mondiale ossia Cina, Giappone, Corea del sud ,India e Singapore. 81 2.6.1 Il percorso UE La direttiva 2001/23/CE "relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, "afferma, tra le altre cose, che i dipendenti che appartengono al trasferimento vengono automaticamente trasferiti all'acquirente per effetto di legge. Inoltre i termini e le condizioni di lavoro esistenti sarebbero preservati e protetti. Si noti che il principio alla base di questa legislazione UE è esistente in diversi ordinamenti europei di Civil law da ben prima della direttiva Ue del 1977. 2.6.2 Il percorso USA Negli Stati Uniti i dipendenti non hanno un diritto legale di trasferimento con le attività acquisite, e al fine di "andare" con l'acquirente, il loro rapporto di lavoro con il venditore dovrà essere terminato e l'acquirente li assumerà (secondo i termini e le condizioni che le parti convengono). I paesi del resto del mondo, in genere devono seguire l'uno o l'altro approccio, oppure fornire una scelta tra le due possibilità. 2.6.3 Cina In Cina, per far si che i dipendenti “vadano" con il business acquisito in un'operazione di acquisto di asset, il loro rapporto di lavoro con il cedente dovrà essere chiuso e l'acquirente dovrà riassumerli. I dipendenti devono accettare il trasferimento in forma scritta, nel qual caso i loro contratti di lavoro con il venditore devono essere sostituiti da nuovi contratti con l'acquirente. Il processo di trasferimento comprende essenzialmente le seguenti fasi: il 82 cessionario, come il datore di lavoro originario, informa i suoi dipendenti circa il trasferimento proposto e li informa che hanno l'opportunità di unirsi al compratore. Il venditore deve inoltre informare il sindacato o i rappresentanti dei lavoratori circa la transazione e il piano per il trasferimento dei dipendenti. Tuttavia, né il sindacato né i rappresentanti hanno diritto di veto. L'acquirente, come il nuovo datore di lavoro, deve emettere lettere di offerta ai dipendenti cui è proposto il trasferimento. 92 Nonostante non sia obbligatorio, l’acquirente di solito deve riconoscere l'anzianità a tutti gli effetti e fornire gli stessi termini e condizioni del rapporto di lavoro. Se un dipendente si rifiuta di essere trasferito al compratore, il venditore può porre fine il suo lavoro. In tal caso, il venditore deve fornire al lavoratore trenta giorni previa comunicazione scritta o pagare un risarcimento in caso di mancato preavviso, in modo di porre fine al contratto di lavoro 93 . Il venditore deve anche offrire un pacchetto di separazione per il dipendente che non lavora. 94 Se il numero di dipendenti che si rifiutano di essere trasferiti all’ acquirente raggiunge le soglie applicabili per una "massiccia riduzione della forza lavoro" ai sensi del diritto contrattuale del lavoro cinese (vale a dire, 20 persone o il 10% o più del totale della forza lavoro) e il venditore vuole terminarli, il venditore deve informare l'autorità locale del lavoro in forma 92 HSIA-ZELDIN, Recent Legal Developments in the People’s Republic of China, http://www.harvardlawreview.org 93 FORMICHELLA –TOTI, Leggi tradotte della Repubblica Popolare Cinese: legge sui contratti, in Diritto cinese e sistema giuridico romanistico, dir. SCHIPANI – TERRACINA,Torino, 2002. 94 HENDERSON- TORBERT, Traditional Contract Law in Japan and China, International Enciclopedia of Comparative Law 6, 1992 85 I diritti per i dipendenti i quali non sono momentaneamente impiegati ,in caso di trasferimento di un impresa, sono regolati dai termini e dalle condizioni del contratto di lavoro. Se il cessionario rifiuta di impiegarli e non il cedente vuole mantenere i dipendenti o non vuole impegnarli in un'altra zona dell’ azienda, dovrà solo fornire loro i diritti di risoluzione contrattuale. 99 Se il compratore decide volontariamente di assumere questi dipendenti, i contratti di lavoro devono essere terminati e i dipendenti selezionati devono essere assunti dal cessionario, per i dipendenti rimasti fuori dalla selezione si può seguire una procedura molto simile a quella sopra descritta per gli operai (salvo si applichino disposizioni contrattuali speciali). La differenza principale sarebbe che la lettera di offerta non deve riconoscere l'anzianità o fornire agli stessi termini e condizioni, anche se è consigliabile assicurarsi che i dipendenti accettino l’offerta. 100 2.6.5 Giappone In Giappone , come regola generale , i dipendenti di un ramo d'azienda non vengono trasferiti, per legge quando il ramo d'azienda è stato acquistato tramite un accordo transattivo (un " jigyoujouto " ) .Anche se un dipendente della divisione aziendale acquistata è specificato nel contratto di acquisto di attività come dipendente da trasferire , il compratore deve aver 99 Consent of Workmen for Transfer of Undertaking – The Supreme Court Strikes New Ground in Industrial Jurisprudence di Rohit Das in pxvlaw.wordpress.com. 100 UNIT TRUST OF INDIA (TRANSFER OF UNDERTAKING AND REPEAL) ACT, 2002 capitolo 2 in www.prsindia.org/ 86 ottenuto per il consenso del lavoratore per procederere al trasferimento.101 I tribunali giapponesi hanno riconosciuto il diritto di un dipendente non consenziente a rimanere impiegato presso il venditore . 102 Se il committente è obbligato a mantenere i termini e le condizioni di un dipendente trasferito, dipende dal metodo di trasferimento scelto . Qualora l' acquirente riuscisse a stipulare il contratto di lavoro tra il lavoratore e il venditore , l'acquirente dovrebbe ottenere il consenso del dipendente prima di cambiare le condizioni di lavoro a scapito del lavoratore , per timore che il cambio svantaggioso sia invalidato come una violazione della legge . D'altra parte , quando il venditore e il dipendente dissolvono il loro rapporto di lavoro e l'acquirente ingaggia l'impiegato da poco, l'acquirente e il lavoratore possono convenire di nuovi termini e condizioni di lavoro senza fare riferimento a precedenti termini e condizioni di impiego del dipendente con il venditore. 103 In parte a causa degli aspetti sopra menzionati di diritto del lavoro di un asset deal (cessione di elementi dell’attivo) , le vendite della divisione di affari in Giappone che coinvolgono molti dipendenti sono spesso svolte dalla cessione (scorporo) della divisione aziendale come una nuova società , le cui totalità delle azioni vengono poi vendute all’acquirente . 2.6.5.1 Procedimento Il venditore ed il compratore dovrebbero raggiungere un'intesa riguardo a quali dipendenti accompagneranno il ramo d'azienda all’acquisto . 101 Employment & Industrial Relations Law, International Bar Association Legal Practice Division, Eric Kosinski, Jiong Deng 102 Da Foreign Workers' Handbook 2011 in www.hataraku.metro.tokyo.jp/ 103 Japan labor review; volume 1, numero 2, inverno 2010; the Japan institute for Labour policy 87 Il venditore dovrebbe raggiungere dei compromessi con i dipendenti e i e sindacati (se presente) il più presto possibile . In pratica , i tribunali giapponesi e l'amministrazione del lavoro , l'Ufficio del Lavoro , spesso considerano il preavviso e la consultazione con i dipendenti come un fattore per determinare se le azioni del datore rispettano il diritto del lavoro giapponese . Alla chiusura del deal , ogni dipendente dovrebbe: fornire il suo consenso al trasferimento ( se l'acquirente stabilisce un contratto di lavoro con il dipendente ) o eseguire un accordo di pensionamento e un contratto di lavoro ( se il dipendente sta per lasciare l'occupazione con il venditore e iniziare un nuovo rapporto di lavoro con l'acquirente ). Se l'acquirente stipula dei contratti di lavoro con i dipendenti , dovrebbe o prendere accordi per far godere delle stesse condizioni i dipendenti, o guadagnarsi il loro consenso per cambiare le loro condizioni di lavoro e conformarsi con gli altri dipendenti del committente. 104 2.6.6 Singapore La sezione 18A del “Singapore Employment Act” (Atto di impiego di Singapore) stabilisce il trasferimento automatico di determinate categorie di lavoratori per cui un datore di lavoro trasferisce un’azienda ad un altro datore di lavoro in regime di continuità, come in una transazione di acquisto di asset. Questa disposizione riguarda i dipendenti assunti nel quadro di un contratto di servizio, ma esclude coloro che detengono una posizione manageriale o esecutiva. 105 104 Consent of Workmen for Transfer of Undertaking – The Supreme Court Strikes New Ground in Industrial Jurisprudence di Rohit Das in pxvlaw.wordpress.com. 105 Labor relation in www.mom.gov.sg/ 90 trasferimento di occupazione ( "ETA" ) per confermare il consenso dei dipendenti interessati . Gli accordi di trasferimento occupazionale sono necessari se ci sono modifiche dei termini e delle condizioni di lavoro . 2.6.7.1 Procedimento Il venditore informa i lavoratori interessati riguardo al trasferimento delle attività . Se il venditore ha un Consiglio di Gestione del Lavoro ( "LMC" ) , queste informazioni possono essere fornite in occasione della riunione LMC come parte integrante dei piani di gestione generale. Se non c'è un Consiglio di Gestione del Lavoro (LMC) , non vi è alcun requisito specifico riguardo a come i dipendenti debbano essere informati . Preparare ed eseguire ETA tripartiti, trasferire i file di lavoro dei dipendenti che hanno accettato il trasferimento. Preparare / aggiornare il Regolamento di Occupazione (ad esempio , le regole di lavoro ) per il compratore se necessario; riportare alle autorità competenti del lavoro subito dopo la chiusura se il compratore quindi ha più di 10 dipendenti a seguito del trasferimento. Preparare / aggiornare lo statuto LMC per il compratore , se necessario , riportare alle autorità competenti del lavoro subito dopo la chiusura se il compratore quindi ha più di 30 dipendenti a seguito del trasferimento. segnalare il file di cambiamento di status per il venditore, l'acquirente o i dipendenti trasferiti , se necessario, alle agenzie governative in rispetto a diverse questioni di lavoro. 111 Ognuno di questi cinque stati chiave asiatici ha le proprie peculiarità quando si tratta di trasferimento dei dipendenti a seguito di una transazione 111 Si veda la procedura cosi come indicata nel : www.thekoreanlawblog.com sito del Labor management Council del Sud Corea. 91 di acquisto di asset. Tuttavia, possiamo vedere alcune somiglianze tra di loro e di come essi tendano a propendere più per l’approccio degli Stati Uniti o dell'UE. Da un lato, la Cina, l'India e il Giappone sono più vicini agli Stati Uniti in quanto non vi è alcuna opzione legale per i dipendenti da trasferire automaticamente alla chiusura della transazione. Tuttavia, la principale differenza con gli Stati Uniti rimane il fatto che se questi dipendenti, ad eccezione dei non-operai in India, vengono licenziati, avranno diritti individuali di fine esercizio e diritti in genere non previsti dal regime di occupazione degli Stati Uniti. D'altra parte, la Corea del Sud e Singapore seguono un approccio più simile a quello dell’Unione Europea che fornisce ai dipendenti la possibilità di trasferirsi automaticamente alla chiusura della transazione. Tuttavia, questi paesi forniscono alternative per le parti a modificare i termini e le condizioni di impiego applicabili dei dipendenti trasferiti, che non avrebbe funzionato secondo gli standard europei. 92 Capitolo 3 Conclusioni 95 riconosciuti dalla Costituzione. In Gran Bretagna con il Transfer of Undertakings and Protection Employment si è dettata una doppia nozione ossia una facente riferimento al trasferimento d’azienda cosi come dettato dalla direttiva europea e l’altra permette di estendere l’applicabilità del TUPE a tutti quei casi in cui si realizza un subentro dell’attività economica. Detto questo sia nel sistema italiano sia in quello inglese è possibile notare come se pur presenti le indicazioni Comunitarie l’accesso a una disciplina ancor più favorevole per il lavoratore non è impedita dal legislatore comunitario. Ma in realtà la prima esperienza applicativa mostra che l’ampliamento delle fattispecie di applicazione delle norme inerenti il trasferimento d’azienda comporta un effettivo abbassamento di quelle che sono le condizioni favorevoli, non potendosi giustificare nella clausola “di miglior favore” dell’art.8 della direttiva. La fattispecie dettata nella direttiva del 2003 sembra contraria al diritto europeo sotto il profilo dell’identità, infatti, secondo la sentenza Rygaard, l’entità deve essere intesa come una stabile entità economica, questo parametro pur se non riprodotto nell’ultima direttiva va comunque a integrare quest’ultima grazie all’apporto delle sentenze da parte della corte di giustizia intervenute successivamente tra le quali la sentenza Suzen la quale definisce meglio il concetto di entità economica . 115 3.2 Questioni relative l’ avvicinamento degli ordinamenti di common law e civil law 115 In questo senso si è passati da una definizione di “entità economica organizzata in modo stabile” nella sentenza Rygaard ad una definizione di attività economica la quale ricomprende non solo l’attività ma anche beni, personale e organizzazione lavorativa. Si veda Francesco Buffa , Giuseppe De Lucia in Il lavoratore nel trasferimento d’azienda, Halley Professionisti, 2006 pag.56 si veda inoltre cap.II 96 Guardando a ritroso negli ultimi decenni le riforme che interessano l’ordinamento giuridico e, in particolare, la materia del diritto del lavoro sono sempre più frequenti. Anche l’ultima riforma del mercato del lavoro ha conservato tale linea di tendenza essendo, a ben vedere, le rigidità introdotte davvero marginali 116 e quindi, meno adattabile ai mutamenti economici, poiché, impedisce alle parti di disporre dei suoi effetti. Di conseguenza il legislatore ha tentato di rimediare all’incapacità regolativa (effettiva o presunta) della norma attraverso sostanzialmente due tecniche normative. 117 In primo luogo nell’emanazione delle nuove norme ha lasciato più spazio all’autonomia privata individuale e collettiva. Nella convinzione che la norma come strumento di regolazione della realtà è in crisi perché incapace di cogliere la crescente differenzazione e moltiplicazione degli interessi presenti nel tessuto sociale, il diritto statale ha demandato alla realtà sociale il compito di autoregolarsi 118 . In altri termini a causa della globalizzazione il momento di regolazione delle dinamiche di mercato è spostato dalla legge al contratto. 119 Nel diritto del lavoro questo si traduce nella sempre più frequente delega della legge al contratto collettivo perché integri il precetto legale 120 . È lasciato, pertanto, alle parti sociali il compito di regolare settori nevralgici della disciplina del rapporto di lavoro; o, addirittura, come emerge dalle ultime riforme del mercato del lavoro, il compito di regolare profili, 116 A. Vallebona, la riforma del lavoro 2012, Padova p.29 117 P.Ichino, norma inderogabile e valorizzazione dell’autonomia individuale nel diritto del lavoro in riv.giur.lav. 1990 p.77 e ss 118 In questa situazione inizia a venir meno anche quel pilastro individuato nell’art.18 della L.300 del 1970 cosi come A.Lepore in il trasferimento d’impresa tra legge e case law,2012 p.193 119 M.Rusciano, Il contratto collettivo, in Trattato di diritto privato, 2004,p.185 120 F.Galgano, La globalizzazione nello specchio del diritto, Bologna ,2005,p.93 97 talvolta anche importanti della disciplina del rapporto, è demandato all’autonomia individuale, mentre l’intervento del contratto collettivo è successivo e alternativo rispetto a quello del contratto individuale il quale assume maggior rilevanza dato il contenuto inevitabilmente più “vantaggioso” per il lavoratore 121 . La legge ha attribuito all’autonomia individuale, nuovi strumenti di disposizione dei diritti nascenti dal rapporto di lavoro che si affiancano a quelli previsti (percorso di derogabilità assistita, certificazione in corso di rapporto) 122 . Nella disciplina dei rapporti di lavoro sono introdotte un sempre maggior numero di clausole a precetto generico che sostituiscono clausole a precetto specifico, più rigide perche meno facilmente adattabili dall’interprete all’esigenze dell’imprenditore. 123 Basti pensare alla disciplina del contratto a tempo indeterminato, o all’associazione in partecipazione con l’apporto di lavoro 124 . Purtroppo, però, le norme a precetto generico sono portatrici di incertezza e tale incertezza aumenta quando le norme sono ambigue. La ragione della loro ambiguità è dovuta a più fattori. In alcuni casi all’imperizia del legislatore. In altri casi l’ambiguità è dovuta alla circostanza che le norme traspongono una disciplina che è il risultato di un compromesso raggiunto altrove, spesso in sede sindacale. 121 R.de Luca Tamajo,interesse collettivo e interessi individuali nella giurisprudenza in tema di crisi e riorganizzazioni aziendali, in studio in onore di E.Ghera, Bari,2008 p.313. Si veda inoltre 122 A.Vallebona, l’incertezza del diritto del lavoro e i necessari rimedi, in Riv.it.dir.lav. 2004,p.24. 123 A.Vallebona, Le tecniche normative nella riforma dei lavori, Dir.Lav.,2004,p.195 124 L.Mengoni ,L’argomentazione orientata alla conseguenza,cit.p. 6
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