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Riassunto Simboli e miti della tradizione sciamanica - Corradi, Prove d'esame di Lingue

riassunto dell'opera Simboli e miti della tradizione sciamanica - C. Corradi

Tipologia: Prove d'esame

2013/2014

In vendita dal 06/10/2014

Erica.Betti
Erica.Betti 🇮🇹

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Scarica Riassunto Simboli e miti della tradizione sciamanica - Corradi e più Prove d'esame in PDF di Lingue solo su Docsity! Simboli e Miti della Tradizione Sciamanica di C. Corradi • Simboli e Miti della Tradizione Sciamanica Ugrofinnica e Siberiana – C. Corradi Nelle antiche società nomadi la pratica dello sciamanesimo era correlato allo scenario mitico delle origini, determinando anche un codice di comportamento; la costante applicazione delle credenze mantenne tale funzione regolatrice anche durante la dominazione straniera, poiché erano espressione di un immaginario rispondente alle esigenze collettive, connesse con l’habitat naturale e ostile. Infatti, proprio nei territori più sfavorevoli e isolati, si sono meglio conservate le pratiche degli antenati, e sono ancora socialmente condivise; la straordinaria durata di tale sistema di credenze si spiega alla luce dei principi originari su cui si basa, a-temporali e a-spaziali, frutto di un pensiero elaborato e volto alla salvaguardia di un equilibrio nell’uomo e nella natura. Purtroppo radicati pregiudizi spinsero gli stranieri a sottovalutare e a ritenere primitive tali sistemi, che in realtà si presentano come ben strutturati, flessibili, e fondati sulla concezione della complementarità delle opposizioni. La cosmologia si presenta tripartita nelle sfere del cielo, della terra, e del sotterraneo, in opposizione complementare tra loro, e ogni elemento si presenta come potenzialmente ambivalente, nel senso che non è mai preso in considerazione autonomamente, ma in quanto complementare ad un suo opposto (luce/buio, nord/sud, freddo/caldo…): anche inizio e fine, vita e morte sono tappe strettamente correlate, e appaiono dicotomiche solo agli uomini, che sono incapaci di cogliere la loro unità primordiale, che invece lo sciamano è in grado di vedere. Esse sono le parti costitutive dell’esistenza, che si alternano all’infinito: l’idea di caducità diventa quindi il presupposto necessario per la renovatio, poiché essa è resa possibile solo dalla distruzione e dalla morte, che permette ad doppio (o anima imperitura) di ogni essere di rafforzarsi e rigenerarsi, rivestendo nuove sembianze fisiche attraverso naturali processi di metamorfosi. Eventuali forme animali o vegetali non costituiscono un regresso, poiché ad essi in realtà sono attribuite qualità superiori a quelle dell’uomo: ai primi perché sono dotati di maggiore forza o abilità, agli altri perché sono capaci di rinnovarsi attraverso gli stagionali cicli di morte e rinascita. I simboli e i miti riguardanti l’uomo si fondono con quello della natura, che si presenta sempre come preminente, e con la quale l’uomo deve mantenersi in sintonia, cercando di coglierne i messaggi per dare un senso alla propria esistenza, cadenzata appunto da un ritmo naturale. Le ambivalenti energie del cosmo suscitavano preoccupazione e determinarono una profonda e meditata creazione di simboli che si traducono nell’immaginario mitico: - il Dio del Cielo era la divinità suprema, e altro non era che la divinizzazione della volta celeste, talmente potente che l’uomo non osava rivolgersi ad essa; - il Sole, principio femminile, attorno al quale si sviluppa una forte simbologia, da cui deriva uno spiccato carattere eliocentrico, dovuto al timore dell’oscurità tipico degli abitanti del settentrione. Il sole, simbolo di iniziazione per eccellenza, fulcro dell’energia vitale in continuo rinnovamento, regno della conoscenza e della sapienza, meta del volo magico dello sciamano, veniva rappresentato sotto forma di disco o ruota; - l’ Albero Cosmico era intrecciato con la simbologia dell’astro celeste, immaginato sorreggere al centro del mondo la volta celeste e toccare con le radici gli abissi più profondi; presso i popoli pescatori abbiamo l’analogo concetto di Fiume del Mondo, analoga pista di comunicazione tra uomini e spiriti. L’Albero Cosmico era spesso identificato con la betulla, connessa con il cielo e la sua luce (runico berkana, betulla, dall’indoeuropeo *bher-, altezza e splendore), tanto che le sue fronde erano usate in diverse cerimonie sacre volte a favorire la fecondità, e il suo legno per costruire il tamburo degli sciamani (nel Kalevala si narra persino che Vainamoinen vi costruì la cassa del suo kantele). L’albero sciamanico rappresenta su scala ridotta l’albero cosmico, in entrambi i casi con la funzione di scala per raggiungere ogni sfera dell’universo, e si riallacciano a tale idea le rappresentazioni dell’albero archetipo come alta montagna o albero rovesciato, quest’ultimo simbolo dell’aldilà, con le radici rivolte al cielo, simbolo della provenienza dall’alto di tale forza; non a caso, l’albero cosmico capovolto, venerato come idolo dai Lapponi e dipinto sui tamburi era ritenuto come la via di risalita dal mondo sotterraneo durante l’iniziazione. Presso i Magiari o altri popoli ugrofinnici, esso era sostituito da un castello ruotante, posto su una zampa, che simboleggiava l’oltretomba pericolosa che l’eroe sciamano cercava di raggiungere. Sia le piante sacre che i Boschetti sacri assunsero il valore di luoghi iniziatici, poiché assunsero connotazioni totemiche come tramite tra il mondo terreno e la realtà altra; - l’Acqua era spesso raffigurata ai piedi dell’albero sacro, ed era simbolicamente affine alla vegetazione sacra, anche nel suo rapporto con il sole. Era posta in connessione con la creazione e la nascita, e infatti è inserita nei miti cosmogonici (es. Uccello Tuffatore, oppure Ilmatar fecondata dalle onde dell’oceano primordiale, o ancora i miti iacuti e buriati dell’acqua della vita celata nella sorgente dell’albero del mondo, capace di resuscitare i morti). Le novelle spose erano solite abbigliarsi il giorno delle nozze nella sauna o nella corrispondente stanza da bagno, fiduciose nelle proprietà magiche dell’acqua; qui si svolgevano anche i parti, le commemorazioni dei defunti, e si curavano le malattie; l’acqua era premessa indispensabile per ogni rigenerazione, ma anche simbolo di purezza e strumento di purificazione: in essa infatti lo sciamano in trance poteva vedere la verità, e quando era nel ruolo del medicine man la utilizzava per allontanare lo spirito della malattia trasferitosi dal corpo dell’infermo nel suo. Ma come tutte le cose anch’essa è ambivalente: infatti gli sciamani neri potevano gettare nell’acqua le peggiori malattie, affinchè colpissero i viventi. Il mitico e cosmologico legame dell’acqua con l’aldilà spiega l’uso dei popoli siberiani di costruire, al decesso, una zattera affinchè conducesse il morto nell’oltretomba, seguendo la corrente fluviale più vicina; da qui anche la venerazione dei fiumi come totem tribali, ai quali venivano riservate anche precauzioni e speciali tabù, specie in primavera, periodo del ritorno dei morti. Citiamo anche i mitici Sajva lapponi, laghi o montagne sacri, dove risiedevano gli sciamani defunti sotto le sembianze di uccelli o pesci, collocati in una dimensione a metà tra cielo e terra o tra terra e inferi; infine dagli studi emerge la valenza iniziatica dell’acqua (riscontrabili sia nelle tradizioni che nelle leggende: ramoscelli di betulla gettati in acqua la sera di S. Giovanni, Lemminkainen che, smembrato, viene ripescato dalla madre e riportato alla vita), ben rappresentata dalle spade fatte cadere dagli ugrofinni nell’acqua come offerta all’astro celeste per propiziarne il quotidiano viaggio di rinascita, poiché erano immaginate come in relazione con i raggi di sole all’alba. Il legame tra acqua e sole è implicito in numerosi miti, come quello della Grande Quercia (Iso Tammi) che oscurava sole e luna, abbattuta poi da un nano uscito dal mare, poi caduta nel fiume di Tuonela e diventata il ponte tra mondo dei vivi ed aldilà. Tutti i ponti, via di passaggio per il doppio dei defunti o dei candidati sciamani, erano considerati fonte di pericoli estremi, poiché l’idea di rigenerazione dell’acqua era inscindibilmente connessa all’idea di una necessaria morte iniziatica; gli ugrofinni reputavano pericolosi anche i luoghi nei pressi dei mulini, poiché gli spiriti dell’acqua potevano richiedere persino sacrifici umani (tale antropofagia era da considerarsi come una probabile forma di reclutamento, simile alla chiamata dello sciamano da parte degli spiriti). - il Fuoco era visto in opposizione complementare con l’acqua, sottolineata dalla comunanza di caratteri simbolici dei due elementi: infatti, come emblema di luce, calore e verità (era invocato nei giuramenti) esso faceva da unione tra uomo e spiriti; secondo le credenze di certi popoli, il fuoco incarnava addirittura l’anima dell’antenato tribale, e il suo crepitio rappresentava il linguaggi dei morti. Nelle cerimonie sacrificali si era spesso soliti gettare la vittima direttamente sulla fiamma, in modo che lo spirito del fuoco la portasse alla divinità cui era rivolta. Per la sua forza creatrice e la sua potenza distruttiva, il fuoco, di origine celeste, era venerato ma al tempo stesso temuto, proprio come il fabbro e lo sciamano, entrambi iniziati in grado di dominarlo; per mantenerne la benevolenza, al suo spirito si rivolgeva una vera e propria forma di culto, di probabile origine iranica. Il suo spirito antropomorfico, immaginato come femminile, era immaginato come rosso o comunque vestito di quel colore (specie in Siberia), rappresentante la rinascita, e pertanto era una divinità psicopompa; in accordo con queste credenze, il luogo dover era ubicato il focolare domestico, per lo più al centro dell’abitazione, proiezione microcosmica del centro del mondo, era riservato al culto degli antenati. Inoltre, come compagno di iniziazione, il fuoco era acceso nei momenti più importanti dell’esistenza (nascita, matrimonio, morte) o nelle feste maggiori, come quelle solstiziali. La flora e la fauna sacra erano caratterizzate da un totemismo molto accentuato: - l’Aquila: nella mitologia ugrica e altaica era sacra poiché era identificata con il dio supremo, in grado di fissare il sole; essa appare in stretta relazione con gli sciamani poiché, secondo certe credenze, questi abitavano nell’astro celeste, dove giungevano tramite una via segreta. Il candidato sciamano durante l’iniziazione, ottiene sia il dominio sul fuoco che il potere di trasformarsi nell’Uccello del Sole, ovvero l’aquila, capace di tornare alle sue origini celesti; secondo le credenze della Siberia del Nord, gli sciamani furono generati da un uovo d’aquila, mentre secondo i buriati il primo sciamano nacque dall’unione tra una donna e un’aquila divina. - l’Orso: presso gli Ugri esso era il re delle foreste, figlio del Dio del Cielo e loro progenitore, depositario di verità e di giustizia per la sua origine divina; infatti citiamo l’immagine in cui il cucciolo viene calato sulla terra dal padre, in una culla dorata appesa ad una catenella argentata. Significativi sono i rituali delle grandi feste in onore dell’orso ucciso, poiché manifesta timore e riverenza degli uomini nei suoi confronti; la sua testa era considerata, al pari di quella umana, sede del doppio imperituro, tanto che certe popolazioni vi assegnavano poteri oracolari (concezioni analoghe vi erano presso altre popolazioni in merito alle teste degli sciamani). - il Cavallo: era il mezzo di trasporto per eccellenza dei popoli delle steppe, e tra i miti che lo riguardano spiccano quello del cavallo bianco, figlio del Dio del Cielo, il cui sacrificio secondo gli Ugri, che si reputavano discendenti del Grande Stallone, era molto gradito agli spiriti. Presso i Magiari era il taltòs, o sacerdote fatato con poteri sciamanici, che doveva accompagnare nell’aldilà le anime immortali dei cavalli bianchi, riservando ad esse il massimo riguardo; inoltre nelle loro fiabe popolari è ripreso più volte il tema del cavallo-taltòs, il cavallo alato ed iniziato che permetteva fantastici viaggi all’eroe-taltòs iniziato. - il Cervo: antenato totemico connesso con l’albero cosmico grazie alla forma ramificata delle sue corna, e con la mitica renovatio grazie alla muta delle stesse; - gli Uccelli: sono collegate alle anime dei defunti, poiché queste si trasformano in uccelli per compiere il cammino verso l’aldilà (lungo la Via Lattea o Via degli Uccelli); - i Pesci: allo stesso modo degli uccelli, le anime potevano trasformarsi anche in pesci per superare mari, torrenti, fiumi, paludi, a volte sotterranei, per giungere nell’aldilà e poi reincarnarsi; nomi generici: han, itse, elain, oppure il termine metsa, oppure mela del bosco, fiore del bosco, gran foresta, signore o re della foresta, zampa di miele, eccetera). La festa celebrata nel villaggio, il Funerale dell’Orso o Matrimonio dell’Orso (Karhun haat), era così chiamato poiché in tale singolare rappresentazione si continuava a cantare versi rivolgendosi all’animale come se fosse ancora in vita; i canti si rivolgevano all’orso defunto come se fosse un vivace e atteso ospite, venuto a festeggiare il matrimonio organizzato in suo onore tra una ragazza e un ragazzo del villaggio, o addirittura il proprio matrimonio con un giovane. I versi della festa dell’orso sono spesso ambigui e sensuali, e spesso fanno riferimento alle qualità erotiche dell’orso trapassato (il suo fallo di miele era infatti ben temuto dalle donne), tracciando una forte connessione tra sangue e sessualità, funerali e nozze, morte e rigenerazione. Il rito dell’orso fu considerato dai preti cattolici e dai luterani come il principale simbolo del radicato paganesimo che andava estirpato dalla cultura dei finlandesi: in realtà tali rituali pagani prevedevano un profondo rispetto nei confronti della selvaggina, ritenuta veicolo degli spiriti della foresta (metsan vaki), il gregge sacro di Tapio, il Signore della Foresta, tanto da richiedere un preciso limite alle uccisioni. L’abbattimento delle restrizioni rituali e la contemporanea esplosione del commercio delle pelli portò alla quasi estinzione di tale animale, XIX secolo; paradossalmente, mentre da una parte l’orso veniva sterminato nei boschi, dall’altra è il periodo in cui diventa simbolo nazionale finlandese, tanto che anche in un celebre passo del Kalevala viene descritto meticolosamente il rituale dell’orso, e Runeberg scolpisce la Vergine di Finlandia, ammantata in una pelle d’orso (fine XIX secolo). In quel secolo, compaiono ovunque in Finlandia moltissime statue raffiguranti l’animale, specie nelle piazze di Helsinki: il paradosso sta nel fatto che mentre l’orso era sterminato nelle foreste, veniva pure romanticamente celebrato nell’arte. Solo negli ultimi anni gli animali si stanno riprendendo dal genocidio, anche grazie all’immigrazione dalla vicina Federazione Russa, riacquistando il suo posto come Signore del Bosco; neòl 1985 è stato ufficialmente proclamato animale nazionale (Kansanelain). I Miti dell’Orsa Maggiore Nelle diverse mitologie europee viene messa in rilievo la relazione fra l’orso e la sua costellazione: infatti, già nelle Metamorfosi di Ovidio viene spiegato come Giove, essendosi innamorato di Callisto (la più bella delle ninfe vergini di Diana), la violenta, lasciandola incinta; quando la dea lo scopre, caccia la ninfa, la quale viene poi costretta a partorire da sola il figlio Arcade. Giunone, scoperto il tradimento, si vendica sulla giovane, trasformandola in orsa, e qualche tempo dopo questa incontra nei boschi il figlio intento in una battuta di caccia: tenta di ucciderla, ma grazie all’intervento di Giove, i due vengono trasformati l’una nella costellazione dell’Orsa Maggiore, l’altro in quella di Boote. Le origini siderali dell’orso si riscontrano anche nelle mitologie ugrofinniche, e sono state ritrovate moltissime versioni di incantesimi finnici (Loitsut) dove vengono narrate le origini celesti dell’orso (o Otso, importante nome rituale), dove viene appunto spiegato che prima stava nella costellazione dell’Orsa Maggiore, presso il Sole e a Luna, e poi viene calato sulla Terra, in una culla dorata, con una catenella argentea: importante è da un lato la connessione con gli astri, e dall’altra quella con i metalli, poiché pongono l’animale in relazione sia col mondo celeste e delle divinità, che con i morti e l’oltretomba. Secondo gli Ugrofinni, la costellazione dell’Orsa Maggiore era una figura dell’animale, allo stesso modo di Greci e Latini: ciò che li distingue è però il fatto che solo per i popoli nordici tale costellazione era il luogo di nascita stesso dell’animale. Proprio per questo, al termine del rituale per uccidere l’orso, i cranio dell’animale veniva riposto sul ramo di un pino orientato verso la costellazione dell’Orsa Maggiore, e tale atto rituale era di fondamentale importanza, poiché lo spirito in questo modo sarebbe tornato al luogo di nascita, lassù si sarebbe rigenerato, e infine sarebbe rinato sulla terra, per la concezione secondo la quale dalla morte si crea sempre nuova vita, e l’uccisione sarebbe stata perdonata grazie alla resurrezione della vittima. L’imbarazzante segreto della Corona Danese L’orso somiglia all’uomo per diversi aspetti (si erge sulle zampe posteriori, è onnivoro, sa camminare su due zampe, usa le zampe come le nostre mani, è uno dei mammiferi più intelligenti, e riesce persino ad ingannare i cacciatori), e ciò non è sfuggito alle popolazioni nordiche e mediterranee, che hanno sempre fantasticato sulle presunte relazioni tra le due specie: infatti in tutta Europa esistono centinaia di miti, leggende, favole o racconti sulle presunte relazioni sessuali tra uomini ed orsi. Ad esempio il mito di Polifonte, vergine consacrata ad Artemide, che per la sua bellezza suscita la reazione di Afrodite, che la fa innamorare di un orso, tanto che i due si uniscono: lei rimane incinta e nascono due bambini, che crebbero forti e imponenti, non temendo né uomini né divinità, vivendo alla maniera dei selvaggi, adescando viandanti per poi ucciderli e cibarsi delle loro carni. In molti miti medievali viene mescolata storia e leggenda: secondo Saxo Grammaticus, nelle Gesta Danorum (XIII secolo) un contadino svedese aveva una bellissima figlia, che venne rapita dall’orso, il quale invece di sbranarla ne fece la sua sposa; in seguito la ragazza partorì, chiamato Orso in memoria del padre ucciso in una battuta di caccia. Quando questi crebbe vendicò il padre; suo figlio fu Thorgils, altrettanto coraggioso, padre di Ulf Jaarl, il cui aspetto rimandava all’origine ferina, al quale si susseguì il re Sven, il re Harald (regnò dal 1076-80) e infine Knut II il Santo (1080-86) che fu trucidato nella chiesa di S. Albano a Odense, per poi diventare il santo patrono della Danimarca. Tale storia fu narrata anche da Johannes e da Olaus Magnus, che ne fecero un uso politico, canzonando le assurde origini dei sovrani e del popolo danese (contadina svedese unita ad un orso). Anche in Lapponia si racconta una locale storia del mito della sposa dell’orso, anche se Lars Levi Lestadius, nel Fragmenter i Lappska Mythologien, spiega che gli incontri da orsi e donne sami potevano essere pericolosi e traumatici per entrambe le parti (infatti l’animale poteva minacciare le donne, specie se incinte di una femmina, e a quel punto la donna doveva alzarsi la gonna per far fuggire l’animale). Come abbiamo sottolineato l’erotismo non manca nei canti della festa dell’orso: l’animale poteva essere chiamato “fallo nero” o “fallo d’osso”, e quest’ultimo appellativo è dovuto al fatto che l’orso è l’unico mammifero ad avere un sottile osso nell’organo genitale, il quale, dopo le battute di caccia, poteva essere conservato dai cacciatori al pari della testa, del cranio e della pelliccia, presentandosi ancora una volta connesso ad un forte immaginario sessuale legato alla virilità di tale animale. Al contrario, nel Mediterraneo l’orso è fortemente connesso con l’ideale di maternità, di femminilità e di amore materno, come quello dimostrato dalla madre verso i cuccioli, che nascono indifesi e privi di pelliccia, proprio come gli umani; in Grecia ad esempio l’orsa è un chiaro simbolo di maternità. Già nel mito di Callisto (la più bella) troviamo il tema della vergine che diventata madre si trasforma in orsa, ed esso si presenta come una delle tematiche più diffusa tra gli ellenici; infatti, esso viene celebrato anche nel famoso rituale “Arkteis” di Braurone (uno dei più importanti misteri celebrati dagli ateniesi). Secondo la leggenda un orso era stato allevato nel tempio di Artemide ad Atene, e consacrato alla dea: un giorno però una ragazza lo infastidì, ricevendo un graffio sul volto; i fratelli della ragazza sfigurata decisero di vendicarla e uccisero l’orso, provocando così l’ira della dea che mandò una violenta pestilenza ad Atene. Da quel momento, per placare la dea, le giovani ateniesi devono sottoporsi ad una specie di rituale di iniziazione, dove è richiesto di imitare l’orso, danzando nel tempio di Artemide a Braurone: le fanciulle dovevano diventare orse durante il rituale, sennò non avrebbero potuto sposarsi ed avere figli (tema della Metamorfosi mitica o simbolica in orsa). I Funerali e le Nozze dell’Orso I karhunoeijaiset, ovvero i funerali dell’orso, erano rituali composti da centinaia di versi, detti Kontion virret (versi dell’orso): essi comprendevano i preparativi per la caccia, la battuta, l’uccisione e lo scuoiamento, il trasporto, la festa al villaggio, il matrimonio della bestia, la consumazione della carne, il trasporto del cranio e il suo posizionamento sul ramo dell’albero. Lo scopo dei canti e dei rituali era la riappacificazione con l’orso ucciso e la propiziazione della sua futura rinascita, in modo da provocare il rinnovamento della specie e la continuazione della fortuna nella caccia. All’apertura erano intonati i versi dell’Origine dell’Orso, poiché i cacciatori che conoscevano le origini degli animali selvatici acquistavano un potere magico sulla selvaggina stessa. Per quanto riguarda le Nozze dell’Orso (Couvon paaliset), il documento più antico su cui ci basiamo è il Testo di Viitasaari del XVII secolo, dove è spiegato che dopo l’abbattimento dell’orso occorreva stabilire il giorno in cui le nozze dell’orso dovevano essere celebrate. Per festeggiare bisognava preparare una speciale birra e una forte acquavite, e quando il fatidico giorno era venuto la gente si vestiva con gli abiti da festa (o da Chiesa in finlandese) e si riuniva in una casa prestabilita dove veniva portata la testa dell’animale ucciso; in onore dell’orso, un ragazzo vestito da sposo e una ragazza vestita da sposa erano condotti nell’edificio e quando veniva il momento di mangiare, a tutti gli ospiti era servita la carne dell’animale cucinata con zuppa di piselli. Dopo il pasto il cranio era portato in processione, alla cui testa vi erano i due “sposi”, seguiti dal portatore della birra, poi da colui che cantava in onore dell’orso, poi chi portava il cranio e le ossa; arrivati nel punto prestabilito, le ossa venivano seppellite alla base dell’albero, e il cranio posto alla sommità del pino sacro. Il pino più adatto veniva scelto misurando diametro e larghezza con le braccia, e spesso veniva scelto quello a cui erano già state appese le teste in precedenza; il cranio era affisso dal cacciatore responsabile dell’abbattimento della bestia, che si arrampicava e lo fissava al ramo. La caccia all’orso determinava anche una specie di calendario, poiché secondo la tradizione, dall’autunno al giorno di mezzo inverno (Matin Paiva), l’orso poteva essere chiamato col suo vero nome (karhu), ma da quel giorno in poi, l’orso ancora in letargo si girava sul fianco, e da lì non era più possibile pronunciare il suo vero nome, pena la futura vendetta dell’orso nei confronti del cacciatore o del bestiame. Altro giorno segnalato era il Giorno di Heikki (19 gennaio), quando l’orso in letargo si girava, sospirando “A mezzanotte, una palla di pece nel sedere”, per poi tornare a dormire. La gente del villaggio prestava perciò molta attenzione alle date rilevanti di questo calendario, e negli stessi giorni le parrocchie celebravano feste religiose. L’orso era considerato a tutti gli effetti parte della piccola società del villaggio, ed era elementi tipici dello status umano: il suo nome doveva essere pronunciato con rispetto e la comunità doveva celebrarne matrimonio e funerale. La Condanna dei Riti dell’Orso da parte della Chiesa Luterana La Corona Svedese e la Chiesa di Stato Luterana consideravano tale complesso insieme di credenze e miti relativi all’orso la dimostrazione più eloquente di come i Finlandesi conquistati e convertiti celebrassero in realtà ancora riti pagani: pertanto, questio Riti dell’Orso vennero pubblicamente condannati dalle autorità religiose. Negli stessi anni vediamo la Chiesa scagliarsi anche contro i Tamburi magici dei Sami di Lapponia, bruciandone decine nelle capitali; in seguito sui roghi finirono anche presunte streghe e stregoni. Allo stesso modo in Finlandia le autorità si impegnarono nelle crociate contro i rituali dell’orso, e il colpo di grazia venne poi dato dal boom del commercio delle pelli e l’espandersi dell’economia dell’allevamento bovino, che eliminò definitivamente le limitazioni rituali connesse con la caccia, tanto che da quel momento gli orsi vennero sterminati con tale violenza da rischiare la completa estinzione. I Rituali dell’Orso nel Vecchio Kalevala e nel Nuovo Kalevala Anche Elias Lonnrot fu influenzato alla condanna luterana nei confronti di tali rituali: egli rappresenta la figura più rilevante nella storia della letteratura finlandese e, in quanto famoso etnografo e poeta, dapprima raccolse sul campo moltissimi canti orali epici e rituali, poi, sulla base di questo materiale, compose le due versioni del Vahna Kalevala (1835) e dell’Uusi Kalevala (1849), e quest’ultima finì addirittura per essere considerata come la Bibbia nazionale (la versione precedente, pur essendo celebrata da molti autori e tenuta in considerazione per il suo valore artistico e filologico, finì per entrare nel dimenticatoio). In entrambe le edizioni Lonnrot inserì tra le avventure egli eroi versi tratti dai rituali della caccia all’orso, ma tra le due versioni sono riscontrabili enormi differenze: nel Vecchio Kalevala l’uccisione e la festa dell’orso formano una vera e propria storia a parte, poiché vengono riportati con una certa fedeltà i versi intonati dai cacciatori nel momento in cui il cranio dell’orso era portato in processione verso il pino sacro (dove l’animale è elogiato e chiamato con mille vezzeggiativi, e gli vengono promessi moltissime offerte di miele e birra in suo onore, nel posto dove verrà affisso il cranio, descritto tra l’altro come posto adorabile e ricco di pesce di cui la bestia potrà cibarsi). Nel Nuovo Kalevala l’autore ha tagliato molti versi dedicati al rito di posizionamento del cranio sul pino sacro, e nonostante nella nuova versione la vicenda dell’uccisione dell’animale sia molto più connessa con i temi principali dell’epica, il vero significato del rito del cranio non è altrettanto comprensibile; il concetto della resurrezione dell’orso non viene più messo in risalto, e manca la dimensione cosmica alla base del rituale stesso: l’immaginario miologico dell’orso viene così svuotato del suo senso profondo. Il personaggio centrale nel canto dell’abbattimento dell’orso non è più l’animale sacro, bensì l’eroe Vainamoinen, che svolge il ruolo di Gran Cacciatore (accostato al famoso cacciatore Matti Kitunen, diventato eroe nazionale per aver abbattuto 200 orsi). Il Kalevala del 1849 è molto più impregnato dell’ideologia luterana rispetto al precedente: infatti esso termina con l’episodio della miracolosa nascita del figlio di Marjatta e con l’esilio di Vainamoinen; si tratta di un vero e proprio passaggio delle consegne tra il paganesimo di Vainamoinen e il Cristianesimo rappresentato dal neonato. Il Nuovo Kalevala termina con l’inizio del Nuovo Testamento, collegando le due opere in modo naturale; il Nuovo Kalevala cerca di presentare così l’antica mitologia finnica come una sorta di paganesimo civilizzato che sfocia naturalmente nel Cristianesimo. Il rituale dell’orso descritto nei poemi originali e nel Vecchio Kalevala fu considerato da Lonnrot decisamente troppo pagano, crudo, primitivo e selvaggio per la nuova riscrizione: l’ideologia cristiana alla base dell’Uusi Kalevala rese quindi necessari i tagli, le censure e la revisione completa dei versi sull’orso, presentati precedentemente da Lonnrot nel XLVI canto del Vahna Kalevala. • Appunti sui motivi Kalevaliani nella Musica e nella Letteratura Finlandesi di oggi – P. Lepisto Quasi subito dopo la prima pubblicazione del Kalevala, divenne chiaro che la letteratura finlandese vedeva in quell’opera una specie di guida, poiché la tradizione orale era sì vasta e antica, ma non altrettanto quella scritta; pertanto si parla a ragione di letteratura pre- e post- kalevaliana, aggiungendo qualche punto: - il Kalevala stesso avrebbe creato la nazione; - senza il Kalevala non vi sarebbe l’identità nazionale finlandese; - il Kalevala ha portato anche all’autonomia della nazione; - il Kalevala è l’unico grande contributo finlandese alla letteratura finlandese ( e tra le epopee nazionali è tra le più famose); In ogni caso quest’opera ha avuto una grandissima influenza sulla cultura finlandese, anche se non si è ancora stabilito il peso che abbia potuto avere in questo il suo creatore, Lonnrot, che nell’opera di raccolta si trasformò da trascrittore a vero e proprio cantore. Fino al secolo scorso si è pensato che il Kalevala facesse parte dell’alta cultura, poiché a partire dall’Ottocento, il Romanticismo, volto alla ricerca delle tradizioni, inseriva la parte popolare nell’alta cultura; pertanto per anni il Kalevala non era prodotto per la massa, bensì per l’elite. L’influenza di tale opera è sempre stata importante, sia per la vita culturale che per altri aspetti: infatti negli anni 20 e 30 del Novecento essa era il simbolo della nuova nazione, che prendeva posizione contro l’Unione Sovietica e la Svezia. In ambito politico, sia la sinistra che la destra si appoggiavano al Kalevala, e in esso è stato ritrovato persino l’ideale del socialismo; dopo la seconda Guerra Mondiale, quando la cultura di massa americana raggiunse il Paese, il poema nazionale funzionò da vero e proprio antidoto. In sostanza negli anni i finlandesi si sono appoggiati a quest’opera, considerandola di volta in volta in modo diverso, e facendo prevalere questo o quell’aspetto; un esempio di tale cambiamento di valutazione riguarda il Kantele (strumento musicale che l’eroe centrale dell’epopea, Vainamoinen, per la prima volta fabbrica con le mascelle del luccio, e più tardi, dopo aver perso il primo, usando legno di betulla). Esistono varie teorie sulle origini del kantele, che in seguito all’epopea divenne strumento nazionale e il simbolo della cultura finlandese: si pensa che esistesse da almeno 2mila anni o forse più, non solo in Finlandia ma anche in Carelia, Estonia, Lettonia e Lituania; i primi documenti scritti che lo riguardano risalgono al 1'600. In principio aveva solo 5 corde, mentre oggi può arrivare fino a 39, a seconda dell’uso; questo strumento,
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