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Riassunto La conquista dell'America, Todorov, Sintesi del corso di Pedagogia

Riassunto completo del testo "La conquista dell'America" di Todorov

Tipologia: Sintesi del corso

2014/2015

In vendita dal 14/04/2015

niglietta1.
niglietta1. 🇮🇹

4.3

(102)

46 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto La conquista dell'America, Todorov e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! LA CONQUISTA DELL'AMERICA - IL PROBLEMA DELL'"ALTRO" Il tema alla base di questo libro è quantomai attuale: la scoperta che l'IO fa dell'ALTRO. Per trattarlo l'autore, Todorov, ha fatto riferimento a uno dei massimi episodi della storia, da lui definito come "l'incontro più straordinario della storia occidentale", quello della scoperta, anzi, come ci tiene a precisare, della CONQUISTA dell'America, in particolare la Conquista del Messico, da parte degli spagnoli, che è divenuta uno dei più grandi genocidi della storia dell'umanità. Sullo sfondo delle vicende narrate l'autore ci mostra come la cultura indigena sia stata DISTRUTTA a partire da due differenti (ma con medisimi esiti) atteggiamenti: o gli indigeni erano identificati come DIVERSI, ma in tal caso inferiori e quindi adatti ad essere conquistati e sfruttati; oppure essi sono riconosciuti come UGUALI (nel senso di IDENTICI) ed in tal caso devono essere assimilati alla cultura spagnola. Il libro è suddiviso in quattro parti. Nella prima, Scoprire, Todorov analizza il comportamento di Cristoforo Colombo, che incarna proprio la figura dello SCOPRITORE, ma che, come dice Todorov stesso, ha scoperto l'AMERICA, NON gli AMERICANI. Egli infatti, attento ermeneuta dei segni della natura, si sente totalmente a suo agio nell'osservare ed interpretare quest'ultima, mentre si rivela del tutto incapace di interpretare i segni degli UOMINI, e stabilire relazioni efficaci con questi. Gli indigeni saranno da lui relegati al livello delle COSE, confusi con gli elementi del paesaggio. Nella seconda parte, Conquistare, l'autore analizza il livello della conoscenza dell'altro a cui giungono i due comandanti contrapposti: Hernán Cortés in campo spagnolo e l'imperatore Montezuma degli Aztechi. Mentre Cortés giungerà ad un alto livello di comprensione dei rituali e delle regole sociali azteche (studiandone linguaggio e tradioni, al fine di servirsene come arma), Montezuma finirà col non agire nell'incertezza sulla cosa giusta da fare. Nella terza parte, Amare, Todorov confronta la comprensione della cultura del Nuovo Mondo cui giungono gli europei. I principali personaggi a confronto in questa sezione sono Hernán Cortés e Bartolomé de Las Casas. Sebbene il primo giunga ad una conoscenza superiore della cultura indiana, la utilizza per distruggere le società amerindie. Las Casas invece agisce per proteggere le popolazioni indigene. La quarta parte, Conoscere, è invece dedicata ai due principali studiosi, Diego Durán e Bernardino de Sahagún, che permetteranno la conservazione della conoscenza della cultura indigena. Entrambi monaci, il primo domenicano, il secondo francescano, imparano la lingua indigena e nelle loro opere riportano la versione degli indigeni sulle ultime vicende storiche. Nel capitolo finale viene poi riportata la "Profezia di Las Casas", che funge da spunto per riflettere sul nostro modo di rapportarci con l'altro, con il "diverso". Si tratta di una riflessione fondamentale, soprattutto per noi, che ci troviamo in un mondo sempre più globalizzato. L'altro deve essere incontrato e riconosciuto, perchè il rischio, in caso contrario, è il ripetersi di quanto è avvenuto durante la conquista dell'America. PARTE PRIMA - SCOPRIRE La prima figura presentataci da Todorov è quella di Cristoforo Colombo, scopritore dell'America (paradossalmente senza essersi accorto di averla scoperta). Ma cosa spinse Colombo a partire per un viaggio del genere, affrontando miti, timori e pericoli immensi? Leggendo i suoi scritti, le lettere e i diari, l'impressione è che a spingerlo sia stato prevalentemente l'ORO, il desiderio di RICCHEZZE e POTERE. Tuttavia, ad una lettura più attenta, si comprende come le ricchezze siano soltanto un pretesto. Colombo vi fa continuo riferimento perchè sa il VALORE che esse hanno per gli ALTRI (in primis i sovrani spagnoli e i suoi uomini), dunque se ne serve per mantenerne favori e appoggio, soprattutto nei momenti difficili. Ciò che in realtà gli stava a cuore, era il suo progetto di DIFFUSIONE PLANETARIA DEL CRISTIANESIMO. Bisogna partire dalla constatazione del fatto che Colombo intraprende quel viaggio perchè convinto che, attraversando l'oceano Atlantico, sarebbe sbarcato sulle coste della CINA, di cui Marco Polo aveva lasciato meravigliosi resoconti. Suo desiderio era incontrare il Gran Khan cinese, ed istruirlo alla FEDE CRISTIANA (come scrive lui stesso più volte nei suoi diari). Egli si sente investito di questa MISSIONE DIVINA, e l'ORO diventa un MEZZO per conseguire il suo fine! Come scrive ai sovrani spagnoli, egli coltiva il sogno (assai anacronistico per i suoi tempi!) di INTRAPRENDERE UNA CROCIATA E LIBERARE I LUOGHI SANTI DI GERUSALEMME. Ogni cosa mondana, come le ricchezze, non sono che un mezzo per la realizzazione di questo progetto. Ma la figura di Colombo non si riduce a quella dell'uomo profondamente fedele e dedito alla diffusione del cristianesimo. Egli infatti è anche un appassionato della NATURA, alla cui scoperta ed osservazione si dedica senza alcun fine: "Voglio vedere e scoprire più terre possibili!". I profitti sono secondari, ciò che conta sono le terre e la loro scoperta! - COLOMBO ERMENEUTA Colombo viene presentato nella sua capacità ermeneutica, sia relativamente la NATURA, sia relativamente gli UOMINI, mostrando come egli fosse infinitamente più perspicace quando osservava la natura che quando cercava di comprendere gli indigeni. Essendo marinaio il suo desiderio era quello di CONOSCERE I SEGRETI DEL MONDO. Egli trae piacere dal godimento della natura, e nei suoi diari ci lascia descrizioni particolareggiate di uccelli, piante ed animali. Egli inoltre INTERPRETA I SEGNI DELLA NATURA IN FUNZIONE DEI PROPRI INTERESSI. In pratica si può dire che al di là del godimento estetico, quella che dava dei fenomeni naturali era una INTERPRETAZIONE FINALISTICA, poichè i segni che lui coglie CONFERMANO LE CREDENZE E LE SPERANZE CHE GIA' POSSIEDE. Ad esempio, come cui riporta Las Casas, Colombo è convinto di aver scoperto l'America perchè in fondo al suo animo aveva sempre saputo che a 750 leghe di distanza vi era terra. Egli infatti era convinto che, per ragioni di simmetria, sul pianeta dovessero esserci 2 continenti a Nord e 2 a Sud. Europa e Africa costituivano la prima coppia, l'Asia la parte Nord della seconda, quindi doveva esserci un altro continente (che lui identificò con l'America Meridionale). All'attività di scoperta Colombo poi affianca quella di NOMENCLATURA degli elementi scoperti: egli sa perfettamente che le terre e le isole scoperte hanno già dei nomi, più "naturali" in un certo senso, ma li RIBATTEZZA, convinto che, come diceva Aristotele, i nomi devono convenire alle qualità e agli usi delle cose. 1. i rapporti di Cortés al re di Spagna, 2. le cronache spagnole degli avvenimenti d’America, 3. i racconti indigeni, trascritti dai missionari Spagnoli o dai messicani. La spedizione di Cortés, iniziata nel 1519, è la terza che tocca le coste messicane, e vi partecipano alcune centinaia di uomini; Cortés è inviato dal governatore di Cuba, che però, ad un certo momento, dopo la partenza, cambia idea, e cerca di farlo tornare indietro, ma Cortés, di fronte a questo tentativo, si rifiuta di obbedire, dichiarandosi sotto la diretta autorità del re di Spagna; venuto a conoscenza della esistenza dell’impero azteco, decide di sottometterlo ed inizia a penetrare verso l’interno, guadagnando alla sua causa le popolazioni di cui attraversa i territori, in particolare i tlxcaltechi, che diverranno i suoi migliori alleati, ed arrivando infine a Città del Messico. Dopo essere stato ben ricevuto, decide di far prigioniero il sovrano azteco MOCTEZUMA, riuscendovi; venuto a conoscenza dell’arrivo di una spedizione spagnola inviata sulla costa contro di lui da parte del governatore di Cuba, Cortés lascia una parte dei suoi soldati nella capitale, e con gli altri muove contro i suoi compatrioti, sconfiggendoli e prendendo il loro capo Narvàez prigioniero. Viene però a sapere che a Città del Messico è scoppiata la guerra, a causa del massacro di alcuni messicani compiuto dalle sue truppe, rimaste sotto il comando di Alvarado. Ricongiuntosi con le sue truppe assediate, ed in seguito alla morte di Moctezuma prigioniero, Cortés decide di abbandonare nottetempo la città, a causa della intensità degli attacchi aztechi, ma viene scoperto e metà del suo esercito annientata: è la cosiddetta Noche triste. Egli allora si ritira tra i suoi alleati a Tlaxcala e ricostruisce il suo esercito, tornando ad assediare la città, e tagliando inoltre tutte le vie di accesso alla capitale grazie a veloci brigantini (la città all’epoca si trova, infatti, in mezzo ai laghi). Città del Messico, dopo alcuni mesi d’assedio cade: la conquista è durata poco più di due anni. L’opera di Cortes, che di per sé ha dell’incredibile, può essere secondo Todorov spiegata attraverso alcune ipotesi: 1. IL COMPORTAMENTO AMBIGUO ED ESITANTE DI MOCTEZUMA: Moctezuma, fino al momento della sua morte, non oppone quasi nessuna resistenza a Cortés. In molte cronache, il sovrano azteco è rappresentato come un uomo malinconico e rassegnato, che sente di espiare di persona un episodio poco glorioso della storia azteca: gli Aztechi, infatti, avevano usurpato il trono ai Toltechi ed è plausibile che questo "senso di colpa" collettivo abbia fatto immaginare a Moctezuma che gli Spagnoli fossero i legittimi discendenti dei Toltechi, venuti a riprendersi i loro domini. Il comportamento di Montezuma diviene veramente singolare all’arrivo dei soldati di Cortés a Città del Messico: non solo egli si lascia imprigionare, ma, una volta prigioniero, cerca soltanto di evitare ogni spargimento di sangue, senza cercare di approfittare della situazione per sbarazzarsi degli Spagnoli, neanche quando Cortes è costretto ad allontanarsi lasciando a presidio della città solo pochi uomini. Alcuni hanno visto in lui un SAGGIO, altri un PAZZO. Non sapendo molto di questo personaggio, esprimere un giudizio fondato ci risulta impossibile. E’ anche vero che Moctezuma muore NEL CORSO della guerra, e che i suoi successori NON PERDONO TEMPO a INTENTAR GUERRA AGLI SPAGNOLI, per cercare di liberarsi del loro giogo. Tuttavia a quel punto NUOVI ELEMENTI erano ormai CENTRALI. Ad esempio 2. I DISSIDI INTERNI TRA LE POPOLAZIONI INDIGENE: Nella seconda fase del conflitto un ruolo decisivo viene giocato dai contrasti tra le diverse popolazioni che abitano il Messico. CORTÉS SA SFRUTTARE CON GRANDE ABILITÀ I DISSIDI INTERNI TRA LE POPOLAZIONI, tanto da avere, nella fase finale della campagna, un esercito di alleati indiani numericamente equivalente a quello azteco, in cui gli Spagnoli svolgono soltanto un ruolo logistico e di comando: migliaia di Indios a piedi sono comandati da una decina di cavalieri Spagnoli! Pare incredibile pensare che gli indiani abbiano preferito allearsi con gli spagnoli, in seguito autori di terribili misfatti, ma la verità è che essi erano già abituati a 3. IL CARATTERE OPPRESSIVO DELL’IMPERO AZTECO: Le donne, l’oro e le pietre preziose, che attirano la rapacità degli Spagnoli, erano già prelevati dai funzionari di Moctezuma. Per le popolazioni che già hanno subito la dura colonizzazione azteca, CORTÉS NON INCARNERÀ CERTO IL MALE ASSOLUTO: QUESTI RAPPRESENTAVA SOLTANTO UN OPPRESSORE CHE SI SOSTITUIVA A UN ALTRO O, MEGLIO, LA SPERANZA DI ESSERE SALVATI DAL GIOGO DELLA TIRANNIA PRESENTE. Vi sono, dunque, moltissime somiglianze tra vecchi e nuovi conquistatori. Gli Spagnoli, ad esempio, bruceranno i libri dei messicani e distruggeranno i loro monumenti per eliminare ogni ricordo della passata grandezza, ma anche gli Aztechi avevano fatto altrettanto: avevano distrutto i libri antichi, per poter riscrivere a modo loro la storia. Gli Aztechi, poi, mostrano spesso di considerarsi i continuatori dei Toltechi; allo stesso modo, gli Spagnoli manifestano una certa fedeltà al passato, conservando la stessa capitale (Tenochtitlàn, ribattezzata “Città del Messico”) e utilizzando i registri fiscali dell’impero azteco. Cortés, cioè, sembra cercare una legittimazione agli occhi della popolazione locale, conservando anche gli stessi luoghi di culto e limitandosi a sostituire gli idoli con statue cristiane: "I maggiori di quegli idoli […] io li abbattei e li scaraventai giù dalle scale; feci pulire le cappelle dal sangue dei sacrifici e misi in esse statue della Madonna e di altri Santi" (Cortés). Risulta impossibile poi trascurare quella che tradizionalmente viene considerata la causa principale della sconfitta azteca 4. LA SUPERIORITÀ MILITARE SPAGNOLA: Tra le cause della sconfitta azteca è da annoverare la superiorità degli Spagnoli in materia di armi. Gli Aztechi non conoscono la lavorazione dei metalli, né la polvere da sparo; essi poi sono più lenti degli Spagnoli, che utilizzano i cavalli, sconosciuti agli indigeni. Gli spagnoli poi possono essere per certi versi considerati i precursori della 5. GUERRA “BATTERIOLOGICA”. Senza saperlo, gli Spagnoli conducono una sorta di guerra batteriologica, diffondendo tra gli indiani il VAIOLO e il MORBILLO che compiono nelle file nemiche delle stragi enormi. Molto interessante è però soffermarsi su quella che nei RACCONTI INDIANI è considerata la ragione della sconfitta: tutto è avvenuto perché gli Aztechi hanno PERSO IL CONTROLLO DELLA COMUNICAZIONE CON GLI DEI. La parola degli dei è divenuta inintelligibile, come dice il libro delle profezie indiano, il CHILAM BALAM: "La comprensione è perduta, la saggezza è perduta. Non c’era più nessun gran maestro, nessun grande oratore, nessun gran sacerdote" . Leggendo queste parole, dunque, viene il sospetto che, tra le ragioni della vittoria degli Spagnoli, vi sia anche la loro PADRONANZA DEI SEGNI. Spagnoli e Aztechi, infatti, praticano la comunicazione in modo diverso. • MOCTEZUMA E I SEGNI Se si guarda alla comunicazione indiana, dice l’autore, NON si può semplicemente affermare una INFERIORITA’ INDIANA NEL CAMPO DELLA COMUNICAZIONE, né attribuire loro uno scarso interesse per essa, come abbiamo visto invece nel caso di Colombo. Gli indiani dedicano in realtà moltissimo tempo all’ambito dell’INTERPRETAZIONE dei messaggi, soprattutto ricorrendo a tecniche elaborate di divinazione. Possiedono un calendario religioso composto di tredici mesi di venti giorni ciascuno; ognuno di questi giorni ha un suo carattere fasto o nefasto, che si trasmette alle persone nate in corrispondenza di esso. Appena nasce un bambino, questi è portato da un professionista dell’interpretazione, un indovino, che consulta il libro divinatorio (con un idolo in ogni casella) per conoscere il destino del neonato. A questa forma di divinazione si affiancano i PRESAGI: nelle storie indiane, molti personaggi affermano di essere stati in comunicazione con gli dei e profetizzano l’avvenire. TUTTA LA STORIA degli Aztechi È CONSIDERATA COME LA REALIZZAZIONE DI PROFEZIE ANTECEDENTI, quasi COME SE UN EVENTO NON POSSA AVER LUOGO SENZA ESSERE STATO PRIMA PROFETIZZATO. Per gli Aztechi, cioè, tutto è previsto e regolamentato: TUTTO È ORDINE. La concezione del tempo, per gli Aztechi, è di tipo ciclico: il calendario si ripete con gli stessi avvenimenti e con la sua successione di giorni fasti e nefasti. Anche gli eventi della collettività si ripetono con ricorrenza ciclica. Le profezie, quindi, sono date dall’interpretazione di segni che fanno supporre che si ripeterà un certo evento già successo in passato. Il MONDO È POSTO FIN DA PRINCIPIO COME DETERMINATO e gli uomini si adeguano a ciò con la minuziosa regolamentazione della vita sociale. La società azteca infatti è superstrutturata, e l’individualità sacrificata alla COLLETTIVITA’ l’individuo è considerato in funzione della collettività, come membro di un unico grande organismo che è l’intera società.. La vita del singolo infatti non è un campo aperto e indeterminato, bensì la realizzazione di un ordine esistente da sempre il suo AVVENIRE gli viene RIVELATO, dunque la domanda che deve porsi non è “Che faccio?” bensì “COME POSSO SAPERE??”. Se dunque l’europeo predilige la COMUNICAZIONE UOMO-UOMO, gli indiani sono più concentrati su quella UOMO-MONDO NATURALE e, soprattutto, UOMO-UNIVERSO RELIGIOSO! Questo non significa ignorare i fatti, tanto è vero che Moctezuma segue l’avanzata degli spagnoli fin dall’inizio, servendosi di SPIE. I pur notevoli e costanti buoni risultati nella raccolta delle informazioni, non vanno però di pari passo con la padronanza della comunicazione interumana. Il fatto è che, come Colombo prima di lui con gli indigeni incontrati, MOCTEZUMA RIFIUTA FIN DALL’INIZIO DI COMUNICARE CON GLI SPAGNOLI: in lui, infatti, si associano la paura dell’informazione ricevuta (l’avanzata spagnola) e la paura dell’informazione richiesta dagli altri, specie quando essa riguarda la propria persona. Quando riceve l’informazione sull’avanzata dei conquistadores, Montezuma punisce coloro che gliela recano, fallendo così sul piano dei rapporti umani. Per avere consigli, poi, su come comportarsi con gli Spagnoli (cioè in questioni totalmente umane), si rivolge AI SUOI DÈI. Perché questo modo inspiegabile di comportarsi? L’identità degli Spagnoli è così diversa e il loro comportamento così imprevedibile, che l’intero sistema di comunicazione azteco è sconvolto. Bernal Dìaz, conquistador, si chiese più volte cosa sarebbe stato di loro se gli indiani avessero saputo quanto fossero pochi, deboli e spossati! Come già accennato, per gli aztechi, la comunicazione è anzitutto comunicazione con il mondo, e con il divino. Anche in campo spagnolo, però, la religione è presente, ed ha, come nel caso di Colombo, una importanza decisiva, ma vi sono due importantissime differenze: La prima differenza riguarda il carattere specifico della religione cristiana, che è prima di tutto una RELIGIONE UNIVERSALISTICA, in cui Dio non è un certo dio, ma IL DIO. Essa quindi è essenzialmente una religione INTOLLERANTE gli spagnoli non si accontentano che gli indiani integrino il loro dio a quelli già venerati. Questi ultimi devono essere eliminati! Dio è UNO e non lascia spazio ad altri dei. La seconda differenza, invece, deriva dalle forme che assume il sentimento religioso degli spagnoli: il loro dio è più un ausiliario che un Signore, un essere di cui ci SI SERVE piuttosto che di cui SI GODE gli spagnoli ascoltano i consigli divini solo quando coincidono con i PROPRI INTERESSI e inoltre nel tempo il fine iniziale (la diffusione del cristianesimo) mediante il MEZZO dell’oro, ha finito per diventare il MEZZO mediante il quale ARRICCHIRSI (fine e mezzo si sono invertiti). Tutto questo per sottolineare come la comunicazione limitata degli indiani, dedicata QUASI ESCLUSIVAMENTE ALLO SCAMBIO CON DIO, lascia negli spagnoli il posto ad una comunicazione umana, in cui l’altro è chiaramente riconosciuto, anche se non stimato eguale: la presenza di uno spazio chiaramente riservato agli altri, nell’universo mentale degli spagnoli, è emblematicamente dimostrato dal loro costante desiderio di comunicare, che si contrappone alle reticenze di Moctezuma. Sono proprio gli aztechi infatti a NON VOLER COMUNICARE. Ma Cortes non si impegna solo nell’INTERPRETARE i messaggi dell’Altro. Sua grande premura è posta anche nella PRODUZIONE dei propri discorsi e simboli , affinchè questi facciano breccia. Cortes studia i propri comportamenti e controlla quelli dei propri soldati al fine di FARE BUONA IMPRESSIONE SUGLI INDIGENI, di COSTRUIRSI UNA REPUTAZIONE ed usarla a SUO FAVORE! Abbiamo visto come il comportamento di Moctezuma fosse contraddittorio, poiché egli non sapeva se accogliere o non accogliere gli spagnoli; anche Cortés compì atti altrettanto contraddittori, non perché fosse realmente incerto, ma piuttosto perché VOLEVA LASCIARE PERPLESSI E DUBBIOSI I SUOI INTERLOCUTORI. Un esempio al riguardo: Cortés si trova ospite in un villaggio, ricevuto dal cacicco locale che spera di essere aiutato nel rovesciare il giogo azteco; in quel mentre arrivano i messi inviati da Moctezuma ed incaricati di prelevare i tributi, e Cortés consiglia il cacicco di arrestare gli esattori, cosa che egli farà prontamente; ma quando gli abitanti del villaggio si preparano a sacrificare i prigionieri, Cortés si oppone e mette i suoi soldati a guardia della prigione, convincendoli poi di essere sorpreso di vederli imprigionati e dichiarando di volerli liberare; egli infatti li fa arrivare sani e salvi fuori dal territorio pericoloso, ed essi giungono incolumi da Moctezuma; il cacicco locale a quel punto, sapendo che gli aztechi saranno informati della sua ribellione, giura fedeltà a Cortés e si impegna ad aiutarlo nella lotta contro gli aztechi. Le manovre di Cortés hanno due destinatari: da una parte gli indiani del posto, che vengono indotti ad impegnarsi in modo irreversibile al suo fianco, dato che, mentre il re di Spagna è lontano ed una pura astrazione, gli aztechi ed i loro gravosi tributi sono vicinissimi; dall’altra parte, Moctezuma, che sa che i suoi messi sono stati maltrattati per la presenza degli spagnoli, ma sa anche che essi sono vivi grazie a loro: Cortés si presenta dunque, contemporaneamente, come nemico e come alleato, mettendo Moctezuma nella condizione di non sapere come regolarsi! Servendosi delle sue doti di abile parlatore e di stratega Cortes riesce ad apparire forte quando è debole e a dissimulare la propria forza apparendo debole quando necessario, di modo da attirare gli aztechi in imboscate mortali. Nel corso della conquista, Cortés rivela il suo gusto per le azioni spettacolari, ben consapevole del loro valore simbolico, badando bene, ad esempio, a vincere la prima battaglia e il primo scontro tra brigantini e canoe, a dare alle fiamme un certo palazzo all’interno della città per mostrare quanto è grande il suo vantaggio; egli punisce di rado, ma in modo esemplare, facendo sì che tutti lo sappiano. Egli ci mostra quindi come NON SEMPRE SIA NECESSARIO AVERE CERTE QUALITA’, E’ SUFFICIENTE CHE GLI ALTRI CREDANO CHE LE SI ABBIA!!! La migliore prova della capacità di Cortés di comprendere ed utilizzare il linguaggio dell’altro, è comunque data dalla sua partecipazione all’elaborazione del MITO DEL RITORNO DI QUETZALCOATL. Questi è un personaggio di vecchi racconti indiani, a metà tra la storia e il mito. Egli, costretto ad abbandonare il suo regno e a partire verso est (da dove gli spagnoli arrivavano), promise di tornare un giorno per riprendere possesso dei suoi beni. I racconti indiani posteriori alla conquista, invece, ci informano che Moctezuma scambiò Cortés per Quetzalcoatl, tornato a riprendersi il suo regno, e attribuiscono a questa identificazione un ruolo decisivo nella mancata resistenza all’avanzata degli Spagnoli. Cortés, consapevole che la radicale differenza tra Spagnoli ed indiani faceva nascere l’idea che essi fossero degli dèi, seppe inserire l’anello mancante, spiegando anche "quali dèi" fossero, e mettendo in rapporto il mito, fino ad allora marginale, del ritorno di Quetzalcoatl con la loro venuta. Che sia stato lui l’artefice della cose, o che si sia solamente limitato ad alimentarla, fatto sta che essa ha dato un contributo importante alla riuscita degli spagnoli nella conquista. Altra dimostrazione della bravura di Cortes nel servirsi del linguaggio a scopi MANIPOLATIVI, e di come egli sia l’esempio del fatto che “LA LINGUA E’ SEMPRE STATA COMPAGNA DELL’IMPERO!” • PARTE TERZA: AMARE • COMPRENDERE, PRENDERE, DISTRUGGERE Abbiamo visto quindi come Cortes comprenda molto bene il mondo azteco, di certo molto meglio di quanto Moctezuma faccia con gli spagnoli. Tuttavia questo alto grado di comprensione NON IMPEDISCE LA DISTRUZIONE DELLA CIVILTA’ E DELLA SOCIETA’ MESSICANE! Al contrario, è proprio tale comprensione a permetterla! Si crea una concatenazione in cui il COMPRENDERE porta a PRENDERE e il prendere a DISTRUGGERE! Una COMPRENSIONE CHE UCCIDE dunque. Ma perché? Non perché gli spagnoli abbiano ripugnato ciò che degli aztechi avevano avuto modo di conoscere, anzi! Dai resoconti giuntici essi appaiono impressionati e ammirati da ciò che in Messico hanno potuto ammirare. In realtà la risposta è semplice: l’ammirazione che Cortes prova è per le PRODUZIONI degli indigeni, per gli edifici, per l’artigianato… ma non riconosce i loro autori come INDIVIDUI UMANI DA PORRE SUL SUO STESSO PIANO: quando fa ritorno in Spagna, infatti, mette insieme un campionario di tutto ciò che vi era di notevole nel paese conquistato, e nell’elenco vediamo scritti insieme tigri, uccelli, botti di balsami, ed indiani danzatori, gobbi e nani. Rispetto a Colombo, che riportava in Spagna indiani a gruppi di mezze dozzine, sei uomini e sei donne qualunque, riducendoli così al rango di oggetto, le cose sono cambiate, dato che Cortés considera che occupino uno statuto intermedio, cioè sì dei soggetti, ma ridotti al ruolo di produttori di oggetti, e non certo dei soggetti paragonabili all’io che li concepisce. Cortes quindi, pur interessandosi della cultura azteca, ne rimane fondamentalmente ESTRANEO! Dice infatti Todorov che per instaurare un DIALOGO con l’Altro è necessario che io lo RICONOSCA IN QUANTO SOGGETTO nella sua pienezza, paragonabile al soggetto che sono io. Se il COMPRENDERE non si accompagna al pieno riconoscimento dell’Altro come soggetto allora la comprensione non può che essere utilizzata ai fini del solo PRENDERE, ma mai potrà portare ad una RELAZIONE VERA E PARITARIA. L’esistenza del genocidio degli indiani non può essere ormai assolutamente negata, ed esso deve anzi essere riconosciuto come uno dei maggiori della storia, con circa 70 MILIONI DI INDIVIDUI UCCISI sia per UCCISIONE DIRETTA (durante le battaglie), sia IN SEGUITO A MALTRATTAMENTI (condizioni di lavoro e di schiavitù disumane), sia PER MALATTIE. A spingere i conquistadores nei loro massacri, trucidando e torturando uomini, vecchi, donne e bambini senza mostrare alcuna traccia di pietà non può essere stato il solo movente dell’oro. Il fatto è che, dice Todorov, lontani dal potere centrale tutti i divieti cadono, ed il legame sociale si sfalda e rivela non una natura primitiva ma un essere moderno, che non ha alcuna morale e che uccide perché e quando gli piace. D’altro canto i conquistadores guardano agli indiani come a degli esseri inferiori, delle CREATURE A MEZZA STRADA TRA GLI UOMINI E GLI ANIMALI, dunque come si potrebbe avere RIMORSI? • EGUAGLIANZA O INEGUAGLIANZA Come abbiamo detto, il comportamento degli spagnoli può è tale non solo per via del loro desiderio di arricchirsi velocemente il più possibile, ma anche per via della visione che essi hanno degli indiani: essi sono ESSERI INFERIORI, CREATURE A META’ STRADA TRA UOMINI E ANIMALI! Ma fin dal primo momento a questa DOTTRINA dell’INEGUAGLIANZA fu contrapposta una che afferma invece l’EGUAGLIANZA di TUTTI GLI UOMINI. A sostegno di quest’ultima troviamo, ad esempio, Las Casas e molti altri religiosi, che hanno accusato gli spagnoli di trattare gli indiani come BESTIE. Tra sostenitori della prima risultano invece nomi di grandi intellettuali e anche filosofi dell’epoca, come Sepùlveda. Molti sono stati i testi emanati a sostegno dell’una e dell’altra posizione. Per quanto concerne la tesi dell’INEGUAGLIANZA, particolarmente interessante è un documento, il REQUERIMIENTO. Si tratta di un’ingiunzione indirizzata agli indiani, opera del 1514 del giurista regio PALACIOS RUBIOS, testo nato dalla necessità di regolamentare le conquiste dei conquistadores. Da allora, prima di conquistare un paese, sarebbe stato necessario leggere agli abitanti questo testo. Esso comincia con una breve storia dell’umanità, il cui punto culminante è rappresentato dall’apparizione di Gesù Cristo, definito "capo della stirpe umana"; Gesù ha trasmesso il suo potere a San Pietro e questi ai papi suoi successori, uno degli ultimi dei quali ha fatto dono del continente americano agli spagnoli. La dominazione spagnola è dunque VOLUTA DA DIO. Gli indiani devono SOLO ESSERNE INFORMATI! Las Casas dunque non vuole porre fine all'annessione degli indiani, ma vuole soltanto che sia compiuta da RELIGIOSI e non da SOLDATI. La colonizzazione e la sottomissione devono restare, ma gestite altrimenti, di modo che a guadagnarci saranno sia gli indiani, che non verranno più torturati o sterminati, sia il re di Spagna, che potrà godere di utili maggiori: questo non significa dare un giudizio totalmente negativo su Las Casas, anzi, se vi è qualcuno che ha contribuito a migliorare la sorte degli indiani, è stato proprio lui. Semplicemente, la posizione di Las Casas è più di tipo COLONIALISTA, a differenza di quella di molti conquistadores, di stampo SCHIAVISTA. La differenza tra queste posizioni non è naturalmente di poco conto… Nel secondo caso l'altro è soltanto un OGGETTO, un essere inferiore, che può essere ucciso per i cani, oppure per estrarne il grasso (usato per curare malattie), a cui si mozzano tutte le estremità, dal naso, alle mani, alla lingua, al sesso, così come si pota un albero, di cui si potrebbe persino usare il sangue per innaffiare i campi come fosse l'acqua di un fiume. Nel primo caso invece abbiamo una situazione di certo PIU’ REDDITIZIA, poiché si guarda all’altro come a un soggetto intermedio, al quale è vietato essere come noi, ma che, poiché meglio trattato e curato, sarà anche INFINITAMENTE PIU’ PRODUTTIVO. L'efficacia del colonialismo è dunque ben superiore a quella dello schiavismo. Se Colombo è da annoverare tra le fila degli schiavisti, possiamo dire che due personaggi tra loro diversissimi come Cortés e Las Casas, sono legati entrambi alla ideologia colonialista. Per quanto il primo conoscesse gli indigeni pur non provando alcun amore per loro e il secondo invece l’esatto opposto, entrambi sono accomunati dal fatto di riconoscere la necessità di assimilare gli indiani alla religione cristiana e preferire il colonialismo a danno dello schiavismo. Las Casas quindi non è ostile all’espansione degli spagnoli, desidera solo che essa sia condotta in una forma piuttosto che in un’altra. Non si può negare però che se da un lato il colonialismo sia senza dubbio migliore dello schiavismo, è anche vero che esso si oppone a un’altra forma, POSITIVA o NEUTRA, di CONTATTO CON L’ALTRO: la COMUNICAZIONE. Se richiamiamo la precedente triade comprendere-prendere-distruggere, possiamo facilmente notare come lo schiavismo corrisponda al distruggere, il colonialismo al prendere, e SOLO la COMUNICAZIONE al COMPRENDERE!! Non è necessario rinchiudersi nella sterile giustificazione delle guerre coloniali nel nome della superiorità della civiltà occidentale, o nel rifiuto di ogni comunicazione con lo straniero nel nome della propria identità. La risposta è partire da una COMUNICAZIONE NON VIOLENTA, e basare l’interazione con l’Altro sulla ricerca di sapere e sulla simultanea fornitura di informazioni. A prescindere infatti da quelli che possono essere considerati apporti positivi del colonialismo (ruota, fucine, telai…) tali esportazioni sono comunque da considerare VIOLENZE, poiché mai gli spagnoli si sono preoccupati di COMUNICARE con gli indiani, di chieder loro SE VOLESSERO la ruota o i telai. IMPORRE AGLI ALTRI LA PROPRIA VOLONTA’ SOTTINTENDE CHE ALL’ALTRO NON E’ RICONOSCIUTA LA STESSA UMANITA’. • PARTE QUARTA: CONOSCERE • TIPOLOGIA DEI RAPPORTI CON L’ALTRO: Abbiamo detto che il comportamento di Las Casas e quello di Cortés nei confronti degli indiani possono essere per certi versi assimilati. Ciò suona paradossale solo se non si comprende che il rapporto con l'altro non si costruisce entro una sola dimensione. E’ possibile infatti individuare almeno 3 ASSI intorno a cui ruota la PROBLEMATICA DELL’ALTERITA’: • Piano assiologico o GIUDIZIO DI VALORE: l’altro è buono o cattivo, è MIO PARI oppure INFERIORE. • Piano prasseologico: tendo ad AVVICINARMI oppure ad ALLONTANARMI dall’Altro? Tendo ad ASSIMILARLO o MI FACCIO assimilare? Lo SOTTOMETTO, MI sottometto, oppure rimango in una posizione di NEUTRALITA’? • Piano epistemologico: CONOSCO oppure IGNORO l’identità dell’altro? A che grado, poco o molto? Sono piani tra loro vicini e simili, ma comunque indipendenti l’uno dall’altro! Ad es. Las Casas CONOSCE (epistemologico) gli indiani meno di Cortes, eppure li AMA (assiologico) di più! Ma entrambi si riconoscono in una posizione ASSIMILAZIONISTA (prasseologico). Il piano che di certo più interessa nel caso di Las Casas è dunque quello ASSIOLOGICO. Il suo atteggiamento nei confronti degli indios tende infatti a cambiare nel tempo. Quando arrivò in Sud America all’inizio del ‘500 gli fu affidata la direzione di una ENCOMIENDA, una struttura agricola il cui funzionamento si basava sullo sfruttamento del lavoro degli schiavi indiani. La sua posizione nei confronti di quest’ultimi era dunque inizialmente di nettissima superiorità. Con il tempo però, attraverso la lettura della Bibbia e l’osservazione delle vicende e delle condizioni degli indiani, egli comincia a mutare il proprio atteggiamento, RINUNCIA ai PROPRI INDIANI, si CONVERTE (diventando domenicano), dedica la propria vita al miglioramento delle condizioni degli indios. Un’altra importante trasformazione si verifica però verso la fase finale della sua vita, intorno al 1550. Prima e dopo questa data l’amore per gli indiani non è lo stesso. Tale cambiamento sembra essere scaturito, in particolare, dalle riflessioni da lui fatte in merito alle pratiche di SACRIFICI UMANI effettuati dagli aztechi. Proprio quei riti costituivano, per la maggioranza dei sostenitori della tesi dell’ineguaglianza, la prova dell’INFERIORITA’ DEGLI INDIANI. Las Casas cerca di CONFUTARE questa conclusione, affermando in un PRIMO TEMPO che senza dubbio il sacrificio umano è da condannare, così come il cannibalismo, ma che innanzitutto non si può pensare di risolvere il tutto facendo GUERRA agli indiani, e che secondo poi bisogna considerare il rispetto nei confronti delle leggi. Così come il bravo spagnolo rispetta quelle della sua terra, se nella società indiana vi sono leggi che impongono queste pratiche, la colpa non è dei singoli cittadini che le rispettano! Ma egli non si limita a questo, anzi va oltre. Cerca di mostrare come il sacrificio non sia una pratica così estranea nemmeno alla cultura del lettore: Non ha forse Abramo quasi sacrificato suo figlio a Dio? E Gesù stesso non è stato forse sacrificato al Padre? Apparentemente non sembra che Dio detesti in modo assoluto il sacrificio! Stessa cosa vale per il cannibalismo: non si sono forse trovati alcuni soldati di Cortes in condizioni tali di difficoltà da doversi cibare di parti dei loro compatrioti morti? Las Casas poi, dopo aver mostrato la non eccezionalità sia dei sacrifici sia del cannibalismo, si spinge a dire che il sacrificio umano è accettabile non solo per ragioni di fatto, ma anche per ragioni di diritto: il suo ragionamento si articola in 3 punti: • Ogni essere umano ha una conoscenza intuitiva di Dio. • Gli uomini adorano Dio secondo le loro capacità e a modo loro, cercando sempre di fare il meglio che possono. • La più grande prova d'amore che si possa dare a Dio, consiste nell'offrirgli ciò che si ha di più prezioso, e cioè la stessa vita umana. • Il sacrificio, dunque, esiste per una legge naturale, e le sue caratteristiche saranno regolate, per quanto concerne la natura dell'oggetto sacrificato, dalle leggi umane. Semplicemente gli indiani credevano attraverso queste pratiche di fare il miglior dono possibile a Dio, anzi, a quei demoni che essi avevano scambiato per il VERO Dio. Si può quindi affermare che gli indiani siano in realtà SUPERIORI IN RELIGIOSITA’ AD OGNI ALTRA NAZIONE (persino alla Spagna), poiché OFFRONO A DIO CIO’ CHE HANNO DI PIU’ PREZIOSO! Pur affermando l’esistenza di UN solo dio, Las Casas quindi NON PRIVILEGIA A PRIORI LA VIA CRISTIANA a Dio. Ognuno ha il diritto di avvicinarsi a Dio per la strada che più gli è confacente. E questo principio può essere applicato ALL’ALTERITA’ IN GENERALE! La stessa nozione di “barbarie” è relativa, perché per essere considerati tali è sufficiente parlare una lingua sconosciuto all’altro, ERGO secondo Las Casas sono gli SPAGNOLI ad essere dei BARBARI per gli INDIANI, poiché non li capiscono! Nella vecchiaia quindi Las Casas arriva ad ACCETTARE LA COESISTENZA DI PIU’ IDEALI E VALORI, RICONOSCENDONE LA RELATIVITA’! Egli scopre quindi quella FORMA SUPERIRORE di EGUALITARISMO che è il PROSPETTIVISMO: non ci si può commisurare tutti ad un IDEALE UNICO, ma ognuno è messo in rapporto con i VALORI PROPRI!. Las Casas arriva quindi ad affermare la necessità, non solo sul piano religioso, ma anche sociale, che gli indiani POSSANO DECIDERE ESSI STESSI DEL PROPRIO AVVENIRE: si dovrebbe esercitare un controllo su quelle terre e su quelle ricchezze SOLO se gli indiani lo permettessero! In pratica, egli RINUNCIA AL DESIDERIO DI ASSIMILARE GLI INDIANI E SCEGLIE UNA VIA NEUTRA: ESSI POSSONO DECIDERE PER SE STESSI! L’autore fa poi riferimento ad alcuni casi (poiché molto rari) in cui sono stati gli SPAGNOLI ad IDENTIFICARSI con gli INDIANI, in maniera più o meno maggiore. E’ il caso di Gonzalo Guerrero, naufragato sulle coste del Messico nel 1511 e divenuto un capo militare indiano. Egli sposò una donna indiana d'alto rango, si rifiutò di raggiungere le truppe di Cortés quando questi sbarcò nello Yucatàn, e secondo alcuni combatté a lungo contro gli eserciti dei conquistadores. Il caso di Alvar Nùnez Cabeza de Vaca è invece più complesso: anch'egli, come Guerrero, si trova ad essere isolato e senza possibilità di contatto con la Spagna, in seguito ad un naufragio in Florida: con alcuni compagni, allora, si trova costretto a vivere fra gli indiani e come gli indiani, intraprendendo un viaggio a piedi durato otto anni, al termine del quale due punti di vista, quello spagnolo e quello azteco, sono distinti, ma il naturale sincretismo di Duràn mette sempre in pericolo ogni netta differenziazione; nel libro di storia poi, il discorso è ancora più complesso, dato che Duràn ha sott'occhio un manoscritto in lingua nahuatl e lo sta traducendo in spagnolo, confrontandolo se necessario con altre fonti; questo progetto, però, di compiere una pura e semplice traduzione, non viene mantenuto nel corso del libro, tanto che egli scrive: "Il mio unico desiderio è di parlare della nazione azteca, delle sue grandi imprese e del triste destino che l'ha condotta alla rovina" (III, 77), e ancora "In questa mia storia ho voluto anch'io narrare la loro gloria e perpetuare la loro memoria, affinché esse durino quanto durerà il mio libro" (III, 11): evidentemente qualcosa di più di una semplice traduzione, giacché Duràn rivendica per sé il ruolo di storico, il cui compito è perpetuare la memoria della civiltà azteca. Duràn, da un lato, si è completamente identificato con il punto di vista azteco, ma dall'altro lato, non è così, dato che non mette mai in causa la sua fede cristiana: egli NON È NÉ SPAGNOLO NÉ AZTECO, MA UNO DEI PRIMI MESSICANI, così come la Malinche. Non bisogna dunque stupirsi se il giudizio da lui espresso sugli indiani e la loro cultura sia profondamente contraddittorio: egli di sicuro non vede in essi né i buoni selvaggi né i bruti sprovvisti di ragione, ma dice che, malgrado possiedano una mirabile organizzazione sociale ed una notevole intelligenza, tuttavia persistono nella loro fede pagana, decidendo in tutta onestà di conservare l'ambivalenza dei suoi sentimenti . Egli rappresenta comunque la figura esemplare del DESIDERIO DI SAPERE! L’altro importante personaggio esaminato da Todorov è BERNARDINO DE SAHAGÚN. Sahagùn nacque in Spagna nel 1499, e divenne, dopo gli studi all'università di Salamanca, un frate francescano. Nel 1529, giunse in Messico, dove rimase fino alla morte, avvenuta nel 1590. La sua attività segue due grandi direttrici: l'insegnamento e lo scrivere. Appena giunto in Messico impara a fondo la lingua nahuatl e diventa professore di latino in un collegio francescano. Ciò che a noi più interessa è però la sua attività di scrittore: sua opera principale è la Histora general de las cosas de la Nueva Espana. Il progetto di quest’opera nasce, come per Dùran, da motivazioni religiose: Sahagùn ha il desiderio di facilitare l'espansione del cristianesimo, ma se si vuole estirpare l'idolatria è anche necessario conoscere a fondo le usanze pagane, così come per un medico è necessario, per guarire una malattia, conoscere il malato! Accanto a questo chiaro motivo, però, ne esiste un altro, e cioè il DESIDERIO DI CONOSCERE E CONSERVARE LA CULTURA INDIGENA, e tale desiderio, ben più che in Duràn avrà il sopravvento sull'interesse pragmatico. Per questo egli decise che il testo della sua Historia fosse redatto in base alle informazioni acquisite dai testimoni più degni di fede, e fosse scritto in nahuatl. In un secondo tempo poi, Sahagùn decise di aggiungere al testo in lingua originale anche una traduzione in spagnolo e di far ILLUSTRARE il tutto (poiché bisogna ricordare che quelle popolazioni NON avevano la scrittura, ma si servivano dell’iconografia!). Di particolare interesse fu quindi per Sahagùn la ricerca degli INFORMATORI: egli si rivolse in particolare agli ANZIANI NOTABILI di alcune città messicane, che avevano assistito ai fatti raccontati, oppure che potessero tramandare le loro antichissime conoscenze e tradizioni. Egli inoltre fa anche ricorso ad ANTICHI CODICI, riportanti sotto forma di immagini la antica storia messicana. A DIFFERENZA DI DURÀN, il contenuto delle cui opere proviene dagli informatori, ma il cui punto di vista è sempre il SUO, Sahagùn sceglie la strada della FEDELTÀ INTEGRALE e riproduce i discorsi da lui effettivamente ascoltati, aggiungendovi e non sostituendovi la sua traduzione. Tutto questo enorme lavoro dura circa 40 anni: il risultato è una enciclopedia della vita spirituale e materiale degli aztechi prima della conquista, il ritratto di una civiltà destinata a sparire definitivamente nel giro di pochi anni. Sebbene rispetto a Dùran Sahagùn abbia una minor comprensione degli indiani e vi sia anche meno vicino, allo stesso tempo è, nella sua descrizione, molto più FEDELE, e ancora oggi la sua opera è un importante punto di riferimento per gli studi sugli aztechi! Nella sua narrazione quindi, ad es. nella descrizione delle pratiche di sacrifici umani, Sahagùn NON esprime GIUDIZI DI VALORE, né proprie INTERPRETAZIONI PERSONALI: egli piuttosto descrive tutto dall'esterno, con molta precisione tecnica. Venendo poi alla scelta degli argomenti operata da Sahagùn, gioverà ricordare che, anche se il suo progetto dichiarato era la evangelizzazione degli indiani attraverso lo studio della loro religione, non più di 1/3 dell'opera tratta di questi argomenti: egli, forse data la ricchezza dei materiali, decise infine di sostituire il suo vecchio progetto con un altro, cioè la CREAZIONE DI UNA ENCICLOPEDIA DEL SAPERE AZTECO, in cui trovassero posto sia le cose divine sia le cose umane. Se non accettassimo l'esistenza di questa evoluzione degli intenti, dovremmo chiederci l'utilità cristiana di una lunga ed approfondita descrizione del serpente acquatico!! Egli, partito dall'idea di utilizzare il sapere degli indiani per contribuire alla propagazione della cultura europea, arriva a fare il contrario, mettendo il suo sapere al servizio della conservazione della cultura indigena. Non si tratta però di affermare che egli ha abbracciato la causa degli indiani, dato che molti passi della sua opera ce lo mostrano fermissimo nelle sue convinzioni cristiane, e ciò che sappiamo del suo operato ci indica che egli si preoccupa della cristianizzazione dei messicani più di qualsiasi altra cosa: la sua opera è, come quella di Duràn, UN LUOGO DI INCONTRO DI DUE VOCI, DUE CULTURE E DUE PUNTI DI VISTA. Sul piano dei giudizi di valore, poi, egli aderisce alla posizione cristiana dell'eguaglianza di tutti gli uomini, senza però che essa porti, come invece accade in Las Casas, ad una affermazione di identità e ad una idealizzazione degli indiani, che conservano, così come gli spagnoli, i loro difetti. Le conoscenze che ci fornisce sono ancora oggi una manna per gli etnologi, che effettuano quel lavoro di interpretazione a cui egli non si è dedicato: Sahagùn non è però un etnologo, bensì un etnografo, cioè un esperto nella raccolta di quei documenti di cui l'etnologo ha bisogno. In lui le voci non sono mai sovrapposte, ma affiancate: la Bibbia accanto alla descrizione dei riti aztechi, e, anche se per lui una sola di queste voci è la verità, tuttavia è possibile trovare nelle sue pagine i primi abbozzi di un futuro dialogo, che annunciano il nostro odierno presente. - EPILOGO • LA PROFEZIA DI LAS CASAS: Nella parte finale del suo libro Todorov esprimendo le sue convinzioni circa l'insegnamento che la sua opera può dare, e, più in generale, circa il modo di rapportarsi all'altro. Egli inizia citando quella che potrebbe essere considerata una “PROFEZIA” di Bartolmé Las Casas, da lui scritta nel proprio testamento: "Credo che, a causa di queste opere empie e scellerate, perpetrate in modo così ingiusto, barbaro e tirannico, Dio riverserà sulla Spagna la sua ira e il suo furore, giacché tutta la Spagna si è presa la sua parte, grande e piccola, delle sanguinose ricchezze usurpate a prezzo di tante rovine e di tanti massacri". Tuttavia, dice Todorov, dovremmo sostituire alla parola “Spagna”, “Europa occidentale”. Infatti anche se la Spagna fu all’avanguardia nel processo di colonizzazione e di distruzione degli ALTRI, anche portoghesi, francesi, olandesi, ecc.. non si risparmiarono! Tutti noi quindi siamo teoricamente coinvolti! Molti avvenimenti della storia recente paiono dare ragione a Las Casas, la schiavitù è stata abolita da circa cent'anni, e il colonialismo vecchio stile è scomparso da trenta o quarant'anni. Molte VENDETTE sono state compiute e vengono compiute ancora, contro i cittadini delle antiche potenze coloniali, spesso colpevoli solo di avere un certo passaporto: tali atti non potranno mai saldare il bilancio dei crimini perpetrati dagli europei, ma non fanno altro che riprodurre quanto di più condannabile gli europei hanno compiuto, ed è sempre triste vedere la storia ripetersi. Todorov dice di aver voluto scrivere questo libro perché i racconti di ciò che è stato non fossero dimenticati. Prendendo ad esempio la donna maya fatta sbranare dai cani(a cui il libro è stato dedicato), Todorov afferma che la soluzione non sta nel far sbranare ai cani degli spagnoli, per ripagare il torto compiuto: questo episodio deve però servire da LEZIONE per comprendere COSA PUO’ ACCADERE SE NON SI RIESCE A SCOPRIRE L’ALTRO! Perché l'altro deve essere scoperto. E poiché la scoperta dell'altro percorre diversi gradi: dall’ALTRO come OGGETTO, all’ALTRO come SOGGETTO uguale all’IO, ma comunque DIVERSO, passando per un’infinità di sfumature intermedie, è possibile trascorrere la vita senza mai giungere alla piena scoperta dell'altro, sempreché ad essa si possa realmente arrivare. Ognuno di noi deve sempre ricominciarla personalmente, le scoperte anteriori non ce ne dispensano. La scoperta dell'altro deve essere assunta in proprio da ciascun individuo. Abbiamo detto come la storia della conquista dell’America sia esemplare, e lo è secondo Todorov anche perché è da QUEL MOMENTO che l’Europa, per più di 300 anni, si è impegnata nell’ASSIMILAZIONE dell’ALTRO, e in gran parte ci è riuscita, i suoi valori ed il suo modo di vita si sono diffusi in tutto il mondo, e, come voleva Colombo, i colonizzati hanno adottato le nostre usanze e si sono vestiti. Ciò si è dovuto soprattutto a quella notevole capacità che gli occidentali mostrano di avere, cioè la CAPACITA’ DI CAPIRE GLI ALTRI. Come visto l’es. massimo di tale capacità è CORTES, che partendo da un iniziale interesse verso l’altro ne conosce e comprende lingua, costumi, politica… e poi SFRUTTA IL TUTTO per procedere all’ASSIMILAZIONE degli indiani al PROPRIO mondo. Stessi procedimenti furono utilizzati poi durante le evangelizzazioni dai frati dei vari ordini… Todorov afferma che oggi questo periodo della storia europea è, forse, in via di esaurimento, giacché i rappresentanti della civiltà occidentale non credono più alla sua superiorità, e dunque il movimento di assimilazione si va spegnendo, anche se i paesi colonizzati continuano a voler vivere come gli europei. Oggi si cerca una condizione di UGUAGLIANZA senza che ciò significhi IDENTITA’, e di DIFFERENZA NON DEGENERATA IN CATEGORIE DI SUPERIORITA’/INFERIORITA’. Vivere la differenza nell'eguaglianza è cosa più facile a dirsi che a farsi, ma, nella storia della conquista dell'America, molti vi si stavano avvicinando: sul piano assiologico, il vecchio Las Casas era giunto ad amare e stimare gli indiani non in funzione del proprio ideale, ma del loro, ad un amore "neutro".
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