Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Riassunto L'avventura di un maestro - Manzi, Sintesi del corso di Didattica Pedagogica

Sintesi personale per l'esame di Didattica Pedagogica basata sul libro "l'avventura di un maestro" di manzi. esame universitario "didattica generale".

Tipologia: Sintesi del corso

2013/2014

In vendita dal 06/08/2014

hilary93
hilary93 🇮🇹

4.7

(64)

35 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto L'avventura di un maestro - Manzi e più Sintesi del corso in PDF di Didattica Pedagogica solo su Docsity! L’avventura di un maestro. Poco più che 20enne, Manzi racconta che si conquistò la credibilità di insegnante sfidando a cazzotti il leader dei giovani carcerati (era stato in marina, quindi vinse). Manzi inizia così il suo lavoro di maestro. Dopo la scazzottata, Manzi riporta che non fu facile costruire una relazione educativa tra di loro: si trattava di rompere un muro di diffidenza per innescare una comunicazione che fosse basata anche su un loro interesse. Una missione quasi impossibile dal momento che mancavano le condizioni minime: banchi, libri, matite, carta. Grogh. Manzi poteva disporre solamente delle proprie risorse personali, raccontate e ascoltate. Nei primi tempi fu il maestro a interessarsi ai loro racconti: 94 ragazzi dagli 8 ai 18 anni, circa 20 analfabeti e molti accusati di rapina, omicidio… Un giorno più disperato del solito, Manzi cominciò a raccontare, inventandola, una storia di castori che cercavano la libertà,, i ragazzi si appassionarono e ciò andò avanti per mesi interi, così Manzi propose loro di scriverla. I ragazzi iniziarono poco alla volta a sentirsi uniti in un’impresa comune e Manzi nel frattempo recuperava e comprava matite, penne, carta… il direttore del carcere incoraggiò Manzi nel suo progetto, si mise in contatto con una tipografia per far stampare il giornalino e questo fu per i ragazzi un successo che aumentò il loro interesse e la fiducia in se stessi. Giornalino “La tradotta”, il primo realizzato all’interno del carcere. Quando Manzi entrò nel carcere, il suo primo atto fu quello di rifiutare la presenza di due guardie carcerarie: egli voleva dare ai ragazzi il senso di una presenza, la sua, che non aveva gli stessi connotati ostili delle figure istituzionali carcerarie. L’obiettivo era quello di darsi accettare dai ragazzi per quello che egli era e che intendeva fare. Per essere accettato era necessario costruire con loro un’esperienza in cui la dimensione del carcere venisse messa momentaneamente tra parentesi: quei ragazzi nei loro pensieri e nelle loro parole si vivevano e si pensavano continuamente fuori dal carcere, quindi la loro idea di libertà era esclusivamente in negativo, cioè basata sul fatto di andarsene dalla prigione. Manzi capì che il problema era quello di costruire con i ragazzi un’idea di libertà in positivo ad esempio attraverso la tecnica dello storytelling che offre “una via di fuga” attraverso l’immaginario. La storia non deve essere casuale: Manzi costruisce il racconto con rigore scientifico e narrativo, e con precisa intenzionalità pedagogica, quella per cui i ragazzi appassionandosi alla storia, trovino nei personaggi e nelle situazioni un senso che li porti a immaginare e a pensare, a porsi delle domande e a cercare delle risposte. L’idea è che i racconti e le fiabe siano strumenti formidabili per “educare a pensare”. Finita la storia del castoro, i ragazzi avevano preso gusto a fare delle cose insieme e questo era il momento giusto per proporre una nuova esperienza che aprisse l’orizzonte dei ragazzi non solo attraverso l’immaginario ma con esperienze reali: ottenne il permesso dal direttore per segare le sbarre delle finestre dell’aula e il permesso per i più meritevoli di qualche ora in più fidi libertà. Manzi insieme al magistrato che dirigeva il riformatorio fondarono il centro di boy-scout e così fu possibile organizzare campi all’aperto e nessuno si pentì della fiducia data a quei ragazzi. Lo scautismo fu un tratto importante nel metodo pedagogico utilizzato da Manzi, e i temi centrali erano quelli del gioco e dell’avventura, della responsabilità e della libertà, dello spirito di gruppo e del piacere di scoprire il mondo e di mettersi alla prova. Non a caso per la storia di Grogh Manzi sceglie un registro dove la vita degli animali assume i connotati di una potente metafora pedagogica attraverso cui leggere i temi della giustizia e dell’ingiustizia, della necessità di affrontare i conflitti e del bisogno d’aiuto e l’ambiente naturale, sfondo di questa avventura, è luogo patrimonio di comune appartenenza, la cui salvaguardia è garanzia della vita di tutti. È quasi un omaggio “i libri 1 della giungla” di Kipling, il modo in cui Manzi identifica e caratterizza gli animale e gli elementi naturali di Grogh, un mondo fantastico, ludico e avventuroso. Non era facile conciliare il rigido regolamento del carcere con le possibilità di vivere le esperienze dello scautismo eppure questa esperienza andò avanti anche dopo il 1949 quando Manzi terminò il suo lavoro al Gabelli. La vita del gruppo scout del Gabelli continuò ad essere raccontata dai suoi protagonisti sulle pagine del giornalino La tradotta, e molte di queste pagine vengono dedicate allo scoutismo, al suo valore come metodo educativo e all’esperienza del Gabelli e c’è anche una lettera di Manzi a cui è dato il titolo “parla il primo magister”. Di tutti i 94 ragazzi usciti dal carcere, sono 2 vi sono ritornati. Manzi decide di riscrivere la storia dandone un senso compiuto, per due anni non seppe più niente quando gli comunicarono che aveva vinto il premio “Collodi” e fu Maria Montessori a consegnarglielo. Bompiani lo pubblica e nel 1953 la Rai ne fa una trasposizione radiofonica. Grogh avrà un successo internazionale, sarà tradotto in 28 lingue. La seconda opera è la più famosa: Orzowei, pubblicato nel 1955, vincitrice del premio “Andersen” con edizioni in oltre 30 lingue. Grazie anche alla serie tv e alla versione cinematografica, Orzowei si colloca tra i classici contemporanei della letteratura per l’infanzia. Ambientato in Sudafrica alla fine dell’800 e molte tribù si scontrarono in feroci guerre coloniali dove bianchi e neri si contendono ricchi territori. Sfondo di Orzowei: le guerre anglo-boere. Orzowei è un romanzo dove l’avventura ha risvolti duri e impietosi della violenza carica di pregiudizio e di razzismo, spesso descritta nei suoi dettagli cruenti. Vi è però anche la progressiva elaborazione degli anticorpi alla violenza e all’odio che si formano non dando voce a discorsi intrisi di moralismo ma all’interno dell’avventura stesa. Anche qui risuonano echi Kipunghiani: la giungla indiana, Tarzan, Mowgli. Le avventure raccontate in questo libro sono un autentico repertorio di quella pedagogia scout che si basa sull’imparare osservando e facendo, sulle lezioni apprese alla scuola della vita quotidiana e delle cose concrete. Manzi si era laureato in biologia e la sua competenza scientifica traspare chiaramente sia in Grogh che in Orzowei, dove si trovano pagine sulla vita animale, lotta per la sopravvivenza, il dispiegarsi della natura e delle sue leggi. Entrambi i romanzi hanno un finale tragico (morte eroica dell’eroe) e salvifico insieme (questo gesto salva il suo popolo): opere che riproducono i canoni della tragedia. Il mondo della natura e la vita che vi si svolge, sia umana che animale, per Manzi non sono né un parco divertimenti né un luogo regressivo o di fuga dove tutto è buono e bello, si tratta piuttosto di un ambiente duro, a tratti crudele, oppure un “mondo della vita” dove l’uomo può sia costituire la propria identità e la propria formazione autentica, sia esercitare il proprio potere distruttivo. Prima di pubblicare Orzowei, Manzi compie il suo primo viaggio in Sudamerica, un’avventura che durerà 20 anni dedicata a insegnare agli adulti, non solo ai bambini, analfabeti. Alla fine degli anni ’40, si iscrive all’università di filosofia dove conosce un grande pedagogista italiano: Luigi Volpicelli ma non gli piace perché “non si sperimenta niente”. L’icona televisiva di Manzi, costruita in 9 anni di “Non è mai troppo tardi” dal 1960 al 1968, così affidabile e rassicurante, non svelava all’apparenza le inquietudini di quel maestro elementare in continua solitudine nella ricerca. Lo stesso programma televisivo era un’autentica sfida comunicativa e pedagogica: raggiungere oltre due milioni di adulti analfabeti, con i quali bisognava pensare ad un modo di fare- scuola diverso dalla scuola. Era questo che interessava Manzi. L’avventura di un percorso didattico tutta da costruire e che nasceva con un atto di rottura con la tradizionale comunicazione scolastica. Quando inizia la carriera televisiva, Manzi è già di ruolo nella scuola elementare da una decina di anni. Egli non si limitava a guardare la realtà della scuola e a lamentarsene, non aggrediva l’istituzione perché 2 Perdere il rapporto con “il mondo della vita” significa perdere il senso autentico dell’imparare e della fatica necessaria per questo. Non a caso Manzi parte dal gioco poiché è l’esperienza spontanea e naturale con cui il bambino entra il contatto con il mondo e acquisisce abilità e conoscenze fondamentali: sono forme di gioco in cui il piacere sta nell’esplorare e nel costruire con le proprie mani, in cui il bambino vive emozioni e avventure, esercita il proprio corpo e pensiero, i sensi e l’immaginazione. Come per la Montessori, anche per Manzi il gioco è “ il lavoro” del bambino. Manzi comunque non assunse mai atteggiamenti antagonisti alla scuola: la sua critica al sistema scolastico era vissuta personalmente attraverso il suo lavoro quotidiano, il suo modo didatticamente alternativo di far scuola pur rimanendo nella scuola pubblica e affermandone il valore primario. Egli preferiva dar prova del suo lavoro didattico cercando consenso dalle famiglie e dai dirigenti scolastici alle sue proposte, sempre documentate. In un’occasione però Manzi si mise contro l’istituzione, tanto che la legge del 1977 introduceva la necessità e l’obbligatorietà della scheda di valutazione alla quale Manzi si oppose sottolineando come i “giudizi” potessero aver pesanti conseguenze sul futuro del bambino. Voti e schede di valutazione erano in evidente contrasto con l’impianto pedagogico che Manzi perseguiva, basato sulla visione del soggetto come persona, perciò non classificabile sulla base di giudizi frammentati e oggettivi. Egli vedeva l’educazione come un processo lento, non necessariamente lineare per cui solo alla fine di un ciclo lungo di lavoro scolastico è possibile elaborare per ogni alunno un profilo, per cui per Manzi le scadenze trimestrali erano inutili. Questa posizione era una vera e propria convinzione e Manzi non era disposto a scendere a compromessi. Manzi viene sottoposto più volte al giudizio del consiglio di disciplina a causa dell’utilizzo del timbro “fa quel che può, quel che non può non fa” e nel maggio del 1981 il suo caso finì sulla stampa e la sua scelta di non compilare le schede portò alla denuncia per omissione di atti di ufficio con la conseguente sanzione di sospensione dall’insegnamento e quindi dallo stipendio per due mesi. La centralità dell’educazione scientifica. Esperienza/conoscenza corde vocali in classe. “l’imposizione non forma un concetto scientifico, si dimentica facilmente oppure rimane in forma stratta nella mente ma non provoca una crescita intellettuale”. L’educazione scientifica è un campo a cui Manzi dedica, per certi aspetti, un impegno superiore agli altri ambiti didattici, che comunque non trascura. Questo fondamentalmente per due motivi: • Egli sosteneva che nella scuola, all’educazione scientifica si dedicasse una quantità di tempo decisamente inadeguata. La percezione alla fine è che le scienze contino poco rispetto alle altre discipline. L’idea di Manzi è che negli anni in cui lo sviluppo dell’intelligenza del bambino è cruciale, sottovalutare il ruolo che possono avere le esperienze, il pensiero e il linguaggio scientifico sia un grave errore pedagogico. • Non si possono insegnare le scienze senza rispettare il loro statuto epistemologico che si basa sulla formulazione delle ipotesi, l’osservazione della realtà, la sperimentazione, la descrizione di processi fino alla formalizzazione di concetti che a loro volta possono aprire nuove domande. È il laboratorio lo spazio metodologicamente connotato per fare scienza nella scuola. Il bambino ha continuamente bisogno di trovare e dare senso a tutto ciò che entra a fare parte del suo “essere- nel-mondo” : spesso è l’adulto che tende a ridurre allo stato di passività o a sottovalutarne le capacità cognitive, ma il bambino per sua natura non è passivo. Inoltre fondamentale è il rispetto da parte dell’insegnante per le conoscenze pregressive, spontanee, ingenue dei bambini. Necessario è 5 che l’insegnante sia a conoscenza di ciò che il bambino sa: il bambino infatti parte sempre da proprie esperienze e conoscenze che confronta con nuove ipotesi, domande e risposte. Manzi afferma che se la “verità” scientifica viene calata dall’alto, imposta dall’autorevolezza dell’insegnante viene velocemente appresa dal bambino ma altrettanto velocemente la può dimenticare e non rappresenta una sua “conquista” cognitiva, una “conoscenza” nel vero senso del termine. L’insegnante infatti, a partire da un certo argomento e tenendo conto dell’età dei bambini, deve mettere in atto delle strategie che consentano al bambino di acquisire un ruolo di apprendimento e quindi di crescere sul piano cognitivo. Manzi recupera, attuando in forme didatticamente creative, il metodo che Comenio definì nella metà del ‘600 “autopsia”: visione diretta, applicata ad ogni tipo di esperienza diretta nel campo della didattica. Comenio scrive: “gran parte delle difficoltà consistono nel fatto che le come non si insegnano ai discenti per visione diretta ma con noiosissime descrizioni che si inseriscono debolmente nella memoria. Il rimedio sarà quello di offrire tutte le cose per visione diretta (autopsia) rendendole presenti ai sensi”. Il termine autopsia, etimologicamente “vedere con i propri occhi” esprime la modalità abitualmente usata nel metodo scientifico, basata sull’evidenza dei dati e sulla pratica dei di-mostrare: su tale procedimento, da una parte si fonda il metodo scientifico e dall’altra si pone la centralità dell’esperienza diretta del bambino sulle cose, esperienza che sul piano didattico non è nuda e cruda ma è il frutto di una elaborazione e di una mediazione dell’insegnante, mentre il bambino non si limita a fare e a guardare ma impara ad osservare e ad agire sulle cose elaborando i propri pensieri e conquistando il linguaggio per esprimerli. Il concetto di educazione scientifica per Manzi è un tratto fondamentale dell’educazione linguistica: egli infatti afferma che la specificità del linguaggio descrittivo, che è fondamentale nel metodo scientifico, dove l’analisi precisa e ordinata di un fenomeno nei suoi elementi costitutivi è alla base della possibilità di comprendere un procedimento, di riprodurlo e di verificarlo. La capacità logica e linguistica di formulare un problema è tanto importante quanto la capacità di saperlo rappresentare e risolvere, e le due cose sono strettamente legate tra loro. Il linguaggio è lo strumento che sta alla base di tutto, va educato non solo attraverso i consueti eserciziari di grammatica e sintassi, ma nelle esperienze dal vivo, che riguardano le sue modalità d’’uso. La padronanza con lo strumento della scrittura porta Manzi ad elaborare continuamente appunti su ciò che intende fare e che ha fatto: ne risulta così una memoria didattica che ha il compito di lasciare tracce del proprio lavoro passo dopo passo. Eppure sono pochi gli insegnanti che usano la scrittura come strumento di documentazione e di elaborazione del proprio “essere in didattica”: la scrittura dell’insegnante è infatti sempre più ridotta a strumento di rendicontazione amministrativa e burocratica, nei format delle programmazioni, nei POF… Come devono essere gli insegnanti e concetto di manipolazione. In alcune sue riflessioni, Manzi riporta quelli che sono per lui gli importanti obiettivi formatici e culturali che possono essere realizzati in un contesto di educazione scientifica per la scuola elementare, in particolare all’interno di un lavoro di biologia. • Ogni bambino deve rendersi conto di far parte, al proprio livello, di un mondo che può essere studiato e conosciuto, in cui fatti diversi possono essere messi in connessione tra di loro e descritti con parole appropriate. Così a scuola, guardando le cose attorno, studiando, provando a prevedere quello che può succedere, provando a riconoscere gli eventi sicuri da quelli 6 improbabili, ci si rende conto sempre meglio che il mondo i cui si vive può essere interpretato come un sistema coerente in cui si possono conoscere diversi aspetti.. bisogna però che gli adulti sappiano che il loro stesso personale atteggiamento nei confronti del mondo può rappresentare per i ragazzi un mezzo di apertura o chiusura al desiderio e alle possibilità di conoscenza. • Il fatto che con il termine formazione culturale si faccia riferimento ad una preparazione organizza e multidimensionale che li renda capaci di sviluppare e organizzare con criteri logici e coerenti non solo i propri hobbies scientifici o le proprie conoscenze scolastiche ma soprattutto il proprio modo di pensare.. • La formazione culturale scientifica non può svilupparsi come patrimonio di un singolo individuo isolato: perché questa possa rappresentare uno strumento conoscitivo efficace, è necessario che vi sia una richiesta sociale di educazione alla scienza. I bambini devono imparare ad ascoltare e a ricercare mezzi con cui rispondere in modo che anche informazioni o osservazioni casuali abbiano la possibilità di crescere. Manzi vuole proporre un modo di lavorare in classe basato sulla collaborazione con i ragazzi per la risoluzione di problemi di qualunque tipo, ritenuti importanti e che quindi suscitino nuovi interessi. Questo non significa seguire soltanto curiosità superficiali dei bambini ma significa aiutarli a capire la realtà che direttamente li circonda. Una volta scelto di affrontare un problema è necessario che i bambini siano lasciati liberi di esprimere le loro opinioni personali, di esplicitare i loro modelli confrontandoli con gli altri. Questo momento è fondamentale: 1) per i bambini poiché impara a vivere in maniera socializzata i problemi; 2) per gli insegnanti in quanto possono utilizzare la discussione per suggerire ai bambini sia argomenti su cui informarsi e fare esperienze, che dove e come trovare queste informazioni. Fondamentale per raggiungere qualsiasi obiettivo didattico è la padronanza della materia e inoltre è necessario che chi insegna non sia legato a schemi rigidi e prefissati non sappia raccordare al linguaggio e al pensiero scientifico i termini e i modi di rappresentare usati dai bambini. Deve saper interpretare e capire a fondo quello ce i bambini dicono, chiarendo i dettagli e i corto-circuiti delle discussioni. Le riflessioni di Manzi portano a considerare la didattica sia una scienza dell’educazione sia una scienza della comunicazione finalizzata all’apprendimento. Egli era convinto che il valore pedagogico dell’educazione scientifica stesse nel fatto che il pensiero scientifico rende il soggetto libero: questa conoscenza mette infatti il bambino nella condizione di acquisire un metodo il cui punto di partenza sta precisamente nell’abitudine a chiedere e a chiedersi il perché delle cose senza accontentarsi dell’apparenza o della prima risposta. L’educazione scientifica non è semplicemente l’acquisizione di un certo bagaglio di conoscenze, ma è educare a pensare, a pensare che se la realtà è così ci sono delle spiegazioni ed entra così in gioco la libertà di pensiero. Libri di testo. Nel 1972 Bonazzi e Umberto Eco pubblicarono il libro “i pampini bugiardi”, il cui obiettivo era quello di muovere una critica serrata al libro di testo come uno strumento egemone nella didattica, cercando di praticare la sua abolizione. L’atteggiamento di Manzi non si ferma alla protesta: dal 1961 al 1972egli è stato autore o curatore di 7 opere come libri di lettura e sussidiari per la scuola elementare e fino agli anni ’80 di oltre 60 opere di didattica, lettura e divulgazione scientifica, culturale per l’infanzia: da quaderni di lavoro, a libri su animali e sulla natura.. 7
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved