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Riassunto Introduzione alla linguistica storica - Fanciullo, Schemi e mappe concettuali di Glottologia

riassunto del libro: f.fanciullo, introduzione alla linguistica storica con schemi e mappe concettuali

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2013/2014

In vendita dal 22/07/2014

Feferonza
Feferonza 🇮🇹

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Scarica Riassunto Introduzione alla linguistica storica - Fanciullo e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Glottologia solo su Docsity! La linguistica storica studia l’evolversi diacronico del trascorrere del tempo, ovvero l’evolversi da un momento cronologico C0 a un momento successivo C1, differenziandosi così dalla linguistica sincronica, la quale, invece, seleziona un qualunque momento cronologico x e studia un certo fenomeno all’interno del momento cronologico selezionato. In realtà, qualunque fenomeno linguistico può essere osservato tanto nel suo evolversi lungo un maggiore o minore arco cronologico, quanto nella modalità con cui si manifesta in un momento dato e solo in quello. In altre parole, non è possibile separare nettamente sincronia e diacronia. La linguistica storica nasce come spiegazione organica delle stupefacenti affinità che, a un certo punto, si scoprono legare un numero sorprendentemente ampio di lingue antiche e moderne, ancor oggi, o un tempo, parlate in un’area che dall’Europa atlantica arriva al subcontinente indiano: si tratta della cosiddetta famiglia linguistica indoeuropea. 1. PARENTELA LINGUISTICA La famiglia linguistica: parlare di famiglia linguistica presuppone che si dia anche linguisticamente una parentela: che è per l’appunto uno dei criteri, quello genealogico, secondo le quali le lingue possono essere classificate. L’idea è che le lingue possano essere raggruppate come i membri dell’albero genealogico di una famiglia: lingue- figlie da una parte, lingue-madri dall’altra, a loro volta configurabili come lingue-madri di precedenti lingue- madri e così via, fino a risalire alla lingua capostipite da cui tutte le altre sono derivate. Nel caso delle lingue indoeuropee parlate oggi in Europa, lingue-figlie sono ad esempio lingue derivate dal latino, dette neolatine o romanze, ma anche le lingue germaniche o slave o celtiche o quelle baltiche. Esiste solo una piccola differenza fra queste e le lingue romanze: nel caso di quest’ultime infatti conosciamo piuttosto bene la lingua-madre latina, mentre nel caso delle altre non abbiamo nessuna conoscenza diretta né della madre della lingua germanica né di quella slava. (Germanico comune, slavo comune ecc.) Lessico condiviso e corrispondenze FONETICHE: Come esempio di lingue imparentate, possiamo considerare il francese e l’italiano. Un primo raffronto fra parole provenienti da entrambe le lingue, fa subito notare la somiglianza è visibile a livello grafico assai più che a livello fonico: circostanza dovuta al fatto che l’attuale grafia del francese è attardata di alcuni secoli rispetto alla molto più evoluta pronuncia effettiva [pçe] pied piede IT. La somiglianza fra francese e italiano è data da quello che possiamo definire lessico condiviso, o lessico in comune, ossia quella percentuale più o meno elevata di voci che danno realmente l’idea di corrispondersi, in qualche modo, nelle due lingue. Ma a volte la familiarità non è così evidente. Es., parole italiane con l’occlusiva velare sorda [k]che ricorrono davanti alla vocale a, nelle corrispondenti parole francesi danno ch = ʃ, cantare. Quando invece in italiano [k] ricorre davanti ad [o] il corrispondente francese sarà [k], Dato che lo scarto è sistematico, possiamo ammettere che entrambe le lingue hanno avuto un medesimo punto di partenza, rispetto al quale, da un certo momento in poi, una delle due abbia preso a divergere in ben individuabili circostanze. Una volta stabilito questo possiamo suppore che, per quanto riguarda la sequenza [k+a], il francese prima di arrivare alla realizzazione [ʃ] sia partito da un più antico *caval>*chaval>cheval, dove [a] è diventata [ə+ nei casi in cui *a+ non portava l’accento e si trovava in sillaba aperta oppure in fine di parola *boucha>bouche. Lessico condiviso e corrispondenze MORFOLOGICHE Considerando il caso: fr. con marché<*marchà<*marcà notiamo come in francese la a tonica è divenuta *‘e+, mentre in italiano la *t+ intervocalica corrisponde zero in francese. E’ certo che tutto ciò non sia frutto della casualità, a volte il francese a una *‘a+ tonica dell’italiano, risponde con una analoga *‘a+, mentre altre con *‘e+ / *‘ɛ+ vocale palatale. Nel primo caso, avremo *‘a+ se nei corrispettivi italiani la a accentata è in sillaba chiusa mentre nel secondo caso sole se nel corrispettivo italiano la a accentata è in sillaba aperta Il motivo per cui queste corrispondenze sono così sistematiche è dimostrato dalla comune struttura sillabica latina che l’italiano ha mantenuto, e che il francese via via ha perso. Così dove it. –ato *t+ fr. < lat. –ATU/MERCATU = fr. Ruolo della morfologia abbiamo così un certo numero di corrispondenze fonetico-fonologiche che si ripetono nelle medesime condizioni. Tale condizione è sufficiente all’ipotesi di parentela linguistica tra italiano e francese. Poiché: date due o più lingue legate da un certo umero di corrispondenze sistematiche; poiché la probabilità che tali corrispondenze siano dovute al caso è tanto più bassa quanto è più alto il numero delle medesime; ecco che il fatto di trovare corrispondenze nell’ordine delle decine e delle centinaia può condurre ad una sola spiegazione: le due o più lingue in tanto si presentano così innervate in quanto costituiscono il divergere ancora parziale, ma reciproco e progressivo, da una più antica fase linguistica comune. Una conferma di ciò viene dalla morfologia. I morfemi, quelli flessivi (quelli strettamente più grammaticali relativi a genere, numero, caso persona) sono fra gli elementi più stabili in assoluto, o se voglioamo, fra gli elementi di gran lunga meno soggetti al cambiamento ≠ dal lessico che può mutare con estrema facilità tra i parlanti, in quanto specchio dell’orientamento culturale di quest’ultimi. Es., francesismi che hanno sconvolto la facies germanica dell’inglese, dopo invasione 1066. ≠ i morfemi non rinviano a realtà extralinguistiche, ma servono anzitutto a esprimere relazioni. Un morfema si stabilisce per ideale contrasto con tutti gli altri n morfemi che possono sostituirsi ad esso. Es., -are, infinito italiano ≠ -ato, participio passato. Se gran parte del lessico è soggetta a un rinnovamento continuo, la natura stabile dei morfemi flessivi, fa sì che le concordanze morfologiche bastino a indiziare la comune origine di due o più lingue anche quando queste non presentano più un lessico comune. Le corrispondenze sincroniche fra italiano e francese sono, è vero, conseguenza del differenziarsi diacronico fra latino ed italiano da una parte e latino e francese dall’altra. Va da sé, però, che fra italiano e francese non c’è stato un accordo preventivo sui risultati da raggiungere: le corrispondenze semplicemente esistono in quanto italiano e francese partono da un’eredità comune, della quale o conservano sistematicamente le caratteristiche oppure le modificano con altrettanta sistematicità. La parentela linguistica in senso verticale ovviamente si possono stabilire parentele linguistiche non solo in senso orizzontale (tra lingue sorelle), ma anche in senso verticale, ossia tra lingue configurabili l’una come filiazione dell’altra. ita/lat . L’idea della parentela è suggerito innanzitutto dal lessico condiviso. E’ poi sulla base di queste corrispondenze lessicali che si stabiliscono le possibili corrispondenze fonetico-fonologiche. Es., PL NT pianta, PL C E piuma, oppure MAJ E maggiore, MAJU maggio = voci collegate da un rapporto di filiazione. La stratificazione del lessico A costituire il lessico possiamo individuare sostanzialmente 4 strati  lo strato ereditario è quella percentuale del lessico che ogni lingua riceve dal suo immediato antecedente (lingu-madre). Poiché il lessico si rinnova facilmente non possiamo sapere con certezza quali elementi della lingua-madre si continueranno nella lingua-figlia. Tuttavia vi sono settori lessicali tendenzialmente più stabili come: numerali, terminologia parentale, nomi delle parti del corpo. Ambiti tutti fortemente coesi e i cui membri si sostengono l’uno l’altro. Lo strato ereditario comunque svolge il ruolo fondamentale di fornire la morfologia flessiva, cioè le marche - assimilazione progressiva, il primo elemento che condiziona il secondo. Es., MU[nd]U > nap. mù[nn]ə -assimilazione bidirezionale, azione congiunta di due vocali, quella prima e quella dopo l’elemento modificato. Es., AM[i:ku] > sp. ami[ɣ]o, amigo  dissimilazione: due elementi contigui e articolatoriamente uguali (simili anche) si diversificano in misura maggiore o minore. Es., lat. PE*r+EG*r+ NU it. pe*ll+eg*r+ino / fr. pé*l+é*r+in = *r r+ *l r+  inserzione: aggiunta di materiale fonico etimologicamente ingiustificato. Es., CAULO>cavolo  cancellazione: sottrazione di materiale fonico che invece dovrebbe essere presente. Es., MENSE > mese  metatesi: spostamento del materiale fonico in un punto della catena diverso da quello in cui dovrebbe essere. Es., it. dial. c[r]apa < lat. CAPRA  coalescenza: fusione di due elementi fonici contigui in un terzo elemento diverso, ma che presenta caratteristiche di ciascuno degli elementi di partenza. Es., it. vi*ňň+a (vigna) dove *ňň+< fusione *n+ e [j] presente nel latino parlato VINJA, classico VINEA.  scissione: fenomeno per cui un elemento fonico si scinde in due elementi distinti. E’ frequente quando una lingua ricevente adatta suoni che le sono estranei. Es., LE.VE > l[jɛ]ve (sotto accento e sillaba aperta, latino). Es., fr. men[y], dove [y] vocale anteriore arrotondata, l’italiano non ce l’ha, così fr. men*y+ it. popolare men*‘ju+, articolate non simultaneamente ma in successione. Mutamenti di tipo fonetico di NATURA + ASTRATTA: mutamenti che non sono spiegabili in termini meramente fonotattici, cioè in conseguenza delle particolari combinazioni in cui si vengono a traìovare i vari elementi all’interno della stringa fonica.  analogia: è un processo di regolarizzazione in base al quale al posto delle forme attese, ne troviamo altre, le quali o risultano modellate su forme concorrenti all’interno dello stesso paradigma o ppure sono ottenute mediante allineamento a moduli all’inizio loro estranei ma che, a un certo punto e per motivi che possono essere di volta in volta diversi, hanno incontrato il favore dei parlanti. Es., PONO > pon[g]o quando in realtà a una –L(L)- o una –N- latina in posizione intervocalica = -n- e -l(l)-. Questo perché il paradigma di questo verbo è stato allineato al paradigma di verbi come VENIO > ven[g]o.  paretimologia o etimologia popolare: tipo di mutamento non spiegabile in termini di fonetica combinatoria. Consiste nella modificazione fonica di un certo significante per effetto di un altro significante. Ad essere coinvolti nella paretimologia sono quei significanti coi quali il parlante medio ha scarsa, se non nulla, dimestichezza, sia perché sono prestiti da altre lingue, sia perché sono usciti dall’uso normale, sia perché provengono da settori specialistici. Es., velétta > vedetta, il parlante ha aggiunto l’idea del vedere a un termine che prima corrispondeva alla vela più piccola di un albero maestro, alla cui altezza si issava per vigilare il marinaio.  tabù linguistico: processo per cui significanti ben noti al parlante vengono distorti o alterati consapevolmente perché, per un qualche motivo, il parlante non vuole articolarli in maniera corretta. Esso si fonda in larga misura sul potere evocatore della parola. Es., acciderba, accipicchia eufemismo: quando la voce che non si vuole pronunciare viene rimpiazzata da un sostituto, per così dire inoffensivo. orso nel ted. è stato sostituito con Bär, ingl. bear, che di per sé vale il grigio, la pelle dell’animale. Mutamenti fonologici:  fonologizzazione: realizzazioni diverse del medesimo fonema, condizionate la contesto, si svincolano dal condizionamento contestuale e diventano fonemi distinti. Fonemi non diventano più varianti, ma fonemi autonomi.  defonologizzazione: antitetico rispetto al primo, due o più fonemi diversi, dunque realizzazioni foniche non dipendenti dal contesto, finiscono col disporsi in un rapporto di complementarietà contestuale, vale a dire che è il contesto fonico a stabilire quando compare un elemento e quando invece l’altro, e diventano così varianti combinatorie di uno stesso fonema. n confronto al latino, l’italiano mostra una defonologizzazione. Poiché lat. vocale breve e la corrispettiva lunga funzionavano come fonemi; l’opposizione di lunghezza vocalica aveva valore fonologico, rosa con breve era nominativo, rosa con lunga era ablativo. In italiano al contrario la vocale si presenta lunga solo se, la detta vocale è accentata, è in sillaba aperta, è in penultima sillaba, mentre breve per tutti gli altri casi.  rifonologizzazione: non c’è incremento né riduzione del numero dei fonemi, ma cambia la sostanza fonica con cui sono realizzati. Es., fr. < opposizione fra /a/ normale e /a/ palatalizzata, ora l’opposizione è fra /a/ breve e /a:/ lunga = numero fonemi ≠ modo di articolazione legge di Grimm che descrive i mutamenti subiti dalle occlusive nel passaggio germanico comune e di conseguenza alle lingue germaniche. Il mutamento non è ineccepibile né istantaneo, ma può sorgere in un punto qualunque della lingua e di qui diffondersi progressivamente nel resto del sistema, di solito generalizzandosi, ma anche, a volte e per motivi che possono essere i più diversi, interrompendo la sua espansione e dunque mancando di raggiungere la totalità dei casi. Es., mutamento bloccato a metà è la sonorizzazione toscana e italiana delle occlusive sorde poste fra vocali, innescata dall’imitazione dei più prestigiosi modelli fonetici italiani settentrionali, provenzali, francesi. Es., a volte avremo dal lat. –T- > t, lieto < LAETO, a volte [d] scudo < SCUTO. Le strategie che il mutamento mette in atto per generalizzarsi si colgono ovviamente meglio nelle lingue vive che nelle lingue morte, nelle lingue vive, infatti, il controllo diretto agevola notevolmente e ricerca delle spiegazioni. Tuttavia il mutamento può ben essere graduale, cominciando da un settore specifico e poi estendendosi al resto del lessico; inoltre per la comprensione dei fenomeni, il dato linguistico va integrato, almeno nei limiti del possibile, con riscontri latamente storico-culturali. 3. CORRISPONDENZE FONOLOGICHE TRA LE LINGUE INDOEUROPEE Es. I numerali: sanscrito [a] = lat. e gr. [a]/[e]/[o]. Es., san. sà ex, heks / a octo, ok ό Situazione originaria è quella del Greco e del Latino che il sanscrito poi ha innovato facendo confluire [a]/[e]/[o] in [a]. Latino - Occlusiva velare sorda [k] = se[k]s, 6 / de[k]em, 10 - Occlusiva sorda dentale [t] / labiale [p] = tria, 3 = centum / septem - Sibilante antevocalica [s-] = septem / seks Greco - Occlusiva velare sorda [k] = he[k]s / dé[k]a - Occlusiva sorda dentale [t] / labiale [p] = trìa = pénte, 5 =(he)katòn / heptà Articolazione di tipo laringale [h-] = heptà, 7 / héks, 6 Sanscrito 6 10 [ṣ] / [ʃ] = ṣaṣ / daʃa - Occlusiva sorda dentale [t] / labiale [p] = t ī = p ňč = ʃatàm / saptà - Sibilante antevocalica [s-] = saptà / ṣaṣ Gotico Articolazione velare ma pur sempre fricativa, graficamente <h> : [x] = sehs / taìhun fricativa interdentale sorda *θ+ , <Ϸ> / fricativa labiodentale sorda [f] = Ϸrija = fimf [ð] e [β] = hund, 100 / sibun - Sibilante antevocalica [s-] = sibun / sehs Corrispondenza confermata da alter voci: - [h]als “S LE” = lat. sal, got. sal-t, slavo s lĭ. - [h] ēmi- “MEZZO” = lat. sēmi, sscr. sā i L’indoeuropeo (lingua non attestata, di cui non abbiamo testimonianze dirette e osservabili), quindi, in posizione iniziale che consonante avrà avuto? *h- o *s- ? Un’ipotesi ragionevole sarebbe quella di attenerci al criterio di attribuire all’i.e l’elemento che, fra le lingue del mondo, si riscontra con maggiore facilità. Secondo le attestazioni che abbiamo è plausibile è più facile un passaggio *s- > *h- (es., bergamasco), mentre il contrario è rarissimo se non addirittura inesistente = e dunque il buon senso ci spinge ad attribuire all’i.e. *s- e non *h-. Area maggiore, di solito, ha l’esito originario. La dinamica di queste corrispondenze mostra anche un modo di articolazione diversa a seconda delle lingue che si considerano. Latino, greco e gotico rispondono con articolazioni velari ([k], [x]), mentre il sanscrito risponde con articolazioni sibilanti, [ṣ], e dunque anteriori. Possiamo quindi dividere questi risultati in 2 blocchi: uno con lingue caratterizzate con articolazioni velari, lingue centum; e uno con lingue in cui invece , alle articolazioni velari delle lingue centum corrispondono articolazioni anteriorizzate (affricate palatali) o nettamente anteriori (sibilanti, interdentali), le cosiddette lingue satem. Quanto a geografia, la divisione si presenta grosso modo verticale, con le lingue centum prevalentemente ad ovest e le lingue satem ad est, tra Europa orientale ed Asia. Inizialmente si pensava rispecchiassero un ramo orientale e occidentale, tuttavia tale ipotesi fu poi smentita da un’ulteriore scoperta. Nonostante ciò, vi sono anche esiti aberranti a causa di: formazioni analogiche e sviluppi dialettali divergenti. Interazione fra velari palatalizzate, velari pure e labiovelari Realizzazioni consonantiche occlusive dell’i.e  le occlusive labiali (sorda, sonora, sonora aspirata) = *p  le occlusive dentali  (sorda, sonora, sonora aspirata) = *t  occlusive velari palatalizzate (sorda, sonora, sonora aspirata) = *ḱ  occlusive velari pure (sorda, sonora, sonora aspirata) = *k  occlusive labiovelari (sorda, sonora, sonora aspirata) = *kʷ articolazioni consonantiche *ḱ / *k / *kʷ < articolazioni anteriori *p / *t = evento abbastanza inusuale considerando che di solito le labiovelari nelle lingue satem vengono delabializzate, comportandosi come velari pure e che nelle lingue centum, invece, si conservano o al massimo si modificano ma non in esiti puri, è possibile allora supporre che l’indoeuropeo avesse non tre, ma due tipi di velari, velari e labiovelari e che nelle lingue satem:  in un periodo abbastanza antico, certe lingue i.e abbiano manifestato la tendenza a ridurre le labiovelari a semplici velari  nello stesso momento, per ovviare all’indesiderato confondersi delle velari originali e velari pure, secondo un tipico esempio di mutamento a catena, il passaggio delle labiovelari a semplici velari abbia spinto le vecchie velari a mutare luogo di articolazione e ad anteriorizzarsi, a seconda delle lingue dando esito *š+, *s+, *θ+ Per quanto riguarda le lingue centum, invece, le labiovelari sono delabializzate in semplici velari. ma seguendo altri itinerari e arrivando a risultati che, in definitiva, hanno ridotto al minimo il rischio di coincidenza con le velari originali. In origine comunque le velari e le labiovelari sono rimaste in linea di massima distinte. Mentre, per le velari che trovia tanto nelle lingue centum quanto nelle lingue satem, probabilmente possiamo immaginare che, in un periodo chiamiamolo pure di crisi, durante il quale tutte o quasi le labiovelari si erano già semplificate in nuove velari, le vecchie velari (le velari cioè originarie) invece di anteriorizzarsi, sono confluite con le nuove velari, seguendone la sorte. Alcuni esiti irregolari nelle lingue satem, tuttavia, lasciano pensare che nell’i.e vi fosse solo un ipo di velari e che, mantenutesi nelle lingue centum, nelle lingue satem si sarebbero viceversa palatalizzate, ma non tutte indistintamente e neppure tutte allo stesso modo, lasciandosi così indietro una scia di casi variamente sfuggiti al processo di anteriorizzazione. OCCLUSIVE SORDE, SONORE E SONORE ASPIRARATE Indipendente dal contesto Dipendente dal contesto, con esito A davanti vocali palatali, esito B non seguiti da vocali i.e Sscr. i.e Sscr. A B Velari palatalizzate  *ḱ  *g  *g h š ǧ h Velari e labiovelari  *k = *kʷ  *g = *gʷ  *gh = *gʷh Esiti palatalizzati č ≠ š ǧ h velari k g gh Esiti delle OCCLUSIVE SONORE ASPIRATE *bh, *dh, *gh Russo Greco Latino Brat, fratello, sscr. bhr tar- Det, mettere, sscr. da-dh -ti Da sonore si sono assordite in sorde aspirate e poi ha dato come esiti (relativamente tardi) finali fricative sorde: *bh p f *dh > t θ *gh k χ È meno lineare, poiché modifica le sonore aspirate, ma secondo modalità dipendenti, oltre che dalla natura delle occlusive, anche dalla loro posizione nella porola. - posizione iniziale *bh e *dh > f- *gh > f-, solo vicinanza u, se no h- / zero - posizione interna *bh > b *dh > d, solo se non si trova in prossimità di [r], se no = b *gh > -h-, [g] dopo consonante nasale o liquida Ma poiché in osco e in umbro *bh e *dh in posizione interna passano entrambi a –f- , è appunto –f- l’esito che riscontriamo nelle voci che il latino ha preso in prestito dalle lingue italiche. Es., rūfus ≠ lat. ruber, ma = umbro rofa o rofu, rossi, rosse. - Legge di Grassmann in sanscrito e in greco le occlusive sonore aspirate vanno soggette alla Legge di Grassmann, in base alla quale se due aspirate ricorrono in sillabe contigue, per dissimilazione la prima delle due perde l’aspirazione. l fenomeno si coglie particolarmente nelle forme verbali dette a raddoppiamento, ossia composte con un prefisso formato da una copia della consonante iniziale della radice, seguita da una vocale specifica (sono di solito le forme del perfetto). Es. - greco tì-θē-si, egli pone, < - ē-si < * - ē- i < *d -d ē-ti - sanscrito dà-d ā-ti < *dha-d ā-ti In assenza di forme a raddoppiamento gli effetti della legge di Grassmann sono meno evidenti, e per essere riconosciuto devono necessariamente partire da un confronto interlinguistico. Es., gr. ǐ < sembrerebbe *pendh, tuttavia nel confronto con il sanscrito troviamo badh-n ti con badh- <* d - .Una mancata applicazione della legge di Grassmann la troviamo in greco nei casi in cui le aspirate siano in giuntura con /-s/ o con /-s-/, dove invece *k + *k+ e *p + *p+. Questa semplificazione rientra in una fenomenologia ampia e ben conosciuta secondo cui i suoni articolatoriamente complessi o marcati, tendono a restare tali nelle condizioni più favorevoli (posizione antevocalica), mentre tendono a semplificarsi nei corrispettivi suoni meno complessi o non marcati, nelle condizioni meno favorevoli, cioè di solito in posizione anteconsonantica o anche a fine di parola. Sanscrito In sanscrito la legge di Grassmann si è applicata prima del semplificarsi di gh in h e di *g in h. Greco Quanto al greco la legge di Grassmann si è applicata dopo il passaggio delle occlusive sonore aspirate a sorde aspirate e si è inoltre applicata anche alla [h] in quanto esito specificatamente greco di i.e. *s- iniziale. - Legge di Grimm, la mutazione (rotazione) consonantica delle lingue germaniche (In generale le occlusive sonore non aspirate e le occlusive sorde restano per lo più intatte in tutte le lingue. Unica eccezione il latino in cui dentale sorda d > l. Es., ol-ē d Causa: influsso dialettale sabino.) Ben altra è invece la situazione che caratterizza la totalità delle lingue germaniche, dove tutte le occlusive dell’i.e. sono andate incontro ad una riorganizzazione geometrica e radicale, ciò oppone le lingue germaniche a tutte le altre lingue i.e. Indoeuropeo Germanico 1. *p, *t, *k occlusive sorde 2. *b, *d, *g occlusive sonore 3. *bh, *dh, *gh occlusive sonore aspirate 1. f, Þ, h articolazioni fricative sorde 2. p, t, k occlusive sorde 3. b, d, g occlusive sonore 1. - *p > f : got. fulls, pieno = ingl. ant. e mod. full, ted. voll < i.e pl - *t > Þ : got. Þu, tu = ing. thou, ted. du < i.e. *tu - *k > h : got. liuhtjan, splendere < *lewk- 2. - *b > p : got. diupo, profondo, ted. tief < germ.*deup-az < i.e. *dhewh- / *dhub- - *d > t : got. fotus, piede, ing. foot, lat. ped-em, sscr. ād - *g > k : a.a.t. kamb, pettine, ingl. comb < *i.e g -os - e di I.E. *S in latino in Latino, s- iniziale antevocalica non mostra segno alcuno di cedimento, la –s- interna fra vocali, invece attraverso una fase di sonorizzazione in *[z], passa a [-r]. Es., aurōra, < *ausōs-a, da una base * usōs- da cui anche sscr. uṣā . Il fenomeno è collocabile tra la metà e la fine del IV secolo a.C ed è conosciuto come rotacismo e, in latino ha notevole impatto morfonologico. Talvolta, tuttavia, la pressione del paradigma ha portato a generalizzare le forme rotacizzate anche dove, sotto il profilo fonologico, rotacismo non avrebbe dovuto esserci. Es., ō che, in posizione finale mantiene la –r che fra vocali ricorre al genitivo ō i e al dativo ō -ī < ō testimonianza antica Catone. D’altra parte non sempre le forme suscettibili d’essere rotacizzate si rotacizzano, infatti, una volta esauritosi gli effetti del rotacismo, una nuova sibilante intervocalica ha potuto originarsi sia per accidenti fonetici vari (semplificazione di –ss- geminato in –s-, ī i < i ī ), sia in conseguenza di prestiti da altre lingue. LE SONANTI Latino [em] / [en] = greco e sanscrito [a] / got. e lingue germaniche <un> ipotetici comuni punti di partenza  in certe lingue abbiamo solo una vocale  in altre abbiamo la combinazione vocale + nasale  in ogni caso le vocali sono eterogenee: e in latino, a in greco e in sanscrito, u in gotico. 1. un elemento originariamente solo vocalico, cui certe lingue avrebbero aggiunto un elemento nasale. NO 2. un sequenza originaria vocale + nasale, che poi, in alcune lingue, si sarebbe ridotta alla sola vocale. NO 3. un elemento esclusivamente nasale, cui certe lingue avrebbero aggiunto una vocale, in alcune di esse destinata a svilupparsi tanto da prendere il sopravento. SI Ma in quale modo un elemento nasale sviluppa una vocale d’appoggio? In questo caso le nasali, ma anche le liquide, dato che sono caratterizzate da una apertura dell’apparato fonatorio che è inferiore a quella propria delle vocali e dei legamenti, quando si trovano a fungere da elemento più aperto della sillaba, se nella sillaba non ci sono vocali vere e proprie, vengono dette sonanti. *ṃ+, *ṇ+, *ḷ+, *ṛ+. Tuttavia le sonanti costituiscono sempre il caso marcato, mentre il caso non marcato resta quello della sillaba che ha la vocale come elemento di massima apertura. = tendenza delle sonanti a sviluppare prima o poi, e in misura maggiore o minore, una più o meno percettibile vocale d’appoggio. =  i.e. probabilmente possedeva delle sonanti  dopo la frammentazione dell’unità i.e. abbia preso a sviluppare delle vocali d’appoggio, diverse da lingua a lingua  che in certe lingue e in certi casi, le vocali d’appoggio possano essersi sviluppate fino al punto d’assorbire le sonanti che le avevano originate. differenza fra vocali e consonanti. ≠ grado di apertura dell’apparato fonatorio. Vocali: la detta apertura è massima o assai vicino al massimo, flusSo d’aria dai polmoni non incontra ostacoli. Consonanti: l’aria che fuoriesce dai polmoni o passa attraverso un restringimento sensibile, in un punto di volta in volta diverso dell’apparato fonatorio, oppure viene bloccata da una chiusura totale, seppur momentanea, dell’apparato fonatorio in un suo dato punto. = confine vocali e consonanti è graduale, e quindi ci saranno anche articolazioni intermedie, i cosiddetti legamenti (j, w, *h+, *Ɂ+) Anche dagli elementi di cui disponiamo non emerge con chiarezza quale sonante abbia avuto la vocale attestata in una lingua, possiamo ricorrere al principio dell’area maggiore, dove, ad esempio, è senz’altro più frequente m > n e che se anteconsonantica, la nasale assume lo stesso luogo di articolazione della consonante che viene dopo. Es., *ḱṃt *ḱṇt. VEDI SCHEMA LIBRO PAG. 127 IL VOCALISCMO DELL’INDOEUROPEO Costituito dalle cinque vocali brevi e dalle corrispettive lunghe, tuttavia esse avevano ≠ importanza. - *i e *u: esistevano in quanto realizzazioni vocaliche dei legamenti *j e *w. - *o: si pensa che comparisse come partener di *e nelle alternanze innescate dal meccanismo apofonico. - *a: viene di norma attribuito un peso statico notevolmente basso (altrimenti la *a doveva essere una vocale che, in i.e. compariva di rado). - *e: vocale più importante del sistema i.e., fatto che pare confermato dal fatto che le basi lessicali ricostruibili per l’i.e., la *e è la vocale che compare con la frequenza di gran lunga più elevata. - vocali lunghe: si suppone siano sorte per coalescenza delle vocali brevi con le cosiddette laringali. Legamenti [j] e [w], dal punto di vista articolatorio, sono semplicemente le vocali [i] ed [u], realizzate con un’apertura del canale fonatorio alquanto inferiore a quella necessaria per la realizzazione delle vocali vere e proprie = rapporto particolarmente stretto di questi elementi. Il motivo del passaggio di [i] > [j] e [u] > [w] attestato in varie lingue, è da cercare in un’ottimizzazione delle risorse fonatorie: poiché a fare da nucleo (da elemento cioè più aperto della sillaba) è di norma sufficiente un solo l’elemento vocalico, il passaggio non fa che sottolineare la distanza articolatoria fra l’elemento vocalico che costituisce il nucleo della sillaba e tutti gli altri elementi che appartengono alla medesima sillaba e che, dunque, o sono nettamente consonantici ovvero è il caso di [j] e [w], devono configurarsi per lo meno come non vocalici. Ovviamente è possibile pure il passaggio inverso quando, ad esempio, manca l’elemento vocalico a compensare. Il meccanismo apofonico: per apofonia intendiamo un complesso gioco di alternanze vocaliche, che possono coinvolgere tanto i lessemi quanto i morfemi e nelle quali la vocale e può scambiarsi con la vocale o oppure con Ǿ, cioè zero, così originando l’apofonia qualitativa ( e o zero), ovvero, può scambiarsi con ē oppure con ō, nel qual caso origina l’apofonia quantitativa (e ). Ottimo esempio di alternanze apofoniche lo fornisce il greco, con le varie modificazioni esibite dal nome per padre: Peculiarità del meccanismo apofonico:  le alternanze vocaliche sembrano funzionare non tanto da veicolo primario di determinate distinzioni (morfologiche), quanto da cosegnalatori delle stesse.  di norma le alternanze vocaliche sembrano non riportabili a condizionamenti di tipo contestuale. Eccezione, in certa misura, grado zero, , poiché ricorre fuori accento. Es., presente indicativo “essere” *es- (grado e) *s- (grado zero, ) che è correlata appunto dalla presenza (primo caso) o dall’assenza dell’accento (secondo), tuttavia non è vero che in posizione atona possa sempre ricorrere . Ruolo dell’apofonia: Tuttavia, quale sia stato il vero ruolo dell’apofonia, non è ancora chiaro. E’ plausibile fosse per lo più una manifestazione di morfologia non concatenativa (morfologia in cui lessemi e morfemi non si susseguono in successione lineare ma si compenetrano in una struttura a incastro senza che sia possibile isolarli nettamente) , ma il valore morfologico e, più in generale, la funzione delle alternanze apofoniche ci è estremamente difficile, se non impossibile. Questo perché il meccanismo apofonico che noi osserviamo nelle lingue che ancora lo conservano, non è, direttamente, il meccanismo così come doveva presentarsi in i.e., ma solo un riflesso, di sicuro assai sbiadito rispetto all’originale e funzionante secondo modalità che nulla ci garantisce essere ancora quelle i.e. originarie. Le lingue i.e. che conservano meglio il meccanismo apofonico sono il greco e il sanscrito (nel quale il confluire in a anche di e e di o, riduce l’intero gioco alle sole alternanze: grado g d ā Residuali le tracce conservate nel latino, mentre lingue germanica hanno profondamente riorganizzato il sistema. Su questo aspetto però il punto veramente critico è il grado , poiché proprio al grado zero la vocale apofonica si cancella e gli elementi consonantici a sinistra e a destra vengono a contatto fra volo, da cui una serie di conseguenze:  la vocale si azzera e gli elementi non vocalici venuti a contatto si appoggiano alle sillabe vicine: anche la sillaba dunque si azzera. Qui i casi possono essere due: 1. quello in cui le consonanti vengono a contatto, ma non vanno incontro a ulteriori modifiche. Es., cl-am, latino. 2. il caso in cui le consonanti che vengono a contatto, vanno incontro a fenomeni di natura per lo più assimilatoria, che mascherano la situazione originaria. Es., gr. epì-bd-a [bd].  la vocale si azzera – ciò nonostante, uno degli elementi non vocalici venuti a contatto può trasformarsi esso stesso in vocale e così ripristinare, pur sotto altre condizioni, la sillaba. Ciò può avvenire solo in due casi. 1. Elemento non vocalico è un legamento (j > [i] o w> [u]) Es., lat video, dal grado , *wjd-, di *wejd- /*wojd-.. 2. l’elemento non vocalico è costituito da una consonante liquida (l o r) o da una consonante nasale (m o n) che, per condizionamenti fonotattici, non possa appoggiarsi al contesto, allora poi la liquida o la nasale si vocalizzano diventando sonanti. Es., latino ten-tus, teso, gr. - < * d l i * ṇ-tòs, la cui nasale non potendosi appoggiare , come consonante, alla *ò, si trova ad essere l’elemento più aperto della sequenza, e dunque, a far sillaba con la *t precedente. La teoria degli “švà” La necessità di postulare per l’i.e. un elemento vocalico *ә, nasce dall’esigenza di giustificare corrispondenze del tipo: gr. e lat. ă = ĭ gruppo indoiranico del sanscrito. La spiegazione più plausibile è quella di ipotizzare che né la ă né la ĭ siano vocali originali dall’i.e., ma derivino entrambe da una terza vocale, lo ә, il quale configurandosi articolatoriamente come la vocale non caratterizzata per eccellenza, è anche l’elemento vocalico che più facilmente può evolvere nei modi più disparati. Poi in certi casi, nel greco ad esempio, a volte esibisce una ĕ e a volte una ŏ, proprio lì dove il latino continua a presentare ă. I dati greci ci spingono a postulare che l’i.e. deve aver conosciuto non un solo svà, ma ben tre diversi svà: uno tendente ad a, uno ad o, uno ad e. Se si accetta poi questa interpretazione, solo il greco avrebbe evoluto i tre svà secondo tre esiti distinti, tutte le altre lingue, invece, avrebbero confuso i tre in un unico svà, continuatosi in ă in certe lingue, in ĭ in altre. Vi sono casi poi in cui le vocali brevi uscite da svà, sembrano alternare apofonicamente con ē, , ō. Es., făc-io, ma fēci. Oppure greco hé-stă-men, ma hé-stā-ka. O sscr. dĭ-tà, ma à-dā-t. E’ chiaro però che queste alternanze cominciano ad apparire più plausibili se le riconduciamo ad un’alternanza più antica del tipo *dhә- *dh -. Possiamo così presupporre che le rispettive ē, , ō si siano originate dai corrispettivi svà, e non il contrario. Se supponiamo che *dhә1-, la radice responsabile di ă i sia il grado di un’alternanza apofonica, è allora possibile interpretare *dh -, cui va ricondotto, ē i come l’output di un *dheә-, ovvero l’ouput di una radice al grado normale (grado e) = *dhә1 - *dheә1-. quindi:  grado ridotto = lingue i.e. *ә > lingue i.e ĭ, ĕ, ă, ŏ isole, in questo caso Pantelleria e Malta, per un certo periodo la parlata araba si manteneva. Ma, se poi a Pantelleria è stata sostituita nettamente dalle influenze del dialetto siciliano, a Malta l’arabo si mantiene fino ad oggi. Conseguenza questa di politiche e sviluppi sociali di integrazione interna e diverse situazioni sociopolitiche. Tornando al caso dell’alto e basso tedesco, la situazione disomogenea manifestatasi nei mutamenti registrati nell’atlante di Walker, è dovuta a una situazione sociopolitica che nel medioevo a fatto sì che le mutazioni si spostassero abbastanza liberamente. In effetti, i confini linguistici, i quali sono fasci più o meno consistenti di isoglosse, se risentono delle barriere naturali, risultano sensibili anche alle barriere sociali create dagli uomini. Isoglossa è un termine che la linguistica ha modellato sulla terminologia geografica preesistente, e design la linea immaginaria che, su una carta geolinguistica, unisce i punti estremi ai quali arriva un dato fenomeno, segnando dunque il confine fra il territorio al cui interno si dà quel fenomeno e il territorio che, invece, ignora il fenomeno in questione. + isoglosse che vengano a coincidere nel medesimo tracciato formano un confine linguistico che sarà + marcato + isoglosse ci sono. Linguistica storica e linguistica romanza Va da sé che la geografia linguistica è possibile solo con le lingue vive, quelle cioè osservabili grazie al contatto diretto coi parlanti, per distinguere così in una data zona forme normali e forme alternative e capire come le concepisce il parlante stesso. Così è anche vero che quando all’interno degli atlanti linguistici abbiamo, dal parlante informatore, due risposte, la seconda di queste, ove data come correzione della prima, rinvia allo strato linguistico più autentico ma minacciato dai nuovi modelli. La situazione è nettamente diversa per le lingue morte di cui abbiamo solo attestazioni scritte che, rispecchiano probabilmente situazioni in cui la lingua è standardizzata, una lingua senza eccezioni e irregolarità, impossibile da analizzare linearmente. Sorte tosco-italiana delle occlusive sorde latine Come è noto, in prosecuzione di occlusive sorde latine intervocaliche, nel toscano italiano possiamo avere dia esiti sordi che sonori. Es., sco[p] < SCōPA ≠ [v] < PAUPERO / ace[t] < ACETU ≠ li[d] < LITU / fuo[k] < FOCU ≠ [g]o < ACU. Abbiamo così una duplicità che inizialmente veniva attribuita a questioni di contestuali veicolate dagli accenti. Liubke, infatti, elabora la teoria degli accenti, in base a cui le occlusive sorde resterebbero sorde se ricorrono dopo vocale tonica in parola accentata sulla penultima sillaba, ma diventerebbero sonore ricorrono o prima della vocale tonica, in parole con accento sulla penultima sillaba, o dopo vocale tonica, in parole con accento sulla terzultima sillaba. Tuttavia, una risposta chiara a questi esiti ce la offre il toscano/italiano che, partendo da una stessa base latina con occlusiva sorda, ha esiti differenziati per significato o il registro stilistico. STIPARE > stipare, stivare. MUTARE > mutare, mudare. Prova che il doppio esito non può essere ricondotto a condizionamenti esercitati dal contesto. Così nel novecento abbiamo la teoria di Merlo secondo cui l’esito sonoro è quello toscano, mentre quello sordo sarebbe stato causato da una pressione colta esercitata dal latino. Diversamente la teoria di Rohlfs, postula che l’esito sordo è prettamente toscano/italiano, e quello sonoro è causato dalle parlate del nord italia, nonché dal francese e dal provenzale. favore di quest’ultima teoria vi sono molte prove a favore:  nella morfologia flessiva dell’italiano non riscontriamo nessuna tendenza alla sonorizzazione delle occlusive sorde originarie. Prova, [t] intervocalica dei morfemi verbali delle desinenze di 2 plurale. ate, ete, ite.  anche per altri esiti all’esito indigeno toscano si affiancano esiti allogeni di tipo galloitalico, sonoro quanto ad articolazione. Es., camicia < CAMISIA  ‘200 e ‘300 era forte l’influsso esercitato sul toscano e sul nascente italiano da parte delle varietà nord-italiane. Tuttavia, questa via non è esente da difficoltà. Vi sono, infatti, delle voci di italiano antico, es. atro < lat. ATRUM che non sembrano avere continuatori popolari nelle parlate nord-italiane. Una possibile giustificazione a questo problema potrebbe essere che l’influsso galloitaliano/galloromanzo, dopo aver cominciato a offrire numerosi prestiti lessicali, sonori, la compresenza di numerosi doppioni, ripa – riva, lito – lido, sorda indigena, sonora non indigena, abbia fatto diventare il meccanismo di sonorizzazione una regola da applicare, senza alcun riguardo, tranne quello della posizione intervocalica dell’occlusiva, a tutte le voci toscane, per dare anche a tali voci quel prestigio di cui godevano le parlate galloitaliche. Di conseguenza sono state sonorizzate anche parole colte latine e solo così sono spiegabili i casi di sonorizzazione senza un comune nord-italico. La linguistica spaziale, le norme areali La dislocazione geografica di forme linguistiche concorrenti permette inferenze sulla loro cronologia. In epoca moderna le novità linguistiche si diffondono irradiandosi secondo modalità ben precise, talora perdendo capacità di penetrazione o anche spegnendosi del tutto prima di generalizzarsi sull’intero territorio. Questa dialettica conservazione innovazione al disporsi delle norme linguistiche può essere collocata nello spazio geografico; che è quel che ha fatto Matteo Bartoli, con la formulazione di 4 norme areali, o anche spaziali. Quattro principi che in presenza di due o più forme concorrenti permettono di stabilire in linea di massima quale sia la forma + arcaica. + arcaica  la forma conservata nell’area meno esposta alle comunicazioni  la forma conservata nelle aree laterali, cioè quelle periferiche rispetto l’area centrale in alternativa  la forma conservata nell’area maggiore, nella gran parte del territorio preso in esame  se le novità linguistiche si diffondono seguendo le grandi vie di comunicazione, è ovvio che le aree che ne sono tagliate fuori sono anche quelle in cui più difficilmente le novità riusciranno ad arrivare.Es., sardo, parlato su un’isola, mantiene ereditate dal latino l’articolazione velare di /k/ e /g/ anche davanti a vocale palatale. kéntu – cento.  norma delle aree laterali: se in due o più aree periferiche non comunicanti fra loro troviamo uno stesso tipo linguistico (a livello fonetico, morfologico, lessicale) che si oppone al tipo o ai tipi caratterizzanti l’area centrale, la spiegazione più semplice è che il tipo attestato discontinuamente nelle aree laterali rappresenti l’ultima sopravvivenza del tipo un tempo comune all’intera area, ma successivamente messo all’angolo dalle innovazioni sorte nell’area centrale e quindi irradiatesi nel grosso del territorio. Es., geminate del greco che si trovano nei dialetti greci dell’ talia meridionale, articolazioni del Dodecaneso ecc. ma che non si conservano nel neogreco comune. Ulteriore conferma grafia greca standard che ancor oggi registra le consonanti doppie anche se non più pronunciate.  norma dell’area maggiore stabilsce che è più antica la forma arealmente maggioritaria, mentre l’altra sarà  la forma conservata nell’area seriore, ossia nell’area in cui una data varietà linguistica è arrivata più tardi rispetto al momento in cui è arrivata, o si è formata, nel territorio in cui è tradizionalmente connessa. un’innovazione a raggio limitato. Es., greco fràtēr, fràtōr, membro di una fratria. ≠ frater, bratar.  es., numero di coloni che abbandona la madrepatria e, portandosi la sua lingua, vada ad insediarsi in un altro territorio lontano, è chiaro che le innovazioni provenienti dalla madrepatria arrivino difficilmente, conservando così aspetti e caratteristiche passate della stessa. Es., colonie italiane, napoletano, a New York (area seriore) dove l’innovazione napoletana del verbo tenere al posto dell’avere, es. tengo fame, non si presenta nel napoletano ancora oggi parlato a New York, e invece piuttosto usuale il normale uso del verbo avere. Es., Charles, pronuncia inglese/francese. Pronuncia inglese *čɑ:lz+= pronuncia originaria francese quando la [č-] iniziale non si era ancora evoluta in *š-] Si noti però che questi principi sono essenzialmente probabilistici, descrivono quel che di solito succede ma non escludono affatto che, sia pure in una percentuale minore di casi, possa succedere anche il contrario. Es., Sardegna, l’area centrale è più conservativa delle aree esterne, questo perché le principali innovazioni arrivavano attraverso i porti storici che sono a nord e a sud. Un’altra relativa eccezione alle norme areali è la contrapposizione fra it. più alto, fr. plus haut, sp. màas alto, rum. mai înalt. In questo caso i casi più arcaici non sono quelli del romeno e dello spagnolo, dal latino MAGIS ALTU, in quanto è attestata anche una forma latina del tipo PLUS ALTU. Attestazioni risalenti a Plauto ed Ennio, entrambi coevi. Si potrebbe dunque pensare che entrambe le forme erano interscambiabili, tuttavia non è proprio così. In latino, MAGIS ALTU era la forma canonica, mentre PLUS ALTU era la forma più popolare che poi una volta diffusa si è affermata anche come forma ufficiale. In questo caso dunque, nelle aree laterali quella che si conserva non è la forma più arcaica, ma quella più corretta. Se ne ricava allora che la lingua non è sensibile solo alle coordinate del tempo e dello spazio, ma anche alla stratificazione dei parlanti: i quali non formano mai un gruppo omegeneo e compatto, ma si distribuiscono per fasce, ciascuna delle quali utilizza in prevalenza uno specifico registro, ossia una specifica varietà dell’uso della lingua stessa. Quest’ultima circostanza diviene oggetto specifico dello studioso statunitense William Labov che è considerato il fondatore della sociolinguistica, la branca della linguistica che studia l’interazione fra usi linguistici e profilo sociologico dei parlanti. La ripartizione dei parlanti può essere influenzata dall’età (persona anziana meno incline all’innovazione), a problematiche di identità di gruppo, oppure essere basata su base sessuale o anche sullo status sociale dei parlanti medesimi. Es., inglese di New York, nel quale la /r/ anteconsonantica o finale di parola è soggetta a cancellazione, o meglio a vocalizzazione, con allungamento della vocale precedente. La cancellazione varia sensibilmente a seconda che varino: le occasioni, > formalità della situazione > è il mantenimento di /r/; status sociale dei parlanti > è lo status e > mantenimento /r/: nel discorso accurato. Influente è anche il mimetismo linguistico della classi più basse della borghesia verso quelle più alte.E’ in ogni caso da tenere presente che il prestigio di cui godono certe particolarità fonetiche o morfologiche o lessicali, sono tutt’altro che immutabili. Es., ivoluzione Francese LE LINGUE INDOEUROPE E D’EUROPA tre grandi (sotto) famiglie lingue romanze lingue ibero- romanze portoghese spagnolo/castigliano gallego/gal iziano catalano lingue galloromanze francese provenzale guascone Francia sud occidentale franco- provenzale italiano sardo reto- romanzo/rom ancio ladino friulano rumeno dalmatico istrioto lingue germaniche lingue germaniche settentrional i danese svedese norvegese islandese feringio lingue germaniche orientali gotico lingue germaniche occidentali frisone olandese fiammingo inglese tedesco alto tedesco basso tedesco lingue slave occidentali polacco ceco slovacco sòrabo orientali russo biellorusso ucraino meridionali sloveno croato serbo macedone bulgaro tre piccole (sotto) famiglie lingue celtiche lingue gaeliche irlandese mancio scozzese lingue britanniche gallese cornico brettone lingue baltiche lituano lettone lingue zingariche due lingue isolate neogreco albanese L’Europa linguistica: La situazione linguistica che troviamo oggi affonda le sue radici nelle convulsioni dell’ mpero omano e nei sommovimenti dell’alto medioevo. Non possiamo infatti trascurare la divisione tra impero romano d’occidente ed oriente maturata durante il e il V secolo d.C. e ufficializzata nel 395. La scissione a causato poi un dualismo ancora riscontrabile nei dati e nelle varie influenze linguistiche delle attuali lingue. ccidente = latino. riente = greco/alfabeto cirillico. L’Europa, così, in quegli anni ha conosciuto una varietà di registri che oggi probabilmente possono sembrare inconsueti. Attualmente, il monolinguismo sembra la base della civiltà europea e degli stati che la rappresentano. Tuttavia, nel passato non era proprio così; il plurilinguismo era alla base di qualsiasi ordine politico e militare. Dal trecento in poi, però, la lingua comincia ad assumere l’aspetto di un collante, tanto interno quanto esterno ai confini di una nazione. Es., inghilterra con le lingue celtiche e l’irlandese, o spagna col basco. Nasce così l’uso della lingua in funzione nazionale, che si ufficializza con le lotte romantiche dell’ottocento. Le lotte per l’indipendenza e per l’unità nazionale. Lotte che furono combattute, contro l’impero austro-ungarico e ottomano che erano sovranazionali e conseguentemente multilingui e multiculturali. - differenza lingua / dialetto, confine molto sfumato e difficile da delineare. Lingue romanze: uno dei rari casi in cui di una famigliaconosciamo anche l’antecedente diretto, il latino. (vedi schema) + Rumeno:  dacorumeno (Romania e Moldavia)  macedorumeno (a macchia di leopardo in tutta la penisola balcanica  meglenorumeno (non lontano da Salonicco, in Grecia)  istrorumeno (Istria, a ovest di Fiume) La totalità del territorio in cui si sono sviluppate e sono ancora parlate lingue romanze: Romània Romània orientale Parte dalla linea La Spezia Rimini e divide i dialetti otaliani settentrionali da quelli centro meridionali. Appartengono al tipo romanzo orientale:  toscano  corso  gallurese  rumeno  estinto dalmatico  sardo (caratteristiche sia occidentali che orientali) Peculiarità tipicamente romanza orientale è la conservazione delle occlusive sorde latine in posizione intervocalica all’interno di parola. Posizione in cui il romanzo occidentale le ha viceversa sottoposte a un processo di indebolimento, che va dalla sonorizzazione alla realizzazione fricativa, alla caduta vera e propria. Es., sapone, rumeno = sapun ≠ fr. savon, sp. jabòn Romània occidentale A nord e a ovest. Peculiarità tipicamente romanza occidentale è la conservazione della –s finale latina, con precise conseguenze morfologiche tanto nel sistema verbale quanto nel sistema nominale. Romània nuova Si intendono tutti quei territori extraeuropei in cui sono state portate e sono parlate nativamente lingue romanze. Brasile, portoghese; Cile, perù, messico, spagnolo; Québec, Canada, Africa Occidentale, francese. Romània sommersa ree comprese entro i confini dell’impero romano, nelle quali le varietà romanze regolarmente sviluppatesi sono state sopraffatte, in prosieguo di tempo, dal sopraggiungere di altre lingue. Es., varie zone Svizzera, il tirolo in ustria, l’alto adige, tutte zone in cui diverse varietò romanze sono state soppiantate dal tedesco. Ma anche le zone costiere dell’ frica del nord-ovest (afro-romanzo, romanzo africano), si sono sviluppate dal latino che poi poco per volta ha ceduto al berbero e soprattutto all’arabo. conferma abbiamo testimonianze dirette, prestiti e la toponomastica. Lingue germaniche Totalità caratterizzata dalla prima mutazione consonantica (legge di Grimm), per cui le occlusive sorde, sonore, sonore aspirate dell’i.e., mutano con perfetta simmetria la loro articolazione diventando fricative sorde (salvo eccezioni legge di Verner), occlusive sorde e sonore. Specifica delle varietà alto tedesche e di conseguenza del tedesco standard, è la cosiddetta mutazione consonantica. Mentre basso tedesco che, della seconda mutazione è intrinsecamente indenne, s’apparenta più col frisone e l’olandese Yiddish varietà di alto-tedesco, adottato dagli ebrei in fuga, a partire dall’alto medioevo e poi ancora per secoli. I parlanti adesso si sono ridotti di numero in Europa, mentre persiste una discreta consistenza negli Stati Uniti. Lingue slave Derivata dal cosiddetto slavo comune. Con l’eccezione più vistosa del polacco, le lingue slave sono assai poco differenziate. Per quel che riguarda le lingue slave meridionali i confini linguistici, solo approssimativamente coincidono coi confini politici. In Italia, vi è una minoranza slovena nelle province di Gorizia e Trieste. Minoranza croata in Molise. Fra tutte le lingue slave particolare importanza riveste il bulgaro, in quanto, nella sua fase antica, è stata la prima lingua slava a essere messa per iscritto: seconda metà del IX sec., adoperata dai fratelli monaci Cirillo, per la traduzione in lingua slava della Bibbia e della liturgia greca. Cirillico, alfabeto a base essenzialmente greca, erroneamente attribuito al santo. Bulgaro importante non solo per questo, ma perché è stato l asolo lingua letteraria per tutti gli slavi, per quanto non immune agli influssi. Lingue celtiche Derivano dal celtico comune del quale non abbiamo nessuna documentazione. Un tempo parlato in un territorio vastissimo che andava dall’odierna Turchia all’odierna penisola iberica. Prima distinzione va fatta tra celtico continentale, celtico insulare. Primo comprendeva varietà nella penisola iberica, nell’ talia settentrionale e nella Gallia e si è totalmente estinto intorno al V-VI secolo d.C. Celtico insulare sussiste ed è attuale. (vedi schema divisioni) Lingue balcaniche Caratterizzate da elementi decisamente conservativi (caratteristiche accentuali che ci aiutano a comprendere quale fosse stato l’accento i.e.), sono però fra le lingue i.e. di più recente documentazione (‘500). Ultimi popoli ad essere cristianizzati. Lingue zingariche Si tratta di una famiglia di tipo indoario. Gli zingari sono originari dell’ ndia, dalla quale muovendosi poco dopo il Mille e passando attraverso la Persia, l’ rmenia, impero bizzantino e i Balcani, sono arrivati in Europa, probabilmente dalla fine del ‘200 in poi, praticando il nomadismo. Solo una minoranza degli zingari
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