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Riassunto Il metodo comparativo Costantinesco, Dispense di Diritto Privato Comparato

Riassunti del Costantinesco (pagg. 20-43/61-73/111-129/134-210/216-250) per l'esame di diritto privato comparato all'Università Federico II di Napoli, prof. Procida Mirabelli di Lauro

Tipologia: Dispense

2021/2022

In vendita dal 20/02/2015

Smed
Smed 🇮🇹

4.6

(21)

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Scarica Riassunto Il metodo comparativo Costantinesco e più Dispense in PDF di Diritto Privato Comparato solo su Docsity! Diritto privato comparato [Costantinesco – il metodo comparato (pagg. 20-43/61-73/111-129/134-210/216-250)] 1) Gli elementi del metodo comparativo. - Tertium comparationis e quantità degli ordinamenti da comparare Problema metodologico che riguarda il numero degli ordinamenti da comparare e l'esistenza di eventuali regole fisse. Non è facile individuare i criteri con i quali determinare la quantità dei modelli da raffrontare. Il tertium comparationis, come problema metodologico, è stato sollevato dai filosofi del diritto, e specialmente da Radbruch, il quale afferma che non si possono comparare “direttamente” più di due termini. Il confronto fra molteplici ordinamenti potrebbe essere effettuato soltanto indirettamente, in relazione a un terzo modello che dovrebbe essere sempre lo stesso. Quest'ultimo non potrebbe essere un ordinamento nazionale, necessariamente condizionato da interessi particolari. Radbruch precisa che, per compiere una comparazione cosmopolita, bisogna scegliere punti di riferimento comuni, cioè un tipo giuridico posto al di sopra degli Stati. Questa concezione presuppone l'esistenza di un ordine giuridico obiettivo e superiore, una specie di diritto naturale, ideale o semplicemente “giusto”. Radbruch pensa a un modello che non sia condizionato da circostanze strettamente locali, ma che neppure sia “superiore” nello spazio e nel tempo. Egli lo disegna con due espressioni: Rechtstypus (tipo giuridico) e Rechtsideal (ideale giuridico). Il Rechtstypus è per Radbruch un modello giuridico individuato attraverso la comparazione, che presenta caratteri comuni in diversi ordinamenti. Il Rechsideal si confonde con l'immagine che ciascun individuo ha di un determinato istituto in un certo sistema e in uno specifico stadio di evoluzione. Il ruolo di entrambi è di fornire unità di misura sovranazionali, con le quali valutare le esperienze autoctone o a elaborare regole legali. La premessa di questa concezione, cioè l'idea secondo la quale non sarebbe possibile comparare “direttamente” più di due ordinamenti, è completamente falsa. In realtà si possono confrontare, direttamente e senza ricorrere a parametri obiettivi esterni, tutti i diritti esistenti nello spazio nel tempo. Non esiste nessun ostacolo di carattere logico o metodologico. L'idea di un tertium comparationis, come unità di misura necessaria per raffrontare più di due modelli, è ugualmente falsa. Da un lato, la comparazione riguarda sempre esperienze concrete; dall'altro, il Rechtstypus costituisce una nozione assai controversa. Non è possibile conoscere i diritti appartenenti a un sistema finché non si possiedono criteri validi per raggruppare gli ordinamenti. Inoltre è impossibile ridurre l'immagine di un istituto, comune a numerosi diritti, ad un tipo uniforme. Benché si somiglino in molti aspetti, gli istituti si differenziano sovente in numerosi dettagli tecnici. Le differenze esistenti tra le strutture e le funzioni di un istituto, che è presente in molteplici diritti, sono così significative che la loro riduzione ad un denominatore comune può avvenire soltanto sulla base di un grado di astrazione tale da non permettere di realizzare il compito che si intende attribuire al Rechtstypus. Anche il Rechtsideal non è esente da critiche. Elaborato in modo soggettivo e relativo, esso non può costituire un'unità di misura di natura oggettiva. Questo termine da comparare potrebbe esistere soltanto se si credesse ancora - il che è irreale - a una sorta di diritto naturale astratto, situato al di sopra degli ordinamenti. Pur rifiutando la tesi di Radbruch, Sandrock pensa che il tertium comparationis possa essere contenuto nei termini del problema che viene posto. Semplici questioni giuridiche che si presentano alla comparazione sotto forma di casi potrebbero assumere il ruolo di tertium comparationis. Egli illustra il suo pensiero con diversi esempi. Per quanto riguarda la situazione del figlio naturale, qualora si voglia comparare il sistema di riconoscimento con quello della semplice obbligazione alimentare, si potrebbero scegliere come tertia comparationis la disciplina del nome, le condizioni che permettono l'accertamento della paternità, la normativa che consente di far valere il diritto all'assegno alimentare verso i genitori. Questa concezione è viziata da un errore metodologico, poiché Sandrock confonde semplicemente i termini da comparare con il tertium comparationis. Lo studio della posizione giuridica del figlio naturale nei diversi diritti richiede l'analisi e il confronto tra tutti gli aspetti e tutti problemi che concorrono a identificare e a qualificare questa situazione. Se il dato da comparare è la condizione giuridica del figlio naturale, non è possibile tralasciare le altre questioni e considerare come termine soltanto una di queste. Tutti questi fattori sono soltanto elementi dello schema comparativo, e deve essere esaminato nel suo insieme. Altri autori hanno cercato altrove il tertium comparationis, più precisamente nella realtà sociale. Assieme ad altri, Ascarelli afferma che il complesso problema sociale che si trova alla base di ciascuna questione giuridica costituisce il fondamento della comparabilità. Questa affermazione è solo parzialmente esatta. Per Drobnig, il tertium comparationis si confonde con le comuni categorie sociologiche: queste ultime determinerebbero “ il tertium comparationis necessario per ogni confronto. Con l'individuazione di questo terzo elemento, esterno ai sistemi giuridici, la sociologia del diritto rende nel modo migliore il suo servizio diritto comparato”. E' assai discutibile che la sociologia possa fornire alla comparazione il tertium comparationis. Certamente esistono questioni sociali comuni, ma sarebbe un errore credere che un raffronto possa essere realizzato soltanto sulla base di questi dati. La realtà non costituisce il tertium comparationis, ma rappresenta soltanto uno degli elementi che un'applicazione corretta del metodo comparativo deve necessariamente esaminare, al fine di stabilire se le cause delle relazioni giuridiche (che possono essere anche di diversa natura) sono di carattere sociale. - Numero e scelta dei modelli da confrontare Altri due problemi metodologici sono stati posti. Il primo concerne il numero degli ordinamenti da confrontare; l'altro riguarda la (eventuale) cernita da effettuare prima di procedere alla comparazione: da qui il ruolo dei criteri di selezione. È evidente che la comparazione può riguardare più di due ordinamenti. I giuristi, si sono affannati a confrontare il maggior numero possibile di esperienze. La ragione e la conseguenza di questa tendenza universalistica è nella concezione filosofica che,attraverso generalizzazioni successive, aspira a scoprire le leggi generali e l'essenza del diritto. Quest'illusione è stata abbandonata. Il moderno studioso tende a circoscrivere il numero degli ordinamenti messi a confronto, allo scopo di preferire la profondità della comparazione rispetto a una ricerca orientata verso l'estensione. La dottrina sottolinea che la qualità scientifica della comparazione richiede che non vengano esaminati troppi ordinamenti. Questo, però, costituisce soltanto un consiglio di buon senso e non rappresenta in alcun modo un ostacolo metodologico. Il secondo problema riguarda le modalità di scelta dei modelli da confrontare e l'eventuale osservanza di regole specifiche. Già Savigny sottolineava che ogni comparazione esige una selezione degli ordinamenti; egli limitava tale raffronto ai diritti germanico, romano e anglosassone. Anche Lambert proponeva di individuare gli “elementi di uniformità giuridica” che formano il “diritto comune legislativo” attraverso una comparazione ristretta ai modelli latini e germanici, ravvicinati da numerosi legami e somiglianze. Kaden ribadiva la medesima idea in altra forma, allorché affermava che non sarebbe stato fecondo il confronto tra diritti che hanno basi troppo diverse. Le opinioni, per lungo tempo dominanti, che prediligevano un raffronto limitato agli ordinamenti imperanti, sembrano oggi superate. Gli studi comparativi sui diritti molto distanti appartenenti a sistemi giuridici differenti sono quelli che risultano più fecondi sotto il profilo delle conoscenze scientifiche. Nello stesso ordine di idee vanno menzionati quegli autori, i quali pensano che la selezione degli ordinamenti da comparare debba racchiudere determinati modelli rappresentativi dell'intero gruppo. Ciò costituisce la conseguenza della concezione che articola le esperienze giuridiche in gruppi, famiglie e sistemi. Arminion-Nolde-Wolff hanno effettuato una classificazione fondata sul criterio degli ordinamenti “originali” e “derivati”. Partendo da quest'idea, Zweigert afferma che fin quando l'ordine-figlio rimane all'interno del sistema-madre, il comparatista si può limitare esaminare soltanto quest'ultimo. La soluzione proposta da questi sembra essere imprecisa dal punto di vista metodologico, in quanto anche diritti molto vicini possono essere divergenti in relazione ai numerosi studi giuridici. La posizione del figlio naturale Il metodo comparativo è uno strumento di applicazione generale. Tuttavia, la diversità degli ordinamenti, la varietà delle discipline giuridiche, la peculiarità di alcuni problemi e soprattutto la pluralità degli obiettivi che esso può realizzare possono influenzare, in misura peraltro limitata, il suo procedimento. È possibile che lo studioso, in considerazione dello scopo perseguito, valorizzi maggiormente alcuni aspetti dell'itinerario metodologico piuttosto che altri. Ma sarebbe un errore credere che il metodo comparativo, come tale, dipende dagli obiettivi e si modifichi in funzione di essi. È sbagliata la concezione che lega quest'ultimo alle finalità dell'indagine. L'oggetto della ricerca può variare al pari del settore nel quale trova applicazione; il metodo resta tuttavia il medesimo. Esso è uno strumento eguale a se stesso. Come tale, non può mutare struttura ogniqualvolta assolva un'altra funzione, altrimenti dovrebbero esistere tanti metodi quanti sono gli scopi, cioè almeno una dozzina. Così hanno ragione quegli autori affermano l'unità del metodo. Quest'ultimo e le sue regole sono gli stessi “per qualunque fine si voglia utilizzare tale metodo”. Altri studiosi affermano che il metodo comparativo muta secondo le diverse discipline. Quest'idea riguarda anche coloro che credono all'esistenza di numerose forme di comparazione. In realtà, qualunque siano lo scopo o la materia nei quali esso trova applicazione, il procedimento razionale resta sempre lo stesso. - Comparabilità e tertium comparationis Alcuni autori ravvisano il denominatore comune nel tertium comparationis. Knapp scrive che tra comparatum e comparandum deve esistere, come presupposto preliminare, un “elemento di intermediazione, un tertium comparationis”. Per lui “la condizione primordiale di qualsiasi comparazione ragionevole consiste nel poter dedurre da due termini un concetto comune superiore, il tertium comparationis. Quest'ultimo costituisce, per definizione, una nozione più generale del comparatum e del comparandum, un fattore che racchiude tanto il primo quanto il secondo”. In realtà, è una contraddizione in termini affermare, da un lato, che l'esistenza del tertium comparationis sia condizione preliminare per la comparazione e, dall'altro, che esso debba essere dedotto attraverso il confronto. Questa incertezza sul ruolo del tertium comparationis, nello svolgimento cronologico del processo di comparazione, lascia supporre una confusione sulla sua natura. Se con la comparazione si dimostra che un istituto è comune o presenta elementi analoghi in molteplici ordinamenti, allora non si scopre il tertium comparationis ma si individua semplicemente il risultato dell'operazione di raffronto. Se si accettasse la tesi di Knapp, per uno stesso istituto esisterebbero tanti tertia comparationis, come “concetti comuni superiori”, quanti sono i modelli confrontati in forma binaria. Così, ad es., in tema di tutela, esisterebbe un tertium comparationis tra il diritto tedesco e francese, un altro tra quello francese e belga, un altro ancora tra quello belga e tedesco, e così via. Sarebbe preferibile parlare di “comparabilità dei termini da comparare”. Ma in questo caso si tratta di una qualità che è e deve essere presente in tali fattori. Non si scopre il tertium comparationis come elemento nuovo, ma si confermerà o si infirmerà la comparabilità sulla base del procedimento di raffronto. Esso rivelerà gli elementi comuni, precisando le loro forme, l'intensità e la loro portata. Questi ultimi, così scoperti, non sono “nozioni superiori”, ma costituiscono semplicemente dati comuni a due o più ordinamenti. 1.1 Piani sui quali si manifestano gli elementi comuni e la loro intensità - I termini da comparare come dati. La difficoltà di coglierli e i livelli sui quali si palesano Il parallelismo dei termini da comparare, cioè l'elemento comune che li collega, è un dato. Come tale, esso preesiste alla comparazione, la quale non fa altro che scoprirlo. La comparabilità è agevole da accertare allorché si è in presenza di istituti o di regole strutturalmente o funzionalmente analoghi. La comparazione non determina tale dato, ma lo svela soltanto. Essa è molto spesso evidente nelle indagini di tipo istituzionale. Tuttavia, l'individuazione dei dati comuni dei termini da comparare costituisce un'operazione complessa, poiché essi devono essere colti sulla base della diversità dei fattori attraverso i quali si manifestano. Anche se questo problema rimane sempre identico, esso assume rilievo nei diversi ordinamenti a causa dei differenti termini tecnici e, a volte, concettuali. Il pensiero giuridico distingue un diritto dall'altro per il modo non soltanto di risolvere un problema, ma anche di porlo e di concepirlo. Così, ad es., la misrepresentation rappresenta un istituto che è stato elaborato storicamente e che ha una struttura coerente nel diritto inglese. Essa costituisce una nozione originale per il modello di civil law, in quanto comprende e combina una serie di particelle giuridiche elementari che, nella tradizione continentale, vengono concepite, collegate o dissociate in maniera del tutto differente. La misrepresentation contiene dunque elementi che, per il civilian, riguardano la manifestazione di volontà, la responsabilità di una parte per la sua dichiarazione, l'obbligo del contraente di comunicare informazioni veritiere, l'errore, in caso di innocent misrepresentation, quello sul fondamento dell'atto o provocato con dolo in ipotesi di fraudolent misrepresentation. Quest'esempio spiega perché è importante non l'identità delle forme o l'omogeneità delle strutture, ma l'equivalenza delle funzioni. In certe situazioni è l'equivalenza funzionale di due istituti eterogenei a rappresentare la comparabilità. In altri casi l'elemento comune si trova sul piano dei risultati pratici. Modelli giuridici dissimili, aventi finalità parzialmente equivalenti, conducono ad esiti analoghi. - Il piano dell'equivalenza istituzionale L'equivalenza si manifesta molto spesso a livello istituzionale. Gli ordini giuridici conoscono numerosi istituti comuni. Questo parallelismo è più saldo e visibile allorché si è in presenza di ordinamenti appartenenti alla stesso sistema e, all'interno di questo, alla medesima famiglia giuridica come, ad esempio, nel quadro del modello europeo, i diritti latini, da un lato, e quelli germanici, dall'altro. Questo parallelismo è molto meno evidente negli istituti che appartengono ai sistemi europeo, angloamericano e musulmano. Le disparità istituzionali si spiegano, in questo caso, con la distanza che separa questi due modelli dal diritto romano e con la loro originalità nella elaborazione dei concetti. Qualche volta il parallelismo istituzionale conduce ad un'effettiva identità. Ciò accade allorché la conformità strutturale è completata da quella funzionale e dei risultati, anche se si manifestano, su diversi piani, alcune differenze secondarie. Quando si comparano il Verzug tedesco, il retard e la demeure francese, il ritardo e la mora italiani o lo scandinavo drojsmal, si percepisce che l'identità dei termini da comparare è totale. La definizione della particella giuridica elementare può variare da un diritto all'altro, ma la struttura, la funzione e i risultati dell'istituto non mutano nei primi tre ordinamenti. I diritti tedesco, francese e italiano hanno consacrato una nozione soggettiva, secondo la quale il debitore è responsabile soltanto per il ritardo colpevole; invece, l'esperienza scandinava ha introdotto la concezione oggettiva, secondo la quale il debitore è responsabile per tutte le conseguenze del ritardo (anche non colpevole, fortuito, iniziale o successivo), che non sia dovuto a colpa del creditore. Per contro, non esiste alcun parallelismo istituzionale con il diritto inglese, che non conosce la nozione giuridica di mora. Benché i cases e gli autori parlino di delay, con questo termine essi qualificano il ritardo e non il concetto di mora. Essa costituisce un inadempimento del contratto e, quindi, rientra in una delle forme di breach of contract. Secondo il common law, il mancato adempimento alla scadenza, senza alcuna messa in mora o altra formalità, rappresenta una violazione contrattuale. In questo caso, malgrado le differenze, il raffronto è possibile perché la comparabilità è certa. Il parallelismo non è né istituzionale né totale; esso si riduce ad una somiglianza funzionale e dei risultati, anche se il delay (ritardo) costituisce una nozione indifferenziata che fa parte della categoria generale del breach of contract. Questi due esempi, quello scandinavo e quello inglese, dimostrano come l'equivalenza dei termini da comparare possa sussistere sia in assenza sia in presenza di una identità istituzionale. - Il piano dell'equivalenza funzionale e dei risultati La comparazione è possibile anche quando istituti simili hanno funzioni differenti o, al contrario, allorché modelli difformi hanno la medesima finalità in diversi ordinamenti. Ad esempio: la clausola oro, benché strutturalmente identica, può assumere finalità differenti secondo gli ordinamenti. Essa rappresenta, nel diritto francese, un principio di ordine pubblico: il relativo divieto non protegge la parte che l'ha inserita nell'atto, ma difende la moneta nazionale. Nell'esperienza inglese, invece, tutela l'autonomia dei privati ed è espressione della libertà contrattuale. Essa è dunque perfettamente valida e costituisce una questione di interpretazione della volontà delle parti. L'unitarietà strutturale dello stesso istituto è compensata da una disparità di funzioni che conduce, nei due diritti, a risultati differenti. Ma l'elemento comune esiste e la comparazione è possibile. Altre volte la situazione è inversa: la diversità strutturale si trova riequilibrata da un'equivalenza funzionale. Così, qualunque siano l'origine e la natura di questa figura elaborata dall'equity, la specific perfomance permette di esigere l'esecuzione in forma specifica di un contratto, la quale, negli ordinamenti continentali, costituisce un principio generale. Le difficoltà di cogliere il parallelismo funzionale sono maggiori quando si è in presenza di modelli originali e complessi che non hanno equivalenti in altri ordinamenti. L'esempio del trust è il più conosciuto. Le sue finalità nel diritto angloamericano sono molteplici e svariate. Nelle esperienze continentali gli stessi scopi sono realizzati da una molteplicità di istituti totalmente diversi. Fra le altre funzioni, il trust può sostituire le donazioni o i legati gravati da oneri che i donanti o i defunti hanno disposto a favore di una persona fisica o giuridica. Il donante o il testatore conferiscono spesso i beni donati o legati in trust, e il trustee esercita contemporaneamente le funzioni di esecutore testamentario e di controllo dell'adempimento dell'onere gravante sul donatario. In questi casi, grazie all'equivalenza funzionale, la comparazione è possibile. Per la vita di un istituto sono importanti non tanto la forma e la struttura, quanto il ruolo e la funzione effettivi che esso realizza e i risultati che può perseguire. Nei sistemi strutturalmente lontani, come ad esempio i modelli angloamericano ed islamico nei confronti di quello europeo continentale, è proprio l'equivalenza funzionale dei risultati a dare fondamento alla comparabilità di termini che riguardano istituti apparentemente molto diversi. Questi piani (strutturale, funzionale, del contenuto e dei risultati) possono essere difficilmente dissociati e, infatti, non devono essere separati: l'esame comparativo deve comprenderli tutti, perché ognuno di essi non rappresenta che un aspetto dello stesso problema. - Come individuare gli elementi comuni che danno fondamento alla comparabilità Alcuni autori hanno pensato che in realtà l'elemento comune consista nell'unitarietà del problema sociale che si manifesti in maniera analoga in numerose esperienze giuridiche. Altri studiosi hanno affermato che tali dati possono essere colti sulla base delle categorie, degli istituti comuni, dei principi generali o dell'equivalenza funzionale. Altri ancora hanno sottolineato che soltanto partendo da un caso concreto, e domandandosi come due ordinamenti risolvano la medesima ipotesi, è possibile scoprire l'elemento comune e precisare i termini da comparare. La comparabilità esiste sul fondamento dell'identità o dell'equipollenza delle questioni giuridiche che si manifestano in una pluralità di ordinamenti. Essa sussiste, e il confronto è possibile, anche quando uno dei termini non conosce, o percepisce in modo vago, il problema che l'altro risolve in maniera completa. Infine, è bene ribadire che la comparabilità non dipende per nulla dai risultati del raffronto. Essa deve esistere rispetto alla comparazione, la quale la verifica e la precisa soltanto. - L'intensità delle equivalenze Gli elementi comuni o il parallelismo dei termini da comparare possono assumere una differente intensità. Questa può andare dalla vaga rassomiglianza fino all'identità, passando per l'equivalenza e la similitudine. È possibile parlare di eguaglianza completa di tali fattori quando un istituto, che ha la stessa struttura e funzione, realizza i medesimi risultati in due differenti ordinamenti. Tuttavia, le particelle giuridiche elementari di molteplici diritti possono assumere il ruolo di termini da comparare anche se non sono legate da un rapporto di perfetta identità. L'entità della somiglianza o dell'equivalenza può variare. Queste ultime sussistono sempre allorché i termini si rassomigliano in sorprendente chiarezza da Selden. Per comprendere davvero un istituto straniero occorre esaminarlo in maniera diretta sulla base delle fonti originali. Tale questione pone diversi problemi, che sono strettamente connessi. Il primo è quello della autenticità delle fonti estere e della loro qualità scientifica. Il secondo è quello dell'accesso a queste ultime. Le fonti che occorre utilizzare per l'analisi dei termini da comparare devono essere originali, autentiche e di valore scientifico. Non bisogna fidarsi di informazioni di seconda mano, di traduzioni letterali o di testi incompleti e superati. Questa esigenza di buon senso è anche una regola metodologica indispensabile. Benché sia così evidente, da poter sembrare oggi una banalità, essa è stata per molto tempo ignorata. Qualsiasi studio che non esamini il singolo termine nelle sue fonti originali non assume alcun valore scientifico. Il rischio di utilizzare materiali incompleti, non verificati o privi di valore è, evidentemente, più ridotto nella comparazione tra diritti attuali. Le possibilità di accesso alle fonti originali degli ordinamenti contemporanei, tuttavia, variano. Esse sono complete e totalmente accessibili nei sistemi europei e anglo-americani. Alcuni autori affermano che in certi diritti esse non sono sempre esaurienti e totalmente conoscibili nei particolari. Comunque, la cognizione delle fonti originali è sempre possibile nelle biblioteche dei relativi paesi e, talvolta, persino in quelle estere. - - Il problema delle introduzioni agli ordinamenti stranieri e il ruolo degli istituti di diritto comparato I suggerimenti pratici sul modo di affrontare un diritto straniero e sull'impegno dei primi strumenti di lavoro variano in relazione ai modelli che il comparatista vuole esaminare. Gutteridge consiglia ai giuristi inglesi di iniziare l'esame dei diritti continentali con enciclopedie e con opere introduttive e di passare solo successivamente all'analisi dei codici e della giurisprudenza. Negli ultimi decenni sono stati compiuti numerosi sforzi per facilitare l'accesso diretto del comparatista alle fonti originali degli ordinamenti stranieri. Nonostante ciò, permangono ancora alcuni problemi. In primo luogo, bisogna accertare se non sia preferibile rinunciare alle opere introduttive e iniziare con lo studio dei trattati esteri. David si chiede se i contributi della dottrina francese siano in grado di fornire ai giuristi stranieri un'immagine realmente esatta del diritto d'oltralpe. Gli autori restano spesso ai margini della vita pratica; essi possiedono una visione teorica degli istituti e, a causa di un'estrema specializzazione, rischiano di accordare ai dettagli un'importanza smisurata. Per queste ragioni, gli studiosi stranieri possono trarre dalle opere francesi conclusioni errate. Infatti, i lavori di diritto interno sono sempre scritti da e per i giuristi nazionali che, conoscendo il problema nel suo insieme, attribuiscono a certi aspetti un'importanza particolare. Per i comparatisti esteri, invece, la stessa questione dev'essere spesso presentata in altro modo e spiegata in termini diversi. Da qui l'idea di facilitare l'accesso a un ordinamento straniero mediante l'elaborazione di introduzioni generali o speciali. Queste opere, scritte nelle diverse lingue, possono essere suddivise in due tipi. In primo luogo, esse possono essere elaborate dai giuristi nazionali nella propria lingua; così l'introduzione al diritto d'oltralpe può essere redatta in francese da autori autoctoni, ma per giuristi stranieri. Ciò significa che tutti gli studiosi esteri, da qualsiasi ordinamento sistema provengano, utilizzeranno la medesima introduzione. Lo svantaggio di questa formula risiede nel suo carattere generale. Anche se le strutture del diritto francese rimangono sempre le stesse, l'approccio dei giuristi è differente secondo che essi appartengono ai sistemi europeo, angloamericano, post- socialista o islamico. La comprensione dello stesso problema esige, per ciascuno di essi, spiegazioni diverse. È per ciò che bisogna preferire la seconda soluzione: quella delle introduzioni speciali. Tali opere costituiscono studi “su misura”, scritti per i giuristi di un determinato ordinamento e nella loro lingua. Così un'introduzione al diritto inglese, per studiosi germanici o francesi, sarà scritta, nel proprio idioma, da autori tedeschi o d'oltralpe che conoscono il common law. La piena cognizione dei due diritti costituisce il migliore strumento per un'introduzione ad un modello straniero. Va menzionato l'ultimo contributo del grande comparatista Ferid: la voluminosa opera, redatta in lingua tedesca, contiene un'introduzione sistematica al diritto civile francese. Lo scopo è di facilitare l'accesso a tale ordinamento gli studiosi germanici che non conoscono né la terminologia giuridica né tale diritto. L'innovazione consiste nel metodo adoperato, perché l'opera inizia con l'esposizione non del diritto francese, ma del sistema del BGB. Anche gli Istituti di diritto comparato facilitano l'accesso dei giuristi agli ordinamenti esteri. Certamente, le loro strutture variano e la loro attività è assai differente. Promuovendo biblioteche transnazionali e corsi introduttivi, elaborando traduzione di codici e di leggi straniere, pubblicando riviste, essi aiutano i comparatisti nei loro primi approcci. Ma è evidente che la conoscenza di un diritto estero non può avvenire soltanto attraverso l'intermediazione delle traduzioni della legislazione e delle opere introduttive. In realtà, ogni studio comparativo esige, in modo ineluttabile e senza eccezioni, che l'esame del termine sia effettuato direttamente nell'ambito delle fonti originali del relativo ordinamento. - - L'ostacolo linguistico: la terminologia giuridica, le traduzioni e i dizionari La lingua rappresenta uno dei principali ostacoli che il comparatista deve superare per accedere alle fonti del diritto straniero. Alcuni giuristi credono che sia possibile eludere questo problema con soluzioni prestabilite. Da qui la tentazione di risolvere tale questione con l'ausilio di traduzioni e dizionari, e di garantire la conoscenza del diritto estero attraverso persone interposte o monologhi paralleli. E ciò, a maggior ragione, in quanto i codici e le principali leggi di numerosi paesi sono tradotti in molteplici lingue. Spesso queste versioni sono ufficiali, il che lascia supporre, o almeno sperare, una qualità ineccepibile. Tuttavia la realtà è sovente diversa, e ciò per diverse ragioni. In primo luogo, perché la conoscenza esatta del termine da comparare esige il suo esame nella complessità delle fonti che, nel relativo ordinamento, concorrono a formarlo. In effetti, un istituto previsto dalla legge può essere modificato o completato da un altro testo o dalla giurisprudenza. Il giurista, anche se dispone della traduzione dei principali codici e leggi, non può trovare la soluzione di tutti i problemi che riguardano tale dato. Egli deve apprendere le opinioni della dottrina e le decisioni della giurisprudenza. Perciò, le traduzioni che lo studioso può consultare occasionalmente risultano insufficienti ad assicurare l'esame completo del termine da confrontare. La terminologia giuridica pone alcuni problemi particolari poiché costituisce una lingua tecnica all'interno di quella comune. Ciò si verifica soprattutto per le locuzioni che assumono un particolare grado di specializzazione, come, ad es., quelli inglesi, scozzesi o tedesche. Ogni branca della conoscenza umana possiede una propria terminologia. Il valore del vocabolario è tuttavia variabile. Nelle scienze esatte, il significato delle parole è assoluto e universale; nelle discipline sociali esso è relativo e limitato nello spazio e nel tempo. Ciò perché, nelle prime, la terminologia ha un contenuto stabile, esatto ed identico a sé mentre, nelle seconde, designa nozioni relative all'ordinamento che le ha elaborate. Il vocabolario giuridico varia dunque da un diritto all'altro. La terminologia giuridica è il punto d'incontro tra la lingua e il diritto. Rappresenta l'involucro di un contenuto formato da categorie e da concetti. Così, in qualsiasi ordinamento, essa è composta da due coordinate: la prima, linguistica ed esterna, la seconda, giuridica ed interna. Nell'ambito del medesimo idioma e dello stesso diritto questi due fattori sembrano confondersi, al punto da non poter essere distinti. Allorché un termine è impreciso o equivoco, cioè quando non possiede la necessaria chiarezza, è possibile discernere, nell'espressione tecnica, l'aspetto linguistico dal contenuto giuridico. Allora si separa l'involucro dalla nozione e si verifica se il loro rapporto è irregolare o indeterminato o se il veicolo linguistico esprime il contenuto giuridico che possiede, con la necessaria precisazione. Quest'ultima, essenziale per le scienze esatte, è molto importante anche per il diritto. La terminologia assume per il giurista il ruolo che i simboli algebrici hanno per i matematici. Il bisogno di precisione è altrettanto forte per il diritto comparato. Ogni studioso, che apparentemente opera con parole, in realtà utilizza nozioni giuridiche. Ne consegue che pure in questo campo sono possibili ragionamenti errati, se non sono garantiti il rigore dei termini e la stabilità del rapporto tra vocaboli e concetti. La traduzione, nel diritto comparato, introduce un duplice ordine di quesiti: si tratta di pervenire, attraverso una traduzione da una lingua all'altra, a una traslazione giuridica effettuata da un diritto all'altro. In questo procedimento la versione linguistica è secondaria; è la trasposizione giuridica che rappresenta l'attività principale. La prima operazione è soltanto il mezzo con il quale si realizza la seconda. La traduzione consiste nel sovrapporre, attraverso l'intermediazione di due vocaboli concordanti che afferiscono due diverse terminologie giuridiche, due nozioni eguali, equivalenti o corrispondenti, appartenenti a due diritti differenti. Essa è dunque possibile soltanto se esiste un'identità o un'equipollenza tra i concetti che vengono tradotti. Questo lavoro diventa difficile se le rispettive terminologie esprimono nozioni che non esistono nell'altro diritto. Le difficoltà sono ancora maggiori e i pericoli di errore infinitamente più gravi allorché si tenta di tradurre termini identici dal punto di vista linguistico e nozioni giuridiche apparentemente comuni che, sotto l'influenza degli elementi determinanti, acquistano un contenuto totalmente diverso. A causa di divergenti costituzioni economiche e di discordi rapporti sociali, concetti apparentemente analoghi, come quelli di contratto, impresa, democrazia o persona giuridica, assumevano nel mondo socialista un significato completamente diverso da quello che veniva loro attribuito negli ordinamenti europei. Il comparatista, prima di tradurre il vocabolo e, soprattutto, prima di trasporre l'istituto, deve individuare il concetto esatto nell'ambito dell'ordinamento straniero. Le differenze tra l'involucro linguistico e il contenuto normativo possono essere significative, anche se all'identità terminologica corrisponde un'equivalenza giuridica certa. Così, malgrado le importante numerose somiglianze, il Vertrag tedesco non coincide interamente con il contrat francese, in quanto il primo è astratto mentre secondo è fondato su una causa, e ciò determina una serie di importanti conseguenze. Ciò che interessa di un termine, non è l'involucro linguistico ma il suo contenuto giuridico. La maggior parte dei dizionari bi o plurilingue, utilizzati dai giuristi, sono redatti spesso da filologi. Nella migliore delle ipotesi, i dizionari giuridici sono curati da studiosi del diritto, ma non da comparatisti. La traduzione non deve mai essere letterale, ma deve essere sempre giuridica. Con essa bisogna trasportare non termini linguistici corrispondenti, ma nozioni analoghe o almeno equivalenti. Infatti, tale problema concerne la trasferibilità dei concetti giuridici da un ordinamento all'altro. Allo stato attuale, è da escludere che i dizionari specialistici costituiscano rimedi più sicuri. Per queste ragioni, il comparatista che vuole conoscere il significato di un termine straniero deve consultare un dizionario giuridico monolingua che spieghi questo vocabolo nell'idioma autoctono e nel relativo diritto. - La terza regola metodologica - - Studiare il termine da comparare nella complessità e nella totalità delle fonti del diritto Esiste ovunque una pluralità di fonti del diritto. Queste possono essere assai ampie e complesse, come nei sistemi angloamericani e islamici; possono essere meno numerose e possono sembrare più semplici, come negli ordinamenti europei e post-socialisti. L'apparenza inganna proprio quei comparatisti che non appartengono alla tradizione di civil law, perché anche nei diritti continentali la norma giuridica non discende affatto da un'unica fonte. Le fonti di alcuni diritti islamici, dell'Asia, dell'estremo oriente, che talvolta riguardano semplici credenze o consuetudini, sono talmente lontane dalle nostre concezioni che taluni autori si sono chiesti se sia ancora possibile parlare di norme giuridiche. In questo ambito, non esiste un sistema di riferimenti prestabiliti, ma il comparatista non può rifiutarsi di riconoscere tale qualità alle fonti straniere che non sono conformi a quelle del proprio ordinamento. In questo campo egli deve piegarsi alla regola, fondamentale per ogni giurista, dell'obiettività e del rispetto del diritto che esamina. È fonte del diritto qualsiasi dato che un ordinamento conosce e concepisce come tale. La comparazione ci insegna che in tale ambito tutto è relativo. Le conseguenze metodologiche da trarre sono evidenti e risultano dal buon senso: per conoscere il termine, lo studioso deve analizzarlo nella complessità delle fonti giuridiche dell'ordinamento straniero esaminato. Questa regola appare una verità lapalissiana; tuttavia non lo è perché, anche nell'ora presente, vi sono giuristi che credono di conoscere un termine da comparare attraverso un semplice testo di legge. Questa concezione è la conseguenza di una grave e tenace illusione, che nello scorso secolo era largamente diffusa in Europa, la quale è in gran parte dovuta all'idea stessa di codificazione. Tale chimera, secondo la quale la legge esprime tutto il diritto, è stata particolarmente avvertita in Francia, come dimostra la scuola dell'esegesi. Essa, tuttavia, si è minuziosamente l'adempimento dell'obbligazione e che prevedono determinati istituti per realizzare tale obiettivo. - - La norma è integrata o modificata dalla sua applicazione giurisprudenziale. Consultare le fonti del diritto straniero nella loro totalità significa completare il testo con l'esame delle consuetudini, della dottrina, delle prassi commerciali e, soprattutto, della giurisprudenza, e ciò anche nei paesi nei quali il primato della legge costituisce un principio generalmente riconosciuto. Infatti, sulla base delle regole legali, ma di là dai testi e talvolta contro di essi, si sviluppa un diritto di origine giudiziaria che si distingue, in diversi punti essenziali, da quello legislativo. In un certo senso la giurisprudenza è fonte del diritto. Questa affermazione non sembra conciliarsi con il dogma della separazione dei poteri, il quale assegna di regola ad esso soltanto le funzioni ermeneutiche. Tuttavia, per comprendere una norma, è necessario esaminare il modo nel quale essa viene intesa, interpretata e applicata dai giudici. Il giurista deve riconoscere il diritto vivente, cioè il meccanismo in azione. Lo studio dei testi deve essere completato da quello della giurisprudenza, al fine di conoscere l'esatta fisionomia del termine da comprare. Il comparatista deve essere consapevole di essere sempre in presenza di un'innovazione giurisprudenziale allorché egli constata un divario tra l'enunciato e la sua applicazione. Gli effetti di questa mutazione possono essere diversi. Essa è creativa se i giudici elaborano una regola o un nuovo istituto che prima non esisteva (colmare le lacune costituisce un punto di partenza sicuro per l'azione creativa della giurisprudenza). È modificativa quando impone al sistema legale un orientamento diverso da quello iniziale. L'azione della giurisprudenza può completare il diritto legislativo o può creare una norma o un istituto del tutto inediti. La sua opera concerne allora le due forme precedentemente citate perché, completando un testo, colmando una lacuna o estendendo gli effetti di una regola, essa modifica necessariamente il modello legale iniziale. L'innovazione può essere estensiva laddove il campo di applicazione della norma venga allargato; può essere deformante qualora si accordi ad un istituto una funzione totalmente differente o persino contraria rispetto a quella che esso aveva fino ad allora. Infine, l'azione o l'inerzia delle corti possono avere un effetto abrogante. - - Il comparatista non deve fidarsi, senza riserve, delle opinioni della dottrina nazionale. Benché non sia espressamente una fonte del diritto, la dottrina contribuisce alla sua evoluzione. Ma il comparatista non deve fidarsi, in maniera assoluta e senza riserve,dell'opinione degli autori nazionali nell'opera di interpretazione e di ricostruzione del relativo ordinamento. In effetti, lo studioso autoctono può tralasciare alcuni fattori, poiché li giudica superflui per i suoi lettori o semplicemente perché non ha considerato alcuni aspetti che la successiva evoluzione renderà evidenti. Per comprendere un ordinamento estero non bisogna limitarsi alla conoscenza delle teorie e dei dogmi, ma è necessario collegare tali dati alla vita reale del diritto straniero. Accade spesso che la dottrina nazionale non ponga in evidenza alcuni elementi importanti. Sovente non è abbastanza distaccata per rilevare l'effettiva portata di un'innovazione giurisprudenziale. A volte gli autori sono divisi sull'interpretazione di medesimo Istituto. Il comparatista straniero deve sempre sottoporre le teorie della dottrina nazionale all'esame critico dei fatti e accettarle soltanto laddove confermano le soluzioni del diritto vivente. - - Lo studioso deve cogliere l'applicazione effettiva della regola giuridica. La modificazione di un testo di legge nella sua applicazione pratica costituisce un fenomeno che può essere osservato in ogni branca della scienza giuridica. Nel diritto civile, come in quello commerciale, è possibile che le clausole generali modifichino in fatto il sistema legale. Del pari, le consuetudini amministrative possono trasformare gli istituti così come sono contemplati dalle leggi. È egualmente possibile che la norma contenuta nella costituzione venga mutata dalle prassi del governo o da quelle della pubblica amministrazione. Molto spesso un testo di legge non trova un'effettiva applicazione. È per questo che il comparatista deve conoscere le prassi che riguardano la regola esaminata. Cogliere la prassi effettiva della regola giuridica straniera non significa esaminare l'aspetto funzionale del termine da comparare. Un sistema di sanzioni penali deve essere studiato non soltanto nei suoi principi, ma anche nell'applicazione pratica. È possibile che un codice contempli un insieme di pene assai umane e destinate soprattutto al recupero sociale del reo, mentre il modello penitenziario è materialmente inadatto a realizzare tale scopo. Il comparatista potrebbe fraintendere la portata di una norma, se non conosce l'organizzazione e il funzionamento dei tribunali, della polizia e del regime carcerario. Lentamente sono state comprese la complessità del concetto di diritto e la varietà delle sue fonti, al punto che, persino negli ordinamenti fondati sul principio del primato della legge scritta, il diritto non può essere più confuso con quest'ultima. Il percepire, in ogni sistema, la stratificazione di una pluralità di fonti influisce necessariamente sul procedimento metodologico che concerne la conoscenza del termine da comparare. Il modello straniero deve essere esaminato nella complessità delle fonti attraverso le quali si manifesta in un dato ordinamento (diritto positivo, dottrina, giurisprudenza, prassi amministrative e commerciali, pratiche e tradizioni giudiziarie, consuetudini, usi, ecc.). Soltanto a questo prezzo lo studioso può aspirare ad una conoscenza completa ed esatta del termine. - La quarta regola metodologica - - Rispettare la gerarchia delle fonti dell'ordinamento esaminato. Le variazioni possibili Per gerarchia delle fonti si deve intendere l'ordine di priorità che governa i loro rispettivi rapporti, dunque l'autorità e il ruolo che un ordinamento attribuisce a ciascuna di esse nell'elaborazione della regola giuridica. Lo studioso deve comprendere e rispettare la gerarchia delle fonti del diritto straniero del quale fa parte il termine da comparare, nella misura in cui il giurista nazionale la riconosce e la osserva. Tuttavia, tale locuzione semplifica eccessivamente un problema molto complesso. In ogni ordinamento ciascuna fonte possiede funzioni, caratteristiche e sfumature proprie. Bisogna ricordare la regola fondamentale secondo la quale, in diritto comparato, si intende per fonte ogni fattore che contribuisce all'elaborazione e alla formazione della norma giuridica, così come essa è realmente applicata nell'ordinamento. Il comparatista deve conoscerle, benché sia difficile coglierle con la precisione necessaria. Infatti, si tratta non di una gerarchia formale ed evidente, stabilita in modo chiaro e irreversibile, ma di un ordine sovente esoterico per il giurista straniero, nel quale le fonti si intrecciano e concorrono alla elaborazione della norma. Ogni ordinamento e ciascun sistema hanno una propria gerarchia delle fonti? In altri termini, quest'ultima varia in relazione ai diversi diritti? Questo è un quesito assai rilevante per il metodo comparativo, che i giuristi non hanno ancora adeguatamente risolto. La maggior parte di essi si accontenta di confrontare il ruolo delle fonti nell'esperienza inglese e in civil law. Questi studi hanno permesso di chiarire tali questioni nei rispettivi diritti, ma hanno lasciato irrisolto il problema, essenziale per il metodo comparativo, di sapere se la gerarchia e il ruolo delle fonti variano dall'ordinamento o da un sistema giuridico all'altro. Nel quadro degli ordinamenti appartenenti al medesimo modello, la gerarchia delle fonti può variare, ma le variazioni sono quantitative e non qualitative o sostanziali. La gerarchia delle fonti varia profondamente, invece, da un sistema all'altro; quest'ultima, proprio perché non è mai la stessa, assume un'importanza essenziale per la corretta applicazione del metodo comparativo. Ogni comparatista deve sapere che ha a che fare con un dato veramente caratteristico del modello considerato e che ogni esame corretto del termine da comparare in un ordinamento straniero gli impone di rispettare la gerarchia delle fonti. - - La gerarchia delle fonti legislative nel modello di civil law Un esame sommario dimostra che, nelle sue grandi linee, la gerarchia delle fonti è la medesima negli ordinamenti appartenenti allo stesso modello giuridico. I diritti europei continentali, ad esempio, si caratterizzano per il primato della legge e per l'esistenza di un ordine gerarchico all'interno di essa. La consuetudine e la giurisprudenza appaiono fonti sussidiarie. Benché assuma un ruolo importante, quest'ultima sarebbe destinata soltanto a colmare le lacune della fonte principale e, eccezionalmente, a completare o a modificare il testo di legge. Questo schema si ritrova negli ordinamenti di civil law, anche se con alcune significative differenze di dettaglio che tuttavia non mettono in dubbio la gerarchia fondata sulla supremazia della legge. All'interno della legislazione, quale fonte principale, in questi diritti si manifesta un'ulteriore gerarchia fondata sulla sua natura. La norma costituzionale è sovraordinata rispetto a quella ordinaria, e quest'ultima lo è in riferimento al regolamento e all'ordinanza. Questa gerarchia del quadro legislativo è generalmente accolta dagli ordinamenti di civil law. Tuttavia, la sua attuazione non è sempre garantita da procedure appropriate. In effetti, essa presuppone una duplice tutela: da un lato, il ricorso di legittimità per garantire la conformità dell'atto amministrativo e del regolamento alla legge. Questo strumento esiste in quasi tutti gli ordinamenti europei. Dall'altro, il controllo di costituzionalità per salvaguardare la conformità della legge ordinaria alla carta fondamentale. Questo rimedio rappresentava l'eccezione nel continente. La Germania e l'Italia sono state le prime nazioni a conoscerlo. Anche se il principio di supremazia della costituzione è ovunque riconosciuto, alcuni ordinamenti non prevedono un procedimento idoneo a impedire che la legge ordinaria possa violare una norma costituzionale. Il rapporto gerarchico tra le fonti legislative è certo negli ordinamenti di civil law, ma la disciplina varia nei dettagli. - - La posizione della consuetudine e della giurisprudenza nelle fonti del sistema euro- continentale. La consuetudine ha un ruolo molto limitato. Ciò è naturale, in quanto un sistema di diritto codificato non può lasciare sopravvivere quest'ultima come fonte giuridica primaria. Ogni codice abroga le fonti anteriori e sottomette alla legge l'ulteriore evoluzione giuridica che, in principio, è legittimata soltanto a completarlo o modificarlo. Non bisogna stupirsi quindi del ruolo limitato e precario che la consuetudine assume in civil law, ove gli ordinamenti sono caratterizzati dalla codificazione. Anche se la sua funzione e l'ambito di operatività sono regolati in maniera diversa nei diritti continentali, la disciplina, nelle sue particolarità, è molto simile ed evidenza il carattere secondario, sussidiario, limitato ed eccezionale di questa fonte. Il diritto francese ha abolito tutte le consuetudini generali e locali. Esse sopravvivono in casi rari ed eccezionali nel code civil e nel diritto commerciale. Il BGB non risolve il problema, ma la maggior parte degli autori è d'accordo nel considerare la consuetudine come una possibile fonte del diritto. Per quanto riguarda la giurisprudenza, la situazione è assai più complessa, poiché la sua portata varia da un ordinamento all'altro. Certo, la sua missione principale è quella di interpretare la legge; ma è impossibile ridurre il suo ruolo a un'applicazione automatica dei testi. Sotto le sembianze dell'interpretazione, la giurisprudenza partecipa attivamente, in modo più o meno evidente, secondo gli ordinamenti, al processo di evoluzione e di elaborazione del diritto. Così interviene non soltanto per applicare la legge, ma anche soprattutto per ampliarla, completarla e persino modificarla. La giurisprudenza colma le lacune dei testi, individua i principi generali e precisa gli standard. L'ordinamento francese conosce numerosi casi nei quali un'ermeneutica “deformante” ha fatto progredire il diritto non soltanto al di là, ma anche contro il testo della legge. In questi casi la giurisprudenza costituisce un'autentica fonte giuridica in quanto crea il diritto. Con ammirabile modestia e con prodigioso senso della realtà Portalis, relatore uno dei codici più prestigiosi, ha sottolineato il carattere incompleto del code civil e il ruolo creativo della giurisprudenza. “I giudici sono chiamati a completare le leggi”. Sono gli esegeti a non aver compreso la lezione. È per questo che la sua importanza è stata riconosciuta in Francia con difficoltà e tardi, dopo che è svanita l'illusione secondo la quale il codice doveva contenere tutto il diritto. - - La gerarchia delle fonti del diritto anglo-americano. Diverso è, invece, il quadro della gerarchia delle fonti che il modello anglo-americano offre al nello spirito. Secondo Montesquieu, le leggi sono anche collegate alle strutture economiche dei diversi paesi, poiché è evidente che le norme di un popolo di mercanti sono differenti da quelle di una società di agricoltori. - - La posizione degli autori moderni su questa regola metodologica L'esigenza di reintegrare il termine da comparare nel proprio ordinamento si spiega con questa considerazione: non è possibile comprendere realmente la particella che si esamina, senza conoscere l'organismo del quale essa fa parte. Questa necessità metodologica è stata riconosciuta da altre scienze comparative. I moderni giuristi che si sono occupati di questo problema sono unanimi nel chiedere al comparatista di conoscere non soltanto la norma straniera, ma anche l'insieme del quale essa fa parte, il background storico, economico e sociale del relativo ordinamento. È la conseguenza logica dell'idea, oggi largamente accettata, secondo la quale un modello giuridico costituisce non la somma delle disposizioni arbitrarie formulate dal potere pubblico, ma l'ordine sociale scaturito dalla vita e dalla storia di un popolo. - - L'oggetto della ricerca in questa fase La fase della comprensione inizia allorché termina quella della conoscenza. In realtà, i due momenti non possono essere del tutto separati. Al contrario, essi interferiscono l'uno con l'altro. Tuttavia, tra queste due fasi esistono grandi differenze, soprattutto perché l'oggetto della ricerca assume una nuova portata e cambia in notevole misura. Nella prima fase, la materia dell'indagine è, in maniera analitica, esclusivamente il termine da comparare. Nella seconda fase, l'oggetto dello studio è costituito da tale elemento nei suoi rapporti immediati con l'insieme del diritto e con le sue caratteristiche fondamentali. Nella prima fase, il termine viene metodologicamente separato dal suo ordinamento e viene considerato in sé. Nella seconda fase, esso deve essere reintegrato nel sistema giuridico ed esaminato nelle sue diverse relazioni. - - Le ragioni che impongono di reintegrare il termine da comparare nel proprio ordinamento. Per poter meglio percepire l'importanza della regola metodologica che impone di collocare il singolo termine nel suo sistema giuridico, è utile chiedersi perché è necessario svolgere quest'operazione, perché la conoscenza di tale dato, già acquisita, non è sufficiente per procedere alla comparazione, perché, di là da questa cognizione, si ritiene di poter comprendere meglio tale elemento soltanto se lo si reintegra nell'ordinamento e se si esaminano le sue relazioni con quest'ultimo. La risposta a queste domande discende da quattro ragioni, riassunte nell'idea fondamentale dell'unitarietà dell'ordinamento, che riguardano anche l'ambiente sociale, economico e politico. Esse sono le seguenti: a) un ulteriore istituto o un'altra norma del diritto esaminato possono esercitare un'influenza determinante sul termine da comparare, completandolo, modificandolo, mutandolo, o persino annullandolo nella struttura o nella sua funzione. Questo problema concerne la relazione tra il termine e gli altri istituti teleologicamente affini. b) in ogni modello gli elementi determinanti assumono un significato preponderante, che permette loro di estendersi e di influire sulle altre particelle giuridiche. In tal modo, essi possono interferire, in maniera diretta o indiretta, con il termine da comparare. Questo problema riguarda il rapporto tra il termine e gli elementi determinanti, cioè il ruolo svolto da questi ultimi in un certo diritto. c) La genesi, la struttura o la funzione del termine da comparare, come anche dell'ordinamento, vengono influenzate, in maniera visibile od occulta, da fattori metagiuridici, storici, politici, economici e sociali. Ciò comporta due tipi di problema. Il primo riguarda i rapporti del termine con gli elementi metagiuridici. d) il secondo, che rappresenta anche la quarta ed ultima ragione, concerne le relazioni dell'ordinamento con tali fattori e con l'ambiente circostante. - - - La prima ragione. - - - - L'interferenza di altri istituti, affini o complementari, dello stesso ordinamento con il termine da comparare Per poter comprendere l'esatta funzione di un istituto, bisogna esaminarlo nel suo contesto giuridico e alla luce dei fattori principali che hanno determinato ed influenzato l'evoluzione dell'ordinamento. L'interdipendenza strutturale e teleologica esistente fra le norme di un medesimo diritto esige l'esame dello scopo di ogni regola nel quadro del sistema, cioè in relazione agli altri istituti affini con i quali viene a contatto o si avvicina attraverso una parentela funzionale. Il giurista, per offrire un'immagine esatta della funzione del termine da comparare nell'ordinamento straniero, deve comprendere nell'analisi l'esame di tutti gli istituti, affini o complementari, che sono teleologicamente imparentati e che esercitano su di esso un'influenza diretta o riflessa. Così, non è sufficiente constatare che un codice abbia eliminato l'ergastolo con disposizioni che contengono le pene entro un limite massimo. Questo risultato può essere neutralizzato da una norma analoga che modifica i suoi effetti. Se, ad esempio, l'ordinamento non sancisce il principio del divieto di cumulo delle pene, i condannati potrebbero subire, attraverso quest'ultimo istituto, una privazione della libertà che in fatto supera la durata massima prevista. - - - La seconda ragione. - - - - L'influenza esercitata dagli elementi determinanti. Il diritto positivo costituisce soprattutto la manifestazione di una specifica filosofia della vita, della società e dell'uomo, cioè di una scala di valori. Come tale, esso rappresenta il veicolo, ufficiale o implicito, di una certa ideologia, di una determinata concezione sociale, morale e politica. Questa silente gerarchia di valori viene espressa nella maniera più chiara dagli elementi determinanti. Per poter realmente comprendere un modello straniero, il comparatista deve conoscere gli elementi determinanti, i quali possono influenzarlo in maniera diretta o riflessa. Senza la percezione di tali fattori questo genere di comparazione diviene impossibile. Così, per esempio, l'esperienza europea assumerebbe una fisionomia del tutto difforme se venisse interpretata con uno spirito diverso da quello liberale che è implicito. I giuristi occidentali, abituati unicamente al loro sistema, se ne rendono difficilmente conto, visto il carattere soffuso ed occulto dell'ideologia. Se si tralasciano alcuni sovietologi e islamisti, essi non hanno compreso il carattere originale dei diritti socialisti e musulmani in quanto, ignorando i loro elementi determinanti, li hanno intesi attraverso il prisma concettuale dei propri modelli. Una delle principali differenze tra i paesi capitalistici e socialisti consiste nell'esistenza di un'ideologia ufficiale. Nessun ordinamento occidentale conosce e trova fondamento in una dottrina “autorizzata”. Nel sistema socialista esisteva una concezione del diritto approvata pubblicamente dal partito e dallo Stato. La sua missione era quella non soltanto di spiegare, ma anche di dirigere l'elaborazione e l'evoluzione dell'ordinamento, dunque tutta l'attività del legislatore, “delle autorità amministrative, delle comunità locali e professionali,della giurisprudenza” e della dottrina. Per comprendere tale modello era dunque assolutamente indispensabile conoscere i suoi elementi determinanti, l'ideologia e i valori che irradiavano e che influenzavano tutto il diritto. Più delle soluzioni tecniche che essi proponevano, era la dottrina ufficiale, che li ispirava e che li permeava, a consentire di comprendere l'effettivo significato di questi modelli. È dovere del comparatista conoscere l'ideologia del diritto che egli studia, misurare la posizione e il ruolo esatto che essa assume e interpretare la norma sulla base del suo spirito. - - - La terza ragione. - - - - L'efficacia dei fattori metagiuridici sulla genesi, sulla struttura e sulla funzione dei termini da comparare. Il diritto si erge su un fondamento concreto, che è una funzione sociale, ed è impossibile isolarlo dal suo substrato reale. Alcuni fattori metagiuridici possono esercitare un'influenza particolare su una legge o su un determinato istituto. Ma, poiché le norme non esplicitano in sé la loro ragion d'essere, i rispettivi testi dicono poco o nulla sulle cause che hanno determinato la loro nascita o gli elementi che hanno specificato la loro funzione. Per comprendere il termine da comparare, lo studioso è obbligato esaminare questi fattori metagiuridici, i quali ne giustificano la nascita o la funzione. Così, ad esempio, la legge Faillot del 21 gennaio 1918 e il decreto del 22 novembre 1944 si spiegano, in Francia, con il sopravvenire di eventi bellici. Entrambi tendono a permettere un adattamento dei contratti stipulati prima della guerra alle difficoltà di adempimento sorte a causa di essa. Talvolta, le dottrine giuridiche e le interpretazioni giurisprudenziali di determinati istituti trovano fondamento in fattori di politica sociale. Altre volte, questi ultimi inducono a elaborare una legge. Percepire il complesso ruolo dei fattori metagiuridici significa, in definitiva, comprendere le condizioni reali nelle quali gli istituti sono nati, si sono formati e funzionano. Tutti gli elementi che, in maniera diretta o indiretta, partecipano o sono coinvolti nel processo di trasposizione del conflitto sul piano giuridico devono essere esaminati per comprendere i termini stranieri da comparare, qualunque sia il fondamento (economico, sociale, politico, ecc.) sul quale riposano. Spesso esistono dati metagiuridici che, meglio di qualsiasi altro elemento, spiegano la formazione o la funzione, il successo o il fallimento, l'impiego raro o frequente di una regola o di un istituto. Sono questi altresì ad illustrare le somiglianze o le differenze esistenti fra i vari termini. Il loro esame è indispensabile perché, senza di essi, l'indagine rischia di essere formale, superficiale o di giungere a conclusioni errate. - - - La quarta ragione. - - - - Le fonti sociali del diritto positivo. Limitata al suo aspetto positivo, la norma giuridica può apparire incomprensibile al comparatista che ignori la realtà sociale, della quale ne costituisce l'espressione. Lo studioso non può ricostruire con la logica l'insieme dei fattori politici ed economici, l'influenza reciproca delle singole componenti e il complesso equilibrio di azioni e reazioni di questi elementi dei quali il diritto rappresenta la risultante finale e visibile. Quale prodotto della società che lo ha elaborato, l'ordinamento raffigura necessariamente una parte del processo ciclico, in perpetuo movimento, che collega il “dato” pregiuridico al “costruito”. In effetti esiste un itinerario complesso che procede dal diritto positivo alla realtà sociale, e viceversa. Il fenomeno giuridico non è né semplicemente “tecnica”, né unicamente “dato”. In questo continuo perpetuo passaggio da un ordinamento formulato sulla base della realtà sociale, e viceversa, il diritto ripete il ciclo dell'acqua che cade sotto forma di pioggia per fecondare la terra e dalla quale evapora per formare le nuvole, prima di cadere sotto forma di pioggia. Proprio come l'acqua, durante il suo percorso, il diritto è visibile in alcune fasi, occulto in altre. Per valutare questo fenomeno bisogna capirlo e, per comprenderlo, è necessario coglierlo nella sua totalità. La percezione di una parte soltanto di esso conduce a una conoscenza parziale. Queste osservazioni, oggi evidenti, non sono ancora uscite dallo stato di idee generali. La nascita e lo sviluppo della sociologia giuridica avrebbero potuto mostrare il diritto in una nuova luce, se fossero stati esaminati i suoi effettivi legami con la realtà e i loro rapporti reciproci. Ma tale disciplina sembra essersi preoccupata soprattutto di affermare la propria autonomia scientifica, di definire il suo oggetto e di precisare le relazioni con le scienze contigue. Così essa si è sviluppata quasi senza alcun contatto con il diritto e con i suoi metodi e rappresenta, oggi, per i giuristi, una materia completamente estranea. sociologica della regola giuridica rappresenta soltanto un mezzo supplementare per garantire una migliore comprensione della norma medesima e dei suoi rapporti con il contesto ambientale. Tale esame costituisce, quindi, una componente del metodo comparativo. Fondandosi sui risultati ottenuti dalla sociologia empirica, la relativa scienza teorica si propone di dedurre le leggi sulla base delle probabilità statistiche. Tuttavia, bisogna essere cauti sul possibile impiego di questi risultati, che non possono aspirare, in sé, a diventare regole giuridiche. La realtà statistica è cosa diversa dalla norma. La prima rappresenta una constatazione dei fatti; la seconda costituisce una decisione assunta sulla base di una scala di valori. In alcune ipotesi caratterizzate da una forte componente sociale, come ad esempio il diritto di sciopero, i contratti collettivi, le condizioni generali di contratto, l'analisi sociologica permette di conoscere il fondamento effettivo e impedisce di sostituire questa realtà con un semplice ragionamento logico. Così, pur ammettendo che il metodo comparativo esiga la conoscenza del contesto culturale della norma, bisogna escludere che il diritto comparato, in quanto metodo o scienza, possa confondersi con la sociologia giuridica, della quale non ne è lo strumento. - - - - Il fattore politico. L'importanza del fattore politico nell'elaborazione e nell'evoluzione del diritto è divenuta sempre più evidente da quando i Parlamenti si sono appropriati del monopolio della funzione legislativa, e da quando la norma tende a diventare sempre più un atto di comando del potere. Ciò è stato enunciato chiaramente da Lenin, secondo il quale il diritto si confonde con la politica. Affermazioni equivalenti sono state proposte da giuristi appartenenti a differenti orientamenti e da studiosi che non seguono la dottrina marxista-leninista. In realtà, nei Parlamenti, ove sono elaborati testi, i partiti politici si contrappongono, i gruppi di pressione sono in azione, gli uomini e i movimenti lottano per realizzare i propri interessi. I giuristi tutto ciò lo sanno ma non lo dicono. Così “ciascuna legge moderna ha subito un'operazione chirurgica, e gli autori sono numerosi. I trattati di diritto civile non fanno alcuna allusione all'influenza del potere politico sull'elaborazione e sulla trasformazione dei testi. Essi sottolineano sovente la mancanza di abilità del legislatore, ma non osano mai individuare quale interesse politico abbia dettato il progetto o deformato un enunciato; essi insegnano che esiste un'evoluzione del diritto, ma non vogliono conoscere coloro che combattono per realizzarla” (così Ripert). L'azione del fattore politico sul diritto è evidente. Così, è l'assurgere della borghesia al ruolo di interprete principale della realtà sociale dell'epoca a spiegare l'eguaglianza e la libertà come principi fondamentali e le principali tendenze del codice civile francese. Il diritto sovietico è comprensibile soltanto attraverso il prisma della rivoluzione di ottobre e sulla base della concezione giuridica del partito vittorioso. L'azione del dato politico sul diritto, dunque sulla nascita e sull'evoluzione dell'ordinamento, sulla struttura e sulla funzione della norma, e più determinante ed evidente in alcune branche anziché in altre. Ciò accade, ad esempio, nel diritto costituzionale, ove la distribuzione dei poteri all'interno degli istituti è fortemente influenzata da questo fattore. L'esame del dato politico può essere effettuato in quello stadio metodologico nel quale, dopo aver reintegrato il termine all'interno del proprio ordinamento, bisogna inserire quest'ultimo nell'ambiente circostante. Ciò può avvenire anche nella fase comparativa, allorché si vogliono conoscere le cause delle relazioni che sono state individuate fra i diversi termini. Ciò conduce alla necessità di esaminare questi dati per comprendere perché un istituto abbia una funzione e non un'altra. Come comprendere il modesto ruolo svolto attualmente dalla camera dei Lords in Inghilterra, senza considerare la lotta politica condotta, in tal senso, dal movimento liberale? Allo stesso modo, non è possibile comparare il modello presidenziale, il sistema elettorale e persino la struttura dello Stato statunitense senza esaminare il numero e le caratteristiche dei partiti. Si può affermare che la conoscenza di taluni fatti e di certe istituzioni politiche sia più importante per l'applicazione del metodo comparativo nel campo del diritto pubblico. Tuttavia è inesatto pensare che l'indagine, in questa materia, ruoti sempre attorno all'idea dello Stato di diritto. Il rapporto tra un istituto giuridico, che costituisce il termine, e il pilastro fondamentale dell'ordinamento, ossia lo Stato di diritto, è troppo esiguo perché si possa comprendere il primo senza il secondo. È proprio questa relazione estremamente intima che consiglia di non separare il singolo problema dall'insieme del quale fa parte, poiché non può essere compreso al di fuori di esso. - - - - Il dato economico. La dottrina ha preso coscienza assai tardi, in maniera frammentaria ed incompleta, dell'interazione tra diritto ed economia e dell'influenza di quest'ultima sull'evoluzione giuridica. In un mondo nel quale la principale forma di produzione era l'artigianato, la separazione tra diritto ed economia era possibile. Il fattore determinante nella elaborazione e nell'evoluzione dell'ordinamento giuridico era piuttosto di natura sociale. Il progresso, che ha posto in evidenza l'importanza dei dati economici, è stato realizzato soprattutto grazie alla rivoluzione industriale, che ha provocato un cambiamento radicale delle strutture sociali. Essa ha imposto, in senso quantitativo e qualitativo, il predominio di tale fattore. Nel contempo, il diritto ha perso progressivamente la propria finalità, per assumere una funzione sempre più strumentale in relazione agli obiettivi economici. In alcuni settori l'impatto è stato così determinante da conformare le stesse norme: soltanto la loro forma esterna riveste tratti giuridici, mentre il contenuto è puramente economico. In altri campi, l'influenza di tali vicende è stata accessoria e la norma ha conservato la sua natura tradizionale. L'elemento di novità è rappresentato dalla frequenza e dall'importanza del dato economico nell'elaborazione e nell'evoluzione di ogni modello giuridico. Ciò ha condotto lentamente al tramonto del diritto classico, inteso non soltanto quale deperimento di certi istituti, considerati pilastri dell'ordinamento, ma anche come declino della stessa tecnica giuridica. Questo fenomeno si è manifestato nel degrado delle fonti formali, nella crescita di quelle concorrenti e perfino nella decadenza del carattere cogente del diritto. Quest'evoluzione ha condotto alla nascita del diritto dell'economia. Nei paesi socialisti questa componente era talmente importante che quasi tutto il diritto era imperniato su tale fattore. Nei modelli europei e anglo-americani si inizia soltanto ora a comprendere l'influenza dell'economia sull'ordinamento giuridico. Essa, in alcuni settori, diventa così determinante da ridurre il diritto ad una mera funzione strumentale. Progressivamente il dato economico assume una posizione sempre più predominante, fra gli altri fattori, nell'elaborazione e nell'evoluzione del diritto. La dottrina tedesca è stata la prima a cogliere l'impatto di questo fenomeno sull'ordinamento. È stata anche la prima ad ideare, già anteriormente alla prima guerra mondiale, un termine specifico per indicare tale vicenda. In seguito, è stato il diritto sovietico a occuparsene. Ma in questo caso si è trattato di un capovolgimento completo dei rapporti tra i due fattori, provocato da una concezione specifica, ufficiale e obbligatoria. L'idea di un diritto dell'economia ha guadagnato terreno, benché sia difficile delimitare il suo ambito in maniera unanime. Con l'idea di “costituzione economica”, i suoi principi sono stati inquadrati in un insieme coerente che guida il progresso sociale. Così tale dato è divenuto un elemento determinante. La comprensione di una norma straniera, quindi, postula la conoscenza degli elementi economici che hanno contribuito a formarla. - - - - La gerarchia dei valori. Ciascun ordinamento è costruito su una scala di interesse espressa o implicita. Da un lato, sono i dati materiali, dall'altro, sono gli aspetti spirituali integrati nella gerarchia dei valori a spiegare gli obiettivi che il legislatore ha voluto raggiungere attraverso la prescrizione di una regola di condotta e con la scelta di una soluzione giuridica. Così, la comprensione di una norma straniera non può essere limitata alla semplice analisi e conoscenza del diritto positivo. Invero, essa deve essere intesa come risultato finale della tensione e della cooperazione tra determinanti elementi materiali, rielaborati attraverso il filtro intellettuale della gerarchia dei valori. Per il comparatista, conoscere un diritto estero vuol dire situare le sue regole nel quadro non soltanto della loro storia, cioè dei fattori politici, sociali ed economici, ma anche della gerarchia dei valori che ha determinato le opzioni fondamentali accolte dal legislatore nel momento di elaborazione della norma. Senza questa analisi, le norme straniere appaiono come un semplice agglomerato di decisioni astratte, fungibili e più o meno inintelligibili. Così, comprendere una regola straniera significa conoscere la realtà sociale storica alla luce della gerarchia dei valori che si trova alla base di ogni modello e che ne costituisce l'ideologia palese od occulta. Nel diritto positivo, essa si manifesta in modo visibile attraverso gli elementi determinanti. - - - - L'interazione tra il dato e il costruito nei diversi sistemi giuridici Se il diritto è il prodotto dei dati sociali, è evidente che dev'esserci una continua interazione tra questi fattori. Tale rapporto è evidente in un modello che, considerando il Parlamento l'espressione della volontà popolare, giudica l'ordinamento come uno strumento di organizzazione razionale delle strutture sociali. Ma il processo di interazione tra il dato e il costruito muta non soltanto nel tempo, ma anche nello spazio, secondo i diversi sistemi giuridici. Il diritto socialista ha rivelato che esistono ulteriori modalità di elaborazione del diritto ed interferenza sui dati sociali. Pur considerando l'ordinamento come la sovrastruttura della base economica, tale modello è andato, attraverso il diritto vigente, al di là di esso, trasformando con la propria ideologia persino la fisionomia della società, cioè gli elementi e i fattori pregiuridici. Proprio con l'aiuto del diritto, i paesi socialisti hanno cambiato in modo radicale il sostrato sociale, imponendogli una costituzione economica totalmente nuova e specifica. Del resto, ciò era necessario anche per conciliare la teoria con la realtà. Secondo la dottrina marxista, il comunismo poteva affermarsi soltanto in una società altamente industrializzata. Non era questo il caso della Russia, con le sue strutture feudali e agrarie. Un progresso particolarmente rapido doveva fornire al regime sovietico, retroattivamente, le premesse socioeconomiche della sua esistenza, che all'inizio mancavano. Hanno trasformato, in maniera autoritaria e profonda, la struttura della società, sostituendo un'esperienza alquanto pluralistica con una classe chiusa e limitata ai governanti e governati. Il dato non si è sviluppato in maniera più o meno naturale e il costruito non è stato determinato attraverso un compromesso tra opposti fattori. La realtà medesima è stata rielaborata e orientata politicamente, in particolare con l'utilizzo del diritto positivo. Così si può affermare che in questo sistema il dato faceva parte del costruito, poiché esso veniva modulato secondo la volontà dei dirigenti di partito. Negli ordinamenti socialisti tutto era “costruito, controllato e sottomesso all'azione volontaria di funzionari posti al servizio di un obiettivo cosciente. Qui nulla era lasciato alla maturazione sociale: né il diritto positivo, né i suoi dati. È per questo che la comparazione con gli altri sistemi diventava assai difficile. Si trattava, in realtà, di confrontare una pianta di serra con una naturale. Si compravano termini appartenenti a diritti le cui condizioni di nascita e di sviluppo erano fondamentalmente diverse. 4) La terza fase: La comparazione. Uno dei metodi più importanti del metodo comparativo è quello di permettere di vedere in una diversa visuale un paesaggio giuridico molto antico e scoprire, attraverso il confronto sistematico, persino nel proprio diritto aspetti inediti che, altrimenti, sarebbero rimasti nascosti. In quest'ultima fase del procedimento il giurista si occupa specificamente della comparazione. Conoscere e comprendere meglio significa, in qualche modo, già confrontare. La comparazione è il procedimento generale con il quale il pensiero umano ricerca la similitudine attraverso la molteplicità e l'identità mediante la diversità. Tuttavia, qui, tale operazione si inquadra in un processo specifico. Ciò significa, innanzitutto, individuare i rapporti esistenti tra i termini da comparare. E questo impone di precisare e di ordinare, in maniera razionale e sistematica, le relazioni di somiglianze e di differenza già percepite o scoperte in maniera confusa durante le prime due fasi. Ciò induce, infine, ad identificare le cause. Nella prima fase l'esame ha un carattere analitico e descrittivo, poiché mira alla conoscenza del termine isolato dal suo ordinamento. Nella seconda, l'indagine, che verte sui rapporti tra il termine e il proprio diritto e tra quest'ultimo e l'ambiente metagiuridico, è destinata a permettere la comprensione del problema nel quadro della sua esperienza, sulla base degli elementi determinanti. Per sua natura, quest'esame analitico e divenuta legale. Le differenze giuridiche e pratiche nei confronti del diritto francese, benché più sfumate rispetto al 1963, sussistono ancora. Nell'esperienza d'oltralpe, gli atti conclusi prima della decisione definitiva comportano la presunzione assoluta di facilitare il divorzio e sono, quindi, nulli. Nel diritto inglese, le stesse convenzioni sono nulle non in sé, ma soltanto in caso di collusione. Tuttavia, nell'ordinamento francese il procedimento di divorzio segue il proprio corso: esso non può essere direttamente influenzato dall'invalidità dell'atto e, quindi, il tribunale non può rifiutare lo scioglimento del matrimonio a causa della illiceità della convenzione. In questa materia il giudice d'oltralpe non ha il potere di valutazione di quello anglosassone: egli deve dichiarare nullo ogni atto concluso anteriormente. Ecco come lo stesso principio può condurre a risultati giuridici e pratici differenti, laddove viene realizzato con mezzi tecnici diversi. - La portata delle relazioni Come ogni fatto non ha necessariamente una portata storica, così ogni relazione tra due termini non ha obbligatoriamente un valore comparativo. Proprio come lo storico, che deve discernere l'importante dall'accessorio e separare l'avvenimento significativo da quello che non lo è, così il giurista deve distinguere, nelle relazioni tra i vari termini, quelle che hanno una portata comparativa da quelle che non la possiedono. Già nel corso della prima fase, il compito del metodo è quello di esaminare i termini così come sono. Tuttavia alcuni aspetti, benché appaiono assai importanti, possono avere un significato soltanto apparente, mentre i rapporti fondamentali possono rimanere nascosti. Ogni comparazione effettuata sulla base di false parvenze, che possono rivestire i singoli termini, è necessariamente errata. A partire da questo momento, lo studioso deve cercare di separare il reale dall'apparente. Ciò gli impone di iniziare la terza fase, stabilendo il valore esatto delle relazioni constatate. Quest'operazione consiste nel dissociare il formale dal reale, distinguendo l'effettivo dall'illusorio, per assegnare a questi rapporti la loro veritiera portata. Così la giurisprudenza belga, benché parta del medesimo testo degli articoli 1382 e 1384 code civil, in materia di responsabilità extra contrattuale si distingue da quella francese su parecchi punti importanti. Anche i tribunali lussemburghesi non interpretano e non applicano sempre il codice civile nello stesso modo della corte d'oltralpe. Ciò significa che sotto l'unità apparente delle norme, che costituiscono i termini da comparare, si nascondono regole aventi una portata reale differente in ciascun ordinamento. Così, una divergenza che a prima vista sembra fondamentale, in concreto può avere soltanto un valore formale. Ciò accade ogniqualvolta un enunciato, malgrado il suo carattere legale, non venga applicato in fatto come prescrive il testo. In questo modo la comparazione può mostrare come le somiglianze legali siano fittizie, allorché sono annullate da differenze reali, e come l'unità legislativa fondata sull'identità dei testi possa avere una portata soltanto apparente, qualora la giurisprudenza fornisca interpretazioni divergenti e soluzioni difformi. Al contrario, essa può dimostrare come analoghi risultati pratici si nascondano sotto parvenze diverse e come si possa giungere a soluzioni identiche o equivalenti attraverso strade differenti. Le relazioni constatate, tuttavia, possono avere un valore diverso, secondo che il termine da comparare faccia parte degli elementi determinanti o di quelli fungibili. Le analogie che esistono tra le strutture essenziali degli ordinamenti contribuiscono a riunirli nel quadro del medesimo sistema. Invece, le similitudini esistenti tra gli elementi fungibili rimangono limitate all'istituto in questione. Esse non riescono ad avvicinare i diversi modelli se i fattori determinanti li separano. Una volta stabilita l'effettiva portata delle relazioni, ed effettuata la distinzione tra i rapporti formali e quelli reali, si constaterà che, al di là delle false equivalenze e delle simmetrie equivoche, è possibile scoprire le autentiche somiglianze. In questa fase il comparatista deve riconoscere il dato effettivo camuffato sotto apparenze diverse e cogliere la realtà oltre la diversità delle forme. Ciò permetterà di rivelare i rapporti veritieri che collegano i termini da comparare. - Le cause delle relazioni - - La molteplicità delle cause che spiegano le somiglianze e le differenze. Dopo aver individuato le relazioni che esistono tra i termini da comparare e avere precisato la loro esatta portata, lo studioso deve chiedersi qual è il loro “perché”, cioè quali sono le cause. Il diritto comparato non può limitarsi all'esame dei testi di legge, ma deve penetrare profondamente nel complesso dei fenomeni metagiuridici. Esso ha avvertito questa necessità prima e più intensamente di ogni altra disciplina. Questa concezione ha spinto la dottrina a meditare sulle cause religiose, politiche e sociali, storiche ed economiche, ideologiche e morali che determinano la nascita e che influiscono sullo sviluppo del diritto, al fine di conoscere le ragioni delle somiglianze e delle differenze individuate. Tuttavia, il rapporto tra il diritto e queste cause non è né meccanico, né unico, né predeterminato. Non è possibile ridurre le relazioni tra la norma e le sue cause ad un'equazione matematica o ad un rapporto automatico tra struttura economica e regola, tra mezzi di produzione e diritto, come sostengono alcune teorie. La molteplicità delle componenti eziologiche suscettibili di chiarire le relazioni si oppone a ogni spiegazione monocasuale. - - Le cause delle relazioni non possono essere ricercate né nello sviluppo autonomo del diritto, né negli stadi di evoluzione. Il diritto, al pari delle altre discipline sociali, non può essere conosciuto e spiegato in sé, cioè senza riferimento al suo contesto storico. Uno dei grandi meriti di Jhering è stato quello di aver fatto comprendere l'importanza fondamentale dell'ambiente, del sostrato sociale per il diritto e di aver posto quest'ultimo in relazione con i fattori esteriori che lo influenzano. Ma se esso non si sviluppa né in maniera spontanea, né in modo unilineare, le cause delle relazioni constatate tra i termini da comparare non possono essere spiegate semplicemente con la differenza tra gli stadi di evoluzione. Esse devono essere ricercate altrove. - - La duplice risposta che può essere data al problema delle cause. La questione concernente la conoscenza delle cause di somiglianza e di difformità tra i termini da comparare può ricevere una duplice risposta. Essa dipende dalla concezione che si ha del fenomeno giuridico. L'intendere il diritto come un dato della vita sociale impone di percepire la sua esistenza attraverso un'interpretazione eziologica. Nel 19º secolo, le scienze hanno iniziato a esaminare le leggi naturali sulla base del rapporto esistente tra causa ed effetto. Ripresa delle discipline sociali, l'eziologia è stata introdotta nel diritto grazie alle diverse tendenze del naturalismo giuridico. L'ordinamento viene inteso come l'effetto di cause esterne, come funzione della vita biologica, come fenomeno della coscienza individuale o collettiva. Ogni esperienza giuridica deve essere spiegata sulla base non più delle cause storiche, ma di quelle sociali ed economiche. Tuttavia, tale nozione lasciava sussistere una certa confusione, dovuta alla possibilità di una duplice interpretazione: poteva essere concepita quale causa propriamente detta o come scopo. Jhering aveva designato quest'ultimo come la forza creatrice dell'ordinamento. In realtà, egli non separava nettamente la teoria finalistica da quella eziologica. Secondo la concezione che intende il diritto scienza causale, le differenze constatate fra gli istituti appartenenti a diversi modelli o, più in generale, alla stessa evoluzione giuridica trovano la loro fonte in ragioni di natura sociale ed economica. L'altra tendenza sembra guadagnar terreno allorché Stammler precisa le caratteristiche del diritto come scienza. Secondo tale autore, le discipline naturali classificano i vari elementi, nello spazio nel tempo, sulla base del principio di causalità (causa-effetto). Ma il fenomeno giuridico non appartiene a questa categoria, perché costituisce una scienza teleologica e ordina i dati secondo il principio finalistico (fine-mezzo). Esso possiede una propria logica e un suo metodo. Per questa teoria, la causa che spiega la struttura e la funzione di un istituto viene precisata attraverso lo scopo che il legislatore o l'ordinamento hanno inteso perseguire. In quanto disciplina finalistica, il diritto differisce necessariamente dalle scienze causali. Finché l'ordinamento è stato considerato il prodotto di una elaborazione naturale, effettuata in maniera più o meno cosciente dalla società stessa, e fin quando il legislatore si è limitato a esprimere la regola giuridica già formata nel crogiolo dei dati reali, la risposta alla domanda, posta dal metodo comparativo, circa la ragione di esistenza di una certa norma è stata soprattutto di natura storico-sociale. Ma il diritto entra sempre più nell'era finalistica, poiché si propone in maniera consapevole di raggiungere determinati scopi prestabiliti: ciò svela il suo carattere strumentale nei confronti di un obiettivo da raggiungere. Così la ratio legis rimane un indice importante per comprendere una norma o un istituto. Ma essa ha soltanto un valore relativo, in quanto lo scopo può mutare, e cioè gli fa perdere ogni funzione di orientamento. Il metodo comparativo deve ricorrere necessariamente a entrambe le teorie che, in realtà, coesistono nella scienza giuridica. Nel cercare di conoscere quale sia la causa che spiega la struttura o la funzione di un termine, è possibile dello studioso scopra che questa ragione è di natura eziologica o finalistica. - - Le cause delle relazioni nell'etnologia giuridica. L'etnologia giuridica si è occupata in modo particolare delle cause idonee a spiegare i rapporti di somiglianza fra i termini da comparare. La constatazione dei parallelismi, e soprattutto delle analogie esistenti tra gli elementi, le forme e gli istituti, costituiva il punto di partenza per risolvere il grande problema dell'etnologia giuridica: spiegare le cause, cioè i loro “perché”. Questo approccio ha inciso sull'esame dei rapporti esistenti tra le civiltà. Per alcuni, quest'analisi doveva servire a elaborare i grandi sistemi; per altri, doveva permettere di scoprire piccoli risultati grazie ai quali erigere, su base empirica, una storia universale del diritto. Tale tendenza ha fatto diventare la comparazione istituzionale, la scoperta dei parallelismi e delle somiglianze, il vero obiettivo di questa scienza. Ma con la teoria dell'evoluzione, specialmente nella forma nella quale Post l'ha concepita, ha preso il sopravvento la concezione universalistica e astorica. In questa prospettiva era più importante precisare che la norma corrispondesse alla natura umana e avesse una portata generale, piuttosto che occuparsi del contesto storico nel quale essa era stata elaborata. La teoria dei modelli culturali si proponeva di mostrare le forme caratteristiche degli stili giuridici nelle diverse civiltà e di precisare le loro variazioni e le loro possibili cause. Pertanto, lo scopo fondamentale di questa corrente di pensiero era quello di individuare i rapporti di prestito, di parentela o di migrazione tra i diversi modelli culturali. Tuttavia era dubbio che l'origine di qualsiasi termine da comparare potesse essere spiegata attraverso la genealogia dei gruppi di civiltà. Questi elementi possono venire influenzati da fattori diversi, divergenti e persino contraddittori. - - Le cause delle somiglianze nella storia comparata dei diritti: recezioni, prestiti e creazioni spontanee. Cercando di conoscere le cause delle somiglianze e delle divergenze tra i singoli termini, il metodo comparativo orienta necessariamente l'indagine verso una molteplicità di fattori. Influenzata, in questo campo, soprattutto dall'etnologia giuridica, e talvolta dalla linguistica, la storia comparata del diritto ha fatto ricorso a svariate concezioni dominanti. Sotto il profilo cronologico, la prima è stata l'idea della razza. L'appartenenza di due popoli alla medesima progenie può essere la causa che spiega il parallelismo istituzionale nel campo giuridico? All'inizio la storia dei diritti aveva creduto ciò. In un certo momento, questo fattore fu considerato la principale spiegazione delle similitudini. La concezione storica del diritto e la teoria dei modelli culturali, malgrado qualche tardivo difensore, hanno contribuito a superare questa tesi. Invero, essa non è di alcun aiuto, nell'ambito sia della micro-comparazione e del metodo, sia della macro-comparazione e della scienza dei sistemi. Per contro, le recezioni e i prestiti sono le cause che spiegano l'identità o la somiglianza tra gli istituti, qualora si tratti di ordinamenti che sono stati in contatto. Così, ad esempio, la penetrazione dei greci in Egitto ha provocato l'ingresso del diritto ellenico in questo paese, grazie al principio dello status personale, riconosciuto in modo abbastanza generale nel mondo antico. Ciò ha aperto la generale. - - Le cause che spiegano le somiglianze o le differenze tra i termini da comparare Se si tralascia questo schema teorico, si constata che le cause delle relazioni, che compaiono al momento dell'applicazione moderna della comparazione sistematica, possono essere di natura storica, economica, politica e sociale. Possono provenire dalla volontà del legislatore, dall'insufficienza della disciplina vigente o da creazioni parallele indipendenti. A) Cause di natura storica. Esistono cause di natura storica che chiariscono sia le odierne strutture e funzioni, sia le differenze con gli istituti paralleli di altri modelli. Le cause che giustificano le relazioni fra i termini da comparare sono spesso di natura storica. Alcune somiglianze, ma anche certe differenze fra le esperienze tedesca e francese, sono spesso di carattere diacronico. La loro fedeltà alla fonte comune, romana o germanica, spiega le affinità. Ma “le discordanze hanno quasi sempre la medesima causa delle loro similitudini. In effetti, i due diritti si assomigliano nella misura in cui sono rimasti fedeli al modello comune e si differenziano laddove l'uno lo riproduce meno dell'altro”. La risoluzione dimostra ulteriormente come le cause storiche spieghino le divergenze fra i termini da comparare. Secondo l'articolo 1184 code civil, essa viene pronunciata nel diritto francese sempre dal giudice. Invece, nell'ordinamento tedesco viene intimata dal creditore. Se si cerca di comprendere la causa di questa differenza, si è obbligati a riconoscere che essa è di natura storica. Nel modello d'oltralpe, l'origine della regola risale al diritto canonico: il tribunale ecclesiastico valutava se la parte, che non aveva adempiuto il contratto, aveva commesso un peccato suscettibile di essere sanzionato, e ciò a prescindere dalla liberazione dell'altro contraente. Il carattere giudiziale di tale istituto è stato conservato ed ha trovato accoglimento nel code civil. La risoluzione in Germania costituisce un diritto potestativo, perché il BGB ha recepito tale modello dal codice civile prussiano, che si caratterizzava per la diffidenza nei confronti del giudice e per la volontà di garantire alla norma un'applicazione quasi automatica, grazie ad una disciplina legale molto dettagliata. B) Cause di carattere economico. Talvolta le caratteristiche di un istituto e le sue differenze rispetto a un altro termine da comparare si spiegano mediante ragioni puramente economiche. La promulgazione della legge del 1936, sulla proroga dei debiti agrari in Romania, trova fondamento nella crisi provocata dall'abbassamento dei prezzi agricoli. Questo fenomeno ha colpito in modo particolare i contadini, cioè la classe numericamente più rilevante. C) Cause politiche e sociali. Il carattere finalistico della norma si è affermato allorché è aumentata progressivamente l'influenza del fattore politico nell'elaborazione e nell'evoluzione degli ordinamenti giuridici, sia nei regimi totalitari sia in quelli democratici. I primi confermano questo fenomeno con forza e lo realizzano sino ad eliminare ogni margine di libertà tra l'ideologia e il diritto. Ma quest'ultimo, quando viene strettamente subordinato al dato politico, rischia di diventare un mero sistema di comandi. Negli Stati democratici persistono diversi elementi che non risultano politicizzati; la vita umana conserva ancora una dimensione personale, al riparo dall'influenza dell'ideologia. Un margine di autonomia esiste nei rapporti fra rule of law e rule of politics. Tuttavia, anche qui una dose di ipocrisia copre la realtà. Ogni gruppo cerca di attuare, in nome del popolo, il proprio progetto, il quale costituisce soltanto un insieme di decisioni preparate da un insieme assai esiguo di soggetti per conto del partito. Dopo che questo è asceso al potere, il programma viene trasformato in diritto dal Parlamento, nel nome della nazione. Ogni norma giuridica rischia di essere, in fin dei conti, soltanto una semplice opzione ideologica, assunta da una minoranza in nome dello Stato. In questa prospettiva il carattere finalistico del diritto si rafforza notevolmente. Il comparatista deve cogliere le cause delle relazioni, anche se esse sono di natura politica o sociale. Perché, ad esempio, nessun presidente della Repubblica francese ha osato sciogliere il Parlamento durante la terza, la quarta e la quinta Repubblica, malgrado tale facoltà fosse a lui concessa dalla costituzione? La causa risiede in un tabù di natura politica: l'esercizio di un simile diritto veniva considerato come un'intrusione del potere esecutivo in quello legislativo, come un'azione personale del capo dello Stato contro la volontà del popolo, espressa attraverso i suoi rappresentanti eletti. D) La volontà del legislatore. In alcune ipotesi è il legislatore a essere responsabile di determinate somiglianze o divergenze che qualificano i termini da comparare. Un esempio assai noto è quello che concerne i presupposti della responsabilità contrattuale nelle esperienze tedesca e francese. La differenza tra i due sistemi legali è notevole. L'ordinamento d'oltralpe si basa su una nozione generale di inadempimento che abbraccia tutte le forme e ogni tipo di violazione contrattuale. Il BGB fonda la sua disciplina su due istituti essenziali: l'impossibilità e il ritardo. Ciò che distingue i due modelli è un'effettiva diversità di concezione. Nel chiedersi quali siano le cause di tale divergenza, si deve osservare che le fonti utilizzate dai redattori del code civil e del BGB sono state assai differenti. La concezione francese è stata ispirata dai canonisti i quali, partendo dalle soluzioni frammentarie del diritto romano, sono riusciti a giungere al principio secondo il quale solus consensus obligat. Esso assumeva un duplice significato: da un lato, in riferimento al vincolo, ogni impegno consensuale diveniva un contratto; dall'altro, in relazione all'inadempimento, ogni sua manifestazione rappresentava una violazione e costituiva peccato. Il modello germanico ha invece conservato le soluzioni del diritto romano. Ma i Pandettisti, e specialmente Friedrich Mommsen, hanno attribuito all'impossibilità un ruolo molto più significativo di quello assunto in tale esperienza. Sono stati i fondamentali lavori di Rabel ad aver dimostrato come l'importanza attribuita dal BGB alla teoria dell'impossibilità non corrispondesse alla realtà del diritto romano e come tale codice avesse consacrato questa tesi in un istituto unitario soltanto grazie al prestigio di Windscheid. E) L'insufficienza della disciplina legale. Le cause delle somiglianze che si manifestano sui piani funzionale e dei risultati pratici possono essere spesso individuate nell'insufficienza di un ordinamento a rispondere a un'esigenza comune. Se il legislatore non ha dettato alcuna prescrizione per un preciso bisogno, allora è la giurisprudenza che individuerà le regole necessarie. Così, in questo diritto compariranno norme o istituti nuovi, che vengono elaborati non dalla legge ma dagli interpreti. Tali soluzioni saranno, nei confronti di quelle espresse da altri ordinamenti apparentemente asimmetrici e strutturalmente differenti, teleologicamente simili. La somiglianza si fonda, specialmente in questo caso, sull'analogia funzionale. Nel diritto francese, il principio dell'efficacia relativa dei contratti è stato sempre più circoscritto, pur in presenza della regola generale secondo la quale la disciplina della responsabilità deve essere limitata alle parti e non può essere invocata dai terzi. Tuttavia la giurisprudenza d'oltralpe ha allargato la cerchia dei beneficiari. In questo senso vi è una certa somiglianza con i tribunali tedeschi. In effetti, i giudici francesi hanno permesso ai parenti prossimi di un individuo morto durante un viaggio di beneficiare di un'azione contrattuale. Essi sono giunti a questo risultato grazie all'artificio tecnico che presume l'inclusione, nei contratti di trasporto, di una stipulazione tacita del viaggiatore a favore dei parenti verso i quali è obbligato agli alimenti. Così, a seguito di un incidente mortale, costoro possono talvolta agire in una duplice qualità: possono esercitare un'azione secondo i principi dell'illecito delittuale per ottenere il risarcimento del danno subito a causa della morte del loro parente prossimo; in quanto eredi, possono utilizzare anche le regole della responsabilità contrattuale, delle quali il defunto avrebbe potuto beneficiare. Questa stipulazione tacita, che rafforza la posizione dei parenti della vittima accordando loro, al di fuori della normale via aquiliana, la più favorevole azione per responsabilità contrattuale, non è stata accettata dalla dottrina senza resistenze e critiche. Questa tendenza si è allargata allorché tale facoltà è stata estesa a favore degli operai di un'impresa, dei locatari di un immobile venduto, dei partecipanti a una cerimonia, nonostante nessuno di essi fosse parte del contratto. Tuttavia vi è una differenza fondamentale tra la figura elaborata nel diritto francese e in quello tedesco. Nell'ordinamento d'oltralpe le vittime erano comunque legittimati ad agire ai sensi della responsabilità delittuale, via più difficile e, perciò, più aleatoria. È per questo che la giurisprudenza ha preferito aggiungere a tale possibilità, esistente in ogni caso, un'altra strada che pone i danneggiati in una situazione più favorevole: quella della responsabilità contrattuale. Nel diritto tedesco, invece, le vittime non potevano adire la tutela delittuale. - - La valutazione finale delle soluzioni elaborate attraverso la comparazione. Molti autori pensano che l'indagine comparativa debba concludersi con una valutazione finale. Dopo aver individuato le caratteristiche e dopo aver giudicato i meriti delle soluzioni offerte dai diversi termini, lo studioso dovrebbe precisare quale sia “la migliore”. L'ultimo passaggio metodologico di questa fase consisterebbe, dunque, nell'offrire una specie di premio alla proposta più soddisfacente. Il problema è complesso e, prima di formulare una risposta, bisogna chiedersi cosa sia questo apprezzamento e quale possa essere il suo valore: tale giudizio ha una portata assoluta o relativa, e, in quest'ultimo caso, in riferimento a quali parametri? La valutazione non sembra essere necessaria dal punto di vista metodologico se si pensa che la comparazione, nel precisare le relazioni esistenti tra i termini e le loro cause, abbia già messo in evidenza non soltanto le caratteristiche, ma anche le qualità e i difetti delle diverse soluzioni, le une rispetto alle altre. Inoltre, non è chiaro quali criteri debbano ispirare questo giudizio e da quale angolo visuale debba porsi lo studioso. Per alcuni autori questa operazione sembra avere un valore assoluto. Tuttavia ciò sarebbe possibile soltanto se la comparazione fosse basata su un parametro di riferimento fisso, cioè su un tertium comparationis eguale a se stesso in ogni spazio e tempo. Ma, da un lato, un simile modello non esiste; dall'altro, ogni comparazione è relativa, poiché gli stessi termini che sono oggetto di raffronto hanno soltanto una portata contingente, nell'ambito dei rispettivi ordinamenti e gli uni nei confronti degli altri. Credere che, per una qualsiasi ragione, la soluzione accolta da un termine abbia un valore assoluto, significherebbe ammettere che per ogni confronto esista un tertium comparationis prestabilito; ma ciò non è vero. La risposta al problema concernente quale sia la “migliore” tra le soluzioni elaborate dalla comparazione dipende necessariamente dalla prospettiva dalla quale ci si pone. Questa rappresentazione è condizionata dallo scopo che essa intende perseguire. Quest'ultimo esercita un'influenza determinante sulla valutazione che, nel singolo caso, viene effettuata in funzione di una scelta precisa. Tale giudizio si giustifica allorché corrisponda ad una decisione: per precise ragioni, come ad esempio per motivi di politica legislativa, di unificazione, ecc., si preferisce una regola rispetto a un'altra. Così, per quanto possa essere obiettiva l'analisi delle relazioni tra i vari termini, non è possibile apprezzare le soluzioni elaborate dalla comparazione da un punto di vista unitario, astratto e assoluto. Infatti, ogni valutazione ha un senso soltanto nella prospettiva scelta, sulla base della quale viene effettuata. Ciò significa che essa è necessariamente relativa da un triplice punto di vista: in relazione allo scopo perseguito; in riferimento agli stessi termini da comparare, che sono contingenti nell'ambito dei rispettivi ordinamenti; infine, nei confronti dei modelli posti a confronto. L'indagine comparativa può essere egualmente valida qualora non ci si accontenti di una semplice valutazione delle diverse soluzioni e si voglia concludere lo studio con una specifica critica giuridica. Al pari della valutazione, anche la critica è necessariamente relativa. Innanzitutto, in relazione allo scopo che lo studioso persegue con la comparazione. Poi, in riferimento ai termini e agli ordinamenti posti a confronto.
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