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Competenze e prestazioni: modelli principali, Sintesi del corso di Psicologia del Lavoro

Appunti di psicologia del lavoro basati sulla nozione di competenza e prestazione e sulle caratteristiche dei modelli di valutazione. Approfondimenti sul manuale di Argentero - Cortese - Piccardo

Tipologia: Sintesi del corso

2012/2013

In vendita dal 29/09/2013

Ci-Otto
Ci-Otto 🇮🇹

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Scarica Competenze e prestazioni: modelli principali e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia del Lavoro solo su Docsity! PSICOLOGIA DEL LAVORO. COMPETENZE E PRESTAZIONI: Quattro sono le questioni per definire la competenza (Spencer & Spencer) 1. Caratteristica intrinseca vs acquisita 2. Rapporto competenza e performance 3. Specifica per una mansione vs trasversale a più situazioni 4. Quali sono i suoi elementi costitutivi. MODELLI RAZIONALISTICI: 1. Di McClelland: modello della competenza come caratteristica intrinseca predittrice di riuscita professionale; 2. Di Spencer & Spencer: cinque sono le componenti della competenza: 1) motivazione, 2) tratti personali, 3) immagine di sé, 4) conoscenze disciplinari, 5) skills. 3. Di Boyatz: competenza personale e sociale, più ulteriori studi sulla competenza sociale. (Caratteristica intrinseca? Bisogna distinguere competenza e capacità. La capacità è l’elemento stabile e individuale, nel senso di dotazione personale che permette la prestazione lavorativa. Espressione di un’attitudine che ha trovato stimoli esterni e interni per manifestarsi. Collegata a conoscenze ed esperienze. Possibile risposta: Competenza come insieme di capacità, conoscenze ed esperienze.) MODELLI DINAMICO – COSTRUTTIVISTI: ­ Modello di Le Boterf : interazione persona contesto, l’esperienza come genesi della competenza. Il focus è sui processi che sostengono l’azione professionale. (Competenza = performance? Questione della casualità. Competenza come comportamento realmente attuato nella performance o come insieme di modelli di comportamento per eseguire compiti e funzioni di una posizione lavorativa. ) La competenza è sempre valutata in relazione a specifiche mansioni. In questo modo, però, come si possono prevedere le prestazioni dei soggetti al cambiamento dell’azienda o del mercato? La questione della specificità può essere risolta con la definizione di RUOLO, il quale comprende due tipi di comportamento: 1. Richiesti: comportamenti messi in atto per rispondere ad una determinata situazione 2. Attesi: comportamenti che riguardano l’intera cultura organizzativa. COMPETENZE TRASVERSALI: capacità implicate in numerosi tipi di compiti lavorativi. Influenzano le proprie risorse. Si dividono in tre categorie: 1. Diagnosticare 2. Relazionarsi 3. Affrontare. (MODELLO ISFOL = si riferisce all’integrazione tra le risorse della persona, i repertori di abilità/competenze e il contesto organizzativo. Unisce competenze specifiche e trasversali.) I FATTORI COSTITUTIVI: motivazione, tratti, immagini di sé, ruoli sociali e abilità; fiducia in sé, self control, resistenza stress e fatica, visione personale, atteggiamenti e valori; capacità di selezionare e utilizzare risorse disponibili. MODELLO DELLE COMPETENZE ( Levati e Saraò): riassunto dei quattro punti precedenti. Caratteristiche appartenenti alla dimensione psicologica della persona costituite dall’insieme integrato di: ­ Capacità ­ Conoscenze ­ Esperienze finalizzate Si esprimono attraverso il comportamento che è attivato dalla motivazione e dal contesto. Le competenze sono stabili e ripetitive, possiedono elementi di sviluppo, e prevedono un certo grado di padronanza. ANALISI E VALUTAZIONE DELLE COMPETENZE: due tipi di finalità 1. Individuali: apprendimento dall’esperienza 2. Organizzative: dare un valore e verificare la prestazione. Due tipi di informazioni: 1. Risorse disponibili 2. Risorse potenziali POSSIBILI PROBLEMI METODOLOGICI: 1. Bias percettivi del valutatore 2. Reazioni dei valutati 3. Effetti legati al set di valutazione. MOTIVAZIONE E CONTRATTO PSICOLOGICO. MOTIVAZIONE: COMPLESSO PROCESSO DI FORZE CHE ATTIVANO, DIRIGONO E SOSTENGONO IL COMPORTAMENTO DELLA PERSONA. MOTIVAZIONE AL LAVORO: INSIEME DI VARIABILI IN GRADO DI DAR CONTO DEL DISPIEGAMENTO DELLE ENERGIE PSICOFISICHE NELL’ATTIVITA’ PROFESSIONALE, DELL’INTENSITA’ E DELLA PERSISTENZA DI TALE INVESTIMENTO. CLASSIFICAZIONE DI CAMPBELL, PRITCHARD: 1. Teoria del contenuto: (BISOGNI-MOTIVI-VALORI) 2. Teoria del processo: (attenzione posizionata sulla scelta cognitiva) 3. Teoria dell’autoregolazione: MODELLO DI MASLOW – vedi piramide dei bisogni; JOB CHARACTERISTIC MODEL (di Hackman e Oldham): deriva dal job design. Individua 5 fattori critici – Skill variety, task identity, task significante, autonomia, feed back. Determinano la motivazione e la soddisfazione lavorativa. Queste caratteristiche definiscono un valore della motivazione potenziale. Intervengono anche il bisogno di crescita personale e professionale. SCELTE COGNITIVE: 1. Teoria di Vroom: c’è relazione tra impegno e performance. Si propone di capire perché si sveglie un comportamento rispetto ad altri possibili, per massimizzare i risultati attesi. I risultati vengono valutati secondo la valenza, la strumentalità (osservazione oggettiva) e aspettativa (credenza soggettiva). Il prodotto di queste tre determina la forza della motivazione. Ha però trascurato l’influenza sociale, non spiega la motivazione, ma le scelte professionali. 2. Modello di Porter e Lawler: l’investimento del lavoratore è legato a diversi fattori di natura cognitiva attivati nell’interazione del contesto lavorativo. MODELLI DELL’AUTOREGOLAZIONE: GOAL SETTING THEORY (Locke) – molto importanti sono gli obiettivi. Gli attributi degli obiettivi sono: intensità e contenuto. Per influenzare la performance occorre: gli individui devono essere consapevoli dell’obiettivo e devono conoscere come fare per raggiungerlo, l’individuo deve accettare l’obiettivo come qualcosa per cui valga la pena di impegnarsi, l’individuo si deve sentire coinvolto dall’obiettivo (goal commitment) ed essere propenso a profondere tutto l’impegno possibile per il suo raggiungimento. TEORIA DELL’EQUITA’ DI ADAMS: relazione tra l’individuo e gli altri, anche nell’ambito lavorativo, in funzione degli impegni lavorativi. Nel momento in cui non si percepisce equità, si parla di disagi, tensioni e ingiustizia, per i quali si attuano strategie di azione per ridurre la situazione spiacevole. Di fonte ad ingiustizia: 1. Modificazione degli input es. aumentare o diminuire l’impegno lavorativo 2. Modificazione degli outcomes es. cercare di ottenere maggiori riconoscimenti 3. Abbandono della situazione es. chiedere il trasferimento PSICOLOGIA DELLE ORGANIZZAZIONI (Argentero-Cortese-Piccardo) CAPITOLO 1. Il termine ORGANIZZAZIONE definisce un campo disciplinare relativamente recente per la scienza psicologica e deve essere ricostruito in relazione ad altri termini che storicamente hanno caratterizzato il percorso della PSICOLOGIA DELL’ORGANIZZAZIONE. Katz e Kahn definiscono come luogo privilegiato di indagine dei fenomeni nel contesto strutturale e organizzativo. Il lavoro nelle nuove forme industriali, le attività di fornitura dei servizi nella scuola, negli ospedali le attività del terziario e quelle socio assistenziali. Tali contesti sono definiti nella loro attuale struttura con la rivoluzione industriale del XIX secolo, e solo nella seconda metà del novecento è stata loro rivolta un’attenzione selettiva per gli aspetti psicologici: quelli che riguardano le persone con le loro caratteristiche peculiari, le loro motivazioni, i loro vincoli, le condizioni particolari del loro essere protagoniste prime del processo produttivo. La psicologia dell’organizzazione intreccia una duplice prospettiva: 1. Indagine psicologica sull’attività di lavoro, individuale o di gruppo 2. Orientata alla comprensione del lavoro delle persone nelle nuove condizioni dell’industrializzazione moderna – psicologia industriale. LO SCENARIO CONTEMPORANEO: i mutamenti politici, economici e sociali degli ultimi venti anni a cavallo del nuovo millennio hanno trasformato le condizioni base con cui i cittadini delle nazioni occidentali, tecnologicamente avanzate, vivono e gestiscono le loro organizzazioni: siano esse quelle industriali e produttive, di servizi o le forme organizzative originali che interpretano i nuovi bisogni sociali, assistenziali e partecipativi del mondo no profit. Da queste nuovissime condizioni di scenario derivano effetti di grande rilevanza nel considerare i fenomeni organizzativi e la stessa psicologia delle organizzazioni. Uno dei primi aspetti è la necessità di integrazione di conoscenze di tipo economico-finanziario generale con quelle psicologiche dell’organizzazione: in un mondo in cui la stessa COSTRUZIONE DEL SENSO con cui noi consumiamo prodotti o cerchiamo servizi è sempre più globalizzata, la prospettiva micro organizzativa non può prescindere da alcune competenze di scenario allargato, indispensabili a comprendere le linee e i problemi complessivi dello sviluppo. Questo tipo di economisti indica una prospettiva di integrazione culturale che può portare a riconsiderare in modo più ampio e significativo alcuni dei fenomeni classici della vita organizzativa: quelli che riferiscono alla guida generale delle stesse o alla cosiddetta CORPORATE GOVERNANCE. In questa prospettiva sono da riconsiderare nella vita organizzativa alcuni aspetti che più hanno subito l’influenza del cambiamento internazionale e dell’incertezza che si è diffusa: tema della leadership nelle organizzazioni da riformulare più adeguatamente rispetto alle dimensioni del potere e del cambiamento, considerati in un’ottica più allargata di quella micro sociale. Il cambiamento di scenario è quello prodotto dall’incertezza nelle dinamiche evolutive generali e nelle condizioni di vita delle giovani generazioni. Tre aspetti oggi minacciano la sopravvivenza stessa delle organizzazioni che non sono in grado di adattarvisi efficacemente: 1. Instabilità della domanda di beni e servizi 2. Generalizzazione globale dei mercati commerciali e comunicativi e al contempo la loro segmentazione 3. Necessità di una continua competitività di offerta di servizi, a fronte di aspettative sempre più elevate da parte delle popolazioni occidentali. Il contributo più rilevante è di Weick e suo approccio all’organizzazione tramite il SENSE MAKING e le MINIME STRUTTURE DI SENSO della conversazione, attraverso cui egli propone di interpretare tutto il grande campo di eventi istituzionali che si definiscono IMPLICITI, LATENTI, PRECOSCIENTI, TACITI. Appartengono ovviamente alla mente dei singoli protagonisti ell’organizzazione ma costituiscono anche un patrimonio accumulabile come memoria storica degli attori sociali. In questo senso di determina la possibilità di ricostruire quelli che lui chiama VOCABOLARI DELL’ORGANIZZAZIONE che descrivono fatti istituzionali che altrimenti rimarrebbero latenti. Lo sviluppo sostenibile è infatti per eccellenza una dimensione processuale che più di ogni altra si presenta nella doppia veste di minaccia – opportunità per le organizzazioni. CAPITOLO 2. L’organizzazione denota uno stato di fatto generato dalla disposizione delle parti (le lezioni) nell’insieme che le comprende (l’orario), oppure fa riferimento a una sequenza di azioni, di attività eseguite da una o più persone che producono un certo risultato. Quando si tratta di organizzazioni i due precedenti significati tendono a intrecciarsi o contrapporsi. Se l’attenzione cade sulla circostanza materiale di una molteplicità, più o meno numerosa, di persone che, impiegando strumenti e risorse agiscono insieme per perseguire uno o più scopi o risultati, si usa l’espressione “corso di decisioni e di azioni”. Si parla anche di “corso di azioni” (E’ LA STESSA COSA.) La vita di un’azienda è un divenire continuo che attraversa situazioni sempre diverse e uniche. Nel trascorrere dl tempo qualcosa appare stabile, secondo una qualche periodicità. La differenza tra COSTO DI DECISIONI E DI AZIONI e processo non riguarda gli eventi materiali, bensì livelli di analisi dello stesso flusso di eventi. La lettera del processo assume che all’interno degli eventi: 1. Si dia una qualche REGOLARITA’; 2. Si manifesti INTENZIONALITA’ da parte dei singoli giocatori. Una ulteriore preliminare precisione riguarda la nozione di ATTORE. Coloro che fanno, pensano, scelgono, se si preferisce, mettono in scena il corso di decisioni e di azioni e sono persone in carne ed ossa. Gli attori non sono mai soli, ma sempre in relazione con qualcuno o qualcosa. È allora possibile che si generino entità più complesse come gruppi, squadre, reparti, dipartimenti. Vale per gli attori un ASSUNTO DI RAZIONALITA’ almeno in accezione PROCEDURALE. La razionalità non assicura intelligenza. Gli attori sono razionali nelle intenzioni e nei modi in cui giustificano le loro scelte ma il loro proseguimento della razionalità non assicura né un’azione coerente né un’azione intelligente. Le “ragioni coerenti”, possono intervenire preventivamente come successivamente all’azione. IL PROBLEMA: uno dei caratteri della modernità il gran numero di organizzazioni, che in essa si sono insediate, cresciute e moltiplicate, specie lungo gli ultimi due secoli. Sia le imprese di tipo strumentale come quelle industriali, sia amministrazioni come le grandi burocrazie statali. ­ Primo quesito: operazioni mentali che paiono sottese alla capacità di agire in maniera organizzata. Dove il termine “organizzata” viene interpretato all’interno della tensione tra corso di azioni e processo, mentre “cognitivo” figura in accezione allargata e comprende l’insieme delle espressioni umane che mediano la nostra conoscenza del mondo. Emozioni e affetti inclusi. Ovviamente un’organizzazione un’entità materiale che include in sé collettività di persone, denaro, edifici etc, etc… ­ Secondo quesito: concentrazione sull’idea di processo. Ci si chiede se e come il processo sia in grado di vincolare la condotta degli attori. Per un verso le vicende del processo sono messe in scena degli attori. RAZIONALITA’ LIMITATA E STRUTTURA: il processo può essere considerato come un corso di azioni ordinato. Uno dei modi tipici di esprimere tale ordinamento sta nel ricorrere alla nozione di struttura, già prima introdotta parlando di processi ricorrenti e relativamente stabili. Il “modello di comportamento” organizzativo è sempre attraversato da continuità e da cambiamento, da permanenza e innovazione. La PERMANENZA è attribuita al modello di comportamento, non ai comportamenti materiali o ai loro artefatti. Inoltre essa è relativa alla durata, all’intervallo preso in esame. Anche la STRUTTURA va dunque declinata nel tempo e può configurarsi in maniera diversa secondo l’estensione dell’orizzonte temporale preso in esame. L’ordinamento del corso di azioni manifesta le sue prime condizioni cognitive nella condivisione dei limiti della razionalità. Le componenti del “modello” che generano permanenza possono venire ulteriormente analizzate. Dal punto di vista dei limiti ella razionalità vi sono tre momenti che vanno richiamati: 1. Routine: racchiudono problemi già risolti; 2. Gerarchia: serve il controllo; 3. Scomposizione dei compiti: deriva dal fatto che le competenze umane sono intrinsecamente circoscritte. La struttura è cronicamente opaca, poiché la tensione tra corso d’azione e processo è contingente al grado di consapevolezza degli attori e allo sviluppo dei limiti della razionalità. Gli assunti di regolarità e permanenza che caratterizzano il processo permettono all’attore di orientarsi lungo il corso di azioni, mentre generano obblighi futuri per gli attori stessi. È opportuno tenere presente che: 1. I singoli attori non hanno normalmente coscienza di tutti gli assunti di regolarità e permanenza di una organizzazione; 2. Non tutto ciò che accade è conforme a tali assunti; 3. Il modo di formulare gli stessi riflette il punto di vista ufficiale adottato sul processo dalla particolare organizzazione. In ognuno di questi casi le scelte di orientamento saranno certamente improntate da criteri diversi. Ma in ognuno di questi casi potrà accadere che il modello sia interpretato in maniera diversa dai diversi attori oppure che si dimostri più o meno adatto alle circostanze con cui vuole confrontarsi. Nello studio delle organizzazioni si è soliti distinguere diversi modelli formali evolutisi nel tempo. 1. Modello funzionale: descrive un’unica grande azienda articolata per competenze o direzioni, appunto le funzioni; 2. Modello divisionale: evoluzione del precedente. CONTESTI E TEMPO: la nozione di struttura è un tipico esempio della funzione di ordinamento del processo. Il ragionamento svolto contempla in breve: attori a razionalità limitata che, elaborando il proprio modello di comportamento organizzativo, fissano nel corso d’azione alcuni aspetti relativamente stabili da cui appunto la struttura. Sul piano cognitivo ci si può chiedere a cosa ancori la permanenza un attore immerso nel fluire incessante del corso d’azioni. March e Simon parlano del “metodo una cosa alla volta”. Ciò tocca il problem solving, il modo di pensare. Ma dà per scontata una preliminare operazione mentale mediante la quale alcuni elementi della situazione sono tenuti fermi, presi come dati, per potersi concentrare sul divenire degli altri. Affermare che noi abbiamo diretta esperienza del fluire degli eventi è solo parzialmente corretto. Si dà infatti una preliminare operazione cognitiva che segmenta, rompe l’esperienza secondo intervalli, li classifica come di questo o quel tipo e solitamente li riconosce simili ad altri vissuti in passato. Si chiama “contesto” la fisionomia comune, la somiglianza che identifica certi intervalli o episodi nel tempo. La segmentazione del vissuto in contesti è un tratto universale dell’esperienza umana del tempo, come testimonia anche la nozione di presente psichico. Essa rientra poi perfettamente in un’ipotesi di razionalità limitata e costituisce un primo livello di ordinamento del processo a cui agganciare le strutture, intese come ordinamento di contesti o contesti di contesti. L’idea di contest di Bateson: concerne le organizzazioni come flussi di esperienza e l’importanza delle operazioni di scansione e segmentazione per la vita organizzativa si veda anche Weich. In primo luogo “contesto” nella accezione qui considerata designa una classe di situazioni. Una teoria che ammetta che il comportamento possa cambiare ha bisogno della nozione di contesto: infatti per affermare che il comportamento di qualcuno cambi dal tempo t0 al tempo t1 bisogna che le due situazioni siano simili, che t1 figuri come una ripetizione di t0. In secondo luogo le circostanze a cui il contesto si riferisce hanno carattere materiale: sono costituite da individui che operano in ambienti fisici utilizzando strumenti, apparecchiature, impianti e simili. In terzo luogo, la nozione non è una semplice categoria descrittiva, ma implica l’ipotesi che per gli organismi che studiamo la sequenza delle esperienze di vita, delle azione sia in qualche modo segmentata in contesti che dall’organismo possono essere giudicati uguali o differenti. Essendo il contesto generato dalla interpretazione di quanto accade, una stessa sequenza può essere segmentata in modi diversi da coloro che vi prendono parte. Nella interazione umana è però normale che le persone tendano a favorire costruiti all’interno dei quali sistemi strutturati di simboli condizionano comportamenti, pensieri, emozioni azioni dei soggetti, e anche la vita organizzativa. LE ORGANIZZAZIONI SONO CULTURE - LA METAFORA CULTURALE: l’associazione tra gruppi di persone fa sì che questi ultimi vengano assimilati alle culture: I GRUPPI SONO CULTURE. Ciò consente di metterne a fuoco la metafora; Selznick concettualizza la duplice dimensione che appartiene a qualsiasi sistema: organizzativa e istituzionale. Sono dimensioni analizzabili in modi separati ma che si presentano fra loro intrecciati. ORGANIZZAZIONE: strumento concepito per raggiungere degli obiettivi. ISTITUZIONE: indica che l’organizzazione è anche una realtà naturale e adattiva, prodotto delle esigenze e dei bisogni dell’individuo nonché delle pressioni sociali. L’ipotesi è che un’organizzazione assume un carattere e un’identità propria attraverso il consolidamento di esperienze. Si parla di diverse caratteristiche: 1. Prodotto storico, ossia frutto di modalità di risposta agli agenti esterni che l’organizzazione ha incontrato nella sua evoluzione; 2. È tutto integrato; 3. È funzionale al soddisfacimento dei bisogni organizzativi; 4. È dinamico, poiché può generare nuovi conflitti. Smircich afferma che ci sono tre modi per intendere la cultura: 1. Variabile indipendente esterna all’organizzazione. Norme e valori sono costruiti dal contesto istituzionale; 2. Variabile dipendente interna all’organizzazione. L’interesse è rivolto agli aspetti gestionali; 3. Metafora di base – root metaphor – di ciò che è un’organizzazione. Essendo cultura, interagisce con i suoi membri. La cultura organizzativa è un insieme di significati che racchiudono assunti scoperti da un gruppo affrontando così le situazioni problematiche. Una cultura ha la funzione di generare modelli: 1. Cognitivi, che permettono la categorizzazione e l’interpretazione di ciò che accade in un’organizzazione; 2. Emotivi e affettivi. Autori: a. PERROW: parla di “terzo tipo di controllo” b. MARTIN: tre paradigmi: 1) integrazione = descrive la cultura come un insieme di valori che generano armonia; 2) differenziazione = percorsa da mancanza di consenso ed è abilitata da sottoculture; 3) frammentazione = tende a mettere in dubbio la stessa esistenza della cultura. c. PETTIGREW: ha sostenuto l’idea di cultura organizzativa in quanto concetto unitario; d. TRICE & BEYER: parlano di varie categorie: 1) LOGOS: insieme di credenze che indicano le interpretazioni adottate dai soggetti nei confronti di quanto accade; 2) ETHOS: valori che corrispondono ai giudizi di preferibilità che assumono una valenza deontologica; 3) PATHOS: al modo particolare di percepire e sentire la conoscenza; 4) AISTHESIS: specificazione della dimensione precedente, si riferisce alle percezioni di ciò che è bello e ciò che è brutto; 5) GENUS: campo simbolico organizzativo è sessuato, ovvero leggibile in termini di genere; 6) POLIS: concezione di potere che si è consolidata nel tempo; 7) METHODOS: sapere che cosa e come fare; 8) LINGUAGGIO: insieme di segni vocali che caratterizzano e stabilizzano l’esperienza umana; 9) MITI: narrazioni in forma drammatizzata di vicende passate più o meno reali; 10) STORIE E SAGHE: collezioni di aneddoti; 11) RITI E CERIMONIE: narrazioni per i miti, e azioni per le cerimonie; 12) ARTEFATTI: valori radicati tra i membri di un’organizzazione. CAPITOLO 9. Kurt Lewin parla di clima organizzativo: si definisce come qualcosa di intangibile, una proprietà della situazione sociale complessiva. L’atmosfera psicologica è quindi quel sistema di percezioni e di attribuzioni di significato che i protagonisti di un campo psicologico giudicano pertinente in uno spazio e in un tempo dato. Ci sono diversi approcci: 1. APPROCCIO STRUTTURALE: il clima è una caratteristica dell’organizzazione. Manifestazione oggettiva della struttura organizzativa. Forehand e Von Haller Gilmer B. definiscono il clima organizzativo in quello che viene considerato da molti come contributo di fondazione della ricerca sul clima, come un set di caratteristiche che descrivono un’organizzazione e che: 1) la distinguono da altre organizzazioni, 2) sono durature nel tempo, 3) influenzano il comportamento degli individui nell’organizzazione. Campbell Dunette Lawler e Weick credono nell’approccio in cui si parla di misure organizzative percettive. Il clima è considerato una serie di attributi specifici di una particolare organizzazione, che possono prendere forma grazie al modo con cui l’organizzazione tratta i propri membri e il proprio ambiente. 2. APPROCCIO PERCETTIVO: James & Jones. L’origine del clima è all’interno dell’individuo. Si basa sulla differenza tra CLIMA ORGANIZZATIVO (insieme di attributi organizzativi e dei loro effetti principali) e CLIMA PSICOLOGICO (attributi individuali chiamati processi psicologici intervenienti). Payne & Pheysey elaborano una teoria basata sul processo causale/circolare. Sia il contesto organizzativo, sia il clima possono influenzare la loro rispettiva struttura, ma il contesto e la struttura di un sistema sociale sono più stabili delle persone che li compongono. Schneider attribuisce al clima una valenza percettivo-soggettiva e una connotazione di moralità. Joyce &Sculum: ripropongono il dualismo di James & Jones. Il clima psicologico fa riferimento alle descrizioni individuali, quello organizzativo alla descrizione collettiva. Il limite di questi approcci sta nella loro parzialità presente già nelle premesse, in quanto collocano le origini del clima all’interno dell’individuo senza considerare le percezioni che si creano durante le interazioni tra i membri all’interno di un’organizzazione. 3. APPROCCIO INTERATTIVO: è la sintesi dei due approcci precedenti. L’assunto di base è che gli individui interagiscono gli uni con gli altri dando origine a percezioni condivise che diventano l’origine del clima. Ci sono due scuole di pensiero: 1) Fenomelogica di Husserl (intersoggettività come processo fondamentale grazie al quale si costruisce un collegamento fra le prospettive, i valori e le credenze), 2) Interazionista di Mead (la realtà è vista come una costruzione sociale in cui gli esseri umani sono attori che utilizzano dei simboli, attraverso i quali comunicano, acquisiscono una propria identità e partecipano a una realtà costruita socialmente. 4. APPROCCIO CULTURALE: si focalizza sul modo attraverso il quale i gruppi interpretano attraverso la cultura organizzativa. Schneider descrive alcuni aspetti principali: 1) il clima e la cultura si occupano del modo con cui i membri dell’organizzazione danno un senso al loro ambiente, generando così un sistema di significati condivisi, 2) il clima e la cultura sono appresi attraverso un processo di socializzazione e di interazione simbolica tra i membri del gruppo. Il clima organizzativo si concretizza nella descrizione delle pratiche e delle procedure organizzative. Gli individui formano le loro percezioni degli eventi alla luce delle interazioni che hanno con altri nell’ambiente organizzativo, quindi un fenomeno che origina dallo scambio e dall’interazione tra i membri. La sua analisi (del clima organizzativo) rientra nell’ambito delle ACTION STRATEGIES che presentano le seguenti caratteristiche: 1. Ogni intervento deve risultare utile al cliente 2. Sono partecipatorie e condivise. L’ACTION RESEARCH è un processo di ricerca all’interno del quale si ha equivalenza tra soggetto e oggetto di indagine e l’obiettivo di pervenire a un cambiamento attraverso il processo medesimo. LE FASI DELL’ANALISI DEL CLIMA: è composta da aspetti positivi e negativi. Gli aspetti positivi sono: a. Fornisce informazioni sulla realtà organizzativa b. Aiuta a razionalizzare c. Attiva aspettative e stimola energie d. Prepara ad affrontare al meglio i cambiamenti e. Può costruire un elemento di soddisfazione con conseguente aumento di attivazione complessiva da parte dei dipendenti Gli aspetti negativi sono: a. Contribuire a scatenare tensioni latenti b. Creare resistenze da parte di chi non ha voluto la ricerca o non è stato coinvolto c. Creare frustrazione e sfiducia verso l’organizzazione se poi le aspettative di miglioramento verranno disattese Nella maggior parte dei casi le analisi vengono effettuate in alcuni momenti topici del processo di sviluppo organizzativo: a. Nelle fasi di stabilità e in assenza di preoccupazioni contingenti; b. Quando l’azienda attraversa un periodo di crisi e di particolare tensione/difficoltà Ci sono diversi step operativi che costituiscono la procedura organizzativa: 1. Individuazione del gruppo di lavoro 2. Definizione degli obiettivi generali 3. Analisi preliminare del contesto organizzativo 4. La definizione degli obiettivi specifici 5. Scelta della popolazione 6. Messa a punto della metodologia e scelta degli strumenti di rilevazione 7. Verifica della funzionalità della procedura e delle tecniche 8. Raccolta estensiva dei dati 9. Elaborazioni statistiche 10. Prima lettura dei risultati e stesura del report provvisorio 11. Incontro con i responsabili/committenti 12. Ritorno delle informazioni ai partecipanti 13. Stesura del report finale. CAPITOLO 10. Si pone l’attenzione sulla differenza tra leadership e management. Le differenze sono riconducibili ad alcuni principali elementi: 1. La leadership è una relazione d’influenza tesa a realizzare significativi cambiamenti 2. Il management è una relazione di autorità finalizzata a produrre e vendere beni e/o servizi come esito di un’attività coordinata. I primi studi portano all’elenco di alcune caratteristiche: socialità, iniziativa, persistenza, autostima, prontezza, adattabilità. Stodgill ipotizza che la compatibilità tra la personalità del leader e quella dei follone possa giocare un ruolo decisivo. Lewin parla di: a. Leader autocratico: tende a centralizzare l’autorità, che prende potere dalla posizione, lo gestisce attraverso il controllo, le forme di coercizione. b. Leader democratico: delega l’autorità agli altri c. Leader laissez faire: fa riferimento alla tendenza del leader a essere passivo nella relazione con il gruppo. Likert individua due principali stili di leadership: a. Centrato sul lavoro job centered: rilevato da scale che misurano l’enfasi sugli obiettivi e la facilitazione del lavoro b. Centrato sulla persona employee centered: rilevato da scale che misurano il supporto ai collaboratori e la facilitazione dell’interazione. Inoltre individua quattro modelli culturali a. Autoritario minaccioso b. Autoritario benevolente c. Consultativo Il processo decisionale è composto da: ­ Decisione per mancanza di risposta ­ Decisione per autorità ­ Decisione della maggioranza ­ Decisione per consenso ­ Decisione all’unanimità. CAPITOLO 13. Modelli di cambiamento, dove il cambiamento è inteso come passaggio di transizione. 1. Modello di Lewin: attenzione sul mantenere una sorta di equilibrio o omeostasi anche in presenza di spinte al cambiamento. 2. Modello di Lussier: prevede cinque fasi – 1) definire il cambiamento, 2) identificare le resistenze al cambiamento, 3) pianificare il cambiamento, 4) promuovere il cambiamento, 5) controllare il cambiamento. 3. Modello sistemico: prevede – 1) input ovvero missione e visione dell’organizzazione, 2) oggetti del cambiamento, 3) aspetti organizzativi, 4) fattori sociali, 5) metodi, obiettivi del cambiamento, 6) attori organizzativi, 7) output. Le resistenze comprendono quelle: 1. Individuali – comprende l’incertezza per il nuovo, e tendono a resistere al cambiamento quando percepiscono una minaccia alla propria sicurezza; 2. Gruppo – sono legate al potere e alle dinamiche di conflitto. RICERCA AZIONE: a. Modo di intervenire all’interno del contesto organizzativo con un intento trasformativo b. Modo di conoscere nella relazione e attraverso la relazione c. È una filosofia d. È un processo di cambiamento e. È una metodologia di ricerca ma non esclusivamente qualitativa. CINZIA OTTONELLO
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