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La Cina dal 1949 ai giorni nostri, Sintesi del corso di Storia dell'Asia

Appunti personali del corso di storia. Libro d'esame: La Cina dal 1949 ai giorni nostri" di Marie-Claire Bergére.

Tipologia: Sintesi del corso

2012/2013

In vendita dal 22/05/2013

joelle20009
joelle20009 🇮🇹

4.3

(42)

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Scarica La Cina dal 1949 ai giorni nostri e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'Asia solo su Docsity! LA CINA DAL 1949 AI GIORNI NOSTRI Di Marie-Claire Bergére INTRODUZIONE PARTE PRIMA: L'ISTITUZIONALIZZIONE NELLA RIVOLUZIONE 1949-66 • I. Il ripiegamento sulle basi continentali e l'organizzazione degli apparati 1949-54 • II Mobilitazione delle masse e trasformazione della società • III La costruzione economica: il primo Piano Quinquennale • IV I primi dubbi • V La via cinese: il Grande Balzo in avanti e la rottuta cino-sovietiva • VI Il partito contro Mao PARTE SECONDA: LA FUGA NELL'UTOPIA (1966-1976) • VII LA rivoluzione culturale 1964-69 • VIII La fine dell'era maoista 1969-76 PARTE TERZA: VITTORIA E CRISI NEL PRAGMATISMO 1976-89 • IX L'era di Deng Xiaoping: demaoizzazione e modernizzazione • X Le Quattro Modernizzazioni e il socialismo alla cinese • XI Fine di regno o fine di regime? L'evoluzione della politica interna dal 1986 all' 89 PARTE QUARTA: DALL'ISOLAMENTO ALL'APERTURA 1960-99 • XII La politica estera della Cina a partire dal 1960 • XIII Il decennio glorioso CONCLUSIONE PARTE PRIMA: L'ISTITUZIONALIZZAZIONE DELLA RIVOLUZIONE1949-66 La vittoria dei comunisti cinesi comporta un'integrazione rapida della nuova Cina nell'orbita sovietica. Il movimento comunista nazionale si è sviluppato in modo quasi autonomo nel corso dei parecchi decenni e ha trionfato senza l'aiuto del grande fratello sovietico. 1. La ripresa del controllo delle marce continentali Nella storia cinese ogni restaurazione del potere centrale è accompagnata dal rafforzamento del controllo esercitato da Pechino sulle regioni periferiche popolate da minoranze etniche e religiose. Dopo la caduta dell'impero, nel 1911 e l'avvento di una repubblica, lacerato in primo luogo dalle rivalità dei signori della guerra e paralizzata in seguito dall'invasione straniera e dalla guerra civile. Una delle prime occupazioni del nuovo governo di Pechino è dunque quello di riaffermare la presenza cinese nel cuore continentale e di riportare le periferie sotto la sua autorità. La riconquista del territorio nazionale termina nel 1949 con l'occupazione di Canton e quella delle province del sud ovest e più tardi della sottomissione dell'isola di Hainan. Grazie agli accordi con l'India nel 1951 la Cina ottiene che sia riconosciuta l'appartenenza del Tibet in cambio si impegna a rispettare l'autonomia regionale e a non imporre riforme con la forza. Nelle Sinkiang la Cina si scontra con l'influenza sovietica, riesce ad imporre la propria sovranità senza tuttavia liberarsi dall'influenza sovietica. Nel 1950 la Cina è costretta a riconoscere l'indipendenza nella Repubblica popolare di Mongolia, recupera la quasi totalità dei suoi diritti in Manciuria. La ripresa delle marce continentali non ha escluso il ricorso alla forza militare, soprattutto nel Tibet. Tuttavia, generalmente, è stata facilitata dall'atteggiamento relativamente conciliante adottato dall'Unione Sovietica, testimoniando collaborazione e solidarietà. 2. Integrazione della Cina nel blocco socialista e rottura con l'Occidente • L'alleanza con l'Urss nel 1950. Fu firmato nel 1950 il trattato cino sovietico di alleanza e reciproca assistenza che getta le basi per una cooperazione destinata a durare una decina d'anni a integrare la Cina nel blocco socialista. Questo trattato è stato voluto da Mao Zedong che si reca in persona Mosca per negoziarlo, compiendo il suo primo viaggio all'estero. Per concludere il trattato è stato necessario superare le radicate divergenze, le esitazioni e le diffidenze di Stalin nei confronti dei comunisti cinesi. Il trattato stabilisce un'alleanza difensiva, rinnovabile dopo trent'anni, diretta contro il Giappone e, implicitamente, contro gli Stati Uniti. Il trattato regola inoltre certi problemi bilaterali: l'Unione Sovietica si impegna a restituire i diritti che aveva riacquistato dopo la disfatta nipponica nel 1945 sulla ferrovia della non Manciuria, sulla base militare di Port-Arthur supporto commerciale di Dalian. La Cina, dal canto suo, riconosce l'indipendenza della Repubblica popolare della Mongolia. L'Unione Sovietica si impegna a fornire alla Cina un credito di 300 milioni di dollari americani, ad un tasso bassissimo dell'1% destinato all'acquisto di attrezzature e rimborsabile in materie prime, oro. Altre corde complementari, prevedono inoltre la creazione di compagnie miste cino-sovietiche dello sfruttamento comune del petrolio e dei minerali non ferrosi di Sinkiang. Ma la cooperazione cino-sovietica rimane relativamente limitata. L'Urss coglie l'occasione della guerra di Corea per spingere la Cina a integrarsi più strettamente nel dispositivo militare, diplomatico ed economico del blocco socialista. • Le istituzioni provvisorie, 1949-54. Nel 1949 il nuovo regime si dota di un'organizzazione politica e amministrativa che durerà fino a quando la Costituzione del 1954 fisserà le istituzioni permanenti. Quest'organizzazione provvisoria costituisce l'applicazione dei principi definiti da Mao Zadong nella Dittatura democratica del popolo del 1949. Mao Zadong chiama i patrioti di buona volontà a cooperare con il regime, promettendo tutte le libertà individuali. Nel 1949 un Comitato preparatorio si riunisce a Pechino per procedere alla convocazione di una Conferenza politica consultiva del popolo cinese, per l'adozione di quella che sarà la costituzione nel 1954. I 588 deputati di questa conferenza, non sono stati eletti ma disegnati per rappresentare le diverse regioni geografiche, 75 seggi sono stati riservati a personalità dette democratiche per dare prestigio e credibilità all'assemblea. • La Costituzione del 1954. La costituzione del 1954 crea un'Assemblea nazionale popolare eletta per quattro anni. Quest'assemblea designa il presidente della Repubblica ( milioni 154 Mao Zadong). Il Consiglio militare rivoluzionario è sostituito da un Consiglio per la difesa nazionale, collegato alla presidenza della Repubblica, mentre la Procura e la Corte popolare suprema dipendono direttamente dall'assemblea. È una costruzione molto classico: da una parte il mantenimento della Conferenza politico consultivo del popolo cinese e dall'altra la Conferenza suprema dello Stato direttamente collegata alla presidenza della Repubblica. • Il governo delle minoranze nazionali Le zone appartenenti alle minoranze nazionali sfuggono all'organizzazione amministrativa regolare. Pure raccogliendo solo il 6% della popolazione, coprono quasi la metà del territorio nazionale e assumono un ruolo strategico particolare per la loro condizione di regione di frontiera. Anche nei rapporti con le loro minoranze nazionali, i cinesi si ispirano modello sovietico, apportandovi tuttavia alcune importanti modifiche. È escluso che si possa accordare alle minoranze etniche un diritto di successione analogo a quello della costituzione sovietica, anche se tuttavia viene garantita l'eguaglianza delle diverse nazionalità così come il loro diritto di tutelare lingue, costumi, culture. Il principio dell'autonomia regionale deve permettere ai popoli minoritari di esercitare le libertà a loro riconosciute. 6.PROFESSIONALIZZAZIONE DELL'ESERCITO Quando si impegna nella guerra della Corea, nel 1950, l'Apl è pur sempre un esercito di guerriglia e di guerra civile: molto nobile, dotato di un'organizzazione flessibile, che dà prova di grande moralità. Recluta sulla base del volontariato, i suoi ufficiali sono per lo più combattenti venuti dalla gavetta; accanto compiti militari svolge anche attività economiche. L'esercito si assume infine importante responsabilità politiche di mobilitazione, di inquadramento e di propaganda. Durante la guerra di Corea i capi militari cinesi, messi a confronto con eserciti moderni, si rendono conto di quanto sia necessario trasformare l'Apl, dotarlo di specialità come l'artiglieria e l'aviazione, unificare e centralizzare il suo comando. La modernizzazione dell'Apl è intrapresa con l'aiuto dell'Unione Sovietica che offre alla Cina il modello di un esercito professionale, tecnico e gerarchizzato. La legge de 1955 impone una coscrizione selettiva, l'obiettivo è quello di migliorarne la qualità. Viene fissata la durata di tre anni per l'esercito di terra, in quattro per l'aviazione e in cinque per la marina. Vengono istituite nuove accademie militari. L'Apl tende a emanciparsi dai controlli politici, Mao Zadong comanda le forze armate. Un certo numero di capi militari puniscono la propria voce per difendere gli interessi di un esercito moderno e potente. In occasione della fondazione del regime comunista, in Cina il ruolo della legge e il problema della legalità non sono stati oggetti di un grande dibattito teorico, come quello che si è instaurato in Russia dopo la vittoria bolscevica. L'adozione di una costituzione non mira a garantire all'esercito diritti e libertà democratiche. L'organizzazione di un apparato giudiziario, per esempio, non intralcia in nessun modo l'azione della polizia segreta agli ordini del ministro della sicurezza pubblica. La politica applicata al nuovo regime definisce uno Stato nazionalista, autoritario e insieme fautore della modernizzazione. CAPITOLO SECONDO MOBILITAZIONE DELLE MASSE E TRASFORMAZIONE DELLA SOCIETA' Per gravi che siano state le ingiustizie e le tensioni sociali nella Cina del Guomindang, sembra che non abbiano svolto un ruolo determinante nello scatenamento del processo rivoluzionario: le masse popolari erano più sensibili alle variazioni dello status quo che alla necessità di un cambiamento globale della società. La predominanza del partito sugli apparati e il monopolio che mantiene come interprete e difensore dell'ideologia permettono al Partito comunista cinese di mantenere vivo ideale di una società egualitaria. I movimenti di massa svolgono un ruolo essenziale nella vita politica cinese fin dal 1949. Tuttavia il socialismo reale, quello dei paesi in cui il partito comunista al potere si definisce il rappresentante del proletariato, non lascia molto spazio all'intervento diretto delle masse. Ci si può dunque domandare se la moltiplicazione di queste grandi ondate di mobilitazione conferisca al socialismo cinese il carattere democratico, o almeno populista, che lo differenzia avrebbe dal socialismo dell'apparato dell'Urss o dai paesi dell'Europa orientale, e se conferisca a una “società resa rivoluzionaria” dall'alto il carattere di una società rivoluzionaria. • 1. Linea di massa e grandi movimenti “Yundong” Le organizzazioni di massa: sindacati operaie, associazioni di donne, lega della gioventù, costituiscono forme permanenti e istituzionali di mobilitazione di massa. Le organizzazioni cinesi non presentano particolari originalità, ma garantiscono un inquadramento particolarmente stretto della popolazione. I grandi movimenti di massa (yundong) sfuggono al quadro teorico e istituzionale, si basano sul principio della linea di massa formulato per la prima volta da Mao Zadong in una direttiva intitolata “A proposito dei metodi di direzione”. I movimenti di massa che obbediscono a meccanismi costanti possono avere gli obiettivi diversi: mirare all'educazione del pubblico, mobilitare le energie al servizio della costruzione dell'economia, eliminare o tenere sotto controllo le classi sociali ritenute pericolose per il regime. • 2.Riforma agraria 1950 e distruzione della classe dei proprietari terrieri Mao Zadong nel 1933 redige un testo: “Come determinare l'appartenenza di classe alla campagna, che tratta sul rapporto che esiste tra lavoratore e la terra che sfrutta. Mao distingue così quattro classi: – i proprietari terrieri (dizhu), generalmente assenteisti, vivono di rendita – i contadini ricchi, i quali sfruttano direttamente una parte delle loro proprietà e affittano il resto – i contadini di i quali posseggono terra sufficiente per le proprie necessità – i contadini poveri e i braccianti costretti a vendere la propria forza per poter sopravvivere. La legge agraria del 1950 prevede provvedimenti abbastanza moderati: le terre e il materiale del lavoro che appartengono ai proprietari terrieri vengono confiscati. Ma i contadini ricchi conservano i loro beni. Le terre confiscate devono essere distribuite ai 300 milioni contadini poveri e ai braccianti, attraverso la mediazione delle associazioni contadine locali. Ma gli obiettivi della riforma non sono soltanto economici ma anche politici e sociali fisicamente la classe dei proprietari terrieri e a suggellare un'irreversibile alleanza tra contadini e il nuovo potere rivoluzionario. Abituati alla sofferenza e alla sottomissione, i contadini temono ancora proprietari terrieri pur decaduti. Poi superate le loro paure, danno libero corso ai rancori e agli odi accumulati. Nel presentare la legge del 1950 Liu Shaoqi ha raccomandato una riforma condotta nell'ordine e nella calma. Ma l'impegno cinese nella guerra di Corea trasforma la situazione, in un irrigidimento brutale nella campagna di riforma agraria. I quadri incaricati di espropriare, sono per lo più originari di queste famiglie agiate, con le quali hanno mantenuto numerosi legami. Essi sono pronti ad attuare la politica di confisca ma si rifiutano di ricorrere alla violenza fisica contro la gente. A differenza di ciò che successe in Russia con la rivoluzione del 1917, in Cina non ci sono i contadini che spontaneamente si sollevano per impadronirsi dei beni dei grandi proprietari: è il Partito a prendere l'iniziativa delle confische e delle distribuzioni. È al Partito che spetta il merito della collettivizzazione, con opposizioni in quanto la riforma ha fisicamente distrutto le classi dei proprietari terrieri. Il numero delle vittime non è conosciuto, ma indubbiamente molto elevato, alcuni parlano addirittura di decine di milioni. 3.La legge sul matrimonio nel 1950 e la liberazione delle donne La legge sul matrimonio è strettamente complementare alla riforma agraria. In una prospettiva rivoluzionaria, essa mira a emancipare milioni di donne oppresse dal sistema familiare confuciano. La famiglia cinese è di tipo patriarcale, si fonda su una gerarchia di obblighi e di diritti ineguali. In Cina, tuttavia, il sistema patriarcale è stato particolarmente elaborato, esplicito e sostenuto dalle confucianesimo. La famiglia è al centro del pensiero confuciano. Attraverso il culto degli antenati si esprime la continuità della stirpe familiare, assicurata dalla discendenza maschile. La terra è il fondamento economico per eccellenza della famiglia: solo i figli la ereditano. Il matrimonio mira alla perpetuazione del sistema. La sposa, che ovviamente non è consultata sulle scelte del marito, deve abbandonare la propria famiglia. E sono dolori se non mette al mondo i figli. Le famiglie povere, sacrificano più facilmente, alla nascita le bambine dei maschi. Se sono sfuggite all'infanticidio, le bambine corrono sempre il rischio, in caso di difficoltà economiche, di essere vendute come serve, concubine o prostitute. industrializzata, ma anche il cambiamento radicale delle strutture di produzione. I dirigenti cinesi si ispirano strettamente all'esempio dei sovietici, e contemporaneamente si avvalgono del loro aiuto finanziario e della loro cooperazione tecnica. 1. La ricostruzione e il lancio del primo piano quinquennale. Fin dall'inverno del 1949-50 il nuovo regime dà prova delle proprie capacità di organizzazione, approvvigionando città e truppe, lottando contro l'inflazione. Nelle campagne il riassetto della produzione continua a ritmo rapido. La fine delle guerre civili e il ritorno all'ordine, permettono il ripristino dei trasporti, la rete ferroviaria è stata addirittura leggermente allungata. La considerevole ripresa dell'economia cinese, dipende non tanto da virtù delle particolari misure economiche adottate, quanto dal semplice ritorno della pace interna e dell'ordine pubblico. I dirigenti di Pechino si rivolgeranno a una pianificazione di sovietico, in grado di rispondere alla duplice esigenza della modernizzazione e della rivoluzione. Il primo piano quinquennale comincia ufficialmente nel mirino 1953, ma sul suo contenuto sono pubblicate pochissime informazioni fino al 55. A differenza del modello sovietico, il piano quinquennale cinese ha un andamento lento perché dovette scontrarsi con diversi ostacoli: l'incertezza sull'esito della guerra di Corea, l'ammontare e delle modalità dell'aiuto sovietico terminarono nel 53. L'industrializzazione procede così attraverso l'insediamento di imprese gigantesche, moderne e costose. Il finanziamento globale di questo primo piano arriva a 76 miliardi di Juan, circa 32 miliardi di dollari americani. L'aiuto sovietico pur non rappresentando un elemento importante non superando i 2 miliardi di dollari, è stato tuttavia prezioso perché accompagnato da una serie di trasferimenti tecnologici e scientifici. La realizzazione del piano esige tuttavia la creazione di un'importante gestione economica, per questo sono stati fondati: – l'Ufficio di Stato delle statistiche – La Commissione di Stato per la pianificazione – La Commissione di Stato per l'economia. 41 ministeri si occupano degli aspetti economici, le imprese sono regolate secondo il sistema di responsabilità individuale del direttore. I primi anni del piano quinquennale vedono dunque il trionfo dell'organizzazione verticale, per settori: ogni settore è controllato dal ministero o da un'istituzione centrale. 2. Linea generale dello Stato durante la transizione verso il socialismo. • Le nazionalizzazioni nel settore industriale e urbano. All'inizio del primo piano quinquennale il settore industriale privato è già indebolito. Il settore nazionalizzato, ha beneficiato delle confische decise contro i giapponesi e i collaborazionisti alla fine della guerra garantendo un 34,7%, a cui si aggiunge un 56% dei beni appartenuti agli stranieri e ai reazionari. In questo periodo il movimento delle “Cinque contro” permette lo stato di estendere il proprio controllo su numerose imprese. La posta delle nazionalizzazione non è soltanto politica e sociale ma di costruire un sistema economico pianificato centralizzato, dove le imprese private e le piccole cooperative rappresentavano un ostacolo. Alla fine del quinquennio la maggior parte delle imprese di Stato sono poste direttamente sotto controllo dei ministeri e degli organi centrali. • La collettivizzazione agraria. Decisa solo tre anni dopo la riforma agraria e la distribuzione delle terre ai contadini, la collettivizzazione risponde, sul piano economico, alla necessità di risolvere le difficoltà di sfruttamento, dovute all'estremo spezzettamento delle proprietà. Voleva facilitare il prelievo di surplus agricoli destinati a finanziare il piano di industrializzazione, costringendo i contadini a vendere l'eccedenza di grano allo Stato in proporzioni e a prezzi fissati da esso. Per placare le inquietudini e le resistenze, lo Stato si sforza di presentarlo come un sistema di maggiore sicurezza: in caso di cattivi raccolti sarà proprio lo Stato a vendere le granaglia a basso prezzo ai contadini. Le difficoltà di consegnare queste quote obbligatorie da decine di milioni di famiglie contadine disperse è una delle principali ragioni per cui si accelera il passaggio alla collettivizzazione. Un'altra ragione è quella di prevenire l'autoconsumazione che si era molto sviluppata. La politica di collettivizzazione presentata da Li Weihan nel 1953, si presenta come prudente, graduale e si basa sull'adesione volontaria dei contadini. Inizialmente si fa leva sull'esistenza di squadre di aiuto reciproco (huzhu zu), che si riunivano stagionalmente, formato da contadini poveri medi mettevano insieme i propri utensili. In una seconda fase le cooperative di tipo superiore, o socialiste, dove l'attrezzatura, il bestiame le terre diventano beni collettivi. Nei primi anni questo programma di collettivizzazione è attuato con prudenza; le violenze scoppiate vengono represse con metodi autoritari verso i contadini. Nonostante le violenze e le sofferenze dalle quali è accompagnata, la collettivizzazione agraria si compie dunque in Cina con una relativa facilità. La politica agricola cinese sembra più vicina alla NEP perseguita dal 1921-28 che al primo piano quinquennale sovietico. 3. Valutazione dei primi risultati. • Alcuni progressi importanti. Il primo piano quinquennale potrebbe apparire come un successo. Il tasso di crescita del prodotto nazionale è aumentato, la produzione si diversifica con nuove attività come lo sfruttamento del petrolio, la fabbricazione di concimi chimici, gli acciai speciali e di attrezzature meccaniche. La crescita delle industrie leggere è meno spettacolare rispetto a quella pesante. La raccolta di grano supera gli obiettivi fissati dal piano, il governo incoraggia la produzione di cotone, allo stesso tempo intraprendere investimenti realizzati alla costruzione di dighe canali per prevenire inondazioni. Questi successi vengono annullati da una crescita demografica che nessuna politica di controllo viene ancora a limitare. • Squilibri economici e inquietudine sociale. L'Unione Sovietica aveva ampie riserve di terra arabile, di uso agricolo, quindi aveva i mezzi per sacrificare la crescita dell'agricoltura a quella dell'industria. Invece le risorse più limitate e la popolazione più numerosa non permettono alla Cina di praticare per molto tempo una analoga strategia di sviluppo. L'agricoltura cinese ha molte difficoltà a svolgere i molteplici compiti e le assegna il primo piano a nutrire la sua popolazione. Inoltre anche le inondazioni hanno compromesso ilraccolto nelle ricche province. Ciò genera miseria e panico con una grande ondata di fughe dalle campagne. Le autorità sono costrette a lasciare ai contadini la libera disponibilità del loro surplus: è la politica dei Tre punti. Anche in città la situazione alimentare è difficile ma lo Stato assicura un approvvigionamento a basso costo per i prodotti di base. Ridotti i prodotti di base, le industrie leggere non possono utilizzare appieno le loro capacità di produzione. La Cina e i cinesi hanno pagato caro il successo del primo piano quinquennale. Non sorprende tanto che questo successo coincida con i primi dubbi e le incertezze sull'imitazione del modello sovietico, con la comparsa di gravi tensioni all'interno del partito che con la fine del consenso nazionale. CAPITOLO QUARTO: PRIMI DUBBI In quest'epoca il Partito comunista cinese é anche citato dai violenti movimenti che turbano il campo socialista, in seguito al rapporto presentato da Nikita Krusciov davanti al XX congresso. L'attacco condotto contro il modello sovietico dagli stessi autori, coglie i dirigenti cinesi alla sprovvista, che affrontano la destalinizzazione con estrema prudenza. Riunito nel 1956, il VIII congresso riafferma l'unità del Partito comunista cinese. 1.L'evizione di Gao Gang e Rao Shishi (1954). Dopo più di trent'anni, il caso Gao-Rao rimane avvolto nell'oscurità. Questo caso collega tra loro due uomini che apparentemente non avevano niente in comune. Gao Gang è un partigiano, eletto nel 1945 al comitato centrale, poi partecipa alla conquista della Manciuria accumulando il potere politico, amministrativo e militare. La carriera di Rao Sushi è completamente diversa:dopo 10 anni di studi negli Stati Uniti, ritorna in Cina durante la guerra cino-giapponese. Nel 1945 assume il comando del Partito. Nel 1952 è chiamato a Pechino insieme a Gao Gang, ed è allora che i due destini convergono. Lavorano al comitato centrale e alla commissione di Stato. Rao scompare dopo Gao. Sembra che all'interno della commissione di Stato per la pianificazione si siano opposti alla politica di equilibrio che favoriva le regioni del Nord e dell'Ovest a danno di Shanghai e Manciuria, delle quali Rao e Gang erano i responsabili. Nel caso di Gao Gang si possono ricercare altre cause di conflitto con la direzione del Partito: il suo desiderio di far prevalere il sistema sovietico di responsabilità del capo d'impresa sul sistema shangaiano di amministrazione per comitati. I testi che annunciano la loro destituzione si limitano ad accusarli di essersi serviti delle strutture regionali di potere, che controllavano, per imporre i loro punti di vista il centro. 2. Instabile fazionalismo degli anni 1955-56 Le fazioni che compaiono nel partito verso la metà degli anni 50 non sono ancora dei gruppi chiusi. Il gioco delle fazioni resta aperto, per analizzare questo fenomeno è dunque necessario identificare problemi interrogativi che favoriscono il suo emergere. • Il dibattito sulla collettivizzazione rurale. Il cattivo raccolto 1954 e le difficoltà di rifornimento dell'inverno 1954-55, a cui i dirigenti hanno posto rimedio, ma i mezzi dei quali pensano di servirsi non sono gli stessi e l'urgenza della crisi scava l'opposizione tra radicali e moderati. Nel suo discorso del 195 “ Sul problema della cooperazione agricola”, Mao Zadong raccomanda l' accelerazione della collettivizzazione delle campagne per un aumento sicuro della produzione. Ma non tutti dirigenti del Partito condividono i suoi punti di vista. Economisti e pianificatori danno in effetti prova di molta prudenza, anche lo stesso direttore del dipartimento del lavoro rurale Deng Zihui. Invece Liu Shaoqi ha preso posizione a favore di una collettivizzazione molto graduale. Nel dibattito così impegnato, Mao Zadong non tarda a prevalere. Nel VII Comitato centrale approva l'accelerazione della collettivizzazione. Ma i rimedi prescritti sono diversi: -per Liu Shaoqi il compito prioritario è quello di sviluppare e di modernizzare la produzione -Mao Zadong al contrario afferma che bisogna migliorare lo stile del lavoro politico e soprattutto eliminare il burocratismo -Deng Xiaping, che fa da portavoce a Mao Zadong, esorta che i quadri siano sottoposti alla critica e al controllo delle masse. Sia Mao Zadong che Xiaping non riescono a far passare i loro punti di vista. Ultimo scacco che segna la fine per Mao Zadong, il respingimento della strategia del Grande balzo in avanti e viene invece opprovato il Rapporto sul secondo piano quinquennale da Zhou Enlai nonostante l'opposizione di Mao Zadong e le esitazioni di Liu Shaoqi. Invece di far prelevare la propria politica, Mao Zadong nel congresso non sembra tuttavia un uomo isolato; costretto al compromesso si ritira dietro ma non rinuncia a realizzare le proprie idee. Dopo una serie di scontri che, sempre più violenti, sfoceranno nel terrore della Rivoluzione culturale e finiranno solo con la morte di Mao Zadong. • 4.La campagna dei Cento Fiori e la fine del consenso sociale Dopo il discorso di Mao Zadong nel 1956 che esorta i Cento Fiori a sbocciare, soltanto nel 1957, dopo molti indugi, la campagna di liberalizzazione assume il carattere di un vero proprio movimento di massa. • Il lancio della campagna e La giusta soluzione alle contraddizioni all'interno del popolo . Nell'inverno 1956-57 si viene a sapere che la politica di liberalizzazione sta per essere lanciata e che il Partito dovrà mostrare maggior flessibilità e moderazione del potere. Lo stimolo di questo rilancio viene da Mao Zadong, appoggiato da dirigenti del calibro di Liu Shaoqi, Deng Xiaoping e Zhou Enlai. Lo scopo è quella di migliorare le relazione tra il potere e le masse, per prevenire esplosioni simili a quelle che hanno scosso la Polonia e l'Ungheria. Ma questa politica incontra l'opposizione di numerosi quadri, i quali temono di vedere indebolite l'autorità del Partito e le loro stesse posizioni. Il loro portavoce è Cheng Qitong, direttore aggiunto del dipartimento di politica generale dell'Apl. E' allora che Mao Zedong interviene per giustificare questa liberalizzazione. Le contraddizioni devono invece essere risolte, senza ricorrere alla forza, senza far uso di metodi staliniani. • La società cinese all'epoca dei Cento Fiori Il grande viaggio che effettua in sei province nel 1957 offre a Liu Shaoqi molteplici occasioni per osservare da vicino queste realtà: le incertezze dei contadini, il malcontento operaio, i brontolii dell'ambiente studentesco, il risentimento e diffidenza degli intellettuali. Nel 1957 molti contadini dipendono ancora, per la loro sussistenza, dalle assegnazioni di grano effettuate dallo Stato. Il lavoro collettivo è trascurato. Si moltiplicano le spartizioni selvagge del grano rubato. Non si verificano rivolte, ma un'agitazione endemica, violenze sporadiche che il governo cerca di arginare limitando lo sviluppo dei mercati liberi. L'inquietudine rurale non minaccia il regime, né l'esperienza della collettivizzazione. Ma mette in rilievo l'ostilità tra la popolazione contadina e dei quadri locali. In città il malcontento si esprime in modo più esplicito. Nelle imprese la riforma dei salari del 1956, che privilegia quadri e operai qualificati, non hanno granchè rasserenato i rapporti sociali. Nel 57 venne introdotto il salario a cottimo, i giovani operai vedono allungarsi la durata dell'apprendistato che li destina a trattamenti umilianti e a salari magri. I sindacati hanno rinunciato a difendere gli interessi dei loro iscritti. L'insufficiente del personale e delle attrezzature limita l'accoglimento di nuovi allievi nelle scuole d'istruzione secondaria e superiore. Coloro che hanno la fortuna di essere già entrati all'università si limitano delle pressioni ideologiche che subiscono, della mancanza si sbocchi di lavoro e della destinazione decisa d'autorità, alla fine degli studi, a impieghi che non hanno nessun rapporto con le loro competenze. Le ambizioni deluse alimentano l'amarezza della gioventù intellettuale. • L'esplosione contestataria e la repressione antidestrica In seguito alla direttiva pubblicata dal Quotidiano del popolo, viene lanciato il movimento di rettifica. I non comunisti sono inviati a partecipare. Personalità democratiche si mettono alla testa della contestazione. Ma contrariamente alle attese di Mao Zedong, i contestatori non si accontentano di attaccare lo stile di lavoro dei comunisti: se la prendono con la natura e con il ruolo stesso del Partito. Denunciano la sua struttura monopolitica. Gli studenti si dimostrano ancora più audaci. Ispirati dagli avvenimenti della Polonia e dell'Ungheria, rimette in discussione il sistema dello Stato. I giornali reclamano la libertà di stampa. Il movimento si propaga agli altri istituti d'insegnamento superiore. In questo concerto di proteste e di rivendicazioni gli scrittori e gli intellettuali dell'establishment non fanno molto sentire la propria voce. Centinaia di migliaia di persone sono mandate in campagna, alcuni nei campi di rieducazione. La repressione che si abbatte allora sui circoli letterali è molto violenta. Le principali vittime sono i vecchi scrittori. I quadri del Partito prendono il posto degli scrittori degli studiosi delle riviste e dei giornali. Il Partito stabilisce anche un controllo più stretto sull'ambiente studentesco. Una direttiva precisa che gli studenti devono essere oggetto d'inchieste politiche,devono obbedire al piano di ripartizione degli impieghi fissato dallo Stato, e accettare le funzioni alle quali sono destinate. La purga non risparmia le province. A Wuhan scoppiano gravi tumulti studenteschi, responsabili dell'università vengono fucilati. • 5. Potere società: letture della crisi del 1957 La maggior parte degli storici che si sono dedicati allo studio dei Cento Fiori come MacFarquhar e Goldman, si sono soprattutto interessati ai problemi politici: lotta funzionale all'interno del partito, scontro ideologico, strategia burocratica. Benché non sia ignorata, l'esistenza di difficoltà economiche sociali non è particolarmente presa in considerazione nelle loro analisi. I disordini sociali vengono identificati nel degrado delle condizioni materiali di vita che colpisce una parte importante della popolazione. I contadini che sottraggono i propri raccolti alle consegne obbligatorie pensano indubbiamente a garantire il proprio approvvigionamento. Così i disordini che si moltiplicano in tutta la Cina nel 1956-57 dipendono non tanto dei cattivi raccolti, quanto dal rilassamento amministrativo politico che interviene in quell'epoca. In altri termini la crisi sociale appare come una conseguenza, piuttosto che come una causa, della crisi politica. Per certi osservatori queste crisi ripetitive, hanno sconvolto il gioco politico, e si inseriscono in un meccanismo più generale di regolazione. Per altri studiosi il ritorno della crisi sarebbe legato agli scontri periodici tra i tentativi utopistici di trasformazione accelerata della società e del sistema di produzione da un lato, e dall'altro i vincoli strutturali generati da una simile trasformazione: la comparsa di organizzazioni complesse e specializzate, legate l'industrializzazione particolare. Anche se l'episodio dei Cento Fiori ha una certa somiglianza con le crisi successive, tuttavia conserva un posto particolare nella storia della Repubblica popolare. La sua conclusione tragica ha dissipato le illusioni di tutti coloro che avevano creduto all'unione nazionale e che si erano costruiti l'immagine di un Mao Zadong liberale. CAPITOLO QUINTO • La via cinese: il Grande Balzo in avanti e la rottura cino-sovietica Con il Grande Balzo in avanti la Cina, in effetti, inaugura una nuova strategia di sviluppo che dovrebbe permetterle non soltanto di superare le difficoltà economiche apparse alla fine di transizione verso il socialismo e d'impiantare la società comunista. Le ambizioni del Grande Balzo in avanti spiegano come questo sia servito da catalizzatore alla rottura cino-sovietica. Prendendo l'iniziativa di aprire una via originale e più rapida verso il comunismo. Essa attacca dunque il monopolio dell'Unione Sovietica. La crisi che scoppia nel plenum del Comitato centrale nel 1959 e mette in discussione tanto la politica agraria, quanto i rapporti con l'Urss. Da parte sua l'Unione Sovietica, nel conflitto ideologico e diplomatico che la oppone alla Cina, utilizza molteplici misure di pressione economica: dal rifiuto di crediti supplementari, al richiamo di tecnici e denuncia degli accordi di assistenza. Di fatto rimangono attuati molti elementi del modello sovietico. In compenso, la rottura cino-sovietica non ha cessato de pesare, a quasi 3 decenni, sulle relazioni internazionali: indubbiamente perchè, al di là del conflitto ideologico, rifletteva la profonda divergenza degli interessi degli Stati,legati a fattori geopolitici permanenti. 1.Una nuova strategia di sviluppo: il Grande Balzo in avanti • Utopia e pragmatismo Il grande balzo in avanti riprende nel 1956. Il secondo piano quinquennale nel 1958 viene preparato secondo le stesse norme del precedente, ma non è stato mai applicato. Ciò che caratterizza la nuova strategia è innanzitutto l'ambizione degli obiettivi: una raccolta di 450 milioni di tonnellate di cereali, prevedeva l'aumento di produzione in tutti i settori, l'aumento della qualità in minor tempo. Si sperava così di poter superare l'Inghilterra in 15 anni, facendo appello allo sforzo della massa. Il Grande balzo è generalmente condannato come la manifestazione di un volontarismo ansioso di forzare il corso della storia, come un'utopia omicida. • Attuazione della nuova strategia economica. Superando il conflitto che li aveva separati durante la campagna dei Cento Fiori, Mao Zadong e Liu Shaoqi si trovano d'accordo sulla necessità di un cambiamento della politica economica. La scomparsa di Stalin, il 5 marzo 1953, permette di instaurare rapporti più calorosi tra l'Urss e la Repubblica popolare cinese, con l'accoglienza amichevole della prima visita di Krusciov. Le ultime disposizioni ereditate dai trattati ineguali sono eliminate. La base di Port Arthur ritorna alla Cina, vengono sviluppati i collegamenti ferroviari tra il Turchestan cinese e il Turchestan russo, dalla Cina del Nord e la Mongolia esterna. L'anno dopo i due paesi firmano un accordo di cooperazione per l'utilizzazione pacifica dell'energia nucleare. La solidarietà cino-sovietica, che si consolida durante la guerra di Corea, si mantiene dopo l'armistizio di Panmunjon nel contesto della guerra fredda. Questa solidarietà, tuttavia, non impedisce alla Cina di perseguire una politica estera originale. La Cina cerca di dare di sé, e ci riesce, l'immagine di una potenza insieme rivoluzionaria e ragionevole, pacifica. Accetta il principio di non ingerenza e di non aggressione dei cinque paesi dell'Asia meridionale: India, Birmania, Ceylon, Indonesia e Pakistan; estendendo la propria politica di distensione agli altri paesi dell'Asia meridionale. Ma il ritorno spettacolare della Cina sulla scena internazionale avviene in occasione della conferenza di Ginevra nel 1954, dove Zhou Enlai si propone come difensore della pace in Asia. Con la conferenza di Badung nel 1955, con l'esclusione dell'Urss, 29 nazioni africane e asiatiche, affermano la propria volontà di non essere trascinati sulla scia delle grandi potenze e gli sottrasse la politica dei blocchi. La Cina rifiuta dello stesso anno di aderire al patto firmato a Varsavia per garantire la difesa dell'est europeo, volendo conservare una certa autonomia nella politica estera derivata dall'esperienza dell'umiliazione coloniale. • Le esitazioni cinesi di fronte alla destalinizzazione (1956-57). Stalin diffidava nei confronti dei comunisti cinesi, così fu necessario attendere la sua scomparsa perché sbocciasse l'alleanza cino-sovietica. Tuttavia è proprio il movimento di destalinizzazione lanciato al XX congresso dell'Urss, che comporterà il naufragio di quest'alleanza. Le vittorie del socialismo sono state identificate con il regime di Stalin, che è diventato, sul piano ideologico, un punto di riferimento indispensabile. Agli occhi dei dirigenti cinesi, non si può dunque respingere Stalin, senza mettere in discussione la validità e la pertinenza di una ideologia socialista. Dei tre problemi sollevati da Nikita Krusciov davanti al congresso nel 56: – denuncia di Stalin e del culto della personalità – principio della coesistenza pacifica per blocchi – possibilità di un passaggio non violento al socialismo. Dei tre punti i cinesi concentreranno i loro attacchi sul principio della coesistenza pacifica. Sono proprio loro a perseguire ancora la politica di distensione che hanno inaugurato con scalpore alla conferenza di Ginevra e di Bandung. Non possono quindi dichiararsi contro la coesistenza. La reazione unanime dei dirigenti cinesi, pur denunciando alcuni gravi errori di Stalin: la sua pratica di repressione generalizzata, la sua mancanza di vigilanza nei confronti della Germania nazista e 1940-41, il suo sfruttamento sistematico dei contadini ha tuttavia portato un contributo importantissimo alla causa del marxismo-leninismo. È chiaro che, prendendo le difese di Stalin, i dirigenti cinesi vogliono proteggere Mao Zadong e il loro regime dalle critiche. I cinesi stessi sono stati vittime delle decisioni arbitrarie e infelice che l'Urss, attraverso il Komintern, ha imposto il movimento rivoluzionario cinese negli anni '20 e '30. Quando Nagy annuncia che il suo paese non ha più intenzione di aderire al patto di Varsavia, la Cina appoggia l'annientamento dell'insurrezione ungherese da parte delle forze armate sovietiche. Alcune settimane dopo i dirigenti cinesi manifestano nuovamente l'appoggio all'Unione Sovietica schierandosi contro Tito. L'ultimo problema, che non sembrava rivestire grande rilievo per i cinesi all'inizio della destalinizzazione, assume un'importanza nuova nel corso del 1957. Quest'evoluzione è legata al fallimento della loro politica di apertura in direzione di Taiwan negli Stati Uniti. Se il problema di Stalin non è stato affrontato, in compenso cinesi sovietici sono in contrasto sull'atteggiamento da tenere nei confronti dell'imperialismo, cioè degli Stati Uniti. I sovietici non condividono la valutazione ottimistica di Mao Zadong, sono spaventati dalla leggerezza con la quale quest'ultimo immagina la scomparsa della metà del genere umano, in caso di apocalisse nucleare. Invece per i sovietici l'avvento delle armi nucleari, tenuto conto della loro potenza distruttiva, deve portare a una distensione est-ovest, dove gli Stati Uniti e l'Urss cooperano per il mantenimento della pace mondiale. Nonostante le diverse ideologie, il compromesso è ancora possibile durante la conferenza di Mosca. Con l'accordo segreto per la difesa, l'Urss si impegna ad aiutare la Cina ad acquistare le conoscenze scientifiche e tecnologiche necessarie alla creazione di un armamento nucleare, promettendo la consegna di un esemplare di bomba atomica. • Dal conflitto tra partiti al conflitto tra Stati 1958-59. Nell'estate del 1958 la crisi dello stretto di Taiwan illustra e alimenta questo antagonismo crescente. Le relazioni cino-americano sembrano aver raggiunto il loro punto più basso con l'interruzione dei colloqui di Varsavia. Si intensificano i bombardamenti sugli isolotti di Quemoy e Matzu. Gli Stati Uniti manifestano tuttavia il proprio appoggio a Ciang Kai-shek, garantendo il trasporto dei rinforzi militari inviati a Quemoy. Dopo alcuni giorni di estrema tensione, la Cina, è costretta a tornare indietro. L'appoggio sovietico, sul quale ha contato, non si manifesta se non si manifesta se non sotto forma di una lettera di Nikita Krusciov rivolta al presidente Einsenhower. In mancanza di un reale sostegno sovietico, la Cina si trova dunque impossibilitata a riconquistare Taiwan. La rottura è ormai inevitabile. 4.La crisi di Lushan (1959) e la rottura con l'Unione Sovietica (1960). La crisi che si apre con l'ottavo plenum dell'VIII Comitato centrale, riunito a Lushan nel 1959, mette in gioco sia la politica interna quanto quella esterna. Mao Zedong abbatte colui che cerca di criticarlo pubblicamente, comincia così il silenzio degli alti dirigenti. Più niente inpedirà, da questo momento in poi, che gli eccessi e gli errori di quest'ultimo su trasformino in catastrofi sempre più gravi. Mao rilancia allora nel plenum di Lushan una politica di Grande balzo, i cui pericoli erano stati già riconosciuti e denunciati da tutti i dirigenti, lui stesso compreso. La crisi di Lushan sfocia infine con la rottura con l'Urss, spingendo la Cina verso l'isolamento diplomatico. • Lo scontro tra Peng Dehuai e Mao Zedong. All'inizio del 1956 la politica del Grande Balzo mira a ricentralizzare i sistemi economici ed assicurare la più varia e migliore qualità. Il ministro della difesa è più stimato per il coraggio, la rude franchezza e l'ascetismo, che per la sua competenza in materia di pianificazione e di gestione economica. Da parecchi anni, in effetti, su questi temi non cessa di approfondirsi il disaccordo tra Mao Zedong e Peng Dehuai. Mao diffida di Peng, comincia così a frenare la sua ascesa nella gerarchia del Partito, favorendo a sue spese il maresciallo Lin Biao. Il conflitto scoppia alla luce quando Peng redige una lettera, Sui mie punti di vista, che non tarda a circolare tra i delegati della circonferenza. Egli critica la produzione di acciaio, denuncia le esagerazioni e le falsificazioni di statistiche.....attribuisce la responsabilità di tutti questi misfatti a Mao. Al di fuori del viceministro degli Esteri Wentian, Deng non trova appoggi introno a sé. Tuttavia egli è amato e rispettato dagli altri capi militari e le idee che esprime riflettono quelle dei principali economisti e amministratori. Gli sviluppi della situazione internazionale, per la verità, danno una mano a Mao Zadong. Gli attacchi che Krusciov ha lanciato contro le comuni popolari in occasione di un viaggio in Polonia, sono presto conosciuti a Lushan. La coincidenza tra questi attacchi e le critiche formulate da Peng, permette Mao Zadong di fare aleggiare il dubbio di una collusione e di isolare i contestatori facendone i potenziali traditori. Peng perde le funzioni di ministro della difesa, fu imprigionato poi condannato a morte. • Politicizzazione dell'esercito e rilancio del Grande balzo. Il nuovo ministro della difesa fu Lin Biao, di salute fragile, austero e riservato, non gode sicuramente della fama di Peng. Tuttavia Mao conta su di lui per ricondurre l'esercito sulla via dello zelo rivoluzionario, per farne lo strumento docile della sua volontà politica. Nel 1960 gli editori dell'anno nuovo esortano a un nuovo Grande balzo. Viene mobilitata la manodopera femminile. Ma il catastrofico raccolto dell'estate e il ritiro contemporaneo degli esperti sovietici segnala la fine del Grande balzo. • La rottura cino-sovietica. Dall'autunno 1959 all'inverno 1960 il confronto tra la Cina e Unione Sovietica conduce alla rottura aperta. Da da un lato c'è il nazionalismo cinese, dall'altro la volontà sovietica di mantenere la guida incontrastata del campo socialista. La visita di Krusciov a Pechino nel 1959 è l'occasione per redigere il bilancio dei disaccordi. I cinesi rimproverano l'Urss di non averli appoggiati durante il loro recente incidente di frontiera cino-indiano. L'insurrezione del Tibet nella primavera del 1959, la repressione alla quale si dedica la Cina, la fuga del dalai Lama che si rifugia in India, contribuiscono ad accrescere la tensione tra due grandi vicini. Quando ad agosto incidenti di frontiera si aggravano, la Cina si aspetta che l'Urss appoggi le sue posizioni. Durante la crisi di Taiwan, i cinesi hanno la sensazione che l'Urss abbia una considerazione maggiore per la distinzione che per l'interesse dei suoi alleati. Non sorprende dunque che le esortazioni lanciate da Krusciov a suoi uditori cinesi, invitati a ricercare una soluzione pacifica ai problemi di Taiwan e ad aderire allo spirito di Camp David, suscitino soltanto freddezza e irritazione. Dopo la conferenza a Mosca, viene deciso il ritiro immediato degli esperti sovietici che lavorano in Cina e l'interruzione di 257 attività di cooperazione tecnica e scientifica in corso. Procedendo a questo richiamo, i sovietici hanno certamente intralciato lo sviluppo dell'economia cinese. I due ex alleati erano entrambi offesi, ognuno aveva la sensazione di essere tradito dall'altro. Il Grande balzo in avanti e la rottura cino-sovietica introducono nella vita politica cinese temi nuovi e sul piano sociale ed ideologico, Mao Zadong prende l'iniziativa del contrattacco nel 10º plenum dell'VIII comitato centrale del 62. E gli lancia il suo celebre ammonimento per non dimenticare mai la lotta di classe, esorta i compagni a mobilitarsi per prevenire un ritorno delle influenze capitalistiche e borghesi. Dopo manifestate tensioni, le soluzioni proposte da Mao Zadong vengono adottate senza modifica. Questo improvviso consenso sorprende, ma non deve provocare illusioni, si cerca di evitare un conflitto aperto con Mao. 4.Il Movimento per l'educazione sociale 1962-1965 Questo movimento precede e prepara la rivoluzione culturale. Tutti i grandi temi maoisti vi sono fermati con grande risonanza: controllo del partito da parte delle masse, soppressione delle gerarchie, connessione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, formazione di uomini nuovi e di successori idonei a continuare l'opera rivoluzionaria. Gli obiettivi del Movimento, così come li definisce Mao Zadong durante il 10º plenum, sono di porre fine al lassismo e al disordine organizzativo implicati nella politica di riaggiustamento. Occorre riaccendere l'ardore rivoluzionario delle masse, rettificare il Partito. Ma i dirigenti del partito, temono nuovi conflitti sociali nelle campagne. Inutilmente Mao Zadong si sforza di raddrizzare il timone emanando nel 64 un'altra direttiva: i Dieci punti previsti: -contabilizza i punti-lavoro in funzione dell'attivismo politico e non del lavoro unito -intraprendere grandi lavori d'irrigazione e di miglioramento dei terreni mobilitando le proprie risorse senza far appello a contribuiti da parte dello Stato. Ma i suoi avversari non demordono, arrivano a proporre un modello di organizzazione rurale, che si basa sulla vigilanza dei quadri e sull'introduzione di attrezzature tecniche moderne. Sottoposto a direttive contraddittorie, il movimento di rettifica tende ad insabbiarsi. Questo semi-fallimento spinge Mao ad allargare la propria offensiva. Nel 1965 pubblica un documento di 23 punti dove pone il problema della politica agricola in termini di contraddizione tra socialismo e capitalismo. I quattro rimedi che in origine Mao Zadong aveva serbato ai problemi di gestione, abbracciano i grandi domini della politica, dell'economia, dell'organizzazione e dell'ideologia. Mao Zadong non se la prende più con i soli quadri locali, ma con persone inserite nel Partito, che invocano la via del capitalismo. La prima posta nella lotta di idee influenza e la riforma dell'opera di Pechino, della quale la moglie di Mao Zadong, Jiang Qing, si fa promotrice. Jiang ex attrice, ha conservato molto rancore verso gli uomini di teatro, che a Shanghai negli anni 30, non avevano voluto riconoscere il suo talento, e che in seguito erano diventati importanti dirigenti della politica culturale del Partito. La lotta che essa conduce in nome degli ideali maoisti contro l'opera tradizionale, è anche una lotta contro questo establishment dal quale è esclusa. Forte dell'appoggio di Mao Zadong, Jiang comincia sostituire le opere tradizionali di contenuto storico con opere rivoluzionarie in opere contemporanee. Per diffondere questa nuova forma d'arte, Jiang organizza un festival a Shanghai e poi un altro a Pechino. Senza opporsi apertamente a questi progetti, i funzionari della cultura non fanno niente per facilitarne la realizzazione: rifiutano a Jiang i mezzi necessari tanto personale ,quanto in denaro. Per quanto riguarda Lin Biao, Mao Zadong vi trova un assistente docile, lo invita a gettare le basi di un vero proprio culto della personalità. I busti e i ritratti del presidente diventano onnipresenti come un tempo quelli di Stalin nell'Urss. Ma i semi fallimenti del movimento per l'educazione socialista mette allora in risalto l'isolamento di Mao Zadong e la sua relativa debolezza. Nel 1966 decise di passare alla guerra aperta, di lanciare la Rivoluzione culturale. PARTE SECONDA La Fuga nell'utopia 1966-76 CAPITOLO SETTIMO La Rivoluzione culturale 1965-69 La Rivoluzione culturale si estende lungo un decennio pieno, dal 1966 al 1976, e si conclude soltanto con la morte di Mao Zadong. La Rivoluzione culturale rimane un fenomeno così complesso, così diverso e geograficamente così discontinuo, che è ancora molto difficile ricostruirne la storia. Dopo essere stata esaltata dai maoisti come fonte di legittimità, la Rivoluzione culturale è condannata dai successori di Mao Zadong come causa di tutti i fallimenti, di tutti i mali del regime. La Rivoluzione culturale appare il primo acchito come una lotta del potere. Lo scopo è sempre lo stesso: Mao Zadong vuole fare sparire ogni genere di opposizione alla sua politica, e la soluzione più radicale è distruggere il Partito stesso. La sorte di questi veterani del Partito, mandati in prigione o condannati a morte, ricorda le vittime di Stalin eliminati nel corso degli anni 30. Se Mao Zadong vuole cacciare il Partito e prendere il potere, non è soltanto per ambizione personale, ma anche per impedire che la rivoluzione degeneri e che la Cina cada nel revisionismo. 1. L'attacco contro l'ordine stabilito 1965-66 L'offensiva scatenata da Mao Zadong contro gli ambienti letterari di Pechino e dirigenti politici che li proteggono si estende progressivamente a strati sempre più vasti della società e a istanze sempre più numerose del Partito. Nel giugno del 1966 le scene di violenza si moltiplicano nei collegi e nelle università. Alcune settimane dopo, il terrore culmina con la mobilitazione di milioni di guardie rosse che si impossessano della città e si accaniscono contro vecchie persone e vecchie cose che testimoniano i tempi passati. E' durante questi mesi agitati che si opera il ribaltamento di forze tra Mao e i suoi avversari. Tuttavia la vittoria sull'apparato sembra stranamente facile, e ci si stupisce se li abbiano opposto soltanto una resistenza ovattata, indiretta e sparsa. • Ippodromi letterari e culturali La Rivoluzione culturale comincia in modo discreto. Durante la conferenza del lavoro, Mao Zadong chiede ancora una volta che siano epurati gli ambienti letterari. Scontrandosi con il Partito, Mao Zadong cambia allora tattica. Creato un Gruppo di cinque, incaricato della Rivoluzione culturale, la cui presidenza gli era stata affidata nel quadro del movimento per l'educazione socialista. Questo gruppo fa diffondere un testo conosciuto come Tesi di febbraio, che riafferma il carattere limitato e specifico della Rivoluzione culturale, poi fu annullata e sciolto il Gruppo dei Cinque che venne sostituito con un Gruppo della Rivoluzione culturale. • La rivoluzione nelle università e nelle scuole 1966 Gli studenti di Pechino sono i primi ad ascoltare l'appello di Mao Zadong alla rivolta. Una giovane insegnante di filosofia, Nie, critica il presidente dell'Università di Pechino accusandolo di frenare lo sviluppo della Rivoluzione culturale nel sistema educativo. L'iniziativa dell'insegnante viene accolta con entusiasmo da Mao Zadong. Da allora la mobilitazione progredisce molto rapidamente nell'università e nei collegi. La violenza si scatena contro tutti coloro che detengono una parte, sia pur minima, di autorità. L'arrivo delle squadre di lavoro nei campus nelle scuole accresce la confusione e le violenze. Queste squadre di militanti esperti, vennero accusate di essere state manipolate da Liu Shaoqi per ostacolare la politica di Mao Zadong e per aver fatto regnare negli istituti scolastici e universitari 50 giorni di terrore bianco. • L'estate delle guardie rosse. I gruppi radicali che si sono costituiti negli istituti per l'insegnamento, danno origine alle guardie rosse. Mao Zadong incarica di lottare contro il partito. Nel corso dell'11º plenum dell'VIII comitato centrale il presidente trionfa della resistenza degli alti dirigenti. La carta è contrassegna dalla Rivoluzione culturale, ossia la Decisione in 16 punti, per rovesciare coloro che nel Partito detengono l'autorità e hanno preso la via del capitalismo. La Rivoluzione culturale non deve intralciare la produzione, deve risparmiare tecnici e gli scienziati distinguendoli tra la maggioranza dei buoni quadri e una minoranza di quelli cattivi. A metà agosto, Mao Zadong lancia le sue guardie rosse all'assalto del Partito e della vecchia società. Chi sono queste guardie rosse? Come vengono reclutate? La maggior parte delle guardie rosse sono collegiali e studenti. I criteri del loro reclutamento sono diversi: ora si tiene conto soltanto della buona condotta politica, ora si prende anche in considerazione l'origine sociale. E se Mao Zadong crea le prime guardie rosse per attaccare il Partito, gli alti dirigenti non tardano a costituire le proprie organizzazioni per proteggersi. Ai milioni di adolescenti i quali partecipano alle lunghe marce, per i quali le unità militari organizzano l'alloggiamento e assicurano l'approvvigionamento, questa avventura unisce l'apprendistato rivoluzionario con i piaceri del turismo. Alla fine del 66 si può considerare che le guardie rosse abbiano svolto efficacemente il compito che Mao Zadong ha loro affidato: rovesciare l'ordine stabilito, mettere sottosopra il vecchio mondo. Il movimento si è lacerato da divisioni interne, manipolato dalle autorità locali, ha perduto la propria attività politica per Mao Zadong e, a partire dalle 67, vengono prese diverse misure per frenare e controllare le attività delle guardie rosse. Così Mao Zadong decise di sbarazzarsi di ciò che rimane dell'apparato dirigente del Partito e del governo, e di accelerare la Rivoluzione culturale, passando la fase della presa di potere. Si appella allora a forze nuove: la classe operaia e l'esercito. 2. Il potere rivoluzionario nel 1967. Nell'autunno 1966 si apre un nuovo periodo nella storia della Rivoluzione culturale. La lotta si fa più violenta e più confusa: si estende all'insieme del territorio e degli strati sempre più larghi della popolazione. • L'intervento del proletariato operaio e rivoluzione del 1967 a Shanghai. Il IX congresso del Partito si riunisce a Pechino nel mirino 1969. I 1512 delegati sono stati designati dai comitati rivoluzionari delle province; per ¾ appartengono all'Apl. E' dunque sotto l'influenza dell'esercito che il congresso intraprende la ricostruzione del Partito, cominciando con la creazione di nuovi organi centrali. Viene riaffermato il ruolo del Partito come nucleo dirigente del popolo cinese. I nuovi statuti che si dà il Partito, dove i delegati sono stati designati dai comitati rivoluzionari delle province, rintroducono il ruolo del Partito come nucleo dirigente del popolo cinese. I nuovi statuti che si dà il Partito rintroducono il pensiero di Mao Zedong come fondamento o teorico del Partito. Il successore del presidente è Lin Biao. In conclusione la Rivoluzione culturale non ha portato a termine alcuni degli scopi fondamentali che le erano stati assegnati da Mao Zedong. Peggio ancora, ha suscitato imprevisti sviluppi imprevisti. Al posto di successori rivoluzionari, ha prodotto guardie rosse disperate, invece di impiantare nuove strutture di potere più democratiche ha risuscitato dopo averlo distrutto il vecchio apparato i cui quadri civili sono stati sostituiti per lo più da militari. Essa ha profondamente e durevolmente straziato la società cinese, alterato l'equilibrio tra il potere centrale e i poteri locali, tra l'autorità civile e le forze armate, e destabilizzato i rapporti tra governo e governanti. CAPITOLO OTTAVO La fine dell'era maoista 1969-1976 La Rivoluzione culturale ha lasciato sulla propria scia l'odio e il desiderio di rivalsa: tra i diversi gruppi si è scavato nel fossato sempre più profondo. Il campo del consenso non cessa di ridursi. Alla fine dell'era maoista le fazioni si sono irrigidite, i dibattiti per veri e propri si fanno rari. La società rimane agitata, che vittime e i carnefici non sono pronti a riconciliarsi. La Rivoluzione culturale non è riuscita a fare regnare la virtù e a dare il potere le masse. Tuttavia non viene ufficialmente ripudiata: ne va del prestigio di Mao. Occorrerà attendere la scomparsa di Mao Zadong, perché si sblocchi una situazione divenuta ormai senza uscita. 1. La crescita del fazionismo, dal IX congresso 1969 al X congresso 1973. Nel X congresso nonostante le lacerazioni interne, si riesce ancora a mobilitarsi per affrontare i grandi problemi nazionali: ricostruzione degli organismi politici e amministrativi, sviluppo economico, riorientamento della politica estera verso occidente. Ma i provvedimenti adottati sono spesso contraddittori. • L'arretramento dei radicali. Il IX congresso sancisce la vittoria di Mao Zadong e dei suoi seguaci nella lotta per il potere. Tra queste diverse forze di equilibrio è molto instabile. La sinistra maoista, la cui influenza sembra dover essere predominante, non tarda ad indebolirsi. Il segretario particolare di Mao Zedong sarà accusato, dopo la scomparsa di Lin Biao nel 1971, di aver complottato con lui per rovesciare Mao Zedong. I particolari di questo complotto sono depositati nel Documento n.571, si diffondono nel Partito e nell'Occidente attraverso i servizi d'informazione di Taiwan. L'autenticità di questi fatti non è mai stata provata. Lin Biao è opposto a Mao Zedong su punti sostanziali, criticando la politica di avvicinamento agli Stati Uniti. Lin è condannato come gauchiste, in seguito il verdetto è cambiato. Nel 1971 scompare Lin Biao schiantato in un aereo militare cinese in Mongolia. Ricompaiono sulla scena politica posti di responsabilità l'ex ministro del petrolio Yu Qiuli, l'ex segretario della Lega di gioventù Hu Yaobang, l'ex presidente della Commissione per gli investimenti d'infrastruttura Gu Mu. Nel 1973 compare lo stesso Deng Xiaoping nella scena politica. L'eliminazione di Lin Biao altera dunque l'equilibrio delle forze a danno dei radicali e della vecchia sinistra della Rivoluzione culturale; inoltre rimette in discussione il ruolo dell'esercito nella vita politica. Una sessantina di capi militari seguono Lin Biao nella sua caduta. La caduta di Lin Biao non rappresenta dunque una vittoria del Partito sull'Apl. Semplicemente retribuisce i ruoli tra le diverse reti d'influenza militare. • Abbozzo di una politica di riaggiustamento. Nonostante i rischi della lotta per il potere, lo sforzo di costruzione continua, non senza difficoltà né contraddizioni. Occorre innanzitutto ripristinare l'apparato politico-amministrativo. In origine l'obiettivo è quello di procedere dal basso all'alto. Ma i disordini, che continuano a turbare la società cinese, rendono inoperante la procedura prevista. Nel 1970 è data dunque priorità alla ricostruzione dei comitati provinciali. Condotta con il sostegno dell'esercito, l'operazione si conclude nell'estate del 1971. I militari sono molto più numerosi in questi nuovi comitati provinciali del Partito e nei comitati rivoluzionari fondati durante la Rivoluzione culturale. I quadri regionali, allontanati alcuni anni prima, quando la loro riapparizione di queste nuove stanze, come Zhao Ziyang. Cumulando la direzione dei comitati provinciali e quelle dei comitati rivoluzionari, i militari mettono insieme, tra le proprie mani, i poteri del Partito e quello dello Stato. Ma la disciplina politica, la fedeltà al regime impedisce loro di trasformare questo potere in dittatura militare. Anche nel campo economico i radicali non tardano a trovarsi sulla difensiva. Viene attivato il movimento di imitazione di Dazhai come risposta al violento conflitto tra la vecchia sinistra della Rivoluzione culturale da un lato, e ciò che resta degli amministratori delegati ai comandanti regionali dell'altro. Approfittando dei disordini della Rivoluzione culturale, i contadini hanno effettivamente acquistato molta libertà con il sistema collettivo. Le consegne obbligatorie si effettuano malamente, i campi della squadra sono trascurati a vantaggio dei campicelli privati, i mercati plurali si moltiplicano. Agli inizi degli anni 60 la brigata di Dazhai viene presa come esempio dalla stampa nel corso del Movimento per l'educazione socialista. La si loda perché distribuisce i punti-lavoro in modo egualitario e a rotazione di campicelli privati. Questa riorganizzazione è abbastanza efficace da provocare molto malcontento e talvolta resistenze aperte, viene criticata la deviazione egualitaria di questa politica agricola. Di conseguenza nel 71 questo sistema viene abbandonato e si pensa perfino di riportare l'unità di proprietà e di contabilità, ossia a collettivizzazione di tre o quattro famiglie. Il sistema educativo è riesaminato, i principi di selezione in vigore negli anni 61-65 ricominciano ad aprire i collegi e le università. Il reclutamento dei dissidenti non avviene più unicamente su raccomandazione politica dell'unità di origine. Nel campo geologico si critica la pigrizia mentale che ha condotto le masse ad accontentarsi della lettura del Libro rosso ( emblema della Rivoluzione culturale). Nel 62 viene lanciato il movimento di studio del marxismo che redige un elenco delle opere di Marx, Engels, Lenin, Mao Zedong la cui lettura è raccomandata ai membri del Partito. Di fronte a questo riaggiustamento, i radicali organizzano la propria difesa. L'eliminazione di Lin Biao, il ritorno dei vecchi quadri, l'intervento degli elementi militari più moderati non bastano dunque a imporre la politica di riaggiustamento, né a prevenire le insorgenze del radicalismo ereditato dalla Rivoluzione culturale. Il X congresso del Partito offre l'occasione di fare punto della situazione nel 1973. • Il X congresso del Partito (1973) Riunito nella massima segretezza, il congresso ha come obiettivo quello di rendere ufficiale l'eliminazione di Lin Biao e di fare scomparire il suo nome dagli statuti del Partito. Vengono pubblicati tre documenti che mostrano la contraddizione dovuta alla mancanza di accordo tra le fazioni. Il compromesso appare come particolarmente superficiale e fragile. • La crisi di regime Indebolito dall'età, Mao Zedong è sempre più soggetto dall'influenza della sua cerchia. Nonostante i brevi sussulti di energia e ritorni di lucidità, diviene ostaggio di una cricca del palazzo, dominata dalla moglie Jiang Qing. Impegnato anche lui in una gara di velocità con la morte, Zhou Enlai cerca di preservare la produzione economica, l'attività di governo, di impedire il ritorno di disordine e di far trionfare la campagna anticonfuciana. Ma è costretto a soggiorni sempre più lunghi in ospedale e perciò affidata a Deng Xiaoping nel 1975 la realizzazione del programma della Quattro Modernizzazioni. Nel 76 la scomparsa del primo ministro lascia il campo libero alla fazione radicale Zhou Enlai, Jiang Qing e i suoi seguaci, più tardi battezzati la Banda dei quattro, s'impadroniscono delle leve di comando. Ma il potere, che nasce esclusivamente dall'accettazione di un capo carismatico, non sopravvive alla morte di quest'ultimo nel 1976. • La Campagna contro Confucio 1973-1974 Nel 1973 i radicali si mettono a denunciare i loro avversari come Confucio. Questa riconversione delle terminologie e degli insulti segnala l'isolamento della Cina e la sua lontananza da un internazionalismo proletario, che non le accorda un posto proporzionale alle sue ambizioni. Tende a respingere la comunicazione a un gruppo ristretto di iniziati. Questa maniera di suggerire senza dire comporta necessariamente un margine d'incertezza e d'ambiguità. Ciò che rende particolarmente complessa la Campagna contro Confucio è indubbiamente l'eccezionale capacità manovriera di un Zhou Enlai, abile a utilizzare la parte del non detto. Nell'autunno 1973 il primo ministro e i suoi collaboratori riescono ad assumere il controllo della campagna, della quella si servono per criticare e rigettare l'eredità della Rivoluzione culturale, e per mettere a loro volta sotto accusa i radicali. Anche se la campagna si estende su scala nazionale, quando milioni di cinesi sono esortati a leggere e a commentare e a riflettere sulla tradizione confuciana, ma il movimento non sembra una generazione perduta. Gli ultimi anni dell'era maoista non sono molto favorevoli nemmeno agli intellettuali, che non si sono ancora ripresi dai colpi inferti loro dalla Rivoluzione culturale. Tacciono gli intellettuali, non producono più nulla. • Verso una disintegrazione della società urbana: il fazionalismo della base. In questa condizione la vita economica e sociale delle città cinesi diventa sempre più difficile. Le perdite della produzione e della produzione industriale causate dalla disorganizzazione delle imprese e dei trasporti. Le conseguenze di questa regressione si fanno sentire sulla vita quotidiana dei residenti urbani. Le razioni di olio e di carne vengono ridotte, i mercati vengono riforniti sempre meno di legumi freschi. Per ottenere beni durevoli: biciclette, macchine da cucire – è necessario aspettare mesi se non addirittura anni. Il mercato nero si sviluppa e fiorisce. In una società così in frantumi, la violenza di classe lascia il posto alla violenza tra gruppi, e la violenza diventa abituale per risolverli. Quando la crisi si aggrava, non resta che fare intervenire l'esercito, come ad Hangzhou nel 1975. La frammentazione sociale stimola lo sviluppo del fazionalismo. Il fazionalismo della base si sviluppa rapidamente perché l'appartenenza a un gruppo (una banda, una gang o fazione) è il mezzo migliore, spesso il solo, per garantire la propria sicurezza e soddisfare i bisogni materiali. Le solidarietà primarie diventano nuovamente più imp ortanti e più utili della lealtà verso il Partito o lo Stato. • La società urbana di fronte al regime: opposizione o spoliticizzazione? L'aumento dell'anarchia, della criminalità (furto, violenza, prostituzione) in una società urbana ormai meno controllata non segna soltanto il ritorno dei vecchi demoni. Lo si può anche interpretare come l'espressione di un'opposizione politica e delitto politico. Capita ovviamente che, negli ambienti studenteschi, la contestazione assuma una forma più esplicita, più specificamente politica. Tre ex guardie rosse firmano un manifesto di 20,000 caratteri che affliggono sui muri di Canton. Intitolato A proposito della democrazia e della legalità sotto il socialismo, il manifesto attacca la nuova classe, denuncia il fallimento della Rivoluzione culturale, pretende l'instaurazione di una vera democrazia nel quadro del socialismo. PARTE TERZA VITTORIA E CRISI DEL PRAGMATISMO 1976-1989 CAPITOLO 9 • L'era di Deng Xiaoping: demaoizzazione e modernizzazione La storia del postmaoismo comincia non con la morte di Mao Zadong, ma con la vittoria di Deng Xiaoping in occasione del terzo plenum del IX Comitato centrale del 1978. Dopo un periodo di transizione durato poco più di 2 anni, durante il quale il successore di Mao Zedong, Hua Guofeng, cerca invano di affermare la propria autorità, Deng Xiaoping prende il potere. Il terzo plenum lancia la demaoizzazione così come il XX Congresso aveva aperto la via alla destalinizzazione. Si possono riscontrare molte analogie tra questi movimenti che mirano entrambi ad abolire il culto del dittatore defunto e a cancellare gli errori e i crimini del loro regno. La demaoizzazione sembra tuttavia più ampia e approda a cambiamenti più radicali. E' più controllata ed è condotta con prudenza ideologica e politica. La fortuna della demaoizzazione è proprio quella di essere favorita da un uomo politico di altra levatura rispetto al focoso e pasticcione Nikita Krusciov. Deng Xiaoping ha partecipato a tutte le lotte rivoluzionarie. Viceprimo ministro Zhou Enlai dal 1952 è stato uno dei più importanti fondatori della Repubblica popolare. Deng Xiaoping a differenza di Kruscov e Hua Guogen non appare come complice degli orrori del dittatore, non si é mai spostato dalla linea pragmatica. Deng Xiaoping non ha nemmeno preso parte a una politica di repressione, della quale è stato lui stesso vittima di due riprese. La sua denuncia della Rivoluzione e degli eccessi maoisti è priva di ambiguità. Ciò è accompagnato da una serie di riforme, la cui portata supera di gran lunga quella delle consuete riforme successorie nei paesi socialisti. Le riforme hanno come obiettivo di ripristinare l'economia e della modernizzazione. 1. Hua Guofeng e la transazione neomaoista 1976-78 Nonostante le sue manovre, nonostante le distanze che prende dall'estrema sinistra e l'incoraggiamento che dà al culto della propria personalità, Hua Guofend non riesce a conservare il potere che Mao Zedong gli ha lasciato in eredità. Nel terzo plenum del 1978 è costretto a farsi da parte a favore di Deng Xiaoping. • L'eliminazione della Banda dei quattro Nelle settimane che seguono la morte di Mao Zedong due complotti si preparano parallelamente. Il primo è quello contro della Banda dei quattro, dei radicali guidati da Jiang Qing. Il secondo complotto è quello che associa il primo ministro Hua Guofeng a certi alti responsabili dell'apparato civile e militare. Ha successo il secondo complotto; Jiang Qing e i suoi complici vengono arrestati senza nessun preavviso. Hua Guofeng viene eletto come presidente del Comitato centrale e della Commissione degli affari militari. Così la scomparsa di Mao Zedong comporta la frattura immediata della fazione maoista. Le fedeltà che andavano a Mao Zedong si sono trasferite alla sua vedova solo molto parzialmente. Si è già visto precedentemente che Hua Guofeng pur associandosi ai radicali e applicando la loro politica, non si era asservito al loro gruppo. La morte di Mao Zedong apre dunque la strada alle sue ambizioni personali. Hua Guofeng può contare sul sostegno, decisivo per il successo del colpo di stato, di un altro maoista affermato Wang Dongxing. Wang entra nell'Ufficio politico del Comitato centrale e ne diventa membro titolare, tuttavia non abbandona i suoi compiti polizieschi. Hua Guofeng beneficia inoltre dell'appoggio dei grandi comandanti regionali dell'apparato politico di Pechino. Può infine contare sull'alleanza dei grandi capi militari del sud. Di fronte a questa collezione la Banda dei quattro sembra relativamente isolata, con l'unico punto di appoggio Shanghai. Inoltre radicali contano sulle organizzazioni di massa, e in particolare sulle milizie. • Impossibile compromesso tra Hua Guofeng e Deng Xiaoping 1977-78 La vittoria straordinariamente rapida di Hua Guofeng sui rivali non riesce tuttavia consolidare il suo potere. La coalizione sulla quale si fonda, e in effetti troppo disparata, le sue capacità di manovra politica sono troppo limitate perché non scoppiano violente contraddizioni tra i politici e il popolo. Padronissimo Hua Guofeng di denunciare radicali e di allontanare i loro collaboratori più immediati, ma non può spingersi oltre, a rischio di sconfessare se stesso, e peggio ancora, di rinnegare Mao Zadong, principale artefice della Rivoluzione culturale. Come rimettere in discussione la saggezza di colui che lo fatto re? Ma tra gli alleati di Hua Guofeng ce ne sono alcuni che non si accontentano né di un maoismo rinsavito, né di una epurazione limitata. I generali esigono il ritorno della politica del loro protetto Deng Xiaoping. Il secondo ritorno di Deng Xiaoping nel 1977-78 mette Hua Guofeng sulla difensiva, lui isola e lo paralizza ancora prima che sia privato ufficialmente dei suoi titoli e delle sue funzioni. Deng Xiaoping indirizza una lettera a Hua Guofeng per scusarsi degli errori commessi nel 1975. Ma queste autocritiche e l'accenno di fedeltà non bastavano a rassicurarlo, non fossero giunte le pressioni dei capi militari del sud. Il congresso sancisce l'ascesa di Deng Xiaoping come uno dei quattro vice presidenti del partito. Le grandi manovre della primavera dell'estate del 1977 si sono dunque concluse con la spartizione del potere. Deng Xiaoping conduce una guerra fatta di scaramucce- slogan e controslogan, campagne e controcampagne- e si concludono con la disfatta dei neomaoisti. Vittorioso, Deng Xiaoping procederà con una certa calma e molto prudenza a liquidare politicamente i suoi avversari. Vengono allontanati gli alleati di Hua Guofeng nel 1980, poi Hua Guofeng stesso e lo sostituisce come primo viceministro. Nel 1981 prende il posto anche di presidente del Partito. • Ambiguità della linea politica durante la transizione. Le precauzioni di cui si serve Deng Xiaoping per riconquistare il potere, gli sforzi tentati da Hua Guofeng per dare garanzie a sostenitori maoisti, rendono particolarmente ambigua la linea politica cinese durante gli anni di transizione. Sul piano ideologico la posta del conflitto é il pensiero di Mao Zadong. Il discorso dominante è quello dei maoisti. Ma nel corso dei mesi si fa sempre maggior fatica a nascondere la dissonanza pragmatica. Deng Xiaoping approfitta della Conferenza sulle scienze nel 1978, per avviare la riconciliazione del regime con gli intellettuali e gli esperti. In questa occasione non esorta a non perdere più tempo in numerose riunioni politiche ma al loro lavoro di intellettuali. Come sempre la politica economica rimane la pietra di paragone della linea politica. Gli anni della demaoizzazione economica, nell'epoca di transizione, sembrano ancora più sfumati e in certi di quelli della demaoizzazione ideologica e politica. Presentato da Hua Guofeng nel 1978, il grande piano decennale é un progetto ibrido che si configura come la duplice filiazione del Grande balzo in avanti del 1958 e delle Quattro Modernizzazioni del 1975. La priorità viene accordata all'industria pesante e alla siderurgia. In funzione al piano decennale – 1976/ 85- viene proposta una strategia di 30 punti elaborati sotto l'egida di Deng Xiaoping. Tra più importanti ricordiamo: il ritorno agli incentivi materiali, il ripristino della disciplina nel lavoro, il rafforzamento dei quadri e della direzione, lo sviluppo dell'importazione di tecnologie straniere. La crescita riguarda soprattutto l'industria pesante, così come l'eliminazione pressoché totale di piccole imprese familiari che lascia molti lavoratori senza occupazione. Le attrezzature non sono moderne, sono generalmente tenute male, funzionano in modo imperfetto, consumano troppo e forniscono prodotti mediocri. Si ritiene che per il 60% debbano essere sostituite. Le fabbriche di Stato operano spesso in perdita e i loro prodotti non corrispondono domanda. Il solo aspetto veramente positivo del bilancio è la flessibilità del tasso di natalità. • Strategia del riaggiustamento e il successo della collettivizzazione rurale. Coloro che costituiscono la maggioranza di Deng Xiaoping nel terzo plenum del 1978 concordano sulla necessità di una riforma economica, ma non tutti la intendono allo stesso modo e loro intesa rimane ambigua. La principale conquista di questa riforma è la decollettivizzazione progressiva nel settore agricolo, attraverso l'attuazione del sistema delle responsabilità. La strategia del riaggiustamento che è stata elaborata progressivamente nei mesi successivi. Il ritorno all'impresa familiare è accompagnato da una tendenza cresciuta alla specializzazione e alla commercializzazione delle colture. Certe famiglie di specialisti si dedicano quasi esclusivamente ad attività come la piscicoltura, l'allevamento, l'arboricoltura che smaltiscono sul mercato la maggior parte della loro produzione. Nelle campagne la liberalizzazione riguarda non solo l'agricoltura, ma anche tutte le attività economiche, ivi compresi il commercio, i trasporti, l'artigianato e le piccole industrie. Si assiste alla soppressione delle consegne obbligatorie di quote lo Stato, la scomparsa delle comuni popolari e la riduzione delle strutture collettive. Molto rapidamente la decollettivizzazione rurale si è conclusa con spettacolari aumenti di produzione con un record di 407 milioni di tonnellate di granaglie. Nel settore industriale e urbano, tuttavia la politica di raggiustamento non consegue gli stessi successi. Viene introdotta una riforma limitata: alcune imprese di Stato ricevono una maggiore autonomia finanziaria e un accresciuto potere decisionale. Tuttavia, molto rapidamente, la piccola riforma è bloccata. • Rilancio del terzo plenum 1984 e boom industriale 1984-85. I dirigenti erano consapevoli della necessità di una riforma per regolare il mercato in vista di uno sviluppo più armonioso e rapido. Poiché il controllo dell'economia attraverso il mercato si basa essenzialmente sul gioco dei prezzi, è necessario riformare innanzitutto il sistema razionale dei prezzi cinesi, fissati senza tener conto delle variazioni di qualità e di rarità dei prodotti ( ad esempio i prodotti energetici vengono venduti ad un prezzo nettamente inferiore rispetto ai mercati mondiali). Quindi la liberalizzazione progressiva dei prezzi é al centro del progetto di riforma. Le imprese vedranno aumentare propri diritti e il proprio potere: - organizzeranno autonomamente la propria amministrazione – le proprie attività di produzione – il reclutamento che la redistribuzione del personale. In breve diventeranno indipendenti. La politica di raggiustamento ha consumato la rottura con i maoismo. Implica forse anche una rottura con il socialismo? Il finanziamento delle imprese del settore statale è trasformato. I prestiti bancari sostituiscono le sovvenzioni governative. La tassazione fiscale sostituisce il trasferimento di tutti i guadagni nelle casse dello Stato. Incentivata da questi provvedimenti, l'attività delle imprese del settore statale conosce uno sviluppo rapido. I risultati più spettacolari sono quelli dell'industria leggera; le industrie pesante sono più lente. La riforma dei prezzi è congelata e la maggior parte dei diritti che erano appena stati concessi alle imprese sono soppressi. Il governo chiede alle banche di ridurre drasticamente i prestiti. Il sistema resiste tuttavia ai violenti scossoni che li vengono così imposti. La politica delle Quattro Modernizzazioni deriva da una decisione presa dal vertice, risponde alle esigenze della Cina, importando le conoscenze messe a punto nei paesi più avanzati. I paesi evoluti sono i principali fornitori della Cina, anche se il commercio con questi paesi si chiude regolarmente in deficit. Il deficit poi si è addirittura accentuato nel 1985, così le autorità cinesi hanno reagito aumentando i tassi doganali e rafforzando il dispositivo di controllo sulle importazioni. --------> RITORNO AL PROTEZIONISMO!!! Adottando queste tendenze protezionistiche, la Cina voleva migliorare le proprie capacità di esportazione. Istituisce le zone economiche speciali destinate ad accogliere investimenti cinesi d'oltremare o di stranieri grazie a provvedimenti di incentivazione: esoneri fiscali, esenzioni doganali, finanziamenti dei lavori di infrastruttura. L'integrazione della Cina nelle relazioni economiche internazionali si sviluppa anche con la sua adesione alle grandi organizzazioni, come il Fondo Monetario Internazionale nel 1980, la Banca internazionale per la ricostruzione lo sviluppo sempre nello stesso anno, l'Ufficio internazionale del lavoro nell'83, l'Agenzia internazionale per l'energia atomica nell'83, la Banca asiatica di sviluppo nell'85. L'apertura è anch'essa una garanzia per la riforma, ma ha anche le sue debolezze dovute alla critica indirizzate a tale apertura suscitate dall'odio passato coloniale. Per mobilitare l'opinione pubblica si fa leva sul nazionalismo, ed eventualmente sulla xenofobia piuttosto che sugli incentivi ideologici e sulla pianificazione. Nonostante i rischi ai quali è esposto, il processo di riforma di pretura é dunque proseguito fin dal 1978. CAPITOLO DECIMO LE 4 MODERNIZZAZIONI E IL SOCIALISMO CINESE Pragmatica nella sua essenza, la riforma si sforza di rispondere più all'urgenza economica che a qualche ambizione ideologica. Si tratta di accelerare lo sviluppo per far fronte alle conseguenze di una crescita demografica a lungo incontrollata. L'attuazione delle Quattro Modernizzazioni porta in effetti modifiche importanti sul funzionamento della società e alla gerarchia dei valori. I dirigenti di Pechino rispondono ai quesiti sul tempo necessario per l'applicazione della riforma con una definizione: Socialismo alla cinese. La riforma caldeggiata da Deng Xiaoping appello alla società e alle sue capacità creative per accelerare la modernizzazione. Per lasciar libero il corso alle iniziative degli agenti sociali, il Partito accettato di eliminare certi obblighi. La riforma è quindi accompagnata da un ritorno del sociale. Ricompaiono molte forze che si erano credute distrutte dall'azione di una burocrazia pianificatrice e centralizzatrice. Alcune misure riformatrici colpiscono in modo più o meno favorevole l'uno o l'altro gruppo sociale, provocando come ripercussione reazioni di cooperazione o di difesa. 1. Riforma e società rurale. La decollettivizzazione della produzione agricola e delle attività del settore rurale ha comportato un aumento spettacolare della produzione e delle rendite contadine che si sono triplicate tra il 79 e l'85. I contadini hanno beneficiato della redistribuzione della ricchezza nazionale operata attraverso il rialzo dei prezzi agricoli. Durante lo stesso periodo il reddito individuale si è elevato del 131%. Anche se l'aumento di questi redditi rimane in gran parte nominale, perchè i contadini consumano direttamente la maggior parte dei prodotti che producono, tuttavia comporta un accrescimento sensibile del potere di acquisto che viene investito, da un lato, in beni di consumo e dall'altro nella costruzione delle nuove abitazioni. • La riforma e il funzionamento interno della società rurale. All'interno della società la riforma comporta un aumento delle disparità sociali. Nessun meccanismo amministrativo viene attivato per garantire la distribuzione delle risorse. Il lavoro femminile si trova privato di riconoscimento sociale e, di conseguenza, svalutato. Ma la lacerazione più profonda che la riforma rischia d'infliggere al tessuto della società rurale è la partenza di 200 milioni di contadini, che, da qui alla fine del secolo, dovranno abbandonare i lavori dei campi per permettere l'agricoltura di modernizzarsi per davvero. Inoltre all'interno della collettività stessa, i nuclei familiari in difficoltà avevano diritto a redistribuzioni di viveri anche se non guadagnavano abbastanza punti-lavoro per pagarne il prezzo. Il loro debito aumentava. Accanto ai nuovi poveri la riforma crea nuovi ricchi con un reddito annuo di 10.000 yuan, si sviluppano le famiglie specializzate in colture commerciali (zucchero, sostanze oleose) dal prezzo più elevato di quello dei cereali, oppure che si specializzano nel settore dei servizi come rapporti individuali. Nelle ragioni più ricche la differenza si approfondisce anche tra i redditi dei contadini che continuano a lavorare la terra e quelli che si sono impiegati nelle nuove imprese artigiani e industriali. In una società che per quattro decenni è stata nutrita d'ideali egualitari, simili situazioni sono talvolta vissute molto male. Scoppiano le violenze, saccheggiano i loro beni e distruggono le loro attrezzature. Il declino del ruolo e dello statuto delle donne appare in compenso come un fenomeno generale. Le mogli, le figlie delle famiglie contadine lavorano ormai all'interno del nucleo famigliare e sono sottoposte all'autorità del capofamiglia che si è sostituito al capo della squadra per la distribuzione dei compiti. La riforma tende a risuscitare un'autorità patriarcale. Il rinnovamento dell'impresa familiare valorizza il ruolo del figlio: è il suo lavoro che permette di mantenere e di sviluppare la produzione e, più in là, i genitori troveranno in lui la necessaria protezione per la loro vecchiaia. La madre che partorisce solo figlie è sempre stata disapprovata dalla società tradizionale. Ma nella Cina di Deng Xiaoping cerca di pianificare le nascite sul figlio unico. Le principali vittime del conflitto sono le neonate, uccise alla nascita, per lasciare alla coppia la possibilità di mettere al mondo un altro figlio, di avere la fortuna di fare nascere un figlio maschio. Ora, per certe ragioni economiche già ricordato precedentemente, ma anche per fedeltà a valori tradizionali riscoperti, la popolazione rurale si mostra molto riluttante alla limitazione delle nascite. La politica del figlio unico, adottata fin dal 1979, fatica molto a imporsi nelle campagne. Le autorità si scontrano con una resistenza generale, compresa quella dei quadri locali, molti dei quali hanno parecchi figli. Le donne si astengono dal dichiarare la loro gravidanza, fuggono nei villaggi vicini per partorirvi di nascosto. Di fronte a questa resistenza, vengono adottate delle forme di grande brutalità; vengono istituiti dei servizi di sicurezza per procedere a vere e proprie retate di donne incinte che vengono condotte in ospedale per abortire. Se la crescita demografica non è controllata, la scommessa delle quattro modernizzazioni sarà che rifiutano di schierarsi dalla parte della Chiesa patriottica ufficiale. Anche grandi monasteri buddisti sono restaurati e accolgono nuovamente folle di fedeli. Ma il Dalai Lama, capo religioso della comunità tibetana, non ha comunque accettato di rendersi garante, con il suo ritorno dall'esilio, della credibilità di questa politica di tolleranza. Gli scrittori e gli artisti hanno ritrovato una certa libertà di creazione. Ma le loro attività sono tuttavia oggetto di una sorveglianza attenta, costellate da richiami all'ordine. Scoppiano manifestazioni riprendono come bersaglio lo squilibrio di scambi commerciali e sull'invasione di prodotti di consumo giapponesi sul mercato interno, Tuttavia continua ad attuare la politica di apertura perché necessita di tecnologie, capitali stranieri e di prodotti. Ma i ricordi delle sofferenze e delle umiliazioni della guerra 1937-45 sono profondamente radicati nella memoria collettiva, si fa appello al patriottismo per attaccare questa politica di apertura. Per il regime il rischio rappresentato dall'apertura sociale, non è tanto quello di proiettare il paese sulla via del capitalismo, quanto quello di ripiombare nelle divisioni, nel particolarismo e nell'arretratezza. • Pragmatismo e legittimità. Secondo la dottrina di Xiaoping non è importante che valori dipendano dall'ideologia socialista o dalla tradizione confuciana, purché servano alla riforma. In attesa che si generalizzi il sistema pensionistico, si affida alla famiglia l'onere di provvedere vecchi o a coloro che sono stati spinti ad abbandonare precocemente il proprio posto di lavoro, per lasciarlo ai giovani disoccupati. La stampa ha moltiplicato nelle campagne a favore della pietà filiale e citato come esempio “le buone suocere e le nuore premurose”. In compenso questa stessa stampa si scaglia contro il pregiudizio che favorisce i figli maschi, richiama all'ordine di scrittori e artisti e il ritorno dei valori della famiglia. La flessibilità di questa politica contribuisce alla sua efficacia, ma fa nascere una certa confusione, nociva ai fondamenti ideologici del potere e violentemente denunciata come tale dagli avversari di Deng. Per restaurare una legittimità già scossa dalla demaoizzazione, Deng Xiaoping cerca di radicarla i nuovi miti fondatori, di cercare un passato più lontano la tradizione per rivendicare l'eredità. La battaglia della legittimità si ingaggia, dunque essenzialmente sul terreno degli interessi nazionali: unità, modernizzazione, sovranità. I detrattori della riforma cercano di screditarla agli occhi dell'opinione pubblica sottolineando la somiglianza della tortura con le nuove vicende coloniali. Nuove pene vengono previste per colpire reati di natura economica, anche se la sua applicazione si rivela arbitraria. I principali responsabili dello scandalo di Hainan non sono stati citati in tribunale, mentre due quadri cantonese sono stati condannati a morte per aver accettato bustarelle da uomini d'affari di Hong Kong, i quali facevano commercio di erbe medicinali. Così l'opinione pubblica non si fida granché della macchina giudiziaria, intende considerare la corruzione dei quadri come un problema interno del Partito, e che il Partito stesso deve risolvere. Per Deng Xiaoping, tuttavia non basta rendere il partito più degno della fiducia pubblica, occorre anche renderlo più idoneo ad assicurare i compiti della modernizzazione. CAPITOLO UNDICESIMO Fine il regno fine di regime? L'evoluzione della politica interna al 1986 almeno 1989. A partire dal 1986 il ritmo della riforma economica si accelera determinando l'emergenza di una vera propria economia mista. Ciò provoca numerosi fenomeni di destabilizzazione economica: inflazione, che indebitamento estero, squilibri settoriali e regionali che minacciano di sviluppi ulteriori della riforma. Ma la riforma fatica compiersi, urta sia con la natura del regime, sia con l'importanza delle tradizioni. Le resistenze della burocrazia da una parte e quella della società dell'altra costituiscono un formidabile ostacolo per il progresso auspicati dai dirigenti riformisti. L'anno 1988 è quello dell'inflazione galoppante, del potere impotente, di una politica di austerità irrisa, di un malcontento sociale multiforme e di una contestazione intellettuale sempre più radicale. La prospettiva dell'imminente successione a Deng Xiaoping, rimasto dirigente supremo nonostante il suo semiritiro ufficiale, accresce ulteriormente le incertezze e le tensioni. • L'emergenza di un'economia mista e le turbolenze della riforma (1985-87). A partire dal 1985 l'introduzione dei meccanismi di mercato del vecchio sistema di economia pianificata fa emergere una struttura dualistica. Questo sviluppo è reso possibile da una parziale marcia indietro dello Stato, che rinuncia a controllare numerose attività. In campagna viene meno il monopolio dello Stato sul commercio dei prodotti agricoli. Le vecchie reti ufficiali delle cooperative e delle cooperazioni specializzate si sciolgono, soppiantate dai mercati locali. Nei circuiti finanziari, la Banca popolare in Cina abbandona il proprio monopolio , agisce esclusivamente come una banca centrale, lasciando le operazioni commerciali e i depositi a banche di stato specializzate (dell'agricoltura, industria o del commercio..). La liberalizzazione generale caos e le riorganizzazioni la stagnazione. In campagna, come in città, le difficoltà si moltiplicano. Gli effetti benefici della riforma agraria delle 78-80 si sono esauriti. Il sintomo più inquietante del malessere nel settore agricolo è la stagnazione della produzione cerealicola. L'impresa familiare e l'intensificazione degli investimenti nel lavoro hanno raggiunto i loro limiti. Infrastrutture ne soffrono, soprattutto la manutenzione e lo sviluppo degli impianti di irrigazione. I quadri locali incaricati della spartizione di questi prodotti speculano sulla differenza tra i prezzi ufficiali e prezzi liberi, e i contadini sono generalmente costretti ad acquistare concimi e i pesticidi ad alto prezzo, può a fare nemmeno. La produzione di cereali ne risente. I contadini che si distolgono dalla cultura dei cereali per dedicarsi a produzioni commerciali -soia, thé, ramiè- si scontrano con variazioni erratiche del prezzo delle derrate e coltivano in un mercato frammentario e in balia della speculazione. Questi contadini sono le principali vittime di cicli di violenti rialzi, seguiti da crolli improvvisi, che arricchiscono speculatori. La rapida crescita del settore industriale è accompagnato da fenomeni di surriscaldamento, squilibri e inflazione. Il governo centrale ha in gran parte perduto il controllo del ritmo degli investimenti. Le transazioni e le attività economiche non sono più controllate dalla pianificazione centrale, quando rispondono tuttavia alla domanda del mercato: sono negoziate tra gli amministratori e i burocrati che le proteggono e le sfruttano. Talvolta il rialzo dei prezzi rappresenta un vero proprio adeguamento, ma l'inflazione riflette il funzionamento davvero un perfetto del mercato. Le difficoltà incontrate dalla riforma si sono ripercosse sulle relazioni economiche con l'estero di una Cina ormai inserita meglio nel mercato mondiale, le importazioni crescono e di conseguenza le riserve della Cina si dileguano ricorrendo ai prestiti stranieri, triplicando il debito estero. Nel 1986 viene stabilita un'amministrazione di Stato per controllare gli scambi supervisionare e coordinare le concessioni dei prestiti. Di fronte a questi sbandamenti di imprenditori stranieri si fanno più prudenti. Per restituire più fiducia ai suoi partner, il governo di Pechino è una commissione per gli investimenti stranieri incaricata di semplificare e coordinare le procedure amministrative. Questo miglioramento del quadro regolamentare giuridico permette un certo rilancio delle firme dei contratti l'anno successivo. 2. L'incertezza del potere: dalla liberalizzazione del “Doppio Cento” al XIII congresso del PCC A partire dal 1978 lo sviluppo della riforma non ha cessato di essere costellato da pause temporanee, passi indietro. Ma con l'accelerazione dell'attività riformatrice negli anni 85-86, queste oscillazioni si amplificano, creando delle punte sempre più difficili da superare per la classe politica e burocratica. La riforma si presenta così come una delle poste della lotta tra le fazioni liberale e conservatrice, che aspirano al controllo del potere. • I dibattiti politici e il Doppio Cento dell'estate 1986. Per evidente che sia il loro carattere partigiano, i dibattiti che accompagnano l'intensa attività riformatrice negli anni 85-86 riguardano problemi essenziali e mettono in luce le inquietudini e le speranze. Particolarmente numerose sulla stampa provinciale di critiche rivolte alla riforma esprimono le reazioni di conservatori ostili a ogni pluralismo e di quadri dogmatici, i quali difendono gli interessi delle regioni colpite dal cambiamento. Esse denunciano la degenerazione del Partito e dell'esercito, che la campagna di rettifica lanciata nel 1983 non è riuscita ad arginare. Denunciano l'arretramento dell'ideale socialista di fronte alla crescita dei desideri egoisti. Insorgono contro lo Stato di quasi abbandono delle province, delle quali non piovono più investimenti e le convenzioni del centro. Ma queste critiche ricordano anche l'inquietudine, provato da molti, di fronte all'abbandono della disciplina, all'inefficacia delle direttive centrali, al declino della moralità del fervore ideologico, in breve all'aumento del caos, che minacciano soltanto regime ma la società e la cultura cinese. I conservatori vogliono porre rimedio alla crisi, propugnando un ritorno ai valori morali fondamentali. L'opposizione che fa insorgere questi veterani contro liberali ripropone ancora una volta la frattura che nel 1895-98 preparava già i tradizionalisti illuminati e riformatori, e nel 1919 i sostenitori della realtà nazionale e gli occidentalisti. Favorevoli alle riforme istituzionali e a una lunga apertura all'Occidente- sia culturale, politica economica- i liberali si presentano proprio come gli eredi del movimento del 4 Maggio 1919, che aveva mobilitato la gioventù e una parte degli intellettuali contro la tradizione confuciana. La corrente liberale si è sviluppata sia all'interno del Partito, sia dell'interno della società. Ed è grazie all'iniziativa e all'appoggio di una parte dell'apparato che sboccia nel 1986 un grande movimento di libera discussione e proposte chiamato in riferimento ai Cento Fiori del 1957 il Doppio Cento. Questa campagna trascina con sé una fioritura di critici e di proposte. • La reazione conservatrice e la caduta di Hu Yaobang. sembra essere resa possibile, dall'altra parte, dai buoni risultati economici del 1987. Impennano le importazioni, le riserve in valuta vengono ricostruite. Il Pil è aumentato, nel 1988 il governo decide di riprendere la politica di liberalizzazione dei prezzi sospesa nel 1986. Per prevenire i rincari, i consumatori ricevono un'indennità mensile di 10 yuan. Di fatto queste liberalizzazioni e l'annuncio di quelle future fanno divampare i prezzi, si aggiungono altre gravi pressioni inflazionistiche. Indisciplinate, le aziende aumentano salari e gratifiche senza curarsi di una produttività rimasta indietro. Alla crisi inflattiva si aggiunge e si mescola la crisi agricola. Il raccolto dei cereali del 1988 è ancora mediocre, i prezzi si alzano. Aumentano i controlli per evitare sottrazioni dei raccolti dei contadini. Queste difficoltà economiche alimentano naturalmente le divisioni all'interno degli apparati dirigenti. Il potere appare tragicamente sprovvisto di programma. Il degrado della situazione economica tuttavia impone una sospensione della riforma, che è sancita dal terzo plenum del XIII comitato centrale. L'autorità di Zhao Ziyang si è eclissata. I fallimenti della sua politica hanno effettivamente privato del sostegno di Deng Xiaoping. Il ruolo di Li Peng come viceministro si è rafforzato. La Cina appare in preda a un vero e proprio separatismo economico. Temono anche la disoccupazione e i tumulti che potrebbero essere provocati dalla chiusura delle fabbriche. Le succursali delle banche ufficiali hanno certamente ricevuto l'ordine di chiudere i crediti, mentre quelle più ricche riescono ad assicurare da sole la continuazione della propria espansione. Le aziende preferiscono utilizzare le proprie riserve, vendere partecipazioni ai propri impiegati. Gli interessi economici e politici si alleano per fare pressione sul governo centrale o aggirare le sue direttive. I consumi rimangono eccessivi: i prezzi al dettaglio sono aumentati, i circuiti finanziari paralleli si sono moltiplicati. La crescita del malcontento sociale accompagna queste difficoltà economiche. La politica d'austerità è accettata tanto più malamente dalla popolazione, in quanto colpisce in modo ineguale i diversi gruppi sociali. Il lusso, la corruzione dei quadri e il loro nepotismo sono argomenti d'indignazione generale. La destabilizzazione sociale si manifesta con l'aumento della criminalità. Nelle città 93 milioni di impiegati dello Stato lottano perchè siano loro mantenuti i vantaggi della “ciotola d'acciaio per il riso” ai quali il regime li aveva abituati. Soltanto 7 milioni di lavoratori sono riusciti nel farsi concludere un contratto dai 30 ai 50 anni! Gli operai di Pechino sembrano particolarmente conservatori: in verità godono di vantaggi sociali più consistenti che in qualunque altro luogo. Nel 1989 il peso dell'austerità economica è soprattutto ricaduto sui lavoratori saltuari venuti dalla campagna e non sull'élite degli operai urbani titolari. Nei confronti dei disordini minoritari il potere non fa tanti complimenti e non esita a ricorrere alla forza. Nel Tibet l'ordine è ritornato dopo una severa repressione nel 1987. L'anno successivo trecento giovani monaci trasformano una processione religiosa in una manifestazione per l'indipendenza. La repressione causa cinque morti. Il Dalai Lama suggerisce una soluzione politica, secondo la formula “ un paese, due sistemi” analogo a quello adottato per Hong Kong. Ma la proposta viene respinta dalla Cina. Il più persistente tra gli atteggiamenti di scontentezza è quello degli studenti e degli intellettuali. Alla fine degli anni 70 questi ultimi erano tra i più ardenti sostenitori di Deng Xiaoping, al quale doveva la propria riabilitazione sociale politica dopo le persecuzioni della Rivoluzione culturale. Nel corso degli anni gli intellettuali sono diventati sempre più critici verso la politica riformista, le rimproverano di sacrificare gli interessi a più lunga scadenza del paese. Alle lagnanze degli insegnanti si aggiungono quelli degli studenti sulla qualità del sistema di studio. E denunciano la modestia dei propri salari e confrontano la mediocrità della loro vita materiale con l'agiatezza, giudicata insolente, dei nuovi ricchi. E' così che la serie televisiva Elegia del fiume trasmessa in tv, denuncia la cultura cinese, apportatrice di decadenza, la grande muraglia, simbolo di chiusura e di impotenza di fronte al mondo, ed esorta a una completa apertura all'Occidente. Per effettivo che sia, il malcontento sociale, rimane frammentario: ogni classe, ogni gruppo – contadini, operai, minoranze etniche, studenti, intellettuali -alle proprie lagnanze e le proprie rivendicazioni. Ma intanto è stato costruito un formidabile apparato di sicurezza e di repressione. • Tien-an Men, maggio-giugno 1989. L'esplosione del maggio 1989, più che esplosione si tratta di una lenta messa a fuoco, di un passaggio progressivo dalla crisi ordinaria alla tragedia di una repressione sanguinosa. I contadini-operai, alla ricerca di lavoro, continuano ad ammucchiarsi nelle stazioni, assaltando i treni che portano verso il Guangdong. Le province continuano a resistere al piano di austerità, mentre sale il malumore degli intellettuali. La campagna per la liberazione dei prigionieri politici si allarga e le petizioni degli scienziati e dei professori universitari si moltiplicano. Nel Tibet la morte del Lama nel 1989, porta con sé tutta una serie di manifestazioni religiose e indipendenti. Apparentemente il partito sembra unito per reprimere, violentemente questa volta, i nuovi gravi tumulti che scoppiano a Lhasa il 5 marzo. Ma attraverso l'autocritica collettiva sembra che sia preso di mira Zhao Ziyang. I veterani nel 1987 hanno avuto ragione su Hu Yoabang, e si prepara indubbiamente la caduta del suo successore e continuatore. Ma l'operazione non è facile. Come, in effetti, dissociare l'azione di Zhao Ziyang a quella di Deng Xiaoping? Inoltre Zhao beneficiava dell'appoggio nelle province costiere e nell'area liberale dell'apparato. Ma nel frattempo il regime si trova a dover fare i conti con la più grave crisi in cui si sia imbattuto dalla morte di Mao Zadong. Questa crisi dura sette settimane e attraversa cinque episodi: il lutto, la sfida, la tregua, il confronto, il massacro. Per quanto i disordini si estendono in numerose città, è a Pechino, sulla piazza di Tien-an Men, importante luogo simbolico del regime, che la crisi si avvia e si conclude. Ancora una volta i campus si coprono di manifesti murali che denunciano l'abbandono della riforma politica, il ritorno del conservatorismo, i metodi giudicati dittatoriali di Deng Xiaoping. La manifestazione illegale del 27 aprile riunisce 50,000 studenti, ai quali la popolazione comincia a testimoniare la propria simpatia. Il tutto si conclude con una repressione violenta. Ritornato da una visita ufficiale in Corea del Nord, Zhao Ziyang esorta a una soluzione negoziata della crisi. Approfittando della tregua, l'atmosfera si distende ,Zhao può affermare che gli studenti non sono ostili al regime. Il giorno dopo molti istituti e università decidono di riprendere i corsi. La piazza di Tien-an Men comincia a vuotarsi. La fine del movimento sembra prossima. Ma gli studenti più radicali rifiutano la smobilitazione, dal momento che nessuna delle loro rivendicazioni è stata soddisfatta. Decidono di ricorrere allo sciopero della fame. Alla vigilia della visita ufficiale di Gorbaciov, 2000 scioperanti si installano sulla piazza. Lo sciopero della fame minaccia dunque di screditare il regime, proprio quando si contava di ristabilire la calma in occasione della visita ufficiale di Gorbaciov. Questa visita al contrario, fornisce ai contestatori l' occasione per affermare la loro presenza e le loro rivendicazioni. Hu Yoabang diventa modello del riformatore democratico, che gli studenti cinesi propongono e contrappongono ai propri dirigenti. I mezzi di informazione simpatizzano con gli scioperanti della fame Le manifestazioni si estendono in numerose città. Il regno di Deng Xiaoping sta per concludersi? L'imposizione della legge marziale,annunciata da Li Peng, non è un colpo di Stato, è una vittoria politica dei conservatori. Ma l'APL rifiuta di intromettersi negli scontri tra fazioni, arretra di fronte all'uso della forza contro la popolazione. Il 21 maggio la città è nelle mani dei pechinesi esultanti. È forse la fine del regime? I giorni che seguono sono quelle di un'attesa, nella quale s'incrociano solo dicerie. Gli studenti si sforzano di amministrare al meglio spazi di libertà che hanno conquistato. Ma abbandonato se stesso, il movimento fa fatica a trovare nuova ispirazione. Dietro le quinte del potere continuano i negoziati e i compromessi. Una riunione dell'ufficio politico si tiene il 23 e il 24 maggio, non arrivava nessuna conclusione. Si rivela difficile trovare nel partito la maggioranza che deve condannare Zhao Ziyang. E non si sa nemmeno bene se gli eserciti che circondano Pechino siano là per tenere a bada gli studenti ribelli, o per sorvegliarsi e neutralizzarsi a vicenda. Il riflusso della mobilitazione popolare, il silenzio del potere e l'intensificazione dei movimenti di truppe fanno temere la guerra civile e il caos. Ma il confronto si chiude con un massacro selvaggio. Il 4 giugno l'esercito con il proprio ingresso a Pechino, sparando con il mitra sulla popolazione che cerca di opporsi con le mani nude alla sua avanzata, sgomberando la piazza Tien-an Men. In 9 giugno, in un discorso televisivo, Deng Xiaoping si assume la responsabilità della repressione e condanna il movimento studentesco come il tentativo controrivoluzionario e di rovesciamento del partito comunista. La caccia ai contestatori e ai loro simpatizzanti è aperta. • Crisi di successione o di regime? Nato tra gli studenti, il movimento della contestazione si è esteso nel corso delle settimane a numerosi gruppi sociali: quadri, giornalisti, operaie, piccoli imprenditori privati e persino ad alcuni elementi della polizia o dell'esercito. Sei studenti hanno sostenuto i temi della libertà e della democrazia, la folla è invece stata mobilitata dalla denuncia della corruzione. Le rivalità tra fazioni, che si approfondiscono con l'avvicinarsi della successione di Deng Xiaoping, hanno svolto un ruolo importante negli avvenimenti. Esse paralizzano il potere giorno dopo giorno. Gli attacchi della folla contro dirigenti sono stati selettivi: il nome di Li Peng e di Deng Xiaoping sono stati svillaneggiati, quello di Zhao Ziyang è stato non acclamato. L'Apl ha certamente svolto un ruolo determinante nella crisi. Ma non si tratta di un putsh militare, ma efficaci baluardi contro le tentazioni di colpo di Stato. I contadini non si sono mossi. Il movimento del maggio 1989, come quello del maggio 1919, al quale si ispira, mobilita dunque soltanto la città. E neppure queste sono tutte ugualmente impegnate nella contestazione. La riluttanza delle città meridionali, e in particolare di Canton, è stata sottolineata. Se la tragedia di Tien-an Men aspetta ancora il verdetto della storia, c'è un campo nel quale le sue Conferenza dei partiti comunisti a Mosca nel 1960 e del XXII congresso, due crisi internazionali sanciscono il futuro: la guerra di frontiera cino-indiana del 1962 e la crisi cubana dello stesso anno. Mentre l'Unione Sovietica, preoccupata di salvaguardare la distensione, accetta di ritirare i suoi missili dall'isola il 26 ottobre, la propaganda cinese intona l'inno della resistenza all'imperialismo americano,e incoraggia i cubani a resistere. La conferenza cino-sovietica del 1963 tenta di ridurre le divergenze tra le due potenze, si riduce con la rottura del dialogo. Nello stesso tempo la firma, a Mosca, del Trattato sulla cessazione degli esperimenti nucleari nell'atmosfera rende concreti i primi risultati di una politica di distensione russo americana, sempre violentemente condannata dalla Cina. Ormai l'ostilità cinese si esprime senza riserve. Dal momento che la Cina non è riuscita ad ottenere il primato in questo campo, non esita a portarvi la divisione. L'autunno 1963 Pechino incoraggia dunque la creazione di partiti marxisti-leninisti in diversi paesi europei, asiatici e latino-americani. La Cina denuncia i trattati ineguali dell'epoca zarista, avrebbero portato via importanti territori alla sovranità di Pechino. La Cina esige dunque una revisione generale del tracciato delle frontiere. Le violente manifestazioni xenofobe che caratterizza la Rivoluzione culturale ai suoi inizi nel 1966- 67 assume spesso un tono antisovietico. Gli incidenti si moltiplicano e le famiglie dei diplomatici russi sono evacuate da Pechino. Ma è con l'invasione sovietica della Cecoslovacchia, nel 1968, che la crisi entra nella sua fase più acuta. Le autorità cinesi denunciano il crimine abominevole e attaccano il Patto di Varsavia, visto come strumento dell'espansionismo sovietico. La tensione non cessa di crescere fino a marzo 1969 quando un primo incidente si verifica nell'isola di Chen Bao sul medio Ussuri. In tutte le grandi città si organizzano manifestazioni che riuniscono milioni di persone: 1 milione a Pechino e 10 milioni a Shangai. Così il conflitto ideologico è degenerato in frenesia nazionalistica. L'inferiorità numerica cinese è palese, è isolata, il solo contropiede possibile alla pressione sovietica sarebbe stata un'iniziativa americana. Di fatto, subito dopo la crisi cecoslovacca, sembra proprio che Zhou Enlai abbia fatto un primo tentativo per stabilire contatti con gli Usa. Ma questo approccio si è scontrato con l'opposizione di Lin Biao e dei radicali. Così all'inizio degli anni 70 la Cina considera gli Stati Uniti il suo principale avversario. Un avversario che si oppone alla riunificazione nazionale e che impedisce al governo di Pechino di svolgere un ruolo internazionale degno di lui, rifiutando di lasciarlo sedere alle Nazioni Unite. La Cina si ritrova così dunque costretta a una relativa prudenza. Ormai la questione di Taiwan non provoca più problemi nello stretto. Ma la retorica cinese raddoppia la violenza contro gli Stati Uniti: condanna l'aggressione americana a Cuba e l'intervento degli Usa. Nel 1964 avvenne l'incidente del golfo di Tonchino tra navi americane e nordvietnamite. Nonostante la violenza dei suoi discorsi, la Cina evita il confronto diretto con gli Stati Uniti, in Vietnam come quello nello stretto di Taiwan. I soli segni di distensione nelle relazioni cino-occidentali sono quelli che la Repubblica popolare cinese stringe con il Giappone sul piano commerciale, e con la Francia sul piano diplomatico. Dopo la rottura dei suoi accordi economici con l'Unione Sovietica, la Cina è costretta a rivolgersi ad alcuni paesi industrializzati non socialisti per procurarsi prodotti che le forniture industriali di cui ha bisogno. Il Giappone diventa il suo principale fornitore. Solo nel decennio successivo, che la distinzione così avviata con l'Occidente si genererà trasformandosi in avvicinamento agli Stati Uniti. • Arretramento dell'influenza cinese in Asia e nel mondo. La dottrina della coesistenza pacifica, che ha permesso alla Cina di fare un ingresso clamoroso sulla scena del terzo mondo alla conferenza di Bandung nel 1954. Trasferendo le proprie rivalità su scala mondiale, Mosca e Pechino si fanno concorrenza nei paesi sottosviluppati dell'Asia, dell'Africa o dell'America Latina. Nonostante alcuni successi locali, la Cina appare piuttosto come la parte perdente in questa competizione. Nell'Asia del sud e del sud-est le buone relazioni stabilite tra la Cina e l'India non durano molto. La rivalità è inevitabile perché perseguono entrambe il primato in Asia. Pechino, infine, si preoccupa per le strette relazioni che uniscono l'India all'Unione Sovietica. L'interesse che l'India nutre per il Tibet è un altro argomento di frizione. Il Dalai-Lama e, dietro a lui, migliaia di tibetani lasciare il proprio paese per cercare rifugio nella vicina India. Alla tensione si aggiunge una contestazione di frontiere che spinge la Cina a reclamare la modifica di tracciati che risalgono all'epoca coloniale. La politica di Pechino dominata dalla seconda guerra del Vietnam comincia nel 1964-1965. I dirigenti maoisti hanno optato per una strategia di “ guerra prolungata”. Il colpo di Stato del generale in Cambogia 1970 offre alla Cina l'occasione di lanciare un'offensiva diplomatica e di riaffermare il proprio ruolo nella penisola, di fronte alla presenza americana e all'influenza sovietica. La Cina accoglie a Pechino il principe Sihanuk, cacciato dal colpo di Stato, e offre il proprio appoggio per organizzare, a Canton, una conferenza dei popoli indocinesi. Questo ritorno della Cina su posizioni di primo piano della scena diplomatica non può granché compensare, l'arretramento della sua influenza in Vietnam del Nord sempre più attirata verso l'Unione Sovietica, né la sconfitta che rappresenta per Pechino la fine della neutralità cambogiana e laotiana, sulle quali la conferenza di Ginevra aveva costruito la riorganizzazione politica della penisola nel 1954, e alle quali la Cina aveva sempre attribuito un'importanza fondamentale. I rapporti con l'Indonesia, rimasti eccellenti fino al 1965, si guastano bruscamente dopo il colpo di Stato. I rapporti diventano tesi anche con la Birmania. La Cina condanna evidentemente la creazione dell'associazione delle nazioni del sud-est asiatico dal 1967, riunisce gli Stati non comunisti della regione: Thailandia, Filippine, Malesia, Indonesia e Singapore. Pechino non intrattiene relazioni diplomatiche con nessuno di esse. Nel Medio Oriente la situazione non è molto più favorevole agli interessi e all'influenza della Cina. L'Egitto di Naser si avvicina all'Urss, la Repubblica dello Yemen e poi la Siria fanno altrettanto. La Cina manifesta interesse per l'organizzazione per la liberazione della Palestina Olp . Alla fine degli anni 50, la decolonizzazione dell'Africa sembra aprire un'era di buoni rapporti tra la Cina e i nuovi Stati indipendenti. Si stabiliscono relazioni diplomatiche tra la Guinea, il Ghana , il Mali, lo Zaire, il Senegal e la Tanzania. Il riconoscimento da parte della Francia, imprime un nuovo slancio alle relazioni di Pechino con i paesi dell'Africa francofona: Congo, Repubblica centrafricana, Dahomey. Nella maggior parte dei paesi dell'Africa l'influenza cinese arretra in seguito a colpi di Stato locali o di fronte allo sviluppo di altre influenze esterne. Pechino è sospettata di pensare soprattutto a seminare disordine. Quanto all'America Latina, l' influenza della Cina vi si fa sentire ancora molto poco, non vi intrattiene nessuna relazione diplomatica dei partiti comunisti locali si rivolgono a Mosca. Dopo un breve idillio cino-cubano, nel momento della crisi dei missili del 1962, i rapporti con Fidel Castro si guastano. Gli eccessi della rivoluzione culturale hanno fatto apparire la Cina come una potenza insieme debole e pericolosa. Zhou Enlai comincia a rioccuparsene, la politica estera della Cina deve essere ricostruita. E su basi nuove che il primo ministro lancia questa ricostruzione. • Avvicinamento all'Occidente e politica d'apertura 1970-80. Tra il 1970 e il 1980 la Cina si avvicina progressivamente all'Occidente e moltiplica i propri contatti con il mondo esterno. Quest'evoluzione è generalmente indicata con il nome di apertura con le nazioni al di là dei mari. L'apertura degli anni 60 è anch'essa selettiva perché esclude l'Unione Sovietica. • Una nuova riflessione sull'ordine mondiale Benché la Cina si sia dotata, a partire dal 1964, di una forza nucleare primitiva, non ha colmato il proprio ritardo in materia di armamento e di tecnologia militare. L'esercito cinese di terra manca di strutture di trasporto e di comunicazione, di cannoni e di missili antiaerei. Questa inferiorità militare rende l'isolamento diplomatico della Cina ancor più pericoloso, e tanto più pressante la necessità di porvi termine. Pechino teme un'intesa tra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica, che porterebbe a un monopolio mondiale delle due superpotenze e a una completa marginalizzazione della Cina. Nel 1969 dottrina di Nixon adotta il principio di un ritiro progressivo delle forze americane nel sud-est asiatico. In modo più generale essa lascia prevedere una revisione completa della politica americana in Asia che, alla fine, può avere effetto sulla Corea del sud, su Taiwan, e perfino sul Giappone. La dottrina Breznev porta un nuovo approfondimento dell'antagonismo Cina-sovietico. Al conflitto ideologico, si aggiunge ora, agli occhi dei cinesi, il pericolo di un accerchiamento minacciando attraverso alleati o satelliti interposti. La sua espressione dottrinale nella teoria dei tre mondi, formulata per la prima volta da Mao Zedong all'inizio del 1974 e lungamente illustrato da Deng Xiaoping della tribuna delle Nazioni Unite. Il sistema internazionale è stato profondamente trasformato, esso si organizza secondo una tipologia ternaria: – il primo mondo, nel quale si trovano le due potenze egemoniche; – il secondo mondo comprende il Giappone, l'Europa, il Canada; – il terzo mondo nel quale la Cina ha scelto di collocarsi accanto agli altri paesi dell'Asia, dell'Africa e dell'America Latina. La retorica del tre mondi domina l'insieme del decennio. • Avvicinamento agli Stati Uniti e all'Occidente. Auspicata dai cinesi, la ripresa del dialogo cino-americano nel 1969-1970 è facilitata dal cambiamento di atteggiamento degli stessi Stati Uniti, sotto la guida del presidente Nixon. Ansiosi di porre termine all'impegno delle truppe americane in Vietnam, riservando il più possibile un equilibrio a loro favorevole in Asia orientale, preoccupati anche della pressione militare sovietica, gli Stati Uniti ammorbidiscono il proprio atteggiamento verso Pechino. Sospese dopo l'inizio della Rivoluzione culturale, le buone intenzioni da una parte e dall'altra permettono di dare inizio al processo di distensione. La Cina non ha tuttavia rinunciato alla propria strategia antivietnamita e antisovietica nella regione. L'avvicinamento ai paesi dell'ASEAN rappresenta un altro aspetto di questa strategia, così come l'avvicinamento cino-americano. • La politica cinese del Terzo mondo (Medioriente, Africa, America Latina). La Cina, nel 1974, ha sottoscritto la dichiarazione con un certo numero di paesi in via di sviluppo, che reclamavano l'instaurazione di un Nuovo Ordine Economico Internazionale, più favorevole ai prodotti di materie prima, e che tenesse in maggior considerazione gli interessi commerciali del Terzo mondo. Nonostante la priorità ai legami economici con l'Occidente, Pechino ha sempre rifiutato di schierarsi sulle posizioni americane o europee nel terzo mondo. La Cina in effetti non vuole mostrarsi alleata di un imperialismo che continua a denunciare. Nel Medio Oriente, Pechino si avvicina all'Egitto dopo la denuncia da parte del presidente Sadat del 1976 sul trattato di amicizia e di cooperazione che legava il paese con l'Urss. In Africa, la Cina intrattiene un certo numero di relazioni bilaterali, e non manca di prendere posizione su tutti i problemi e conflitti regionali, tanto sulla stampa, quanto dalle tribune internazionali, soprattutto alle Nazioni Unite. Durante la crisi angolana del 74-75 la Cina appoggia i movimenti nazionalisti rivali del movimento popolare di liberazione dell'Angola dall'influenza sovietica. Sempre l'ostilità all'Unione Sovietica spinge la Cina a sostenere il regime dello Zaire, a criticare la politica libica in Ciad e ad avvicinarsi all'Etiopia. L'America Latina è indubbiamente la regione del mondo in cui la diplomazia cinese mantiene il profilo più basso. Benché abbia stretto relazioni ufficiali con i più importanti Stati della regione: Cile, Perù, Argentina, Messico, Venezuela, Brasile, la Cina sembra attribuire un'importanza solo secondaria alla regione. Per quanto riguarda Cuba, Pechino denunciò con un vigore particolare l'imperialismo americano, soprattutto durante la crisi del Salvador del 1981. Durante la prima metà del decennio sembra che Pechino sia riuscita a conciliare un duplice modo di accostarsi ai problemi internazionali: - uno in direzione delle superpotenze imperniato sui problemi della sicurezza - l'altro in direzione del terzo mondo guidato dai valori di uguaglianza e giustizia. Alle soglie degli anni 80 la Cina è più profondamente impegnata di quanto non sia mai stata nel funzionamento del sistema internazionale, inserita come beneficiaria in quasi tutte le organizzazioni mondiali, con l'obiettivo apparente di ottenere, grazie all'attività diplomatica, la sicurezza e il rispetto richiesti dalla realizzazione delle Quattro Modernizzazioni. • Politica di indipendenza e ascesa come potenza regionale. Al principio nell '80, in un contesto mondiale poco stabile, la politica estera cinese sembra anch'essa molto fluida, preoccupata innanzitutto di rimuovere gli ostacoli che potrebbero compromettere la modernizzazione. La Cina ha smesso di coltivare la propria immagine di guida della rivoluzione mondiale. L'ideologia non è più tenuta in gran conto nella definizione della sua politica estera. Ormai secolarizzata questa politica, lascia spazi più vasto allo sviluppo economico. Senza essere contestato apertamente, la politica d'apertura è diventata una delle principali poste nella lotta tra fazioni. Le gravi difficoltà che si originano nelle relazioni cino-giapponesi sono attribuite da numerosi osservatori alla caduta di Hu Yoabang. L'accelerazione dell'avvicinamento cino-sovietico è dovuto alle note simpatie di Li Peng verso l'Urss. La Cina partecipa alle organizzazioni internazionali in modo importante, diventando uno dei principali beneficiari dei crediti assegnati. Nel 1986 entra a far parte del Gatt per facilitare gli scambi commerciali, fino a questo momento regolati da molteplici trattati bilaterali. La Cina pur partecipando alla comunità internazionale, dove tra gli obblighi vi sono più trasparenza statistica, riconoscimento delle procedure di arbitrato internazionale, legislazione sui predetti, non accetta tuttavia i valori. La sanguinosa repressione delle rivolte tibetane del 1989, i massacri della piazza di Tien-an Men nel mese di giugno, dimostrano efficacemente i diritti dell'uomo o il diritto dei popoli disporre di se stessi e sono subordinati agli interessi nazionali. L'iniziativa di Gorbaciov e l'avvicinamento cino-sovietico segna l'era di una distensione globale, sanzionata dalla firma dell'accordo sull'eliminazione dei missili a breve e media gittata tra Gorbaciov e Reagan nell'87. L'acquietamento di questi conflitti apre dunque alla Cina delle prospettive nuove, per sviluppare i suoi rapporti con gli stati vicini e affermare la sua importanza come potenza regionale. Ma questo avvicinamento rimetta in discussione le relazioni della Cina con il Giappone. All'inizio del 1989 la Cina appare dunque al suo partner come la potenza pacifica, desiderosa di garantire la propria modernizzazione grazie alla cooperazione delle potenze industrializzate, capitaliste o socialiste che siano. La repressione di Tien-an Men è venuto a distruggere l'immagine rassicurante che le potenze volevano farsi della Cina. Rimangono gli imperativi della realpolitik. Basteranno salvaguardare il posto che, dopo 10 anni di sforzo, la Cina si era conquistata nella comunità internazionale? Nel 1982 la Cina riprende le distanze dagli Stati Uniti e si riapra il dialogo con l'Unione Sovietica, riafferma l'indipendenza della propria politica estera e la solidarietà con il terzo mondo. Gli Stati Uniti si è scontrata con diversi ostacoli, il principale di mantenimento di legami stretti, tra Washington e Taipei. Animati da uno spirito di pacificazione, Stati Uniti accettano di firmare il comunicato comune dell'agosto 1982, che prevedeva la riduzione progressiva delle consegne d'armi americane a Taiwan. Il compromesso mette fine alla crisi ma non al malessere. Altre tensioni ostacolano le relazioni tra due paesi come la lotta per i diritti dell'uomo. Le prese di posizione molto critiche del congresso americano sulla repressione dei tumulti tibetani nel 1987, interpretate come un'ingerenza negli affari interni della Cina. E gli sforzi del segretario di Stato, spinge le autorità cinesi ad osservare una maggiore moderazione in Tibet e ad aprire i negoziati con il Dalai Lama…… Non impediscono l'imposizione della legge marziale. Le barriere doganali degli Stati Uniti si innalzano contro certe importazioni cinesi, rappresentano un altro argomento di frizione. Questi ostacoli non impediscono l'intensificazione delle relazioni economiche tra i due paesi. Gli Stati Uniti hanno in Cina importanti investimenti: vendere a Pechino le armi. Gli Stati Uniti, tuttavia, si preoccupano del rischio di fuga di queste tecnologie verso paesi terzi. Venuti a conoscere, per mezzo dei servizi di informazione americani, delle vendite di missili di fabbricazione cinese, gli Stati Uniti decidano di congelare ogni nuova liberazione dei trasferimenti. Nonostante le difficoltà che incontrano, le relazioni cino-americane rimangono relativamente buone per la volontà dei governanti. Ai suoi inizi, l'apertura in direzione dell'Unione Sovietica potrebbe dunque essere considerata come la conseguenza di certe delusioni incontrate nelle relazioni con gli Stati Uniti. Dopo aver annunciato che non avrebbe rinnovato il trattato d'amicizia del 1950, la Cina si dichiara pronta ad aprire negoziati al fine di migliorare le relazioni bilaterali. Ma l'invasione dell'Afghanistan nel dicembre 1979 provoca l'interruzione dei negoziati. L'avvicinamento ricomincia allora, costellato da visite ufficiali. I problemi economici vengono distinti dai problemi politici: accompagnati da un accordo sui trasferimenti di tecnologia. Per iniziativa della volontà di Mikhail Gorbaciov, le timide aperture praticate tra il 1982 e il 1985 si concluderanno con una vera e propria riconciliazione, coronata dall'incontro al vertice con Deng Xiapong a Pechino 1989. L'avvicinamento cino-sovietico per far progredire, Mikhail Gorbaciov sa che dovrà accettare di fare delle concessioni ed eliminare i tre ostacoli instancabilmente denunciati da Pechino: – la presenza sovietica in Afghanistan – appoggio dato dalla politica vietnamita in Cambogia – dispiegamento militare alle frontiere Nord e nord-est accettando di fissare le frontiere lungo il corso principale dei fiumi a a Amur e Ussuri. Il conflitto cambogiano, nel quale Mosca sostiene il partito vietnamita, la Cina accoglie abbastanza favorevolmente queste iniziative. Riceve calorosamente il principe Sihanuk a Pechino. Il suo scetticismo nasce verso il ritiro delle truppe vietnamita, annunciato unilateralmente da Hanoi alla fine del 1987. La fine del 1988 la stessa Cina pretende l'iniziativa di rilanciare il progetto di un vertice cino- sovietico. Ma la risonanza che avrebbe dovuto avere eclissato dall'esplosione del movimento contestatario nella piazza Tien-an Men. Questo emergere è effettivamente legato alla distensione internazionale tra i paesi dell'ASEAN . Il miglioramento delle relazioni politiche ed economiche con la Thailandia conduce nel 1987 a una cooperazione militare. Grazie a questo sviluppo, la Cina si rafforza nell'Asia del sud-est. Ma é il conflitto cambogiano a sconvolgere nel modo più radicale i dati del gioco diplomatico e strategico nella penisola. Abbiamo visto precedentemente il ruolo determinante svolto dall'Urss per condurre l'alleato vietnamita sulla via del negoziato e del compromesso. Nonostante il ritiro della forza vietnamita nel 1989 e l'organizzazione politica del futuro regime cambogiano continua a creare problemi e perprlessità. L'ASEAN, si teme che il vuoto politico creato dal ritiro vietnamita avvantaggi soprattutto i Khmer rossi, che la Cina continua ad appoggiare. Tuttavia i progressi realizzati sono già tradotti in un miglioramento sensibile delle relazioni cino- vietnamita. Nel dicembre 1988 la frontiera cino-vietnamita si riapre al commercio, e dà inizio a negoziati diretti tra due paesi. Il processo di pacificazione e di riallineamento, si estende anche alle relazioni tra la Cina e l'India. L'effetto di questo disgelo si fanno sentire anche nelle relazioni della Cina. Con i suoi vicini del Nord, si assiste al miglioramento dei rapporti con la Mongolia e la Corea del sud. La Cina sviluppa attivi scambi commerciali, per lo più indiretti. Ma la nuova politica asiatica di Mikhail Gorbaciov e la decisione dell'Urss di partecipare, come la stessa Cina, ai giochi olimpici di Seul nel 1988 non può che facilitare lo sviluppo delle relazioni economiche cino-coreane. L'avvicinamento cino-sovietico ha dunque permesso di sedare numerosi conflitti regionali. Ma sembra, in compenso, che abbia accentuato le ambiguità. Il Giappone è diventato il più importante partner commerciale della Cina. La Cina che compra allora il 29% delle sue importazioni dal Giappone, ne vende soltanto il 15% delle esportazioni. Questo squilibrio di commercio dà la sensazione di trovarsi di fronte a una nuova invasione nipponica ma questa volta economica. Ma dopo la caduta di Hu Yaobang il rapido deterioramento delle relazioni cino-giapponesi conduce a una mini crisi, del 1987. Gli elementi che fanno precipitare questa crisi sono di natura essenzialmente politica, dai considerevoli investimenti realizzata a Taiwan dalle compagnie giapponesi, così conferiti alla crescita di Taiwan, non possono che approfondire il divario tra i livelli di vita dell'isola e del consumo, denunciandoli come la malattia infettiva che costituisce ai loro occhi l'amore per il capitalismo e lanciano l'idea di una ricollettivizzazione rurale. Nel suo discorso di ringraziamento all'APL, Deng Xiaoping afferma che la riforma è sempre l'ordine del giorno, la Cina non ritornerà più all'antica politica della porta chiusa. • Il rilancio e il boom negli anni 92-94. Il rilancio giunge con il viaggio di Deng Xiaoping nelle province del sud, di forte significato simbolico. Questo passo, assolutamente personale, costituisce l'ultimo grande intervento di Deng Xiaoping nella vita pubblica cinese. Nel corso degli anni 92-94 la crescita economica cinese, spinta da quella dell'Asia orientale, giunge al culmine. Gli scambi con l'estero aumentano, così come gli investimenti. Quest'apertura al mercato mondiale è fondato sui vantaggi relativi offerti dalla Cina: prezzi competitivi e abbondanza di manodopera. La produzione industriale aumenta rapidamente, ma una buona parte delle imprese collettive private che producono manufatti destinati ai mercati esteri sono lavoratori rurali, la cui prosperità contrasta con il rallentamento della produzione agricola. • Il programma di Zhu Ronji e la radicalizzazione della riforma . Il boom del 1992-94 non tarda a provocare squilibri e blocchi. Lo sviluppo dell'industria pesante e delle attrezzature infrastrutturali non segue quello delle industrie di consumo. Il governo di Pechino, incapace di padroneggiare gli strumenti di controllo macroeconomici, ha affermato la crescita con misure amministrative brutali. Nel 1993 Zhu Ronji è nominato vice premier della politica economica in assistenza del primo ministro Li Peng. Zhu affronta ormai ostacoli pratici e istituzionali fino questo momento accuratamente girati. Queste misure si basano su quattro campi principali: – fiscalità – sistema bancario – regime dei cambiamento – gestione delle imprese pubbliche. La riforma fiscale mira a ristrutturare i prelievi e migliorarne il prodotto, diminuendo il numero delle tasse ed estendendo l'imposta valore aggiunto. La riforma bancaria deve dare le banche una reale indipendenza commerciale e liberarle dall'obbligo di finanziare i progetti pianificati. La Banca popolare di Cina verrà trasformata in vera propria banca centrale. La riforma dei cambi stabilisce una convertibilità limitata dello yuan e si manifesta con una svalutazione del 40% della moneta. Negli anni che seguono, la realizzazione di queste misure si attua in modo progressivo e spesso incompleto. Quando viene designato come primo ministro nel 1997, Zhu Ronji riprende i punti principali del programma del 1993. Per quanto siano state applicate solo parzialmente le riforme tuttavia hanno permesso di rallentare la crescita senza cancellarla. L'inflazione è stata stroncata, i principali equilibri ristabiliti. Le esportazioni continuano a crescere. • Il gradualismo cinese: un modello di transizione? I successi dell'economia cinese hanno sorpreso un gran numero di esperti avevano ostentato il proprio scetticismo nei confronti della riforma. Alcuni economisti non esistano più a dichiarare che la storia della riforma cinese è quella di un immenso successo. • La riforma incompiuta La forte crescita degli anni del 1992-1998 ha occultato e ostacoli di fondo sui quali essa rischiava di scontrarsi. Fra questi un vasto settore industriale pubblico, cronicamente deficitario. Le riforma lanciate negli anni 80 (che consisteva nella fiscalizzazione, sistema di responsabilità dei gestori, leggi sulla libertà di assunzione licenziamento, sul fallimento) sono applicate poco e male. Il settore pubblico funziona in perdita con dipendenti per 180 milioni di persone agganciate ai privilegi. Il settore pubblico, o sopravvive, di sovvenzioni, di crediti bancari accordarsi sulla base. Per alleviare questa ingente spesa, Zhu Rongji decide di limitare le sovvenzioni e prestiti bancari accordati alle imprese di Stato. Questa politica porta i sui frutti e l'inflazione arretra. Per iniziativa di Zhu Rongji e per il suo impulso, affronta la riforma della proprietà, a piccoli passi. Non si tratta, in effetti, di enunciare un grande piano di privatizzazione. La riforma prevede la trasformazione delle imprese pubbliche in società per azioni. A partire dall'autunno del 1998, l'economia cinese da' numerosi segni di debolezza. La crescita del Pil e la crescita dell'esportazione rallenta perché la Cina deve affrontare la competitività accresciuta dei paesi del sud-est asiatico che hanno svalutato la propria moneta. La domanda interna cala, si accumulano gli stock invenduti aumenta la disoccupazione, che raggiunge il 7-8 %. Si rinuncia a contare i milioni di emigranti rurali che vagabondano da una provincia all'altra la ricerca di posti di lavoro problematici. Gli investimenti di stranieri diminuiscono del 56%; la Cina paga sua volta e si parla di un eventuale svalutazione dello yuan. La Cina si oppone dunque alla riforma che mira al decentramento e alla riduzione del ruolo delle imprese di Stato. Si ha l'impressione che la riforma sia sospesa. Il governo preferisce ritornare a metodi di controllo: fissazione dei prezzi, moltiplicazione delle barriere doganali non tariffarie, imitazione degli investimenti stranieri esclusi da certi particolari settori. Mentre negli anni 80 i riformisti temevano soprattutto l'opposizione della fazione conservatrice del partito, oggi sembrano invece preoccupati di evitare le manifestazioni di malcontento sociale. • Il ritorno della società Negli anni '80 la politica delle Quattro Modernizzazioni aveva già aperto la strada al rinnovamento della società. Nella vita privata i cinesi sono ormai liberi di sposarsi, di viaggiare, di compiere studi come preferiscono o quasi. Unica costrizione rimane quella del figlio unico ma si è molto attenuata, soprattutto nelle campagne. La libertà si estende: libertà di impresa, di riunione, di associazione. • Spontaneità sociale e modernizzazione economica Liberati dal sistema di registrazione che legava inderogabilmente i contadini alla terra, e nuovamente liberi di lasciarsi in attività sussidiarie produzioni specializzate, commercio, artigianato, industrie, molti contadini sono diventati veri e propri imprenditori. In città molti si tuffarono nel mare degli affari. Una buona parte dei successi economici riportati dalla Cina porta al desiderio di profitto spesso ricompensate con un sensibile innalzamento del livello di vita. Questa rinascita dell'iniziativa sociale ha spezzato la divisione della popolazione in categorie politiche. L'aumento dei disordini è in primo luogo legato allo stesso successo della riforma economica sia da parte dei contadini che dagli operai. Di fronte a questa agitazione il governo di Pechino si serve generalmente di compromessi. A partire dal 1998, tuttavia, i disagi si estendono a prendere maggiore ampiezza. Gli operai licenziati dalle imprese bloccano strade, ponti e ferrovie. Il rallentamento della crescita aggrava le tensioni sociali nate dai successi precedenti alla riforma. Si scava un fossato tra ricchi e poveri tra le popolazioni urbane e quelle rurali, tra le province della costa e l'interno. Il potere è consapevole della minaccia rappresentata dal malcontento popolare. Nel 1999 il primo ministro Zhu Rongji mette in guardia l'assemblea nazionale popolare. Tuttavia il governo di Pechino non prende in considerazione l'idea di negoziare con i protagonisti sociali, solo all'occorrenza, concessioni tempestive adatte a sedarli. • La società non costituita Divenuto più autonoma, la società cinese non è tuttavia una società civile. Il paese conta attualmente circa 200.000 organizzazioni sociali che riuniscono imprenditori o esperti, di associazioni che si dedicano agli svaghi, che mettono insieme amanti del canto corale, della calligrafia ecc... La maggior parte delle associazioni cinesi intrattiene con il potere rapporti di buon vicinato, ricevendo sovvenzioni pubbliche e tutte dipendono dal partito o ufficio governativo. Non si possono tuttavia confondere con le vecchie organizzazioni di massa dell'epoca maoista, che servivano unicamente come cinghie di trasmissione delle direttive emanate dal centro. • Il trionfo del vecchio uomo L'uomo nuovo che voleva plasmare Mao Zedong, ha disertato la scena, e il suo posto è stato preso dal vecchio uomo che la rivoluzione aveva condannato. Già prima del 1949, le città cinesi e più in particolare le metropoli della costa avevano fatto grandi progressi sulla strada della modernizzazione e dell'occidentalizzazione. Il sistema famigliare ha recuperato tutta la sua importanza. La restaurazione delle tombe, degli altari e dei tempi dimostra la ritrovata vivacità del culto degli antenati e dell'attività legate all'appartenenza allo stesso clan e il lignaggio. Il matrimonio è ridiventato un matrimonio combinato, infine è ritornato una transazione mercantile. A questo punto si vedono rinascere pratiche che si credevano ormai abolite. Nel 1997 un nuovo progetto di legge sul divorzio, insiste sulla necessità di tutelare, e di liberare le donne. Il ritorno della tradizione è anche il ritorno di una criminalità multiforme. La corruzione è e onnipresente. Laddove teorici della mondializzazione si attendevano l'emergere di una società civile, si è dunque visto comparire quella dei clan. • La lotta contro la corruzione All'interno del partito questa lotta è affidata alla commissione centrale di controllo della disciplina sotto la direzione di Wei Jianxing . Per i quadri di alto rango, la situazione disciplinare pretende un eventuale procedimento giudiziario . Il caso dell'ex sindaco di Pechino, allontanato dalle sue funzioni all'interno del partito nel 1995 e condannato a 16 anni di carcere dal tribunale. Ma il personale dell'APL sfugge alle sue competenze e dipende da organi specifici. La legge di procedura amministrativa, entrata in vigore nel 1990, permette ai cinesi di presentare ricorsi giurisdizionali contro gli abusi dei quali si ritengono vittime ma i meccanismi istituzionali si rivelano poco efficaci, com'è naturale quando i gendarmi sono anche i ladri. La caccia alle Tigri del 1993 e del 1998 prende di mira i quadri corrotti e gli uomini d'affari che li corrompono. Nel 1998 il presidente Jiang Zemin lancia la prima bordata di una nuova campagna, chiedendo all' APL di fare pulizia nei propri ranghi. Segue la campagna dei Tre accenti. Queste diverse campagne non finiscono senza che siano sacrificate con altre personalità. Ma il regolare ritorno di queste ultime sulla scena politica testimonia l'inefficacia delle campagne stesse. • Le opposizioni represse e circoscritte La repressione colpisce tutti coloro che contestano il potere del Partito o che cercano di sfuggire ad esso. I suoi principali bersagli sono i dissidenti politici, le organizzazioni religiose e le sette non autorizzate, i membri delle minoranze nazionali, sospettati di attività separatiste. Hanno rafforzato il corpo della polizia armata popolare. Il ricorso alla forza e anche il soffocamento della memoria collettiva vi è nel favorire il ricordo delle manifestazioni di Tie-An Men. Ogni anno il 4 giugno, anniversario del massacro, al governo procede a decine di arresti preventivi al 10º anniversario, le precauzioni sono state raddoppiate e la piazza Tien-an Men è stata chiusa per lavori. Il potere cerca anche di isolare i dissidenti politici nell'interno di eliminarli meglio. Alcuni riescono a fuggire all'estero. La severità delle repressioni varia in funzione delle esigenze della politica interna ed estera. Tra le organizzazioni religiose la Chiesa cattolica clandestina sembra essere uno dei bersagli più evidenti del potere. I membri delle minoranze nazionali, sospettati di attività di aspirazione separatiste, si trovano anch'essi tra le principali vittime della repressione. In Tibet in via di cinesizzazione le manifestazioni indipendenti sono diventate più rare, ma la repressione non è per questo cessata. • La strategia dello Stato inglobante Nel 1998 nasce il dibattito tra gli intellettuali e giornalisti di Pechino che affrontano pubblicamente temi come la brutalità poliziesca e la riforma politica. Limitate nelle loro iniziative dell'azione dell'autorità, le associazione non possono servire da trampolino alle rivendicazioni democratiche. Ma le strategie dello Stato inglobante comporta dei rischi che aumentano con le pressioni esercitate dalla società. Le associazioni attuali sono infinitamente più differenziate nelle reclutamento e negli obiettivi. La diffusione della comunicazione via Internet, che riguarda ancora soltanto l'1% della popolazione, potrebbe svolgere una funzione portante in questa evoluzione. I dirigenti di Pechino fanno sistematicamente appello ai sentimenti nazionalistici per screditare gli avversari. 5. La Cina in Asia e nel mondo L'eredità della storia ha un grande peso sulle relazioni internazionali in Asia orientale la vocazione, all'egemonia simbolica si è trasformata in un'aspirazione al dominio militare, territoriale politico… • Le mire della Cina al nuovo contesto internazionale Gli obiettivi della Cina dipendono da una politica tradizionale di ritorno alle frontiere dinastiche e dalla nuova volontà di espansione verso il sud. Essi concernano essenzialmente l'Asia, a partire dalla quale irradiare verso il resto del mondo. I dirigenti degli anni 90 vogliono completare l'opera intrapresa da Mao Zedong e da Deng Xiaoping e restituire alla Cina l'integrità territoriale riportando sotto la giurisdizione di Hong Kong, Macao e Taiwan, impedendo ogni emancipazione della regione di frontiera dell'Asia centrale. Gli anni 90, si verificano cambiamenti nella scena internazionale: la crisi di Tie-an Men isola temporaneamente la Cina; la guerra del Golfo nel 1991 mette in luce la superiorità della potenza militare occidentale, e nello stesso anno, il crollo dell'Urss determinata dalla fine della guerra fredda. L'impegno diplomatico e militare degli Stati Uniti, che, a partire dagli anni 50, è stato un fattore esistenziale di stabilità e di situazione in Asia orientale, rischia di essere rimesso in discussione. La scena regionale diventa più complessa e più vivace. Fino ad affermare il ruolo della Corea del sud e di Taiwan, ornati dal prestigio internazionale che valgono loro successo economico e l'evoluzione democratica. Quanto al Giappone, principale partner di capitale e di trasferimento tecnologici, appare come una fila dell'integrazione economica regionale. La Cina ha la possibilità di giocare sulla rivalità tra gli Stati Uniti e l'Urss e di praticare alle due superpotenze della diplomazia triangolare. Negli anni 90 il governo di Pechino prende solo lentamente coscienza delle trasformazioni con il processo di mondializzazione impone alle relazioni internazionali. Benché la Cina faccia intendere la propria voce su temi quali la tutela dell'ambiente o i diritti dell'uomo, i suoi dirigenti continuano a ragionare essenzialmente in termini di rapporto di forza tra nazioni. • Il rilancio della politica degli armamenti. In parte sacrificata alle esigenze dello sviluppo economico durante gli anni 80, la politica degli armamenti viene rilanciata a partire dall'inizio del decennio successivo. La guerra del Golfo nel 1991 è l'occasione per la Cina di misurare il proprio ritardo tecnologico. È dunque data priorità alla modernizzazione dell'equipaggiamento, in particolare alle forze aeree, navali, e all'armamento nucleare. Nel 1996 firma il trattato di interdizione delle esperienze nucleari, essa procede a numerose esplosioni. La sua politica di modernizzazione militare ha condotto la Cina a moltiplicare gli acquisti delle armi straniere sempre più sofisticate. Il suo principale fornitore è la Russia. L'annuncio ufficiale del 1999 rivela come la Cina possegga la tecnologia delle bombe a neutroni, e di come sia in grado di lanciare missili a lunga gittata. Ciò testimonia i progressi compiuti durante l'ultimo decennio. Questa politica degli armamenti ha alimentato a metà degli anni 90 un nuovo dibattito sulla minaccia cinese. Ma gli esperti si trovano d'accordo nel concludere che la potenza cinese non ha ancora la capacità di proiettarsi su scala mondiale. • Sovranità e unificazione nazionali. Il governo di Pechino, negli anni 90, è riuscito a realizzare la maggior parte degli obiettivi. Non soltanto la riunificazione con Taiwan non è stata realizzata e non è nemmeno di prossima attuazione. Dopo il riavvicinamento tra la Cina e l'Urss, viene firmato il trattato multilaterale di riduzione delle forze militari tra le repubbliche ex sovietiche in Asia. I sostenitori del Dalai Lama si spazientiscono e rimettono in questione la politica del compromesso adottato dal loro capo. Preparato dalla dichiarazione cino-britannica nel 1984, il ritorno di Hong Kong alla sovranità cinese è stato effettuato nel 97. Ma nel 99 l'annullamento da parte del governo cinese di una decisione della corte suprema di Hong Kong rimette in discussione il principio di indipendenza del potere giudiziario, andamento storico della prosperità dell'isola. Questo intervento, contrario alle disposizioni della legge fondamentale, segna forse un cambiamento di priorità nella politica di unificazione condotta dal governo di Pechino. • Il problema di Taiwan. Nelle relazioni cino-Taiwanesi degli anni 90 sono stati contrassegnati da una relativa moderazione accompagnata dall'intensificazione di scambi economici. Nel 92 investimenti diretti da Taiwan in Cina superano quelli giapponesi. La tensione culmina nel 96, quando l'APL procede a lanci di missili attraverso lo stretto di Taiwan nella speranza di fare fallire la candidatura di Lee, giudicato ostile a una politica di pronta riunificazione, alle elezioni presidenziali. L'invio di due portaerei americane mette fine a queste dimostrazioni militari. Ma le relazioni rimangono tese tra Taiwan e la Cina che tollera sempre meno questa indipendenza di fatto. Nel 1998 si ottiene dal presidente Clinton, allora in visita ufficiale, un sostegno aperto alla politica dei Tre no: – No al sostegno e all'indipendenza di Taiwan – No alla partecipazione di Taiwan alle organizzazioni internazionali – No alla coesione trascina Taiwan. L'espansione dell'influenza cinese in Asia del sud-est e del nord-est. La Cina continua ad estendere la propria influenza nella penisola indocinese in cui si associa un certo numero di azioni multilaterali e moltiplica le procedure bilaterali. Per il governo di Pechino questi accordi sono l'occasione per riaffermare le responsabilità della Cina e il ruolo tradizionale dell'Asia del sud-est. La Cina tratta con riguardo l'ANSEA: accetta i negoziati proposti per sedare conflitti suscitati dalle rivalità nazionali nei mari del sud, accetta l'adesione dei nuovi paesi come il Vietnam, la Birmania, il Laos, nella Cambogia, infine rinuncia progressivamente al sostegno che negli anni ha accordato ai
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