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Fondamenti di metodologia e psicologia generale, Prove d'esame di Metodologia Della Ricerca Psicologica

Riassunti dettagliati di Fondamenti metodologici, con aggiunta di sbobinature e slide fornite dalla Prof.ssa Cuzzocrea e dagli argomenti presenti nei manuali 1) Coon D., Mitterer J.O. (2011) – Psicologia Generale, Ed. IT. A cura di Giusberti F., Ricci Bitti P.E:, Bonfigliolo L., Gambetti E. - Ca

Tipologia: Prove d'esame

2014/2015

In vendita dal 08/11/2015

Francesca1.8
Francesca1.8 🇮🇹

4.5

(22)

29 documenti

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Scarica Fondamenti di metodologia e psicologia generale e più Prove d'esame in PDF di Metodologia Della Ricerca Psicologica solo su Docsity! METODOLOGIA DELLA RICERCA PSICOLOGICA Capitolo 3 Ricerca scientifica e Processo di ricerca La nostra continua voglia di conoscenza ci spinge a voler formulare sempre nuove teorie. Quando parliamo di ricerca scientifica, senza dubbio dobbiamo esplicitare l’importanza del metodo scientifico: un processo fondato sulla raccolta attenta delle prove attraverso descrizioni e misurazioni precise, sulla ricerca di leggi di carattere generale attraverso osservazioni controllate e risultati ripetibili. Il nostro intento è cercare di vedere in che misura confermare o no le attuali teorie o leggi, o studiare fenomeni nuovi prima di oggi. Il metodo scientifico ideale è costituito da sei tappe: 1) Effettuare delle osservazioni o Enunciazione di domande 2) Definire un problema o Risposte provvisorie(io osservo, formulo dei quesiti, definisco un problema e propongo delle possibili risposte che tecnicamente si chiamano “risultati attesi”) 3) Proporre un’ipotesi Formulazione di ipotesi di relazioni 4) Raccogliere le prove per verificare l’ipotesi Scelta di strumenti e metodi di verifica; Attuazione della ricerca; Verifica delle ipotesi 5) Pubblicare i risultati cioè Interpretare dei risultati; e generalizzarli a campioni diversi 6) Costruire una teoria Produzione di nuovi quesiti Noi utilizziamo prevalentemente una logica scientifica che prevede che le ipotesi specifiche possono essere testate in modi diversi e gli psicologi rivedono continuamente le loro teorie in modo da includere anche nuove prove empiriche; questo è il principio per il quale noi non otteniamo mai risultati certi, ma ciò non esclude che tali risultati ottenuti debbano essere messi in discussione da me o da altri ricercatori. La ricerca psicologica prevede delle fasi: non basta solo osservare o porci una domanda, ma bisogna anche 1) Identificazione del problema, dove si effettuano prima delle osservazioni, poi si definisce il problema ed infine si propone un’ipotesi; il modo in cui noi formuliamo le ipotesi condizione le restanti scelte 2) Pianificazione del disegno sperimentale + 3) Fase delle osservazioni dove si raccolgono le prove e si verifica l’ipotesi; 4) Fase dell’analisi dei dati attraverso la statistica + 5) Fase dell’interpretazione dei dati dove si rifiuta o si conferma l’ipotesi 6) Comunicazione dei risultati dove si pubblicano i risultati, poiché l’obiettivo è comunicare agli altri quello che abbiamo studiato. In conclusione si costruisce una teoria, le cui nuove conclusioni devono produrre un risultato rispetto il problema e l’ipotesi. Alla fine di questo ciclo della ricerca, le nostre conclusioni devono produrre un risultato rispetto alle osservazioni, rispetto al problema, rispetto all’ipotesi COME IDENTIFICHIAMO IL PROBLEMA? Popper diceva che la ricerca scientifica non inizia dalle osservazioni, ma dai problemi, le cui fonti sono numerosissime. Esistono diversi modi per identificare il problema: -Interessi personali del ricercatore: studio intensivo dei casi singoli (es. Freud o Ebbinghaus, si occupa di memoria), gli interessi del ricercatore sono molto importanti perché stimolano l’individuazione dei problemi, suggeriscono la direzione del lavoro di ricerca e aiutano a perseguire tale lavoro, anche quando diventa difficile. Gli interessi riguardano vari campi, ad es., le emozioni, la creatività, particolari abilità, aspetti della propria vita etc. Ad esempio, l’interesse di Pavlov per le “secrezioni psichiche” lo portarono a scoprire i riflessi condizionati. -Fatti paradossali e fortuna (serendipità)dalla fiaba persiana I tre Principi di Serendip i cui protagonisti scoprivano sempre delle cose che non stavano cercando. Nel contesto della ricerca, la serendipità indica il dono di fare delle scoperte utili alle quali non si mirava. -Tentativi di risolvere problemi pratici: In questo caso, il ricercatore ha un problema, derivato dalla realtà che lo circonda, che vuole risolvere. Gli esempi sono vari: trovare le tecniche per guarire i bambini autistici, incentivare l’utilizzo dei mezzi pubblici. -Teorie e risultati di precedenti ricerche fanno sorgere nuovi problemi, che possono essere il punto di partenza per nuove ricerche, in 2 modi: -Influenza euristica: quando la teoria suscita un enorme interesse (es. teoria evoluzionistica e teoria freudiana) -Influenza sistematica: quando le teorie o le ricerche fanno affermazioni esplicite e direttamente verificabili (es. condizionamento operante) -Confronto con i collegi dove i problemi vengono esplicitati grazie alle discussioni con altri colleghi o dagli articoli pubblicati su riviste specializzate. -Competizione tra diversi ricercatori con lo scopo di <<fare carriera>> e cercare di pubblicare più articoli su riveste internazionali prestigiose. Ogni lavoro di ricerca comincia con la ricerca bibliografica su: •Riviste scientifiche cartacee •SBA •PsychInfo •ERIC •MedLine •PsychArticles L’esperimento in psicologia Un esperimento è una prova formale svolta per confermare o negare un’ipotesi relativa alle cause di un comportamento. Non è possibile dedurre ipotesi empiriche direttamente dalla teoria, ma è necessario avvalersi di un modello che specifichi le condizioni in cui le assunzioni della teoria funzionano. Ogni teoria può generare più modelli, ognuno dei quali può dare vita a più ipotesi. È importante fare la differenza tra soggetti sperimentali e partecipanti: i primi sono persone selezionate a caso da una popolazione di riferimento; i partecipanti sono invece un insieme di persone che noi osserviamo e selezioniamo senza che questi siano stati estratti a caso, hanno cioè caratteristiche che mi interessano. L’ipotesi di ricerca è mirata a verificare le relazioni tra le variabili; Una variabile è qualsiasi caratteristica (fisica o psichica) che può assumere valori diversi in un dato intervallo. Una variabile, quindi, è qualsiasi caratteristica che, almeno teoricamente, può essere misurata. Le variabili possono essere distinte in base a: • il livello di misurabilità; • l’oggetto a cui sono associate; • il ruolo che assumono nella ricerca. Per quanto riguarda il ruolo che assumono nella ricerca, le variabili si distinguono in variabili dipendenti, indipendenti e intervenienti (o di disturbo). -Variabili indipendenti (causa)sono degli stimoli o degli eventi comportamentali che si sospetta causino dei cambiamenti su altri eventi o comportamenti. Vi sono due tipo di variabili indipendenti: quelle manipolate e non manipolate. Le prime sono quelle che lo sperimentatore controlla e modifica attivamente, come la quantità delle dosi di un farmaco ecc.; le seconde sono quelle che non possono essere controllate a piacere dal ricercatore. Queste sono prevalentemente variabili oranismiche, come l’intelligenza, il genere, etc. In questo caso, il ricercatore può solo dividere i soggetti in base a queste variabili. Dunque io manipolo la variabile indipendente e mi aspetto che questa influenzi ciò che voglio osservare, la variabile dipendente. -Variabili dipendenti (effetto)(si chiama così perché dipende da qualcosa) sono le variazioni di determinati comportamenti che si suppone dipendano dalle modifiche delle variabili indipendenti. La variabile dipendente è in funzione della variabile indipendente, al variare della variabile indipendente osservo cosa accade sulla variabile dipendente. In queste relazioni tra variabile dipendente ed indipendente, entrano una serie infinita di variabili di disturbo o intervenienti. Mentre la viabile indipendenti si manipola, quella dipendente si osserva . -Variabili estranee o intervenienti sono variabili che disturbano la relazione tra la variabile dipendente e quella indipendente. Sono variabili che agiscono in modo casuale; l’abilità del ricercatore sta nello studio e nella creatività, cioè in base agli studi precedenti capisco quali potrebbero essere le variabili intervenienti o di disturbo e grazie alla mia intuizione ipotizzo che ce ne possano essere delle altre. L’obiettivo di uno psicologo-ricercatore è conoscere più possibili quali potrebbero essere tali variabili di disturbo, cercando così di controllarle, prevenirle e ridurre l’influenza di tali variabili, anche se, dato che agiscono in modo casuale, so comunque di non poterle controllare tutte. - metodo empirico Metodo dell’ostinazione o presunzione Il primo metodo pre-scientifico consiste nell'attribuire una relazione di causalità deterministica a 2 fenomeni che si verificano in sequenza. Un esempio è la superstizione. Skinner nel 1948 ha fornito una spiegazione scientifica di questa modalità di acquisizione. Metodo dell'intuizione o senso comune (il consiglio degli amici è basato sul buon senso, sul senso comune) Consiste in credenze popolari che si tramandano per generazioni, che a controllo empirico (cioè se verificate) si possono dimostrare infondate(ad esempio gettare del sale a terra per scaramanzia). Ma le credenze popolari non vengono sottoposte a questi controlli scientifici, forse si pensa che le credenze popolari siano certe. Si parla di teorie ingenue. Metodo dell'autorità Quando si crede alle asserzioni di qualcuno solo perché considerato esperto o scienziato. Bisogna sempre dare dimostrazioni di quanto asserito. Metodo del ragionamento approccio deduttivo. Conoscere per deduzione, utilizzando lo schema sillogistico. Le conoscenze così realizzate sono vere solo se sono vere le premesse (A>B; B>C; A>C) Diamo per scontato qualcosa che non lo è, come uscire a una certa ora per arrivare in tempo, ma non valutiamo i possibili imprevisti. Viene usato nei primi stadi del metodo scientifico (formulazione delle ipotesi, ricavate per deduzione da una teoria) e si rivela insufficiente senza il vaglio empirico. Metodo empirico Richiede l'esperienza diretta, sensoriale (osservazione) ma è un metodo pre-scientifico, poiché anche questa osservazione può essere fallace (motivazioni , esperienze, precedenti possono alterare la percezione) . Non solo: si possono fare generalizzazioni errate perché noi percepiamo solo campioni di realtà. Le convinzioni basate sul senso comune sono infatti spesso erronee; così come tutte le “risposte”, convinzioni, conclusioni ottenute tramite l’applicazione di metodi prescientifici sono molto spesso SBAGLIATE, a grosso rischio di errore. COS’È LA SCIENZA? Durante la storia, il concetto di scienza è andato continuamente evolvendosi, però è sempre rimasto strettamente legato a quello di verità; è andata cambiando solo la garanzia che la scienza offriva alla verità. Infatti, mentre la scienza tradizionale includeva una garanzia assoluta, quella moderna non rivendica più tale assolutezza. La scienza non è verità certa, perché l’umanità e gli strumenti si evolvolo continuamente. Oggi, la scienza è il tentativo sistematico e intersoggettivo di acquisire conoscenze riguardo gli eventi del mondo. Si parla di osservazione scientifica perché è un metodo basato sulla raccolta di prove empiriche ed implica un'osservazione sistematica degli eventi ben codificati per cui non ci può essere disaccordo fra gli osservatori; infatti per sistematica si intende che più osservatori devono definire quell'evento nell'identico modo. Stanovich diceva che “Lo sguardo deve essere il più obiettivo possibile” per essere obiettivi dobbiamo operazionalizzare una variabile, cioè tanto più descriviamo nel dettaglio ciò che vogliamo osservare, tanto più è semplice rendere l’osservazione obiettiva. Dunque la Psicologia si serve del Metodo scientifico, differente dai metodi prescientifici perché si basa su principi standard, accettati da tutte le comunità scientifiche, che offrono maggiori garanzie di attendibilità. Per lungo tempo il concetto di scienza è stato considerato come sinonimo di verità. In ambito filosofico, epistemologico e metodologico questa concezione si è radicalmente modificata, in quanto ci si è resi conto che il metodo scientifico non può dare garanzie di verità assolute. La scienza non è in grado di fornire certezze, ma solo probabilità. La ricerca di certezze ci fa vivere in uno stato ansioso, è più facile affidarsi alla probabilità. Solo un’attenta analisi dei criteri metodologici utilizzati può fornire un’indicazione circa il livello di credibilità che possiamo attribuire ai risultati. Un’attenzione passiva ai contenuti della scienza può essere pericolosa per l’influenza, più o meno consapevole, che ha sul comportamento, cioè bisogna accantonare il concetto di scienza come certezza. Il “mito della scienza” persiste ancora nel senso comune, con tutti i rischi che questo comporta. La fiducia nella scienza Lo scienziato in genere viene considerato un’autorità in materia, colui al quale si riconosce il potere di stabilire come stanno le cose, come ci si deve comportare. Questa fiducia cieca nella scienza nasce dalla convinzione che le conoscenze trasmesse dagli esperti siano state acquisite attraverso un uso corretto del metodo scientifico, che viene genericamente considerato il modo più affidabile e attendibile di acquisire conoscenze. Intorno agli anni ‘30 la Psicologia subisce il fascino del positivismo logico (o neopositivismo). In modo particolare la Psicologia diventa scienza grazie al contributo dei behavioristi(i primi nascono in laboratorio, ritengono l’importanza dell’obiettività, dell’intersoggetività e delle misurazioni rigorose, principi da quali non si può prescindere, in contrapposizione alla psicoanalisi). Si può osservare solo ciò che effettivamente si vede) che trovano un perfetto parallelismo tra i principi espressi dal neopositivismo e i propri presupposti teorico-metodologici: – obiettività, – accordo intersoggettivo delle osservazioni, – rigorose misurazioni. RICAPITOLANDO La Psicologia è una scienza, in quanto tale non può utilizzare i metodi pre-scientifici, i quali non hanno dei presupposti comunemente accettati, basati prevalentemente su fattori abituali e se anche ci sia una fase di raccolta di informazioni di dati empirici, questi devono essere analizzati in modo oggettivo e sistematico. La psicologia vuole essere una scienza, cioè deve utilizzare il metodo scientifico il che implica rigorosità nelle misurazioni, osservazione sistematica e intersoggettiva, cioè dove più persone, mettendosi d’accordo su ciò che deve essere osservato, trovano un’analoga conclusione, che è solo apparente. Noi dobbiamo riflettere per diventare non solo psicologi, ma anche ricercatori; quando avremmo a che fare con i pazienti dovremmo cercare di capire le loro problematiche non diverse modalità, ma noi preferiamo il metodo scientifico: si fa l’ assessment in ambito clinico, cioè si vede come il paziente sta adesso, qual è stata la causa del suo malessere e proporre rimedi in ambito di ricerca questa stessa cosa si chiama valutazione di base(baseline). Bisogna misurare un prima e un dopo la terapia, per verificare i miglioramenti. La scienza procede per induzione o deduzione? Una concezione di scienza è quella legata alla dimostrazione; Aristotele diceva che la scienza è <<conoscenza dimostrativa>> che successivamente verrà applicata alla logica formale, alla matematica e all’astronomia. Nella storia della scienza molte discussioni possono essere comprese a partire da due metodi diversi, due modi di pensare o di ragionare: il metodo induttivo e il metodo deduttivo. Il miglior modo di procedere è senza dubbi quello dato dall’unione e sinergia di entrambi i metodi. Il procedimento induttivo consiste nel passaggio da un’osservazione singolare a una proposizione universale (legge); basta osservare un fenomeno una volta (o anche in modo ripetuto)per poter formulare una legge generale, di fatto questo è impossibile. Ciò mi fa comprendere che utilizzando solo questo metodo, enfatizzarei il metodo pre-scientifico. Qui l’obiettività è resa difficile dal fatto che la stessa esperienza sensoriale viene interpretata da ciascuno in maniera differente, per questo è fondamentale operazionallizzare bene ciò che si intende osservare,altrimenti si rischierebbe di trovare disaccordo nel gruppo, perché comunque ognuno di noi percepisce diversamente la realtà sulla base delle proprie esperienze, del proprio background culturale. Le distorsioni sensoriali prodotte dalla diversità individuale non sono però tali da impedire la comunicazione e quindi l’uniformità della scienza, cioè noi non siamo in grado di essere sicuri al 100% che ciò che osserviamo possa essere osservato allo stesso modo da tutti e quindi costruire una teoria, ma possiamo cercare di capire quali sono i punti di contatto, le cose in comune. L’obiettivo della ricerca è guardare e studiare un caso, da un punto di vista qualitativo o quantitativo, con rigore scientifico e metodologico, per verificare se avessi ottenuto la stessa cosa. Ecco perché studiamo gli aspetti quantitativi e qualitativi dell’inferenza(processo con il quale da una proposizione accolta come vera si passa a una seconda proposizione la cui verità è derivata dal contenuto della prima, inferire= trarre una conclusione) prevedono: -sul piano qualitativo si presuppone che le osservazioni realizzate posseggano la caratteristica dell’oggettività; -sul piano quantitativo che siano state realizzate un numero sufficientemente alto di osservazioni (per tanto tempo devo osservare) da giustificare la generalizzazione, giustificabile solo in termini di probabilità. Se numerose volte, in circostanze diverse, con soggetti diversi, da osservatori diversi è stato osservato lo stesso(analogo) evento, le probabilità che l’assunzione (o ad esempio una determinata terapia) non sia falsa diminuiscono (falsificazionismo). Il metodo induttivo segue quattro tappe: - osservazioni specifiche -individuazione di regolarità -formulazione delle ipotesi -formulazione della teoria. Il metodo deduttivo consiste invece, nel ricavare leggi interpretative della realtà dalle teorie vigenti, utilizzando esclusivamente procedimenti logici (ragionamento sillogistico). Da una teoria più ampia se ne ricava una più specifica; anche in questo caso la teoria deve essere plausibile e per essere tale deve avere un chiaro riferimento empirico, altrimenti rischiano di rimanere puri giochi simbolici, puri ragionamenti sillogistici. Anche il metodo deduttivo segue quattro tappe: -formulazione di una teoria -formulazione di ipotesi specifiche -osservazioni -verifica delle ipotesi. Più tardi si propose un metodo ipotetico-deduttivo, posizione, largamente condivisa e poi contestata verso la fine degli anni ’50, con il progresso scientifico in ambito delle scienze fisiche: fu la teoria della relatività di Einstein a rimettere in discussione il concetto di osservazione pura: i concetti di spazio e di tempo non possono intendersi come dimensioni assolute, bensì relative, dipendenti dal sistema di riferimento in cui è collocato un osservatore. Di conseguenza viene messo in crisi il metodo induttivo, che viene sostituito dal metodo ipotetico-deduttivo. Altro fatto da ricordare è che ci sono fatti direttamente osservabili e fatti inosservabili, o non osservabili direttamente, anche questi ultimi possono essere studiati. LA CONCEZIONE <<AUTOCORREGIBILE>> DI SCIENZA Con l’andar del tempo anche la concezione positivista della scienza subì un’evoluzione e si andò sempre più affermando il concetto di autocorreggibilità. Viene dunque a cadere il concetto di validità assoluta della scienza e di progresso scientifico come accumularsi di conoscenze si ha quando la scienza stessa ammetta la sua capacità di autocorreggersi . Attualmente, una delle concezioni epistemologiche più influenti è quella di Karl Popper, secondo cui nessuna posizione può essere confermata empiricamente, ma solo confutata. Ricordiamo che non si può confutare qualcosa di complesso, è per questo che le teorie devono essere più semplici possibili, chiare, precise e complete. Una legge scientifica dunque non è mai valida o certa in senso assoluto solo perché ha avuto conferme empiriche. Di essa si può solo affermare che non è falsa, perché i nostri limiti conoscitivi ci impediscono di verificare l’evento nella sua totalità: ci può essere sempre il caso che la disconferma. Solo un’affermazione di disconferma può essere logicamente vera, un’affermazione al positivo può essere solo corroborata empiricamente, cioè non ancora falsificata. (cioè non dobbiamo dire che è una cosa vera, ma che una cosa potrebbe non essere falsa). Perché un’ipotesi sia valida deve poter essere confutata. Un’affermazione non confutabile non è scientifica (es psicoanalisi, la psicoanalisi non è una scienza, l’inconscio non è osservabile, e il marxismo, considerate da Popper le due <<bestie nere>>, perché pretendono di spiegare tutto e trovare una giustificazione a qualsiasi confutazione). Secondo Popper, la ricerca scientifica non inizia dalle osservazioni, bensì dai problemi, cioè da una contraddizione o tra due teorie o tra una teoria e un fatto. Per risolvere il problema occorre fantasia e creatività da parte dello scienziato. KUHN E I PARADIGMI Negli anni ’50, apparivano altre opere di studiosi, che proponevano delle tesi volte a modificare la concezione tradizionale di scienza e a criticare Popper. Tra questi vi fu Kuhn, il quale disse che il compito Il realismo critico o fallibilista; sottolinea in maniera ancora più marcata il fatto che non è possibile conoscere la realtà delle cose in sé. Lo scienziato non scopre la realtà, ma inventa teorie che servano a rappresentarla e a spiegarci il modo in cui noi siamo in grado di percepirla. Il realismo critico ha trovato molto credito nell’ambito della psicologia. L’inferenza Se è possibile progettare teorie e modelli che descrivono e analizzano le proprietà dell’atomo, è altrettanto lecito sul piano scientifico studiare stati mentali, strutture sociali e così via. Attraverso un processo di transduzione è possibile inferire, a partire da quello che si osserva con l’esperienza diretta, ciò che non è possibile osservare. La realtà non è più solo quello che si osserva, ma anche ciò che si inferisce per spiegare quello che si osserva. PENSARE IN MODO CRITICO Ogni giorno abbiamo a che fare con i comportamenti umani e questo ci induce a pensare di conoscere bene la psiche umana e fin troppo spesso siamo tentati di accettare passivamente, non solo le convinzioni basate sul senso comune, ma perfino le informazioni inattendibili sulla miracolosità di riti ed il potere curativo con erbe. Il pensare in modo critico implica: capacità di riflettere, valutare, confrontare, analizzare, criticare e sintetizzare le informazioni. I pensatori critici sfidano la saggezza ponendo interrogativi complessi. Il metodo di ricerca utilizzato: approccio sistematico finalizzato a fornire delle risposte a interrogativi scientifici L’ obiettivo della psicologia è aiutare gli individui, ma in particolare, i suoi obiettivi sono quelli di descrivere(qual è la natura di un comportamento? ovvero dare un nome e classificare dettagliatamente delle osservazioni scientifiche), comprendere(perché si manifesta? cioè precisare le cause di un comportamento), prevedere(possiamo calcolare quando si verificherà?ossia anticipare il comportamento in maniera precisa) e controllare(quali elementi lo condizionano? cioè mutare le condizioni che si ipotizza possano influenzare un comportamento; il che vuole una successiva verifica del mutamento del comportamento. Il controllo deve essere usato con saggezza e umanità) il comportamento. Il punto focale del pensiero critico consiste nel riflettere in modo attivo sulle idee; i pensatori critici infatti cercano tutte le possibili prove che possano confermare le loro convinzioni ed esplorano le debolezze del loro ragionamento, vogliono giungere ad conclusioni più veritiere possibili, ma non hanno paura di ammettere di aver sbagliato. Il pensiero critico si basa sui seguenti principi fondamentali: -Poche verità non richiedono prove empiriche, la materia religiosa -Giudicare la qualità delle prove è fondamentale,non limitarsi al giudicare la quantità -L’autorità o la competenza ostentata non rende automaticamente vera un’idea, non bisogna prestare ad un esperto in quanto tale, ma chiedere sempre il perché -Il pensiero critico richiede una mente aperta, ciò implica l’essere preparati ad intraprendere percorsi ardui ed accettare qualsiasi tipo di verità, al fine di integrare le proprie informazioni, ma non bisogna mai diventare creduloni. CAPITOLO 2 BREVE STORIA DELLA PSICOLOGIA: LE DIVERSE CORRENTI DI RICERCA L’antenato della Psicologia è senza dubbio la filosofia; con il passare del tempo la psicologia si diversica nello scegliere di applicare metodi scientifici. Nel 300-400 a.C. vi erano due filosofi con pensieri tra loro divergenti: da un lato Platone sosteneva l’importanza delle idee innate e i sensi ingannevoli; dall’altro Aristotele che sosteneva che non esistono le idee innate e che queste vengono acquisite attraverso i sensi. Sulla scia di Platone, Cartesio proseguì nella credenza delle idee innata, cercando però di capire che rapporto c’è tra corpo e mente; mentre sulle orme di Aristotele, Locke parlò della nascita dei bambini sotto forma di tabula rasa. Nel 1700 fu la volta di Kant, filosofo illuminista che pone fine alle due orme divergenti e parlò di conoscenza a “priori” con un conseguente grande sviluppo delle scienze bio-mediche; Autopsia: scoperte sul rapporto cervello/funzionamento psichico e al Boom della Fisica e della Chimica . Si gettano così le basi allo Strutturalismo di Titchener. Dall’altro lato Kant ci parla di conoscenza “a posteriori”, influenzando Darwin non solo nella scoperta che l'uomo deriva dalla scimmia, ma anche nella concezione della selezione naturale; questo porterà allo sviluppo del Funzionalismo di James(opposto allo Strutturalismo). Il <<padre della psicologia>> è senza dubbio Wundt, che nel 1879 creò il primo laboratorio sperimentale di psicologia in Lipsia, Germania. Egli osservò in modo sistematico e misurò le reazioni dell’uomo di fronte a diversi stimoli (luci, suoni, pesi). Utilizzò un metodo definito introspezione sistematica, una tecnica di auto-osservazione consiste nel guardarsi dentro, esaminare i propri pensieri, sentimenti o sensazioni; cioè gli elementi base della conoscenza conosciuti come comportamenti covert. LO STRUTTURALISMO Negli Stati Uniti invece, Edward Titchener fondò lo Strutturalismo: corrente di pensiero basata sull’analisi degli elementi costitutivi delle sensazioni e delle esperienze personali. Lo Strutturalismo propone un’analisi delle strutture della mente; chiedendosi:Com'è fatta la mente ? Come si percepisce ? Parallelamente in chimica, biologia, fisica si cercavano le componenti di base della materia e degli elementi (atomo, cellula, ec.). Il metodo prevalentemente utilizzato era quello, preso da Wundt, dell’Introspezione, dove l’osservatore doveva solo descrivere ciò che emergeva dal suo interno. IL FUNZIONALISMO William James invece fondò il Funzionalismo: approccio psicologico che studia in che modo il comportamento e le abilità mentali aiutano le persone ad adattarsi all’ambiente in cui vivono. A differenza degli strutturalisti che consideravano la coscienza come un insieme di elementi costitutivi statici, James la considera una corrente o flusso di immagini e sensazioni in continuo mutamento. A James non interessava come era fatta la mente, ma si chiedeva qual è la sua funzione, come funziona la mente? I funzionalisti si rifacevano alle teorie proposte da Charles Darwin, a proposito dell’evoluzione delle creature viventi in termini di necessità di sopravvivenza, cercando di scoprire in che modo la mente, la percezione, le abitudini e le emozioni ci aiutano ad adattarci e a sopravvivere. Il funzionalismo promosse la psicologia scolastica e del lavoro, attraverso lo studio dell’apprendimento, poiché questo sviluppa la nostra capacità di adattamento. La conoscenza per James doveva essere finalizzata, non più allo studio delle cose teoriche, bensì alla risoluzione di problemi pratici e sostenne l’importanza della psicologia applicata. Nasce così il presupposto della psicologia applicata, cioè il pragmatismo, che sosteneva che la conoscenza doveva appunto essere finalizzata alla risoluzione di problemi pratici. Nasce poi un'altra corrente di pensiero l’associazionismo (ritiene sempre che non esistono idee innate: sono acquisite attraverso i sensi)in contrapposizione con Locke, Ebbinghaus sosteneva che la conoscenza può essere acquisita per associazione; si contrappone alla tabula rasa di Locke perché se così fosse nell’uomo non ci sarebbe apprendimento. Egli utilizzava il metodo dell'introspezione sperimentale sistematica al fine di ottenere risultati più oggettivi. Importanza della ripetizione per l'apprendimento e la memoria. Dalle divergenze tra Strutturalismo e Funzionalismo si creano correnti differenti. LA PSICANALISI Durante la fine dell’800, nasce poi la psicoanalisi(più vicina allo Strutturalismo) o “analisi della mente”, nata dal pensiero di Freud, è la prima psicoterapia fondata sull’interpretazione. Freud considerava la vita mentale una sorta di iceberg di cui solo una piccola parte risulta osservabile e cosciente. La parte della mente che sfugge alla consapevolezza personale fu definita da Freud incoscio e sono proprio i pensieri, gli impulsi e i desideri inconsci a influenzare il nostro comportamento. Oggi si parla di Psicoterapia psicodinamica che nasce dalle teorie freudiane e neofreudiane i cui focus sono affetti ed espressione delle emozioni,esplorazione dei meccanismi di difesa,identificazione di temi ricorrenti, ecc. I Neofreudiani accettano la maggior parte del pensiero freudiano, rivisitandone alcune parti. Oggi le idee di Freud hanno subito tante modificazioni: molti non ritennero così importante le dinamiche intrapsichiche delle pulsione e della libido. Tuttavia, il lascito è ancora evidente nelle varie teorie psicodinamiche che continuano a porre l’accento su motivazioni, conflitti e pulsioni inconsce. Da qui nasce la Psicoterapia psicodinamica: nasce dalle teorie freudiane e neofreudiane i cui focus sono gli affetti ed espressione delle emozioni, esplorazione dei meccanismi di difesa, identificazione di temi ricorrenti, ecc.. cozza con l’approccio cognitivista e comportamentista. COMPORTAMENTISMO In contrapposizione alla psicoanalisi si sviluppa poi il Comportamentismo del fisiologo Pavlov, che parlò del condizionamento classico(noi rispondiamo a certi stimoli se sono presentati in modo continuativo). La Psicologia umanistica è un approccio teorico proposto da Carl Rogers e Abraham Maslow, che pone l’accento sull’esperienza umana soggettiva ed analizza esperienze, problemi, potenzialità e ideali dell’uomo. Fondamentale in quest’ambito è l’ Autorealizzazione: teoria ideata da Maslow, che indica il processo di realizzazione come sviluppo complessivo delle potenzialità individuali per diventare la migliore persona possibile. Gli psicologi umanistici sostengono che ogni uomo possiede questo potenziale, ma spetta agli psicologi farlo emergere. I due umanisti rifiutano l’idea freudiana che l’agire umano sia esclusivamente governato da pulsioni inconsce, ma dissentivano anche dai comportamentisti che ponevano l’accento sul comportamento; questi posero invece l’accento sul libero arbitrio, ossia sulla capacità di operare delle scelte volontarie, anche se riconosco che le esperienze del passato possono condizionare l’esistenza e le scelte dell’individuo. PSICOLOGIA DELLA GESTALT (opposta al Comportamentismo) Max Wertheimer, Wolfgang Köhler e Kurt Lewin(fonderà la Psicologia Sociale) furono I principali promotori e teorizzatori scientifici della corrente di ricerca psicologica definita Psicologia della Gestalt; corrente nata in Germania all’inizio del XX secolo che studia i processi percettivi e cognitivi come unità globali. Studiare il comportamento umano non era affatto semplice, i loro studi si basavano sul principio secondo cui <<Il tutto è diverso dalla somma delle sue singole parti>>; il nostro organismo è costruito per dare senso a un tutto, per cui studiare le singole componenti non porta ad una conclusione globale. La parola tedesca Gestalt significa proprio <<forma, modello o insieme>>. Il disegno qui riprodotto è costituito interamente da cerchi incompleti. Invece, come scoprirono gli psicologi della Gestalt, le nostre percezioni ci inducono a vedere delle forme dotate di significato. Grazie a questa tendenza, probabilmente vediamo un triangolo in questo disegno, anche se è soltanto un’illusione. Il risultato finale è diverso dalle singole parti. Il modello teorico proposto dalla Gestalt riguardante il pensiero si oppose a quello comportamentista, secondo il quale gli individui e i primati risolvono le problematiche per <<prove ed errori>>, proponendo invece un criterio di spiegazione formato dalla comprensione e dall’intuizione. COMPORTAMENTISMO “Apprendere un comportamento” divenne la materia di studio di molti comportamentisti, come Ivan Pavlov che parlò di condizionamento classico con associazione di due stimoli, e di Thorndike, precursore del comportamentismo, che parlò di associazioni tra stimolo e risposta che se producono "soddisfazioni", si rafforzano, altrimenti si indeboliscono. A tal proposito Thorndike parlò della legge dell’esercizio e della legge dell’Effetto. Con John B. Watson il Comportamentismo supera il Funzionalismo e lo Strutturalismo: approccio teorico che pone l’accento sullo studio del comportamento evidente, osservabile. Watson sosteneva che il comportamento è funzione degli stimoli ambientali [R = (f) S] la risposta (R) è in funzione di uno stimolo (S); manipolare uno stimolo per elicitare risposte diverse. Watson fa ricerca su animali e poi i risultati li generalizza agli esseri umani. È chiaro che Watson vuole controllare rigorosamente le variabili e analizzare solo i comportamenti osservabili. Egli riteneva che il metodo dell’introspezione non fosse scientifico poiché non consentiva di risolvere le controversie tra gli osservatori. Si tratta comunque di osservare la relazione tra gli stimoli e le risposte. Queste osservazioni erano oggettive, poiché non coinvolgevano l’introspezione sull’esperienze soggettive. Watson adottò inoltre il concetto di condizionamento di Pavlov. Quando due variabili aumentano o diminuiscono in modo analogo si parla di correlazione positiva (in modo analogo, direttamente proporzionale); se le due variabili aumentano o diminuiscono in maniera opposta si parla di correlazione negativa (inversamente proporzionali). DIFFERENZA IMPORTANTE: mentre nell’ipotesi osservativa io “mi siedo e osservo” e basta, non so che tipo di relazione ci possa essere fra le variabili, in quella correlazionale “mi siedo e osservo”, però mi aspetto un certo tipo di relazione fra le variabili osservate pure, ma non di causa/effetto perché non le manipolo. Non c’è una variabile indipendente, ma variabili osservate che si relazionano. RIASSUMIAMO LE TIPOLOGIE DI VARIABILI • Indipendenti (VI) che producono (causa) influenza (condizioni provocate dal ricercatore) • Dipendenti (VD) che subiscono (effetto) influenza • Invocate (di disegno) – classificazioni differenziali (condizioni di cui il ricercatore può solo prendere atto: non sono manipolabili) • Osservate (VO) (sulle quali si verificano le eventuali differenze) • Intervenienti o estranee (di disturbo) possono influenzare i risultati, anche se non sono previste nell’ipotesi (devono essere “controllate”, cioè neutralizzate). ERRORI O FONTI DI VARIAZIONE In ambito metodologico, l'errore è presente e può essere dovuto a cause diverse. L’errore può essere definito come la differenza tra il valore ottenuto ed il valore vero. È fondamentale calcolare l’errore per rendere i risultati più obiettivi possibili, cioè bisogna calcolarlo per tendere una alta probabilità di certezza scientifica. Gli errori possono essere sistematici o causali (o accidentali); l’ errore sistematico ha un valore costante per ogni misura effettuata nelle medesime condizioni sperimentali, quindi può essere corretto, in più ha, almeno in linea di principio, una origine definita che può essere individuata ed eventualmente eliminata. I più comuni tipi di errore sistematico sono: errori sistematici strumentali, errori sistematici personali ed errori sistematici del metodo. L’ errore causale è presente in ogni misura e non può essere eliminato in quanto è insito nella misura stessa; ha un valore variabile in modo casuale ed il suo effetto sul risultato può essere studiato con un approccio statistico. DOPPIO CIECO: I placebo e le profezie autoavverantesi. In un esperimento ben progettato occorre prestare attenzione a quanto si comunica ai partecipanti, poiché delle piccole informazioni potrebbero creare un effetto dei partecipanti ossia determinare dei cambiamenti nel comportamento dei partecipanti alla ricerca causati dall’influenza delle loro aspettative. Ad esempio dei due gruppi, quello sperimentale prendono una pillola e quelli del gruppo di controllo prendono una pasticca dalle dimensioni di una pillola, ma che in realtà non lo è. Le pillole essendo farmaci dovrebbero avere un effetto, questo induce all’effetto placebo, un cambiamento nel comportamento causato dalla convinzione di aver assunto un farmaco. Solitamente nel caso di trattamento con effetto placebo il ricercatore da sostanze non attive come pillole di zucchero; se un placebo ha qualche effetto, ciò è dovuto alla suggestione, non al principio attivo del farmaco. È stato per questo motivo utilizzato il placebo dai medici come cura di disturbi che non sembravano avere una causa fisica, ma che hanno curato dolori, ansia, depressione e tensione. L’effetto dei partecipanti si cura con l’esperimento con il singolo cieco; cioè ai partecipanti viene nascosto sia lo scopo generale della ricerca, sia la condizione alla quale ognuno di esse è sottoposto. Tale procedimento a singolo cieco è spesso applicato in psicofarmacologia; infatti i partecipanti assumono ciecamente compresse, che possono non essere farmaci veri, dunque la loro reazione fa comprendere la reale esigenza di una cura con farmaci o meno. Esiste però anche l’effetto dello sperimentatore, Rosenthal ci parla del fatto che i risultati di determinati esperimenti possono essere compromessi dalle aspettative del ricercatore stesso. Si parla di una profezia autoavverantesi, ovvero una previsione che induce ad agire in modo che la previsione si realizzi. Per esempio molti insegnanti sottovalutano le abilità di alcuni bambini stranieri e ciò limiterà senza dubbio le loro possibilità di riuscita. Questi due effetti (dei partecipanti e dello sperimentatore) possono essere “risolti” con l’esperimento in doppio cieco, ovvero né partecipanti né ricercatori sanno chi fa parte del gruppo sperimentale e di controllo, e non sanno neppure chi ha assunto un farmaco e chi ha assunto un placebo. Questa tipologia rende l’esperimento più veritiero perché esclude le aspettative di chi fa la ricerca e di chi è sottoposto alla suddetta. METODI DI RICERCA NON SPERIMENTALI: ALTRI PROCEDIMENTI DI INDAGINE Sappiamo dunque che esistono i metodi pre-scientifici e quelli scientifici, tra i metodi scientifici riconosciamo 2 categorie,quelli non sperimentali e quelli sperimentali. Il metodo sperimentale è, senza dubbio, considerato il più importante e attendibile dagli psicologi, in quanto pone l’accento sul rapporto causa-effetto, cercando di spiegare non solo quello che facciamo, ma anche perché lo facciamo. Le ipotesi sperimentali si basano su alcuni requisiti fondamentali: selezionare i soggetti in modo casuale alle diverse condizioni di trattamento, avere un numero di soggetti sufficientemente rappresentativo della popolazioni di riferimento, i soggetti selezionati sono appartenenti alla stessa popolazione di riferimento e avere un gruppo di controllo. La ricerca sperimentale si differenzia dalle altre per la manipolazione delle variabili e lo studio degli effetti della variabile stessa. Tuttavia non è sempre possibile utilizzare metodi di ricerca sperimentali, per questo gli psicologi raccolgono le prove e verificano le ipotesi in molti altri modi, al fine ultimo di far progredire le conoscenze in psicologia: -metodo descrittivo (osservano il comportamento in un ambiente naturale attraverso l’osservazione naturalistica); -metodo correlazionale (scoprono le relazioni tra gli eventi); -metodo clinico (studiano disturbi psicologici e le terapie all’interno del setting clinico); -metodo dell’inchiesta (usano dei questionari per sondare opinioni e raccogliere dati relativi a gruppi estesi di persone). METODO DESCRITTIVO È un’indagine empirica in cui non c’è alcun intervento sui fenomeni studiati. Gli psicologi talvolta osservano e raccolgono sistematicamente dati relativi al comportamento di una persona o di un animale in un ambiente naturale, ottenendo delle SOLO descrizioni del comportamento e non spiegazioni di tali comportamenti. Esistono diversi tipi di osservazioni che possono influenzare l’esito della ricerca: -Influenza dell’osservatore, che si riferisce ai cambiamenti nel comportamento di un soggetto causati dalla consapevolezza di essere osservato; per ovviare a tale problema devo far focalizzare tutti gli osservatori su uno stesso evento; si calcola l’accordo fra più osservatori. -Distorsione dell’osservatore, è un problema che nasce dal fatto che gli osservatori, talvolta, vedono quello che si aspettano di vedere o registrano solo certi dettagli scelti; -Errore di antropomorfizzazione, è uno sbaglio frequente che bisognerebbe evitare nell’osservare gli animali, ai quali vengono attribuito pensieri, sentimenti o motivazioni umani, per spiegare il loro comportamento; -Registrazione delle osservazioni, è stato un modo per tentare di ridurre le distorsioni dovute all’osservatore, attraverso uso di videocamere nascoste e registrazioni video, che forniscono la visualizzazione in assoluto più fedele. Diventa necessario variare i periodi di osservazioni, esistono 2 modalità: possiamo osservare con una videocamera 24h un fenomeno oppure osservare a random, cioè non sempre. Spesso il fatto di essere osservato altera il comportamento, ecco perché anche qui diventa necessario non rendere noto al soggetto scelto ciò che si sta facendo. METODO CORRELAZIONALE Consiste nella misurazione e confronto fra variabili per scoprire se esiste fra loro una relazione o correlazione, ovvero se sono in rapporto fra loro in modo ordinato. La ricerca correlazionale è un tipo specifico di ricerca non sperimentale, perché i ricercatori non manipolano intenzionalmente le variabili oggetto di studio. Il grado di correlazione viene espresso dal coefficiente di correlazione, un indice statistico che può variare da -1,00 a +1,00 e che indica la direzione e il grado di correlazione. Se il numero è zero o vicino allo zero, la relazione tra i due elementi è debole o inesistente, ma se invece il coefficiente è vicino a +1,00 oppure a -1,00, la correlazione è più forte. Si parla di correlazione positiva quando al crescere di una variabile corrisponde l’aumento dei valori dell’altra variabile e di correlazione negativa quando l’aumento di una variabile è associato alla diminuzione dell’altra variabile (più tempo si passa a giocare con i videogiochi, più bassi sono i voti a scuola). Gli studi correlazionali ci aiutano a scoprire relazioni fra variabili e avanzare previsioni; tuttavia la correlazione non deve essere confusa con la causalità, cioè una relazione tra causa-effetto. Ad esempio uno psicologo scopre che nel sangue dei pazienti affetti da schizofrenia è presente una sostanza chimica che manca nel resto della popolazione. Questo non è sufficiente per dire che la sostanza crea la schizofrenia; è possibile che sia la schizofrenia a determinare tale sostanza o ancora potrebbe essere un terzo fattore sconosciuto a causare sia la schizofrenia, sia la presenza della sostanza chimica. Se una cosa sembra causarne un’altra, non prova che la causi davvero. Posta una relazione tra due variabili osservate X e Y è possibile osservare se una terza variabile Z modifica o funge da mediatore a questa relazione. METODO CLINICO Conosciuto anche come metodo del caso singolo, è un metodo scientifico ma non sperimentale, perché il soggetto singolo non può essere rappresentativo della popolazione; per risolvere tale problema possiamo osservare tante volte un determinato fenomeno per poi generalizzarlo. Attraverso questo metodo si cerca di aiutare la persona a risolvere i propri problemi attraverso la raccolta di informazioni tramite il colloquio clinico e la somministrazione di test e questionari. Gli psicologi clinici utilizzano spesso lo studio dei casi singoli e lo considerano soprattutto uno strumento per analizzare alcuni disturbi mentali e per studiare l’effetto, positivo o meno, delle psicoterapie. Esiste una varietà di disegni sperimentali per analizzare il comportamento di un singolo soggetto in un certo intervallo di tempo; ad esempio nel disegno sperimentale il comportamento viene osservato prima di un trattamento(condizione baseline), durante il trattamento(condizione in cui viene applicata una procedura di rinforzo, di estinzione ecc) e quando il trattamento è stato interrotto(verificare se il comportamento ritorna alla condizione normale in seguito ad un trattamento somministrato). Gli obiettivi principali sono: la ricerca dei fattori che hanno causato i problemi della persona , da cui ne consegue la formulazioni di ipotesi generali per la ricerca o la convalida di un determinato trattamento. METODO DELL’INCHIESTA È un metodo non sperimentale in cui si utilizzano tecniche specifiche per creare domande e codificare le risposte. In genere, a un gruppo di persone appartenenti a un campione rappresentativo vengono rivolte una serie di domande attentamente formulate. Esiste un campione rappresentativo, cioè un piccolo gruppo di persone che riflette le caratteristiche della popolazione generale. Un campione adeguato è costituito dalla stessa percentuale di uomini, donne, giovani, anziani, professionisti, impiegati, e così via presenti nell’intera popolazione. Anche se siamo interessati a un’intera popolazione, un piccolo campione consente di trarre conclusioni su un gruppo più ampio evitando di dover intervistare tutti gli individui. I campioni rappresentativi sono spesso ottenuti selezionando causalmente dalla popolazione generale le persone da includere. Un campione non rappresentativo invece non riflette in modo preciso la popolazione che dovrebbe rappresentare. Di recenti gli psicologi hanno iniziato a effettuare sondaggi ed esperimenti utilizzando Internet. La ricerca fondata sull’uso del web può essere un modo conveniente per raggiungere gruppi di persone molto più ampi, tuttavia le conclusioni che si possono trarre dagli studi condotti via web possono essere poco attendibili, poiché non è facile controllare chi davvero risponde ai questionari online. Le risposte ai sondaggi, dunque, non sono sempre precise e veritiere, e molti intervistati mostrano la tendenza a dare delle risposte <<educate>> o <<socialmente desiderabili>>. Pianificazione di una ricerca (legata al ciclo della ricerca) In questa fase il ricercatore compie una serie di scelte che portano a delineare il disegno di ricerca. Esse riguardano: • i soggetti da sottoporre alle prove, • le condizioni in cui condurre le osservazioni, -creare due o più gruppi di soggetti che dovrebbero essere simili sotto tutti gli aspetti a eccezione della condizione che si decide di modificare. -verificare se la modifica della condizione ha effetti sul comportamento. Il secondo punto ci fa riflettere sull’importanza del confronto fra due gruppi di soggetti sperimentali; in particolare si realizza un gruppo sperimentale e uno di controllo. Questi due gruppi vengono sottoposti alle stesse prove a eccezione della condizione (detta variabile indipendente) che viene modificata. Il gruppo sperimentale è costituito dai partecipanti che ricevono il trattamento sperimentale , che sono esposti alla variabile indipendente, mentre i membri del gruppo di controllo sono esposti a tutte le condizioni ad eccezione della variabile indipendente. Ad esempio un esperimento è stato condotto su soggetti che studiavano meglio (variabile dipendente) quando ascoltavano l’i-Pod, quindi questi sostenevano che la musica (variabile indipendente) facilitasse l’apprendimento. È possibile verificare quest’idea formando un gruppo sperimentale che studia ascoltando la musica e un gruppo di controllo che studia invece senza musica; poi si procede confrontando il punteggio dei test di apprendimento. Il gruppo di controllo rappresenta dunque un termine di paragone per il confronto fra i punteggi del gruppo sperimentale. Senza un gruppo di controllo sarebbe impossibile affermare qualcosa con certezza. Raccolta dei dati: Misurazione delle variabili -Per Stevens (1946) la misurazione è l’associazione tra una categoria e oggetti, eventi …. in base a regole di corrispondenza. - La misurazione di un sistema empirico è la costituzione di un sistema numerico (formale) in modo tale che ci sia una relazione di omomorfismo (stessa forma) con il sistema empirico (Pedon, 1999). - Noi sappiamo che la variabile è qualsiasi caratteristica (fisica o psichica) del soggetto che può assumere valori diversi in un dato intervallo e che varia da individuo a individuo. - Ogni variabile è formata da un insieme di categorie che esprimono l’ambito di variazione della variabile stessa (Livelli) In poche parole.. Fondamentalmente quando operazionalizziamo una variabile, gli diamo delle etichette numeriche che ci consentono di effettuare delle operazioni; il numero dunque in realtà è qualcosa che ha definito l’uomo nel corso dei secoli (tutti sappiamo che 1+1=2). La cosa importante è misurare correttamente, utilizzando procedimenti, non solo matematici, ma concettuali, corretti in funzione della variabile che vogliamo osservare (cioè se ad esempio voglio misurare un tavolo devo utilizzare il metro e non il litro). Sulle variabili psicologiche, non si può facilmente cambiare unità di misura; per questo Stevens suggerisce di scegliere qualsiasi unità di misura, l’importante è che la caratteristica della variabile non venga alterata dall’unità di misura stessa(per questo dire 10l d’acqua e 10g d’acqua è la stessa, perché la quantità non cambia. Questo discorso non si può fare con l’altezza). Stevens propone quattro possibili classificazioni di variabili, al fine di misurarle secondo alcuni parametri. Il principio è sempre lo stesso: stabilire una relazione tra i livelli di misurazione e la variabile. Queste quattro scale di misura sono: 1) categoriale o nominale 2) ordinale 3) a intervalli equivalenti 4) a rapporti equivalenti Per comodità diciamo che le scale nominale e ordinale sono qualitative, mentre quelle a intervalli equivalenti e a rapporti equivalenti sono quantitative. Dunque se voglio determinare la qualità di una variabile, uso prevalentemente scale di tipo nominale o ordinale, se voglio determinare la quantità scale a intervalli o a rapporti. Il modo in cui operazionalizzo la variabile condiziona il modo in cui io decido di misurare quella variabile ed ottengo informazioni specifiche. La scala di misura è condizionata dallo strumento che lo psicologo sceglie per misurare una variabile. Scala nominale: aspetti qualitativi (attributi) di una variabile Quali sono le modalità attraverso le quali la variabile “x” si potrebbe presentare? Noi abbiamo una variabile con più livelli. La proprietà di tale scala prevede la classificazione degli elementi e ciò significa suddividere tali elementi di una classe in sottoclassi che si escludono a vicenda (ad esempio se decido di classificare dei soggetti sulla base del loro colore di capelli, li divido in capelli biondi, castani, neri, ma escludo le sottoclassi di persone con capelli castano scuro ecc.). Tutti i soggetti che appartengono a quella sottocategoria, sono equivalenti (se creo una categoria di persone con capelli biondi, in quella categoria posso mettere solo quei soggetti). Caratteristiche di: - Riflessività (X1 = Xi) - Simmetria (se X = Y, Y = X) - Transitività (se X = Y, e Y = Z, allora X = Z) Calcoli: frequenze (quanti elementi) e delle frequenze relative (percentuale di elementi entro ogni sottoclasse). I livelli sono categorie discrete e non possono essere ordinate in alcun modo(non c’è un – e un +, sono categorie diverse). Scala ordinale: stabilisce una relazione di ordinalità tra i livelli Si ordinano le caratteristiche, cioè i livelli di quella variabile secondo un parametro che sia rappresentativo della variabile stessa, cioè non si altera la variabile, ma semplicemente la si ordina (ad esempio ordino le persone sulla base delle loro tonalità di colore dei capelli che vanno dal più chiaro al più scuro). I valori si collocano entro un continuum, in cui l’ampiezza della distanza tra un livello e l’altro è variabile e non prevedibile (ad esempio se voglio ordinare i primi tre posti ad una gara di corsa, può capitare che il tempo impiegato tra il primo e il secondo, non è lo stesso di quello impiegato tra il secondo ed il terzo). Anche in questo caso abbiamo le stesse proprietà della scala nominale:l’ equivalenza dei membri all’interno di una stessa sottoclasse (riflessività, simmetria, transitività) e tra le diverse sottoclassi (entro la categoria) solo transitività (se X > Y e Y > Z, allora X > Z). Posso fare una qualsiasi operazione ,che però non alteri la relazione di ordinazione (posso a tutti gli atleti aggiunge o sottrarre 10s di tempo, ma l’ordine deve rimanere invariato). I livelli di queste variabili sono categorie discrete che possono essere ordinate. Scala a intervalli La scala a intervalli ha le stesse caratteristiche della scala ordinale, solo che, all’interno di ogni sottoclasse, gli elementi sono ordinati in modo che l’intervallo (la differenza) possibile tra un elemento e l’altro sia costante e noto (nel caso degli atleti operzionializziamo la variabile capacità atletica in termini di minuti, secondi impiegati per fare il giro del campo, in questo caso il numero di secondi o minuti è lo stesso, 1minuto, 1secondo. Avendo questa misurazione posso essere certa che, l’intervallo di tempo che passa fra il primo e il secondo, il secondo e il terzo, è ben noto e definito). Si stabilisce infatti un valore “x” da attribuire alla distanza possibile tra un punto e quello successivo. Si possono fare tutte le operazioni aritmetiche possibili, ciascun dato può essere moltiplicato o diviso per un valore costante e a questo si può aggiungere o sottrarre un altro valore costante. Lo zero non viene considerato un valore, ad esempio un atleta non può impiegare 0s,sarebbe uno stato di quiete. Scale a rapporti Il rapporto tra 2 punti della scala deve essere indipendente dall’unità di misura prescelta(es dei 10l e 10g di acqua). Es. il rapporto tra 1 euro e due euro deve essere lo stesso che c’è tra 2000 lire e 4000 lire. La scala a rapporti, ha le stesse caratteristiche di quella a intervalli, si differenzia solo per la presenza dello 0 assoluto(assenza dell’attributo che si vuole misurare) Es.: n° di errori. Anche in questo caso sono consentite tutte le operazioni possibili: in genere i dati esprimono frequenze relative (x/…), devono perciò essere trasformati (generalmente in arcoseno) per consentire operazioni più complesse. Queste quattro scale costituiscono dei gradini che si possono solo scendere e mai salire. La scala che ha maggiori proprietà è la scala a rapporti. Esempio: voglio operazionalizzare la variabile età. Innanzitutto chiedo a ogni soggetto la loro età, non è una scala a rapporti perfetta perché lo 0 non può esistere, quindi dirò che è una scala a intervalli. Dalla scala a intervalli ottengo informazioni sull’età, che può essere 5-12-9-8 ecc., avendo queste informazioni posso mettere in ordine i soggetti, e dunque trattare la variabile età anche come scala ordinale. Poi posso decidere di mettere insieme i soggetti pre-adolescenti e quelli adolescenti, ottenendo la scala nominale. Si preferiscono le scale quantitative, che portano all’occorrenza a quelle qualitative. Con le scale qualitative posso calcolarmi la frequenza, non la media del numero dei figli di una famiglia. Le proprietà matematiche delle scale sono diverse. STATISTICA PARAMETRICA E STATITISTICA NON PARAMETRICA Con quale metodo uno psicologo analizza i dati che ha? Esistono delle regole ben precise per capire se utilizzare la statistica parametrica o quella non parametrica, dunque regole che illustrano le loro differenze: 1) dipende dalle scale di misura; se io ho operazionalizzato le variabili utilizzando strumenti che mi forniscono dati su scala ordinale o nominale,ma anche su scala a intervalli e a rapporti, posso solo fare la statistica non parametrica. Se invece ho operazionalizzato le variabili scegliendo strumenti che danno dati le cui caratteristiche sono inquadrabili su scala a intervalli o a rapporti, posso utilizzare la statistica parametrica, e dunque anche quella non parametrica. Laddove posso è preferibili utilizzare la statistica parametrica. 2) applicabilità ai piani della ricerca: piano fra i gruppi(o gruppi indipendenti o trasversale), piano entro i gruppi (o a misure ripetute o longitudinale) e piano combinato o misto, dove almeno una variabile è misurata fra e almeno un’altra misurata entro. La statistica non parametrica non è in grado di analizzare i risultati ottenuti su piani combinati, bensì è applicabile solo a piani di ricerca fra e entro i soggetti, non ha la potenza per spiegare gli effetti di interazione, cioè i piani combinati. La statistica parametrica invece, è in grado di analizzare i risultati ottenuti da qualsiasi piano di ricerca, piano fra entro e misto. 3) l’ essere legata alla distribuzione (distribution free o no distribution free, per chiamare le due tipologie di statistiche):la statistica parametrica è fortemente condizionata al concetto di curva gaussiana, il che implica che posso utilizzare la statistica parametrica solo se i dati che ho nel mio campione, anch’essi hanno una distribuzione normale, poiché questa statistica mette a confronto i dati del campione con la curva gaussiana e vede se ci sono delle differenze. Quindi i dati devono avere le seguenti caratteristiche: unimodale, mesocurtosi e simmetrica. 4) numero dei soggetti da tener in considerazione(numerosità del campione): devo avere un campione sufficientemente numeroso perché sto avendo la presunzione di generalizzare i miei risultati che ho rilevato in un piccolo gruppo, a tutta la popolazione di riferimento. 5) le varianze devono essere omoscedastiche, cioè similari, non perfettamente uguali, la cui variabilità non è grande e drastica. Posso analizzare i dati con scale parametriche solo se: ho operazionalizzato le variabili su scala a intervalli o a rapporti, il numero dei soggetti è sufficientemente ampio, la distribuzione del mio campione è normale e le varianze dei due campioni e del singolo campione sono omoscedastiche, se c’è una variabilità eccessiva non posso applicare la statistica parametrica. Tutto ciò che è analizzabile con la statistica parametrica è anche analizzabile con quella non parametrica, non vale il contrario. Si preferisce utilizzare la statistica parametrica perché fa riferimento ad una distribuzione gaussiana e mi permette di generalizzare i risultati con una maggiore potenza, rispetto ad una statistica non parametrica, che invece analizza il tuo campione non in riferimento alla curva gaussiana. Se faccio un’ ipotesi descrittiva o correlazionale(ove posso utilizzare piani sia a gruppi indipendenti sia a misure ripetute), molto probabilmente avrò bisogno di una statistica non parametrica, se invece faccio una ricerca sperimentale o differenziale (ove c’è un confronto fra e entro i gruppi, avrò cioè un piano combinato) certamente ho bisogno di una statistica parametrica, perché sappiamo che l’ipotesi sperimentale o differenziale obbligano alla presenza di un gruppo di controllo o di un gruppo differenziale. -Validità di popolazione,si intende la capacità di generalizzare i dati del campione alla popolazione, cioè all’universo delle persone, ma poiché questo sarebbe impossibile, si procede con una ricerca referenziale, cioè si generalizza uno studio solo su di un determinato gruppo; -Validità temporale, si pensava che i risultati di una ricerca rimangano stabili nel tempo, cioè mantengano la loro validità ance in altri momenti, tuttavia è stato dimostrato che i risultati di un esperimento possono variare anche durante il periodi di tempo che intercorre tra il trattamento e il post-test; -Validità ecologica. Le minacce della validità esterna possono provenire in particolare dai limiti della validità della popolazione e di quella temporale: nel primo caso la difficoltà di reperire i soggetti della ricerca ha indotti i ricercatori a ricorrere prevalentemente ad alcune categorie di soggetti: i topi albini, gli studenti di psicologia, cosiddetti “fagioli” e alcuni pazienti e alunni di scuola. Nel caso delle minacce della validità temporale, queste possono provenire dalle variazioni stagionali, cioè quei cambiamenti che avvengono nella popolazione ad intervalli regolare,a variazioni ciclica , dipendente dall’organismo dei soggetti e variazione personologica, cioè variazioni che dipendono dalle caratteristiche degli individui nel tempo. Per aumentare la validità esterna si è innanzitutto pensato di adoperare misurazioni non intrusive: come quelle valutazioni ricavate dal linguaggio del corpo. In altri casi si è dimostrato utile raccogliere i dati prima che i soggetti si accorgano che il ricercatore ha iniziato il suo lavoro di indagine. E per finire talvolta è necessario evitare di dire il vero motivo della ricerca, cioè ricorrere all’inganno. VALIDITÀ DI COSTRUTTO Per validità di costrutto intendiamo sia il modo con cui abbiamo operazionalizzato le variabili, strettamente connesso ad un modello teorico di riferimento e sia gli strumenti appropriati che scegliamo di utilizzare per misurare esattamente ciò che vogliamo e chiaramente devono essere strumenti validi, attendibili e fedeli (ad esempio se io misurassi il peso di qualcosa a distanza di brevissimo tempo, il risultato deve essere lo stesso). In psicologia, il termine costrutto è un concetto astratto che indica un complesso organizzato della vita psichica non osservabile direttamente, ma che può essere inferito dal comportamento; ad esempio un soggetto ansioso si scorge dal indicatori del comportamento osservabili, come il battito cardiaco accelerato e la sudorazione delle mani. Tra le minacce alla validità di costrutto, la più importante è la mancanza di una dettagliata analisi a livello concettuale dei costrutti, consistente nel non identificare chiaramente il fenomeno che si vuole studiare e i suoi aspetti più importanti. Un ’ altra minaccia alla validità di costrutto riguarda l ’ inadeguata definizione operazionale dei costrutti teorici. I costrutti teorici, per essere analizzati, devono essere operazionalizzati, ovvero devono essere tradotti in operazioni concrete. Nel fare questo è possibile commettere degli errori. Sbagliando nell’ operazionalizzare una variabile si rischia di non essere certi di quale sia la variabile che stiamo rilevando. Un ’ ulteriore minaccia alla validità di costrutto è costituita dall’ambiguità delle variabili indipendenti, che si riferisce al fatto che la variabile indipendente può non essere quella ipotizzata dal ricercatore. Ogni soggetto della ricerca può avere delle proprie idee su quanto ci si aspetta da lui e questo può interferire con le variabili indipendenti. Ci sono vari metodi per ridurre tali minacce: il primo consiste nel definire chiaramente il costrutto astratto che si vuole analizzare; il secondo consiste nella verifica delle correlazioni tra i dati delle variabili che stiamo studiando e le variabili concettualmente simili; un terzo metodo è rappresentato dal controllo della manipolazione (manipulation check) che consiste nel verificare se la manipolazione sperimentale è effettivamente rappresentativa del costrutto ipotizzato. Tra le altre MINACCE ALLA VALIDITA’ DI COSTRUTTO -Effetto sperimentatore, risolto con il doppio cieco -Apprensione da valutazione -Desiderabilità sociale, rispondo in funzione di ciò che potrebbe volere la società -Effetto Howthorne, si riferisce al fatto che sapere di essere osservato in una situazione sperimentale può indurre i soggetti ad assumere un comportamento differente da quello normale; -Effetto “buon soggetto”, quando il soggetto vuole apparire buono ad ogni costo. VALIDITÀ STATISTICA Per validità statistica si intende la scelta dello strumento statistico appropriato alla tipologia di dati che abbiamo raccolto. Il concetto di validità statistica è strettamente legato a quello di validità interna, avendo per scopo di verificare se la relazione trovata tra le variabili sperimentali è causale o casuale, ovvero se l’effetto è significativamente da quello che si sarebbe ottenuto per caso. La validità statistica si occupa di controllare la variabilità dovuta al caso, tramite il calcolo delle probabilità e dell’inferenza statistica. Una minaccia a tale validità potrebbe essere il mancato rispetto dei requisiti del test statistico, per cui io posso scegliere il test statistico adeguato, ma non garantire i requisiti necessari per la sua applicazione e la bassa potenza statistica del test utilizzato, ovvero scarsa capacità del test di evidenziare differenze La ridotta validità statistica potrebbe essere dovuta dal «fishing», letteralmente «andare a pesca», che si verifica quando si effettuano correlazioni tra le variabili senza avere precise ipotesi circa le relazioni tra esse; o ancora dall’ avere una bassa numerosità del campione, dunque un campione troppo piccolo, perché quel gruppo non è sufficientemente rappresentativo della popolazione di riferimento e poi perché il test statistico non riuscirebbe a pescare le differenze individuali. Altri fattori che diminuiscono la validità statistica possono essere: - Alta variabilità entro i soggetti, deviazione standard, cioè quel parametro che misura quanto il singolo soggetto si discosta dalla media del gruppo; - Inadeguato livello di significatività prescelto, il ricercatore, in una verifica sperimentale, deve accettare che l’influenza del caso in una ricerca non sia particolarmente significativo - Disegno troppo complesso, le differenze individuali non possono essere pescate dalla statistica, le ricerche devono essere più semplici possibili, (maggiori probabilità errore di I tipo) - Presenza di fattori incontrollati più è complesso il disegno, maggiore è la probabilità che fattori incontrollati incidano sui risultati (maggiori probabilità errore di II tipo). Per aumentare la validità statistica possiamo: -ridurre il rischio di commettere l’errore di 1° tipo (da p<0.05 a p<0.01); -aumentare l’intervallo tra i valori della variabile indipendente; -ridurre l’errore casuale utilizzando appropriate tecniche di campionamento e assegnazione dei soggetti alle condizioni sperimentali, e raccogliendo i dati con strumenti attendibili e a loro volta poco soggetti ad errore di misurazione. MINACCE ALLA VALIDITA’ STATISTICA La statistica, concettualmente, confronta due gruppi e ottiene un risultato che prende in esame; confrontare i gruppi vuol dire confrontare le loro differenze, e si chiede di queste differenze, quanto è dovuto all’errore che ha commesso il ricercatore, quanto è dovuto al caso oppure è dovuto alle caratteristiche individuali dei due gruppi (di un gruppo maschile e uno femminile). Tutte queste differenze devono essere sottratte al risultato, per poi ottenere la probabilità del caso. La statistica ci dice quant’è la probabilità che il caso abbia inciso. Ragionamento logico referenziale: noi presupponiamo che tutti i cigni siano bianchi, ma non è detto che, in giro nel mondo, non esistano cigni neri; siccome il 99% dei cigni sono bianchi, allora asseriamo che tutti i cigni sono bianchi, salvo dimostrazioni contrarie, servono dimostrazioni empiriche per asserire che una teoria è falsa. Noi abbiamo due ipotesi: H1 (ipotesi sperimentale) e H0 (ipotesi nulla, si chiede quanto il caso ha inciso o non ha inciso su quel risultato). I rischi connessi all’ipotesi H0: Errore di I tipo (alfa) = rifiuto dell’ipotesi Ho quando è vera, cioè rifiutiamo l’incidenza del caso, quando il realtà il caso ha inciso moltissimo; (es do un farmaco che non è efficace) Errore di II tipo (beta) = accettazione dell’ipotesi Ho quando è falsa, pensare che un risultato sia dovuto prevalentemente al caso. (es non sto dando un farmaco che probabilmente è efficace) Dunque dobbiamo (riassunto ciclo della ricerca): • Definire sempre con accuratezza Ho e H1 • definire piano sperimentale, cercando di massimizzare gli effetti del trattamento, minimizzando gli errori • individuare la scala di misura più idonea a rilevare le informazioni desiderate • scegliere il test statistico più adeguato alla scala di misura utilizzata • verificare l’applicabilità del test (criteri da rispettare) • stabilire e verificare la potenza-efficienza del test legato alla numerosità del campione e alle caratteristiche del campione • individuare la distribuzione campionaria su cui si basa il test prescelto • definire con cura la “zona di rifiuto” (varianza) • raccogliere i dati e applicare il test • verifica delle ipotesi • inferenze sulla popolazione Se queste validità non sono garantite in modo appropriato, la ricerca non è ritenuta valida, quindi non viene pubblicata. CAPITOLO 5 Esistono 3 tipi di indici: Indici di posizione(per conoscere la posizione che una osservazione occupa all’interno di una distribuzione): -quantili -decili -percentili Indici di tendenza centrale(valore della tendenza centrale di un gruppo di persone): -Media -Moda -Mediana Indici di variabilità e dispersione(quanti soggetti si differenziano fra loro): -Devianza -Varianza -Deviazione standard Sappiamo che due scale di misura sono qualitative e due sono quantitative, il che ci richiama che la moda la possiamo calcolare su tutte le scale di misura, la mediana la possiamo calcolare in tutte le scale di misura tranne che nominale, la media la possiamo calcolare nelle scale intervalli e a rapporti. Nelle scale ad intervalli ed a rapporti che si differenziano solo per la presenza dello 0 si possono fare tutte le operazioni matematiche. Nella scala ordinale posso fare quei calcoli che non alterano l’ordine; in quella nominale posso solo calcolare la moda. INDICI DI TENDENZA CENTRALE La MEDIA È punto di equilibrio centrale dell’insieme dei valori considerati. La sua formula è: Ciò vuol dire che per calcolare la media si calcola sommando tutti i valori e dividendoli per n, cioè il loro numero totale dei valori considerati. Sulla scala nominale non si può applicare la media perché non posso dividere nomi, ad esempio maschi bruni e maschi biondi e calcolare la loro media. Se abbiamo soggetti numerosi, conviene raggrupparli in classi, in sottogruppi e confrontare tali sottogruppi. Come si procede …I valori della variabile su cui calcolare la media sono determinati dalla somma dei limiti (inferiore e superiore) /2 dell’intervallo di classe che va moltiplicata per la frequenza di soggetti ad esso associata. Si fa la media della sommatoria delle frequenze. La MEDIANA La mediana è quel valore che divide la distribuzione esattamente a metà. La mediana corrisponde al 50° percentile. L’occhio, ovviamente, si muove seguendo delle regole che cambiano da oggetto ad oggetto con l’ obiettivo di selezionare determinate informazioni. Con l’ Attenzione uditiva si evidenza che anche l’udito ci permette di selezionare In un gruppo di persone che parlano contemporaneamente possiamo selezionare la voce di una persona e seguire la sua conversazione oppure in un concerto possiamo selezionare un solo strumento; immediatamente il suo suono sembra aumentare di volume. A tal proposito, uno dei primi contributi sul tema dell’attenzione selettiva uditiva è stato fornito da Cherry, il quale fornì l’analisi del fenomeno del cocktail party, dimostrando che l’individuo è in grado di porre l’attenzione su una singola conversazione, ignorandone molte altre che avvengono in contemporanea. L’attenzione può essere focalizzata su aspetti globali di uno stimolo o su elementi specifici. (immagine di una H formata da tante A). Con il termine Attenzione divisa, si fa riferimento a quelle situazioni nelle quali le persone compiono due o più compiti contemporaneamente, poiché vi è la ripartizione o distribuzione delle risorse attentive in più compiti. Lo sforzo richiesto all’individuo per distribuire le risorse attentive dipende dalla complessità del compito, dalle abilità del soggetto e dalla similarità posseduta dai compiti da eseguire. L’ automatizzazione è invece un processo attraverso il quale una procedura da altamente controllata diventa relativamente automatica. Tale spiegazione è fornita da Bryan e Harter, che notarono che le persone che iniziavano a lavorare presso le stazioni postali, in cui si utilizzava il telegrafo, automatizzavano progressivamente la trasmissione delle singole lettere, rendendo la loro procedura automatica. Logan invece propose una spiegazione alternativa, la teoria degli esempi; secondo questa teoria, l’automatizzazione avviene perché accumuliamo gradualmente conoscenze relative a specifiche risposte a determinati stimoli. Gli stimoli molto intensi, improvvisi, e insoliti rispetto al contesto, richiedono l’impiego di risorse attentive per elaborarli; così come gli stimoli ripetuti attirano l’attenzione (gocce che cadono ripetutamente da un rubinetto rotto) e come il contrasto e cambiamento nella stimolazione (nello stile diverso delle lettere di una frase). Mack e Rock parlarono invece dell’effetto della cecità da disattenzione, ossia l’ incapacità di percepire uno stimolo che risulta ampiamente visibile, ma non costituisce il focus dell’attenzione. Mentre il cambiamento e il contrasto stimolano maggiormente l’attenzione, stimoli prevedibili e immutati generano l’ abituazione, cioè la diminuzione delle risposte ad un dato stimolo. L’opposto dell’abituazione è la disabituazione, ovvero quel fenomeno per cui un cambiamento, anche molto piccolo, in uno stimolo familiare determina il fatto che lo stimolo venga nuovamente notato. L’abituazione è un processo estremamente importante perché permetto all’individuo di avere risorse attentive sufficienti per risponde a stimoli nuovi. Quando il soggetto acquisisce stimoli nuovi, tali messaggi sensoriali giungono al cervello , al corpo, che ha una reazione definita risposta di orientamento, ovvero una risposta caratterizzata da un aumento di arousal che prepara a ricevere le informazioni provenienti da uno stimolo: le pupille si dilatano, il flusso del sangue al cervello aumenta e il respiro si interrompe un attimo. Altra caratteristica della percezione è la localizzazione, influenzata dalla: - Separazione degli oggetti - Separazione/raggruppamento oggetti diversi (oggetti separati possono essere percepiti come un singolo) oggetto - Figura/Sfondo - Percezione della distanza - Percezione del movimento. Gli psicologi della Gestalt, fra cui Kohler, Koffka e Wertheimer, furono i primi a studiare la percezione come fenomeno globale, sostenendo che i dati sensoriali vengono organizzati a livello percettivo nella forma più semplice e lineare possibile (legge della buona forma o della semplicità). L’organizzazione percettiva più semplice viene costruita dal raggruppamento di alcune sensazioni in un oggetto o figura che si staglia su uno sfondo uniforme. I gestaltisti formularono alcuni principi percettivi di articolazione figura-sfondo. Innanzitutto secondo il principio dell’estensione, la figura è meno estesa dello sfondo; secondo il principio di sovrapposizione, se nel campo visivo sono presenti indizi di profondità la figura si colloca sopra allo sfondo; infine secondo il principio di orientamento, le parti del campo visivo orientate sulla linea verticale o su quella orizzontale sono percepite come figura, mentre quelle oblique come sfondo. (ricordare la figura del calice o dei due volti). Gli psicologi della Gestalt hanno identificato molti altri principi che regolano il modo in cui vengono organizzate le nostre percezioni, ipotizzando che il sistema nervoso centrale tenda a organizzare le afferenze sensoriali secondo leggi autoctone: - vicinanza; se tutto il resto è uguale, gli stimoli vicini tendono a essere raggruppati insieme - somiglianza; gli elementi che si somigliano tendono ad essere percepiti come unica figura e separati dagli altri che sono percepiti come sfondo - buona continuazione o continuità di direzione; a parità di tutte le altre condizioni, si impone come unità percettiva quella il cui margine offre il minor numero di cambiamenti o interruzioni - chiusura; designa la tendenza a completare la figura in modo che abbia una forma complessiva coerente - contiguità o destino comune; vicinanza nel tempo e nello spazio - regione comune o contrasto cromatico; gli stimoli presenti all’interno di un’area comune tendono ad essere considerati come gruppo. In breve, noi costruiamo attivamente le percezioni e non registriamo passivamente gli eventi e gli stimoli ambientali; tuttavia uno stimolo può offrire informazioni tanto opposte da rendere impossibile un’organizzazione percettiva stabile; pensiamo alla forchetta di Schuster . Noi tutti andiamo alla ricerca di schemi o organizzazioni percettive in ciò che vediamo; in questo senso uno schema è rappresentato dall’ Ipotesi percettiva, una congettura iniziale su come organizzare percettivamente i dati sensoriali. Si pensi al cubo di Necker. Altra caratteristiche della percezione è il Riconoscimento, basata sulla teoria dell’integrazione degli attributi, dove vengono integrate le singole percezioni e vi è il riconoscimento degli attributi primari dell’oggetto: colore, forma. È una caratteristica composta da una fase “attentiva”, mira di trovare l’oggetto che implichi quella forma e colore in quel contesto. L’altra importante teoria e quella del controllo dinamico, ove vi sono dei meccanismi cerebrali riconfigurabili in base all’obiettivo e alla complessità. Sono dei meccanismi ancora più semplici in relazione fra loro, così come semplici sono le forme di cui è composto un oggetto. Altra caratteristiche della percezione è l’ astrazione, quel processo necessario per ridurre una grande quantità di informazioni di provenienza diversa in un insieme maneggevole di categorie Ad es. la descrizione di un oggetto è l’insieme di tutte le caratteristiche dell’oggetto Altra caratteristiche della percezione è quella delle Costanze percettive, intesa come la capacità del cervello di mantenere inalterata la percezione delle caratteristiche fisiche peculiari di un oggetto anche quando il nostro occhio le percepisce distorte. Ad es. se al cinema sono seduto in posizione laterale, il mio occhio percepisce lo schermo come un trapezio (e non come un rettangolo), ma io non me ne accorgo Costanze percettive: riordinare un mondo mutevole È inoltre necessario avere una familiarità visiva con gli oggetti perché le loro dimensioni possano permetterci di valutare la distanza. Se mettessimo una mano davanti il viso e una più distante, quest’ultima ci apparirà come più piccola, perché più lontana; in realtà le dimensioni delle mani sono le stesse, tuttavia bisogna considerare un principio definito costanza della grandezza , ovvero quella capacità percettiva che permette all’osservatore di riconoscere uno stesso oggetto nonostante i cambiamenti di dimensione dell’immagine retinica (dovuti a una diversa distanza). Vi è poi un altro principio definito costanza della forma , ovvero la capacità di identificare alcune forme identiche nonostante abbiano diverse immagini retiniche (dovute a una diversa prospettiva). Altro principio è quello della costanza della luminosità, che spiega che la luminosità di un oggetto rimane la stessa anche se cambia il tipo di luce che riceve; una gonna di una ragazza rimane sempre bianca anche se un nuvolone ha alterato la luce, dando alla gonna una colorazione diversa. Le costanze ci sono in tutti gli organi di senso e sono responsabili delle illusioni ottiche. Percezione della profondità: e se il mondo fosse piatto? La percezione della profondità o stereopsi è la capacità di vedere lo spazio tridimensionale e valutare correttamente le distanze. Senza la percezione della profondità, un tipo di elaborazione top-down, non riusciremmo a guidare un’automobile, fare canestro o muoverci in una stanza. Il mondo ci sembrerebbe un’unica superficie piatta. Alcuni psicologi, tra cui i gestaltisti sostengono la natura innata della percezione della profondità, gli empiristi invece ritengono che si apprende durante lo sviluppo. In realtà entrambi i fattori influenzano tale percezione. Gibson e Walk proposero l’esperimento del precipizio visivo per dimostrare che i bambini percepiscono la profondità. La percezione dello spazio tridimensionale viene appresa attraverso una seri di indizi di profondità, ovvero aspetti dell’ambiente e dei messaggi provenienti dai sensi, che forniscono informazioni su distanza e spazio. Alcuni indizi richiedono l’uso dei due occhi (indizi binoculari di profondità) altri vengono percepiti anche con un occhio solo (indizi monoculari di profondità). Indizi binoculari di profondità Gli indizi binoculari di profondità sono segnali percettivi, quali disparità e convergenza, che forniscono informazioni su distanza e spazio tridimensionale e che richiedono l’uso di entrambi gli occhi. La disparità è quel requisito secondo cui vi è una differenza di visuale di ciascun occhio rispetto all’altro. La disparità retinica è fondata sul fatto che gli occhi sono distanti circa 6,5 cm; in visione di ciò, ogni occhio ha una visione leggermente diversa del mondo. Quando alterniamo la chiusura degli occhi ponendo un dito davanti a questi, abbiamo l’impressione che il dito si sposti da una parte all’altra; quando le due immagini si fondono in una sola ha luogo la visione stereoscopica, ovvero la percezione dello spazio e della profondità determinata principalmente dalla disparità retinica, cioè dal fatto che gli occhi percepiscono immagini leggermente diversi. Alcuni studiosi hanno dimostrato che le informazioni provenienti dai due occhi rimangono segregate fino alla corteccia visiva primaria, dove sono presenti cellule che scaricano quando ricevono input da entrambi gli occhi, individuando le disparità. Tuttavia è nella corteccia visiva secondaria in cui vi è una massima risposta dei neuroni quando un stesso stimolo cade in aree differenti delle due retine. Per convergenza invece si intende la rotazione degli occhi verso l’interno per la messa a fuoco di oggetti vicini; questo è un altro indizio binoculare di profondità. Indizi monoculari di profondità Per indizi monoculari di profondità si intendo indizi percettivi, quali accomodazione del cristallino e indizi pittorici di profondità. Per accomodazione ci si riferisce al cambiamento nello spessore del cristallino per mettere a fuoco gli oggetti vicini. Gli indizi pittorici di profondità sono invece gli indizi monoculari che forniscono informazioni su spazio, profondità e distanza. Tra tali indizi che forniscono informazioni sulla distanza e lo studio tridimensionale troviamo: - prospettiva lineare, basato sull’apparente convergenza di linee che in realtà sono parallele - grandezza relativa, se un artista vuole dipingere oggetti aventi le stesse dimensioni a distanza diversa, ridurrà l’oggetto più lontano rendendolo più piccolo - ombreggiatura, la luce colpisce un oggetto, che dunque verrà illuminato, rispetto ad un altro che sarà in ombra a causa del cono di luce proiettato dalla prima figura - interposizione, quando un oggetto copre parzialmente la visione di un altro oggetto. L’oggetto che nasconde l’altro oggetto viene percepito più grande. - gradiente di tessitura, le superfici naturali possiedono sempre una tessitura uniforme, quando la superficie si trova davanti l’osservatore, mentre si infittisce quando la superficie si allontana - prospettiva aerea, a causa di nebbia, pioggia e polvere gli oggetti tendono ad apparire confusi, poco brillanti e con pochi dettagli distinguibili. L’illusione di Ponzo può aiutare a comprendere l’ illusione della luna, secondo cui la luna appare più grande quando è bassa. Immaginate di porre due barre bianche sui binari ferroviari. Nel disegno la barra più in alto ha la stessa lunghezza di quella più in basso; tuttavia, poiché la barra più in alto sembra più lontana di quella in basso, sembra più lunga. Sullo stesso principio si fonda l’illusione della luna. del sensitivo, facendo in modo che non risulti visibile. In questa foto viene mostrato il trucco per far vedere come viene creato l’inganno. (b) Poi, il sensitivo mette due chiavi nella mano dell’osservatore e la chiude. Con un’abile manipolazione, all’osservatore viene impedito di vedere la chiave piegata. Il sensitivo allora si concentra sulle chiavi per piegarle con la forza della mente. (c) La chiave piegata viene mostrata all’osservatore. Dopo circa 130 anni di ricerca, non è ancora possibile affermare in modo definitivo che i fenomeni paranormali esistono veramente. Uno sguardo attento agli esperimenti spesso rivela seri problemi riguardo a prove, procedimenti e rigore scientifico. Più attentamente si esaminano questi esperimenti, più è probabile che i successi proclamati non siano reali. CAPITOLO 8 GLI STATI DI COSCIENZA La coscienza è l’ insieme di sensazioni, percezioni, memorie ed emozioni di cui si è consapevoli in un determinato istante. Gran parte della nostra vita trascorre in uno stato di coscienza vigile, ovvero in uno stato di lucidità e di chiarezza. Nella conoscenza vigile l’individuo percepisce luoghi ed eventi come reali,significativi e familiari. Tuttavia vi sono stati di coscienza legati a condizioni quali affaticamento, delirio, ipnosi, assunzioni di droghe, in cui lo stato normale di coscienza viene modificato. Uno stato modificato di coscienza è caratterizzato da un cambiamento, rispetto al normale stato di coscienza vigile, in termini di pattern, di funzionamento cognitivo e affettivo, di suggestionabilità e autocontrollo. Tale stato consiste nel cambiamento del modello ordinario di funzionamento mentale in uno stato che appare diverso alla persona che lo sta sperimentando. Sono stati personali e quindi soggettivi e possono variare dalla distrazione indotta da un vivido sogno ad occhi aperti alla confusione e distorsione percettiva conseguenti a un'intossicazione da farmaci. Una persone non cosciente morirebbe senza cure costanti. Tuttavia, pur avendo compreso quanto la coscienza sia fondamentale, non riusciamo ancora a fornire una definizione esaustiva. I primi psicologi equiparavano la "coscienza" alla "mente" . Definivano la psicologia come lo "studio della mente e della coscienza" e usavano il metodo introspettivo per analizzare quest'ultima. Dagli anni '60, gli psicologi cominciarono a riconoscere che vari aspetti della coscienza sono troppo pervasivi e importanti per essere trascurati. Altra definizione di coscienza che si può dare è: normale consapevolezza da parte dell'individuo degli stimoli esterni e interni - cioè, degli eventi nell'ambiente e delle sensazioni corporee, dei ricordi e dei pensieri. la coscienza comprende … (1) il monitoraggio di noi stessi e del nostro ambiente, affinché i percetti, i ricordi e i pensieri giungano alla consapevolezza; (2) il controllo di noi stessi e del nostro ambiente, per essere in grado di iniziare e portare a termine attività comportamentali e cognitive. Il sonno: un bel <<luogo>> da visitare Ognuno di noi trascorre circa venticinque anni della propria vita dormendo. Molte convinzioni basate sul senso comune riguardo al sonno, sono tuttavia false; per esempio, non è vero che durante il sonno si è completamente incapaci di reagire; mentre si dorme è addirittura possibile compiere alcuni gesti semplici o azioni. Certo, il sonno pone alcuni limiti: non è possibile apprendere la matematica, una lingua straniera o altre abilità dormendo, tuttavia è lecito aspettarsi che una buona dormita possa favorire il ricordo di ciò che abbiamo imparato il giorno prima. Il bisogno di dormire Il sonno appartiene al ritmo biologico innato; chiaramente dormire tanto non è un buon segno, così come la mancanza di sonno nell’uomo, ha dei risvolti negativi. Si parla in quest’ultimo caso di deprivazione di sonno, ovvero la condizione nella quale si trova un individuo privato della quantità di ore necessarie o auspicate di sonno. Fatte salve alcune rare eccezioni (Gardner a 17 anni fece il record non dormendo per 264 ore e recuperando il sonno con una notte di riposo circa), quattro o cinque giorni di privazione di sonno diventano insostenibili per chiunque. Le conseguenze della deprivazione di sonno sono: il farfugliare, non riuscire a concentrarsi, ricordare in modo confuso, incapacità di ricordare il nome di tutti gli oggetti; fisiologicamente invece la deprivazione di sonno causa tremolio alle mani, palpebre afflosciate, mancanza di attenzione, irritabilità, sguardo fisso o deviato, aumento della sensibilità al dolore e uno stato di malessere generale. All’opposto vi è il disturbo del sonno definito Ipersonnia, prevede che dopo una privazione del sonno, il soggetto sia caratterizzato da un’ eccessiva sonnolenza diurna. Non tutti gli animali dormono, ma come accade per gli esseri umani, quelli che lo fanno hanno bisogno di un sonno prolungato. Per esempio, i delfini inalano aria in modo volontario, devono quindi scegliere tra stare svegli o morire annegati. Il delfino risolve questo problema addormentandosi solo con una parte del cervello alla volta: la metà del cervello che rimane sveglia controlla la respirazione. Quasi tutti coloro che non dormono per uno o due giorni sono soggetti a microsonni, breve episodio di modificazione dell’attività cerebrale rispetto a quella del sonno. La perdita di una sola ora di sonno può avere, infatti, conseguenze sull’umore, sulle capacità mnemoniche, sulla concentrazione e persino sulla salute. Il sonno aiuta al cervello a mantenersi sano, regalandone la temperatura e conservandone l’energia, oltre a favorire lo sviluppo cerebrale e riparare i danni subiti. Dal punto di vista biologico, il sonno è una necessità, non un lusso. Una grave deprivazione di sonno può condurre a una psicosi da privazione del sonno, cioè un’alterazione importante del funzionamento cognitivo e emotivo e caratterizzata da perdita di contatto con la realtà, confusione, disorientamento, deliri e allucinazioni. Noi non possiamo regolare il nostro ciclo di sonno, che invece dipende strettamente dalle ore di luce e di buio; tuttavia mediamente gli individui dormono 7-8 ore. Solo pochi possono permettersi di dormire 2 ore e sentirsi perfettamente riposati il giorno dopo. Solo una piccola percentuale sono brevi dormitori(5 ore di sonno), il resto sono lunghi dormitori (9-10 ore di sonno). Mentre i neonati dormono circa 20 ore, e crescendo necessitano dei riposino pomeridiano, crescendo gli adulti necessiteranno di meno ore di sonno. Teoricamente tutti dovremmo riposare nel primo pomeriggio, perché la sonnolenza di tale periodo fa parte del ciclo naturale del sonno e un breve sonnellino al momento opportuno, può aiutare ad essere sempre vigili. Le fasi del sonno I primi esperiti del sonno ritenevano che questo fosse causato da sostanze presenti nel flusso sanguigno; ma uno studio su gemelli siamesi, i cui corpi sono uniti dalla nascita e per questa ragione condividono il flusso sanguigno, dimostra che tale supposizione è falsa. Durante le ore di veglia un ormone del sonno si accumula nel cervello e nella spina dorsale, ma non nel sangue. L’essere svegli o dormire, dipende dall’equilibrio e l’ alternanza degli stati di veglia e di sonno; si noti inoltre che il cervello non si <<spegne>> durante il sonno, piuttosto è il tipo di attività cerebrale che si modifica. I cambiamenti nei segnali elettrici generati dal cervello possono essere registrati attraverso un’apparecchiatura definita elettroencefalografo che produce un tracciato definito elettroencefalogramma, o EEG che misura il potenziale elettrico medio in continuo cambiamento di migliaia di neuroni della corteccia; è una misura grossolana dell'attività corticale, ma utile nella ricerca sul sonno. L’EEG rivela delle tipologie di onde: - Onde Beta: onde piccole e veloci associate agli stati di veglia e attenzione; - Onde Alfa: onde ampie e lente in stati di rilassamento e di assopimento. Chiudendo gli occhi il respiro diventa più lento e regolare, il polso rallenta e la temperatura corporea si abbassa. Subito dopo si entra nella fase del sonno ad onde lente attraverso 4 fasi distinte di sonno. Fase 1: Entrando nel sonno leggero (fase 1), il battito del cuore rallenta. La respirazione diventa più irregolare, la muscolatura si rilassa. Ciò può innescare una contrazione muscolare riflessa denominata spasmo ipnico. Nella fase 1, l’EEG rileva principalmente onde brevi e irregolari e alcune onde alfa. Se un individuo viene risvegliato in questa fase, non sempre sa dire se era o no addormentato. Fase 2: Man mano che il sonno diventa più profondo, la temperatura corporea scende. L’EEG registra i fusi del sonno, ossia delle brevi scariche di onde cerebrali particolari. I fusi del sonno sembrano rappresentare il vero confine oltre il quale inizia il sonno. Dopo solo 4 minuti dall’apparizione dei fusi del sonno, la maggioranza degli individui, se risvegliati, riferiscono che stavano dormendo. Fase 3: Nella fase 3 inizia l’ attività delta, ovvero compaiono le onde delta, molto ampie e lente. Esse segnalano l’inizio di un sonno più profondo e di ulteriore perdita di coscienza. Fase 4: Generalmente il sonno profondo (la fase più profonda del sonno normale) viene raggiunto dopo circa un’ora. La fase 4 è caratterizzata dalla presenza esclusiva di onde delta lente e la persona che dorme si trova in uno stato di totale oblio. Se si produce un rumore forte durante la fase 4, chi dorme si sveglia in uno stato di confusione e può non ricordare il rumore. L’ipotesi del doppio processo di regolazione del sonno In generale le fasi del sonno si ricordano per la fase REM e NREM. Il Sonno REM (Rapid Eye Movement o REM) è un sonno caratterizzato da movimenti rapidi degli occhi e da un ritorno a uno schema EEG tipico della fase 1. durante questa fase l’attività cerebrale è infatti tale da sembrare quella di una persona sveglia. Il sonno REM mette a fuoco i ricordi legati alle esperienze più significative della giornata trascorsa; tale attività ci aiuterebbe pertanto a classificare e conservare i ricordi. Nell’85% dei casi, gli individui durante la fase REM raccontano in modo dettagliato i sogni appena fatti; sogni che tendono ad essere più lunghi, più chiari e dettagliati rispetto ai pensieri e alle immagini dei sogni della fase NREM. Fisiologicamente il sonno REM è un momento emotivamente intenso: il cuore batte irregolare, la pressione sanguigna ed il respiro, sono anch’essi irregolari. Durante il sonno REM, il corpo si immobilizza ed è come se fosse paralizzato; la paralisi che caratterizza il sonno REM, è fondamentale perché impedisce ridicoli e pericolosi movimenti notturni; quando per qualunque motivo tale paralisi non si manifesta, ci si può ,muovere in modo violento, colpendo il partner o cadendo dal letto. Il Sonno non REM (NREM)è un sonno privo dei movimenti rapidi degli occhi, caratteristico dei primi periodi delle quattro fasi del sonno. Il sonno NREM è al 90% privo di sogni e riduce il livello di attività cerebrale, e le esperienze meno significative vengono lasciate andare e dimenticate. Differentemente dal sonno REM, il sonno NREM “calma” il cervello. Il sonno REM e NREM, secondo l’ipotesi del doppio processo di regolazione del sonno, hanno due principali obiettivi: aiutano a “ristorare” il cervello e a immagazzinare i ricordi. I disturbi del sonno Le cliniche del sonno, trattano annualmente migliaia di persone che soffrono di disturbi o anomalie del sonno, tra cui: l’ insonnia. L’insonnia L’insonnia è un disturbo del sonno caratterizzato da difficoltà nell’addormentarsi o nel restare Addormentati. L’insonnia può caratterizzare una serie di ambiti: il lavoro, la salute fisica e le relazione interpersonali. Tra le sue cause riconosciamo le preoccupazioni, lo stress, l’ eccitazione che possono dare lungo prima ad episodi di insonnia temporanea e che poi innescano un circolo vizioso . Si inizia con una eccessiva attività mentale e una maggiore difficoltà nel prendere sonno; subentra poi la frustrazione e la rabbia correlate all’incapacità di riuscire ad addormentarsi, ciò induce ad uno stato di eccitazione. Questo stato, a sua volta, ritarda il sopraggiungere del sonno, il che aumenta la frustrazione e così si innesca il circolo vizioso. Quando non si riesce a dormire è consigliabile alzarsi e fare qualcosa di utile o piacevole e tornare a letto solo quando si sente che si fa fatica a restare svegli. Se i problemi di sonno perdurano per più di tre settimane, allora si può diagnosticare un’ insonnia cronica. Esiste inoltre un’insonnia da dipendenza da farmaci, cioè prevede l’uso dei sonniferi. Domhoff ritiene che ciò sia vero perché molte aree cerebrali che sono attive quando siamo svegli, rimangano attive anche mentre sogniamo. Con questa prospettiva, i sogni sarebbero un’espressione conscia dei processi di sonno REM che ordinano e immagazzinano le esperienze quotidiane. I sogni aprono la strada per la scoperta delle attività inconsce della mente. Esistono sufficienti prove empiriche per ritenere che il contenuto dei sogni abbia un significato psicologico, ma nessuna evidenza sostiene la distinzione freudiana tra contenuto manifesto e latente. Lungi dall’essere fantasiosi o bizzarri, la maggior parte dei sogni riflette gli eventi quotidiani. Le emozioni spiacevoli nei sogni prevalgono su quelle piacevoli, o forse è possibile che i sogni di paura, rabbia o tristezza siano più facili da ricordare. Altre teorie proposte -Secondo Evans, i sogni non sono altro che una piccola parte della grande quantità di informazione che viene esaminata e selezionata, durante il sonno REM. -il sogno è un riflesso del processo di elaborazione delle informazioni in cui il cervello è impegnato, durante il sonno. -il sogno è un processo cognitivo, che riflette le credenze, le preoccupazioni e i problemi emotivi individuali. L’ipnosi: guardami negli occhi L’interesse nell’ipnosi inizia nel Settecento con gli studi del medico Franz Mesmer. Mesmer riteneva di poter curare le malattie con i magneti e i suoi strani trattamenti curativi legati all’ipnosi; dopo qualche tempo però le sue teorie furono respinte ed egli fu accusato di essere un truffatore. Il termine ipnosi fu coniato nella prima metà del 1800 dal chirurgo inglese James Braid. La parola greca hypnos significa <<sonno>> e Braid la utilizzò per descrivere lo stato ipnotico. Oggi sappiamo che l’ipnosi non è paragonabile al sonno, infatti i pattern EEG registrati durante l’ipnosi sono diversi da quelli osservati quando un apersona dorme. L’ ipnosi viene spesso definita come uno stato di coscienza modificato, caratterizzato da un’attenzione più ristretta e da una maggiore disponibilità alla suggestione. È uno stato di rilassamento in cui la persona non è in contatto con le comuni richieste dell'ambiente. Una trance ipnotica supervigile è caratterizzata da aumentata tensione e vigilanza. Attraverso l’ipnosi si blocca la capacità di pianificazione, l'attenzione diviene più selettiva del solito ed è più facile evocare vivide fantasie. L'esame di realtà è ridotto e si accetta la distorsione della realtà; tra l’altro l'amnesia post-ipnotica è spesso presente. Come avviene l’ipnosi? Gli ipnotisti utilizzano metodi diversi, ma tutte le tecniche incoraggiano la persona: 1. a focalizzare la propria attenzione su ciò che viene detto; 2.a rilassarsi, a sentirsi stanca; 3.a lasciarsi andare e ad accettare facilmente la suggestione; 4.a usare un’immaginazione vivida. Per farsi ipnotizzare bisogna quindi cooperare. Uno degli elementi chiave dell’ipnosi è l’ Effetto primario di suggestione, cioè la tendenza del soggetto ipnotizzato a compiere le azioni suggerite come se fossero involontarie. Le persone ipnotizzate percepiscono le loro azioni ed esperienze come automatiche, ovvero come se accadessero senza sforzo alcuno; ma le persone ipnotizzare nelle loro risposte non barano. Le persone ipnotizzate mantengono generalmente il controllo del proprio comportamento e sono consapevoli di quel che sta accadendo. Solitamente le persone con una vivida immaginazione e portate alla fantasia rispondono molto bene all’ipnosi, ma anche coloro che non hanno queste caratteristiche possono essere ipnotizzati. La suscettibilità ipnotica si riferisce alla capacità che un individuo dimostra di entrare nella trance ipnotica. Si misura fornendo una serie di suggestioni e contando il numero di volte in cui l’individuo risponde a quelle suggestioni. Un tipico test ipnotico è la Scala Stanford, nel cui test vengono date varie suggestioni e viene annotata la risposta data dal soggetto ipnotizzato. la più famosa teoria dello stato ipnotico fu proposta da Hilgard, secondo cui l’ipnosi causa uno stato dissociativo, una sorta di “scissione” della coscienza, dove una parte della persona ipnotizzata afferma di non sentire male e agisce di conseguenza, mentre un’altra parte, che Hilgrad definisce osservatore nascosto, è consapevole del dolore, ma rimane dietro le quinte. L’ osservatore nascosto è dunque la parte dissociata della coscienza della persona ipnotizzata. Altri teorici, invece, sostengono che l’ipnosi altro non sia che auto-ipnosi (autosuggestione). Un ipnotizzatore aiuta una persona a seguire una serie di suggestioni che, a loro volta, alterano le sensazioni, le percezioni, i pensieri, le emozioni e il comportamento osservatore nascosto Hilgard (1986) osserva che in molti individui ipnotizzati, una parte della mente al di fuori della consapevolezza sembra osservare l'esperienza globale della persona. La metafora dell'osservatore nascosto, quindi, si riferisce a una struttura mentale che tiene sotto controllo tutto quello che succede, inclusi gli eventi che l'individuo ipnotizzato non è consapevolmente conscio di percepire. Gli effetti dell’ipnosi si manifestano : - memoria, ove le prove ipnotiche dimostrano che la memoria può migliorare; - amnesia, una persona a cui viene detto di non ricordare qualcosa che ha sentito durante l’ipnosi può affermare di non ricordare; - sollievo dal dolore, l’ipnosi può alleviare il dolore; - modificazioni sensoriali, le suggestioni ipnotiche riguardanti le sensazioni sono tra le più efficaci. L’ipnosi è dunque uno strumento importante perché può aiutare le persone a rilassarsi, a sentire meno dolore e dare progressi in terapia. In generale l’ipnosi è generalmente efficace nel modificare l’esperienza soggettiva, piuttosto che nel modificare i comportamenti come fumare o mangiare troppo. SOSTANZE PSICOATTIVE La dipendenza dalla sostanza è caratterizzata da: (1) tolleranza - con l'uso continuativo, l'individuo deve assumere dosi sempre maggiori, per ottenere lo stesso effetto; (2) astinenza - se l'uso è interrotto, l'individuo sviluppa reazioni fisiche e psicologiche spiacevoli; (3) uso compulsivo – l’individuo assume dosi maggiori di quanto vorrebbe, tenta di controllare il suo consumo ma non ci riesce, e impiega molto tempo a cercare di procurarsi la droga. LE ALTERAZIONI DELLA COSCIENZA CAUSATE DA FARMACI E DA SOSTANZE PSICOATTIVE:EFFETTI POSITIVI E NEGATIVI il modo più semplice per alterare la coscienza umana è somministrare farmaci psicoattivi, cioè sostanze in grado di alterare le capacità di attenzione, giudizi, memoria, senso del tempo, autocontrollo, emozioni o percezioni. La maggioranza degli americani fa uso regolare di farmaci, quali caffeina, alcol e nicotina, che alterano la coscienza. I farmaci psicoattivi alterano la coscienza poiché influenzano direttamente l'attività cerebrale. Molte sostanze psicoattive possono essere classificate su una scala i cui limiti sono da una parte l'effetto stimolante, dall'altro quello calmante. Uno stimolante (upper) è una sostanza che aumenta l'attivazione corporea e del sistema nervoso, mentre un calmante (downer) ha esattamente l'effetto opposto. L'abuso di sostanze psicoattive rappresenta uno dei problemi sociali più persistenti in tutti i paesi occidentali. Le persone sperimentano droghe e sostanze psicoattive per svariate ragioni: curiosità, desiderio di appartenenza a un gruppo, ricerca di un significato alla propria vita, fuga da sbrinanti di inadeguatezza. Per molti, fare uso di droghe non è che il tentativo, destinato al fallimento, di affrontare la vita. Tutte le droghe più frequentemente utilizzate producono un effetto di piacere immediato. Le conseguenze negative arrivano molto più tardi; con il tempo la maggior parte del piacere svanisce e i problemi peggiorano. I fattori che predicono maggiormente l'uso e abuso di droghe nell'età adolescenziale sono l'utilizzo di droghe da parte dei coetanei, l'abuso di farmaci da parte dei genitori, situazioni di delinquenza, cambiamenti di vita stressanti. Uno studio ha dimostrato che gli adolescenti che fanno abuso di droghe tendono a essere psicologicamente ed emotivamente instabili, alienati e impulsivi. La dipendenza dalle droghe Un'altra ragione per cui l'abuso di droghe o sostanze psicoattive è così diffuso è perché queste tendono a creare dipendenza. Una volta che si è iniziato, difficilmente si riesce a smettere. Quando un individuo utilizza una sostanza in modo compulsivo per mantenere un certo grado di benessere corporeo si parla di dipendenza fisica. Tale dipendenza crea una tolleranza alla sostanza, cioè una risposta ridotta all'utilizzo i quella sostanza. Ciò significa che per ottenere lo stesso effetto si devono assumere dosi sempre più massicce. Coloro che sviluppano una dipendenza psicologica ritengono invece che una certa sostanza sia necessaria per mantenere il benessere fisico o psicologico. Di solito non possono fare a meno di quella sostanza e del senso di gratificazione che deriva dal suo uso. La dipendenza psicologica può essere forte quanto quella fisica. Comportamenti di abuso Alcune sostanze psicoattive presentano un potenziale di abuso assai elevato rispetto ad altre. L'eroina è certamente più pericolosa della caffeina. Nello stesso modo in cui si classificazioni le sostanze psicoattive, può essere utile classificare il comportamento con cui queste vengono utilizzate. Per esempio, alcuni individui rimangono tutta la vita social drinkers, cioè bevono solo in compagnia o in occasione di eventi sociali, mentre altri diventano alcolizzati nel giro di una settimana dal loro primo drink. In tal senso, l'utilizzo di sostanze psicoattive può essere definito: - sperimentale, utilizzo a breve termine basato sulla curiosità - sociale- ricreativo, utilizzo occasionale per generare una sensazione di piacere e rilassamento - situazionale, utilizzo legato alla gestione di un problema specifico - intensivo, utilizzo giornaliero con elementi di dipendenza - compulsivo, utilizzo intenso ed estrema dipendenza. Le sostanza maggiormente in grado di portare alla dipendenza fisica sono alcol, anfetamine, barbiturici, cocaina, eroina, morfina e tabacco, da dipendenza fisica si passa poi a quella psicologica. Stimolanti: anfetamine, cocaina, MDMA, caffeina, nicotina Le anfetamine sono stimolanti sintetici, usati anticamente per perdere peso e contro la depressione. Oggi il loro principale uso medico è nel trattamento dell'iperattività infantile e dell'overdose da sedativi. Tuttavia, l'utilizzo illecito di anfetamine è diffuso specialmente allo scopo di restare svegli a lungo e di migliorare le proprie prestazioni fisiche e mentalità. La maggior parte di coloro che ne anno uso finiscono per doverne assumere dosi sempre più massicce per ottenere l'effetto desiderato. La mentanfetamina è una variante più potente dell'anfetamina e poi essere sbuffata, Iniettata o ingerita. La metanfetamina viene facilmente realizzata a costi molto bassi in lavoratori clandestini e venduta con profitti altissimi. Gli sballi dei drogati da anfetamine e metanfetamine possono durare parecchi giorni, dopo di che crollano per mancanza di cibo e di sonno. Le anfetamine presentano molti pericoli: dosi massicce provocano nausea, sensi di vomito, innalzamento della pressione sanguigna, infarto cardiaco e ictus cerebrale. È importante capire che le anfetamine non forniscono energia, ma accelerano il consumo delle risorse fisiche. Dopo uno sballo da anfetamina, i soggetti soffrono di stanchezza invalidante, depressione, conduzione, irritabilità e aggressività. L'utilizzo ripetuto di anfetamina danneggia il cervello e può inoltre fetenti bare uno stato di psicosi da anfetamina, con perdita di contatto con la realtà. Cocaina La cocaina è un potente stimolante del sistema nervoso centrale e viene estratta dalle foglie della pianta di coca. La cocaina produce sensazioni di euforia, benessere, senso di potere, di grande energia fisica e di piacere. La cocaina e le anfetamine sono due sostanze che producono effetti molto simili sul sistema nervoso centrale. La principale differenza è che l'effetto delle anfetamine dura parecchie ore, mentre la cocaina viene sniffata metabolizzata velocemente, quindi i suoi effetti durano dai 15 ai 30 minuti. Dal punto di vista del potenziale di abuso e del danno sociale, la cocaina contende il posto all'eroina; questa aumenta il rilascio sei neuro trasmettitori dopamina, che produce un'ondata di piacere, e noradrenalina, che eccita il cervello. Questa combinazione provoca un effetto di gratificazione. Nel caso della cocaina il cervello si adatta all'abuso modificando l'equilibrio chimico e ciò causa depressione quando il consumo di cocaina viene interrotto; infatti dopo pochi giorni diventa un periodo di fatica cronica, ansia, noia e anedonia, cioè incapacità di provare piacere, a seguito del quale ricomprare intenso il bisogno di ricorrere nuovamente alla cocaina, vi è dunque un abuso compulsivo. Come segni di abuso vi è l'utilizzo compulsivo( la coca non si rifiuta se offerta), perdita di controllo (una volta assunta non ci si ferma mai se non quando sfiniti) e indifferenza alle conseguenze ( non importa se Questa potente combinazione può dare luogo ad agitazione estrema, disorientamento, comportamenti violenti che spesso sfociano in tragedia. Tutti li allucinogeni, marijuana inclusa, intervengono sul sistema dei neurotrasmettitori che veicolano i messaggi tra le cellule cerebrali. Marijuana Marijuana e hashish derivano dalla pianta della canapa, la Cannabis sativa. Gli effetti psicologici della marijuana sono: senso di euforia, benessere, rilassamento, alterazione nella percezione del tempo e distorsioni percettive. A dosi elevate possono verificarsi paranoia, allucinazioni e deliri. Particolarmente preoccupante è l'accumulo dei THC nei tessuti adiposi, specialmente nel cervello e negli organi riproduttivi. Gli scienziati hanno localizzato uno specifico sito recettore sulla superficie delle cellule cerebrali a cui il THC si lega per produrre i suoi effetti. I siti recettori si trovano in grande quantità nella corteccia cerebrale, la sede della coscienza umana. Inoltre i recettori di THC si trovano anche in aree cerebrali deputate al controllo e alla coordinazione del movimento. Sostanze chimiche naturali del tipo THC aiutano il e cervello a gestire il dolore e lo stress, ma quando il THC è utilizzato come droga, una dose elevata può causare paranoia, allucinazioni e vertigini. I consumatori abituali si marijuana mostrano deficienze nell'apprendimento, nella memoria, nell'attenzione e nelle capacità cognitive. Molti di coloro che hanno smesso di fumare dicevano di essere preoccupati per la loro perdita di memoria e concentrazione. CAPITOLO 9 LA MEMORIA Sistemi di memoria Molti pensano alla memoria come un “polveroso magazzino di fatti; in realtà la memoria è il sistema mentale attivo che riceve, codifica, organizza e recupera informazioni. I 3 stadi della memoria sono: codifica, immagazzinamento, recupero. Le Informazioni in ingresso devono essere codificate in forme utilizzabili e i ricordi recuperati (estratti dall’archivio). Perché possano essere conservate a lungo, le informazioni devono passare attraverso la memoria sensoriale, la memoria a breve termine e la memoria a lungo termine. Queste fasi sono presenti nel modello di Atkinson e Schiffrin. 1) Le informazioni in arrivo vengono trattenute per un secondo o due dalla memoria sensoriale. La memoria sensoriale è la prima fase della memoria che permette l’acquisizione delle informazioni trattenendone una replica esatta per pochi millesimi di secondo. La memoria sensoriale coinvolge gli organi di senso che percepiscono le sensazioni provenienti dall’esterno e lo fanno in modo continuo. Ma abbiamo visto che noi “percepiamo” solo le cose a cui siamo interessati e che queste informazioni vengono pre-codificate. Si ipotizza quindi un’area (la memoria sensoriale) in cui le sensazioni sono immagazzinate così come vengono ricevute dagli organi di senso. Il registro sensoriale ha delle caratteristiche: - Capacità illimitata - Rapido decadimento di tipo pre-categoriale e pre-attentivo, cioè senza il riconoscimento del materiale in entrata e la necessità di prestare attenzione. Quando si vedono immagini, la memoria sensoriali li immagazzina come ricordi iconici, attraverso il canale visivo per un massimo di ½ sec. Quando si sentono dei suoni, la memoria sensoriale li immagazzina come ricordi eroici, attraverso il canale uditivo per un massimo di 2 sec. 2) Le informazioni selezionate dall’attenzione vengono poi trasferite a un magazzino temporaneo nella memoria a breve termine (MBT). La memoria a breve termine trattenere a livello consapevole piccole quantità di informazioni per periodi di tempo relativamente brevi (circa 12 sec). Se le nuove informazioni non vengono codificate rapidamente o reiterate mentalmente, vengono dimenticate. La memoria a breve termine impedisce alla nostra mente di conservare informazioni banali o inutile, per cui la nostra attenzione selettiva controlla ciò di importante che deve arrivare alla MBT. Le informazioni vengono codificate e quindi immagazzinate, più che sotto forma di immagini, prevalentemente in forma fonologica (parole e lettere) attraverso un codice specifico (visivo fonologico, motorio, ecc.) o tramite più codici (codifica multidimensionale). Esempio: Dovete memorizzare un numero (ad es. di telefono). Se volete memorizzarlo solo il tempo necessario per comporlo, sicuramente lo ripetete a voce (canale uditivo). Se invece lo volete memorizzare per sempre, potete usare sia strategie acustiche, sia visive, ma anche motorie (codifica multidimensionale). La memoria a breve termine viene spesso usata per compiere operazioni mentali e non solo per conservare informazioni; in tal caso la memoria agisce come memoria di lavoro. Quando svolgiamo un problema, leggiamo un libro, programmiamo una cena, in generale quando pensiamo o dobbiamo risolvere un problema utilizziamo la memoria di lavoro. Baddeley e Hitch furono i primi a testare sperimentalmente come la memoria di lavoro viene usata nell’esecuzione di compiti cognitivi, attraverso la tecnica del “doppio compito”. Questi partono dall’assunto che, data la limitata capienza della MBT, se è impegnata in un compito, l’esecuzione di un secondo compito dovrebbe essere compromessa. Gli autori chiesero infatti di eseguire contemporaneamente due compiti: uno di ragionamento e uno di calcolo. Secondo Braddeley, la memoria di lavoro consiste in una serie di componenti controllate da un sistema con limitate capacità attentive, denominato esecutivo centrale, che coordina ed integra le informazioni proveniente da due sistemi principali: il loop articolatorio, che è adibito all’elaborazione e al mantenimento dell’informazione linguistica (fonologico) e di un processo di articolazione sub-vocale, che consente il consolidamento della traccia mestica attraverso la reiterazione e la conversione degli stimoli visivi nei loro corrispondenti verbali; il secondo sistema è il taccuino visuo- spaziale, che è coinvolto nell’elaborazione e nel mantenimento dell’informazione visivo- spaziale. 3) Se, invece, vengono trasferite alla memoria a lungo termine (MLT) diventano relativamente permanenti, anche se il loro recupero può essere problematico. La memoria a breve termine funziona come un magazzino duraturo per la conoscenza e può contenere una quantità illimitata di informazioni. In realtà, più cose si sanno, più diventa semplice aggiungere nuove informazioni alla memoria poiché si vengono a creare sempre maggiori collegamenti fra le informazioni. In generale i ricordi vengono immagazzinati in tale memoria sulla base del significato: la teoria della specificità di codifica di Tulving, ci dimostra che per ricordare un elemento possiamo pensare alla sua relazione rispetto il contesto in cui tale elemento è appreso. Negli anni 70 Craik e Lockhart dimostrano, attraverso la teoria della profondità della codifica che, a seconda di come viene codificata l’informazione, ci sarà un ricordo più o meno duraturo: maggiore è il tempo di codifica, minore sarà il tempo impiegato per recuperare tale informazione. La memoria a breve termine: ripetete i numeri in ordine La memoria a breve termine ha una capacità limitata e la regola generale è “7±2” ovvero possiamo conservare informazioni comprese fra 5 e 9 unità. Lo psicologo George Miller scoprì che la memori a breve termine è limitata al magico numero 7, cioè può contenere 7 chunk di informazione. Già nel 1885, Ebbinghaus aveva fatto ricerche con parole e poi con sillabe e con lettere: la nostra capacità di ricordare una sequenza è di circa 7 lettere, 7 sillabe, 7 parole. Esistono però diverse tecniche utilizzate per trattenere le informazioni nella memoria a breve termine: o Chunking: riorganizzare le informazioni raggruppandole per favorirne la conservazione in memoria; si raggruppa il materiale in unità più ampie al fine di ridurre la quantità di materiale da elaborare; o Reiterazione o rehearsal: ripetere o ripassare mentalmente l’informazione per trattenerla nella memoria a breve termine o Apprendimento meccanico: apprendimento che avviene meccanicamente attraverso la ripetizione o apprendimento di regole per prove ed errori, permette una codifica superficiale delle informazioni o Codifica elaborativa: codifica profonda delle informazioni che vengono collegate con ricordi e conoscenze già esistenti. È il metodo migliore per formare ricordi duraturi; bisogna chiedersi spesso il perché delle cose. La MBT immagazzina le informazioni per brevi periodi di tempo ed è una stazione di transito verso la memoria a lungo termine. Chiaramente solo le informazioni “ripetute” transitano alla memoria a lungo termine. La memoria a lungo termine: un modo per conservare il passato La memoria a lungo termine è un sistema utilizzato per la conservazione relativamente permanente di informazioni significative. La memoria a lungo termine trattiene le informazioni per periodi che oscillano fra pochi minuti, anni interi e, addirittura, tutta la vita. Costruire i ricordi Gli studiosi della memoria a lungo termine ritengono che i ricordi a lungo termine siano solo relativamente permanenti, anche perché si parla dell’aggiornamento dei ricordi detto elaborazione costruttiva: in pratica i ricordi vengono continuamente riorganizzati o aggiornati sulla base della logica del ragionamento o dell’aggiunta di nuove informazioni. Man mano che nuove informazioni vengono immagazzinate, quelle più vecchie vengono aggiornate, modificate, cancellate o riviste (elaborazione costruttiva). Inoltre, è possibile avere ricordi di fatti mai accaduti o falsi ricordi. Immaginate di osservare una serie di fotografie che ritraggono varie scene di un pranzo alla mensa dell’università. Una delle foto mostra un evento inatteso (la lattina rovesciata). Se guardaste un’altra le volta le foto dopo qualche giorno, è probabile che «ricordereste» di avere visto l’immagine a destra, anche se non era compresa tra le foto viste la prima volta. Quando vediamo un evento inatteso, siamo portati a pensare alla sua causa. In seguito è facile prendere questi pensieri per veri ricordi. Pensieri, inferenze e associazioni mentali possono essere scambiati per ricordi. Formare e utilizzare ricordi a lungo termine è un processo attivo, creativo e personale. Memoria a lungo termine: codifica La codifica in memoria è prevalentemente di tipo “significato” per tutto il materiale verbale Esempio: se doveste riportare una conversazione avuta con una persona, difficilmente ricordereste le singole frasi esatte. Più probabilmente ricorderete il “significato” della conversazione e qualche pezzo di frase (se aveva un uso insolito, indicava una situazione particolare o dava un senso particolare al discorso). Sono possibili anche codifiche “iconiche” (ricordare una poesia) o dopo un lungo allenamento. M a lungo termine: codifica In realtà anche quando codifichiamo il significato delle informazioni, vengono codificate anche una serie di informazioni collaterali che sono a loro collegate. In alcuni casi sono relazioni fra concetti precedentemente codificati (ad es. per la musica, una lezione di filosofia…), ma possono essere associazioni mnemoniche (tipo gli acronimi o le frasi di “suggerimento”). Memoria a lungo termine: codifica In altri casi si tratta di informazioni provenienti da altri sensi o da elaborazioni involontarie: come riconoscere una persona da lontano in base a come cammina,una voce al telefono (ed anche scambiare la voce di una persona con quella di un’altra perché il telefono altera le frequenze). Memoria a lungo termine: recupero Si crede che la maggior parte delle volte in cui dimentichiamo informazioni della memoria a lungo termine, sia dovuto a problema di recupero. Le situazioni di vero oblio sembrano essere molto poche e legate a degenerazioni cerebrali. Memoria a lungo termine: recupero Capita spesso di non riuscire a ricordare qualcosa quando ci serve (un esame, un colloquio importante) e, appena passato il momento di stress, l’informazione cercata viene alla memoria da sola. Memoria a lungo termine: recupero E’ più facile ricordare qualcosa con un suggerimento (riconoscimento) che tramite il richiamo semplice dell’informazione. Per questo, un “esame” basato su domande a scelta multipla è più facile di un esame con domande aperte! Tuttavia, il riconoscimento può essere facilmente “deviato” con suggerimenti “erronei”. Sapendo che per ricordare necessitiamo di tre processi: codifica, reiterazione e recupero, l’oblio può essere dovuto al malfunzionamento di uno di questi tre processi. Problemi di codifica In casi di questo tipo, si dimentica a causa di una mancata attenzione nella fase di codifica, ossia non è mai stato creato un ricordo. Senza attenzione non ci può essere apprendimento. Quando l’apprendimento è intensivo e le informazioni vengono collegate fra loro, possono diventare pressoché permanenti. Problemi di ritenzione: decadimento e disuso Secondo la curva dell’oblio, le tracce di memoria determinano l’ attivazione delle cellule nervose che avviene quando i ricordi vengono immagazzinati il decadimento sembra essere uno dei processi implicati nella perdita dei ricordi sensoriali, poiché costituisce l’ attenuazione o indebolimento della memoria sensoriale e a breve termine. Le tracce nella memoria possono però anche affievolirsi a causa del disuso, cioè dello indebolimento nel recupero delle tracce di memoria a lungo termine quando non vengono rievocate periodicamente. Problemi di recupero Il decadimento e il disuso non riescono a spiegare del tutto l’oblio, ma solo in parte; dunque se le informazioni sono state codificate e immagazzinate correttamente, allora una probabile causa dell’oblio potrebbe essere una difficoltà nel recupero delle informazioni. I ricordi devono essere disponibili (immagazzinati) ma anche accessibili (localizzati o recuperati). L’assenza di CUE appropriati rende difficoltoso il recupero. La presenza di stimoli appropriati migliora il ricordo così come è fondamentale anche la condizione fisica che caratterizza l’apprendimento, poiché può facilitare il successivo recupero (Apprendimento stato-dipendente). Esperimenti sull’apprendimento stato-dipendente mostrano l’ effetto dell’umore sulla memoria. I soggetti ricordavano meglio un elenco di parole quando il loro umore al momento del test era lo stesso del momento in cui avevano appreso l’elenco. Le informazioni apprese sotto l’influenza di qualche sostanza vengono ricordate meglio quando si assume nuovamente quella sostanza. Per comprendere meglio il fenomeno dell’oblio bisogna analizzare l’ interferenza:, cioè la tendenza dei nuovi ricordi a compromettere il recupero di ricordi preesistenti e viceversa. Si parla di interferenza retroattiva per indicare la tendenza del nuovo apprendimento a inibire il recupero delle informazioni già esistenti; e di interferenza proattiva indicando come lo apprendimento precedente inibisce il recupero delle informazioni apprese successivamente. Esperimenti sull’interferenza mostrano la percentuale di ricordi corretti dopo un periodo di sonno o di veglia. Si nota che il sonno provoca una minore perdita di memoria rispetto alla veglia. Transfer di apprendimento Si parla di transfert positivo quando la padronanza di un compito agevola l’apprendimento o l’esecuzione di un nuovo compito; di transfert negativo quando la padronanza di un compito ostacola l’apprendimento o l’esecuzione di un nuovo compito. Il transfert di apprendimento negativo di solito è di breve durata e si verifica più raramente rispetto al transfert positivo. Rimozione e soppressione dei ricordi Molti ricordano più facilmente gli eventi positivi che le delusioni e le arrabbiature; tale tendenza è detta rimozione dei ricordi ed è un processo mentale inconsapevole attraverso il quale pensieri o Impulsi dolorosi, minacciosi o imbarazzanti vengono allontanati dalla coscienza. Non bisogna però confondere la rimozione con la soppressione dei ricordi, che è invece il tentativo attivo e consapevole di scacciare qualcosa dalla mente o tenerla lontana dal livello cosciente. La formazione dei ricordi Una possibilità di cui non abbiamo parlato in merito all’oblio è che i ricordi possono andare perduti anche mentre vengono prodotti; pensiamo all’amnesia retrograda, che riguarda la perdita di memori per gli eventi accaduti prima di un trauma o incidente e viceversa l’amnesia anterograda, che implica la perdita di memoria per gli eventi successi al trauma. L’amnesia retrograda può essere spiegata con il consolidamento, ovvero quel processo per mezzo del quale vengono formati ricordi permanenti. La memoria recente viene più facilmente cancellata rispetto ai ricordi più vecchi ; che ha subito un trauma cranico lieve perde solo la memoria degli eventi accaduti prima dell’incidente, mentre i ricordi già consolidato rimangono intatti. Il consolidamento avviene prevalentemente nell’ippocampo (stazione di smistamento delle informazioni dalla MBT alla MLT). Anche se secondo il neuroscienziato Thompson sono diverse le parti del cervello che si attivano quando si formano ricordi a lungo termine: si attiva l’amigdala (fa parte del sistema libico) e poi si utilizza la parte frontale della corteccia per la memoria episodica, mentre le aree posteriori sono maggiormente associate ai processi di memoria semantica. I ricordi procedurali a lungo termine vengono invece conservati nel cervelletto, una parte del cervello che mantiene l’equilibrio e coordina i movimenti. Se l’ippocampo viene danneggiato, ne deriva un’amnesia retrograda e la persona colpita non sarà più in grado di consolidare i ricordi. Memoria ed emozione L’emozione influenza il recupero o l’oblio in 5 differenti situazioni: - Ripetizione - Ricordi flash - Ansia - Contesto - Rimozione. Per quanto riguarda la Ripetizione quando siamo emotivamente attivati (in senso positivo o in senso negativo) tendiamo a ripetere nella nostra testa la situazione e a riviverla più volte; tale ripetizione favorisce il passaggio nella MLT. Diversi esperimenti hanno rilevato come la memorizzazione sia migliore sui ricordi emotivamente “carichi” rispetto a quelli “neutri”. Per quanto riguarda i Ricordi flash dobbiamo sempre tenere in considerazione l’importanza dei ricordi flashbulb, cioè una “registrazione vivida e relativamente stabile delle circostanze in cui si ha notizia di un evento significativo e a forte carica emotiva” Molte persone dicono di ricordare esattamente dov’erano e cosa stessero facendo nel momento in cui hanno saputo dell’attacco alle torri gemelle, hanno sentito il terremoto, hanno visto un certo film; in questi casi, l’intera situazione contestuale viene memorizzata in modo apparentemente fedele, ma in realtà anche i ricordi flash sono soggetti ad oblio o alterazioni. Per quanto riguarda l’ Ansia(emozione negativa), questa interferisce con il recupero delle informazioni; la spiegazione più accettata è che lo stato d’ansia attivi il ricordo di informazioni ad essa legate e questi ricordi interferiscano con il recupero dell’informazione cercata. La situazione più eclatante sono le situazioni d’esame: se si entra in ansia, si viene assaliti da molti dubbi e ricordi di fallimenti. Per quanto riguarda gli Effetti del contesto, abbiamo visto che il contesto può facilitare il Ricordo: quando “memorizziamo” qualcosa viene memorizzato anche il contesto e questo contesto implica anche lo stato emotivo. Se quindi abbiamo memorizzato mentre eravamo tristi o felici, un contesto differente può contrastare il ricordo. per quanto riguarda la Rimozione, secondo Freud, certi ricordi infantili sono così emotivamente traumatici che il loro ricordo potrebbe sconvolgerci anche da adulti, quindi li “rimuoviamo” ovvero non permettiamo loro di diventare coscienti Secondo la teoria cognitiva, la “rimozione” agirebbe bloccando selettivamente determinati ricordi, tuttavia non è stato possibile replicare questa situazione tramite esperimenti (soprattutto per problemi etici). Una memoria eccezionale Esistono soggetti che hanno capacità mnemoniche sopra la norma, che si forniscono di strategie, tecniche specifiche per migliorare la loro memoria; ad esempio le immagini eidetiche sono immagini di oggetti appena visti trattenuti in memoria abbastanza a lungo per poterle utilizzare come fonte di informazioni. Poi vi è la memoria fotografica, quando si chiudono gli occhi le immagini mentali vengono visualizzate e per finire le varie mnemotecniche. Ogni anno in Inghilterra si svolge il Campionato mondiale di memoria, dove ai partecipanti viene chiesto di ricordare quantità di informazioni impressionanti, come lunghe liste di parole e numeri privi di collegamento; tali campionati hanno consentito a Wilding e Valentie di comprendere che una memoria eccezionale può essere basata sia su capacità innate(interesse, cultura, capacità mnemoniche superiori alla media) sia su strategie apprese: le persone dotate di memoria eccellente non hanno capacità intellettive superiori alla media né caratteristiche particolari a livello cerebrale. Migliorare la memoria Strategie di codifica 1.Reiterazione 2. selezione 3. organizzazione 4. apprendimento totale o parziale 5.posizione seriale 6.cue di memoria 7.Iperapprendimento, continuare a studiare dopo che si è acquisita padronanza della materia 8.esercizio scaglionato, alternare sessioni di studio con brevi pause, meglio dell’esercizio intenso. Strategie di recupero 1. ripetere a voce alta 2. Ripassare 3. uso di una strategia per favorire il recupero 4. estendere la durata del ricordo 5. sonno Migliorare la memoria Non è facile migliorare la memoria di lavoro (7±2), piuttosto è possibile aumentare i chunk tramite strategie di accorpamento, ma ci sono dei limiti. È possibile migliorare la memoria a lungo termine (memotecniche) in particolare tramite l’immaginazione. Il ricordo è facilitato se abbiamo molte “chiavi d’accesso”: il modo più semplice è usare ricordi preesistenti (quindi già codificati) e associare loro le nuove informazioni da memorizzare Nel “metodo dei loci” (usato spesso per prodezze di memoria) si associano le cose da ricordare a luoghi in qualche modo legati tra loro, ad es. una passeggiata per la vostra casa, la strada fra il luogo di residenza e quello di lavoro. Ad ogni “luogo” vengono associate determinate informazioni tramite l’immaginazione, Ad es: una fetta di pane inchiodata sulla porta; la porta è il luogo, la fetta di pane la parola da ricordare Per ogni luogo si associa qualcosa immaginando poi di fare una passeggiata, si ricordano i luoghi, si vedono le immagini create e si recupera la parola. Si può inoltre migliorare la memoria attraverso il metodo della parola chiave (usata per le lingue): dovendo imparare le parole in un’altra lingua si fa un elenco delle parole corrispondenti (italiano, inglese) e si cerca una chiave comune (una sillaba, un fonema…, meglio qualcosa che abbia un senso) Il vantaggio del calcolo originale del QI era la possibilità di confrontare l’intelligenza in bambini di diversa età mentale e cronologica. Quando il QI di una persona è 100, vuol dire che l’età mentale è uguale a quella cronologica, pertanto un punteggio di QI pari a 100 indica l’ intelligenza media. Oggi però non è più necessario calcolare direttamente il QI: i test moderni usano i QI di deviazione; si tratta di punteggi basati sulla posizione relativa di un soggetto nella sua fascia d’età, ossia dicono quanto al di sopra o al di sotto della media si colloca l’intelligenza di quella persona. I test di Wechsler Wechesler propone delle scale: - Adlt Intelligence Scale-Revised (wais-r) - Wechesler Intelligence Scale for Children (wisc-iii) - Wechesler Preschool and Primary Scale of Intelligence (wppsi) Le scale WAIS e WISC forniscono tre punteggi separati per: - l’ intelligenza verbale= test del vocabolario e delle somiglianze verbali - l’ intelligenza di performance= completamento di figure, riordinamento di storie figurate - punteggio totale = punteggio verbale + punteggio di performance Venne stabilito che il punteggio medio del test, per i soggetti di qualunque età, fosse pari a 100, e che la deviazione standard dei punteggi del QI fosse pari a 15. I test SB5 e di Wechsler sono test individuali di intelligenza, che devono essere somministrati a una singola persona da un esaminatore qualificato. Esistono viceversa dei test di intelligenza per gruppi, che possono essere somministrati ad ampi gruppi di persone con una supervisione minima. Variazioni nell’intelligenza Normalmente, la distribuzione dei punteggi di QI si avvicina a una curva normale ( a campana); ciò significa che la maggior parte dei punteggi formano la curva normale e si colla intorno al valore che indica la media dei punteggi e solo pochi punteggi si trovano agli estremi. Esistono: • Persone mentalmente dotate • Disabilità intellettiva. Le persone mentalmente dotate sono quelle che hanno il QI superiore a 130-140, anche se con una bassa percentuale si trovano tali persone, che sono definiti dei “geni”. Tuttavia oggi, alcuni psicologi, hanno riservato il termine genio a persone con QI più elevato, ma che sono eccezionalmente creativi. Studi affrontati da Terman, mostrano che bambini dotati e creativi mantengono tale dote fino all’età adulta, ottenendo un diploma, la laurea, una buona posizione professionale e tante altre soddisfazioni; tuttavia non tutti i bambini dotati, divenendo adulti, mantengono tali qualità: alcuni hanno commesso crimini, non riuscivano a trovare lavoro, ciò dimostra che un QI elevato indica un potenziale, ma non garantisce il successo. Ci sono tanti fattori che intercorrono nel mantenimento di tale dote, ad esempio la crescita circondata da genitori colti, che insegnano ad amare lo studio e l’apprendimento e poi anche la continua voglia di conoscere, di sapere e preservare la cultura. Vi sono dei segnali precoci di intelligenza: non solo avere un QI elevato, ma avere dei talenti e attitudini speciali come la creatività, l’interesse precoce per le spiegazioni e la risoluzione dei problemi e una memoria fuori dal comune. Limitare la dote al QI è scorretto. Un bambino con capacità mentali molto al di sotto della media, con QI pari o inferiore a 70, viene definita disabile intellettivo. Sono persone che si sentono spesso ferite dal rifiuto, dal sarcasmo o se vengono messe in ridicolo, quindi bisogna saper rispettare sempre il prossimo in qualsiasi circostanza. Circa la metà dei casi di disabilità intellettiva dipendono da: problemi fisici, fattori teratogeni che conducono a danni fetali, danni perinatali come la mancanza di ossigeno al momento del parto, disturbi metabolici, malattie genetiche dovute a geni mancanti o geni in soprannumero o difettosi, denutrizione e l’esposizione al piombo. Non è un caso che la maggior parte dei soggetti disabili intellettivamente vivono in condizioni familiari e ambienti sociali sfavorevoli, in famiglie povere, dove dunque vi è un ambiente socio-culturale problematico. Valutare l’intelligenza Gardner fu uno psicologo che si interesso ed ampliò lo studio dell’intelligenza, proponendo 8 tipi di intelligenza diversa e parlando così di Intelligenze multiple: - linguistica - logico-matematica - visivo-spaziale - musicale - corporeo-cinestetica - intrapersonale - interpersonale - naturalistica. Gran parte delle persone probabilmente presenta una combinazione solo di alcuni tipi di intelligenza , mentre le persone geniali, come Albert Einstein, sembrano essere in grado di sfruttare quasi tutti i tipi di intelligenza nel momento in cui ne hanno bisogno. I computer e i robot invece hanno un’intelligenza diversa da quella degli umani, definita Intelligenza artificiale, che consente di svolgere funzioni tipiche della mente umana o di dare risposte intelligenti. Probabilmente un domani tali macchine computerizzate saranno in grado di imparare dall’esperienza, apprendere alcune abilità cognitive specifiche analogamente al cervello umano. Ereditarietà, ambiente e intelligenza Uno degli interrogativi maggiormente discussi è quello riguardante la natura dell’intelligenza. L’intelligenza non è necessariamente ereditaria, e studi su gemelli cresciuti insieme e separati alla nascita lo confermano. Se i genitori educano i figli allo stesso modo, probabilmente vi sarà una maggiore omogeneità del QI; tale omogeneità sarà ancor più evidente nei gemelli monozigoti, che nascono da un unico ovulo e condividono lo stesso patrimonio genetico: i loro QI sono sovrapponibili. Tuttavia se i gemelli vengono separati alla nascita e cresciuti in due ambienti diversi, la somiglianza diminuisce di poco. Questo dimostra l’importanza non solo del carattere ereditario, ma anche dell’influenza ambientale: prendiamo ad esempio una famiglia con un figlio biologico, che condivide patrimonio genetico e ambiente con i genitori, e un figlio adottivo, che condivide solo l’ambiente. Se l’intelligenza fosse in buona parte genetica, il QI dei figli biologici dovrebbe essere più simile a quello dei genitori, rispetto al QI dei figli adottivi; eppure uno studio ha rilevato che i figli cresciuti con la stessa madre tendono ad avere un QI simile al suo indipendentemente dal fatto di possedere o meno un patrimonio genetico comune. In ultima analisi, l’ intelligenza è il risultato di una complessa interazione tra fattori ambientali ed ereditari. L’Intelligenza emotiva Gli psicologi Salovey e Mayer definiscono l’ intelligenza emotiva come la capacità di percepire, utilizzare, comprendere e gestire le emozioni. In generale avere un’intelligenza emotiva significa accettare le emozioni in quanto parte essenziale del nostro essere e della nostra sopravvivenza. Le persone che hanno successo nella vita tendono a possedere intelligenza emotiva, mentre coloro i quali che non posseggono tale intelligenza emotiva possono avere problemi coniugali e genitoriali, problemi di natura fisica e difficoltà nella carriera lavorativa e nelle relazione interpersonali. Molti sono gli elementi che contribuiscono a formare l’intelligenza emotiva: - percepire le emozioni, in noi stessi e negli altri, saper ascoltare le proprie emozioni. È una dote preziosa che rende un soggetto empatico; - utilizzare le emozioni, per potenziare la capacità di pensare e di prendere decisioni. Aiutare qualcuno fa sentire meglio; - comprendere le emozioni, cioè comprendere cosa esse significano e in che modo influenzano il comportamento; - gestire le emozioni, sapere come calmarsi e come calmare gli altri. È evidente che gioia, interesse, amore, soddisfazione sono piacevoli e appaganti vengono infatti definite emozioni positive. Mentre le emozioni negative, sono quelle sgradevoli. La psicologa Fredrickson fa notare che entrambe le emozioni presentano vantaggi e svantaggi. Le emozioni negative, per quanto tali, hanno aiutato i nostri antenati a vivere fuggendo, attaccando i nemici e poi vivere un periodo di emozioni negative aiuta a trovare una nuova direzione nella vita. Le emozioni positive invece aprono gli orizzonti, creano stimoli creativi , aiutano a godersi la vita e a mantenere rapporti sociali. Accettando le emozioni si può imparare a diventare intelligenti. CAPITOLO 11 LA MOTIVAZIONE Il termine motivazione si riferisce ai processi interni che avviano, portano avanti, indirizzano e mantengono attivo il comportamento dell’individuo. Molti comportamenti motivati prendono avvio da un bisogno, che rappresenta uno stato interno percepito come deficitario. Una condizione fisiologica di carenza o di necessità. Il bisogno determina la pulsione, che invece rappresenta uno stato motivazionale da soffisfare. Una dimensione psicologica del bisogno ed esprime uno stato di disagio e di tensione interna. BISOGNO PULSIONE RISPOSTA OBIETTIVO Riduzione del bisogno. Incentivi Un incentivo è il desiderio di qualcosa e, in particolare, qualcosa che ci dia piacere (in senso lato). L’incentivo diventa un’anticipazione del piacere e ci spinge a raggiungerlo. La forza di attrazione di un obiettivo è detta valore di incentivo dell’obiettivo stesso. Gli incentivi interagiscono per determinare la forza della pulsione. Alcuni obiettivi sono talmente desiderabili che riescono a motivare un comportamento in assenza di un bisogno interno: un bisogno moderato unito a un obiettivo con alto valore di incentivo produce una pulsione forte. Mangiare un dolce è un obiettivo con alto valore di incentivo. Anche quando esiste un forte bisogno, la forza della pulsione può essere moderata se il valore di incentivo di un obiettivo è basso. Mangiare un insetto è un obiettivo con basso valore di incentivo. Le esperienze conscie di piacere e dispiacere sono chiamate “affetti”. L’associazione fra incentivo e affetto dev’essere appresa. Di solito le nostre azioni vengono stimolate dalla risultante di bisogni interni e di incentivi esterni; questo è il motivo per cui un bisogno forte può cambiare un incentivo piacevole in un obiettivo desiderabile (se siamo affamati, mangiamo anche cose che non ci attraggono). Tipi di Motivazioni Esistono 3 tipi di motivazioni: - Motivazioni Biologiche - Motivazioni alla ricerca di stimolazione - Motivazioni apprese. Le motivazioni biologiche sono basate su necessità biologiche che devono essere soddisfatte per vivere, come la fame, la sete, l’evitamento del dolore, il bisogno di aria, il sonno e sono necessità innate. Le pulsioni biologiche sono essenziali per il mantenimento dell’ omeostasi, cioè il processo di controllo dello stato interno costante di equilibrio del corpo (homeo significa "uguale“ e stasis significa "statico" o "costante"). Quando vi sono alterazioni di temperatura corporea, pressione sanguigna alterata, hanno inizio reazioni automatiche per ristabilire l’equilibrio; in particolare il punto di equilibrio è il valore che il sistema omeostatico cerca di mantenere. Gli psicologi, hanno infatti ipotizzato l’esistenza di una tendenza biologica ad associare il mal di stomaco con i cibi appena mangiai: parliamo di una forma di apprendimento con funzione protettiva. Le persone soprappeso tendono a ricorrere al cibo quando sono ansiose, irritate o giù di morale: è il caso della fame emotiva, che spinge a mangiare sempre di più fino a diventare obesi. Anche i fattori culturali influiscono notevolmente sul valore incentivo del cibo: gli americano non mangerebbero mai la testa bollita di una scimmia, ma in alcune parti del mondo questa è una vera prelibatezza. Le diete Una dieta non è solo un modo per dimagrire, pensiamo che esistono diete che incoraggiano a mangiare molti cibi nutrienti e senza grassi. Purtroppo agli obesi sono proposti tutti i tipi di cibi con un alto contenuto di grassi e calorie; a ciò si aggiunge la quantità esagerata delle porzioni. È facile prendere i chili, diventa piuttosto difficile dimagrire, poiché chi si trova a dover controllare il proprio peso si trova di fronte un ulteriore problema, quello delle diete yo-yo. Solitamente anche se con la dieta si perde pesa, non appena questa si conclude i chilogrammi vengono recuperati in tempi più o meno brevi, perché la dieta (mancanza di cibo) rallenta il metabolismo (ossia la velocità con cui viene utilizzate energia). Le diete yo-yo, ossia una ripetuta perdita di peso e conseguente recupero del peso, sono particolarmente pericolose, poiché aumentano i rischi di problemi cardiaci e di mortalità precoce. Per evitare le diete è necessario un cambiamento permanente delle abitudini alimentari e introdurre un’attività fisica costante. I disturbi alimentari Ultimamente fra gli adolescenti si sente sempre di più parlare di gravi casi di disturbi alimentari, che in casi estremi conducono anche alla degenerazione in poco tempo. Tra i disturbi alimentari più comuni rientrano: l’ anoressia nervosa e la bulimia nervosa. Nella maggior parte dei casi l’anoressia nervosa emerge in età adolescenziale, prevalentemente nel sesso femminile. La patologia consiste in un rifiuto volontario di cibo. L’anoressia nervosa viene descritta sulla base di tre fondamentali criteri diagnostici: -perdita di peso: il soggetto rifiuta il cibo per paura di ingrassare; il suo scopo è quello di mantenere un peso corporeo al di sotto del peso minimo normale per l’età e la statura; -disturbi cognitivi: il soggetto percepisce il proprio corpo come sempre “troppo grasso”, anche quando il peso è inferiore al corpo (percezione corporea alterata); -alterazione ormonale: la ridotta assunzione di cibo comporta alterazioni ormonali che causano nella donna l’amenorrea (perdita di almeno 3 ciclo mestruali consecutivi) e nell’uomo la perdita di interesse e potenza sessuale. Anche se l’anoressia insorge principalmente nel sesso femminile, è in aumento anche tra i maschi, i quali, insoddisfatti del proprio peso, attuano restrizioni alimentari e eccesso di attività fisica. Negli ultimi anni si è assistito anche ad un abbassamento dell’età in cui iniziano a comparire i primi disturbi. La bulimia nervosa, è stata considerata un sottotipo dell’anoressia, con la quale effettivamente condivide alcuni aspetti: prevalenza nel sesso femminile, controllo del proprio peso, pensieri ossessivi circa il proprio aspetto, percezione corporea errata. Le differenze riguardano l’età di insorgenza e il peso: infatti la bulimia insorge con maggiore frequenza nella tarda adolescenza e il peso delle donne che ne soffrono rientra in livelli normali. Attualmente si parla di continuum tra anoressia e bulimia; il disturbo può comparire prima con restrizione alimentare, per poi dare luogo ad abbuffate compulsive e condotte di eliminazione. Secondo il DSM-IV il disturbo è caratterizzato da ricorrenti abbuffate in un periodo definito di un quantitativo di cibo elevato. L’abbuffata è accompagnata dal senso di perdita del controllo. Un altro aspetto essenziale della bulimia è l’uso ricorrente di condotte anomale per perdere peso, quali vomito autoindotto, lassativi, digiuno, esercizio fisico. Caratteristica della bulimia è anche l’eccessiva importanza attribuita al proprio aspetto fisico e al peso su cui si basa la propria autostima.. la bulimia può essere associata all’abuso di alcol, sostanze stupefacenti, psicofarmaci ma anche traumi (abusi sessuali). Molti di questi problemi sono connessi alle immagini idealizzate del corpo così come vengono presentate dai mezzi di comunicazione. Chiaramente le persone affette da tali disturbi necessitano di aiuti, che non cercano mai da soli, ma in genere è necessario uno stimolo da parte della famiglia. In genere il trattamento dell’anoressia, ad esempio, prevede all’inizio la somministrazione di farmaci che riducono l’ossessivo timore di aumentare di peso. Sono inoltre fondamentali interventi terapeutici multidisciplinari e gruppi di auto-aiuto, in cui i soggetti che soffrono di tali disturbi, vengono aiutati da un educatore che ha avuto esperienza dirette con tali disturbi, ma che è riuscito a venirne fuori. Cosa succede se il cibo entra ma non nutre? In tal caso aumenta il desiderio di stimolazione orale, associato alla soddisfazione dei bisogni calorici. Si parla di nutrizione simulata: il pasto è una simulazione -non fornisce calorie. Gli animali nutriti in questo modo consumano quantità di cibo normali e poi smettono di mangiare. E si parla di sazietà condizionata: il senso di pienezza che proviamo dopo un pasto è, almeno in parte, un prodotto dell'apprendimento Alliestesia: il cibo è più buono quando si ha fame. Qualsiasi stimolo esterno che corregge un problema interno è sperimentato come piacevole. Altre motivazioni primarie: la sete, il dolore e la pulsione sessuale La Sete Esistono due tipi di sete: la sete extracellulare e la seta intracellulare. La sete extracellulare si verifica quando dai fluidi che circondano le cellula del corpo di perde acqua; è un tipo di sete causata da emorragia, vomito, diarrea e assunzione di alcol. Il secondo tipo di sete è quello che si prova quando si mangiano i cibi salati; in questo caso il corpo non perde fluidi, ma l’eccesso di sale provoca un richiamo di fluidi dalle cellule. Quando le cellule si riducono di volume si provoca la sete intracellulare, un tipo di sete che viene placata al meglio con semplice acqua. Il Dolore L’evitamento del dolore è una pulsione episodica che si verifica quindi in momenti ben distinti, in particolare quando si verifica o sta per verificarsi un danno che coinvolge il corpo. Il dolore è uno stimolo atto a evitare o a eliminare le fonti di sofferenza; a tali sofferenze si può reagire in due modi: o essere duri e non mostrare tali segni di malessere o lamentarsi per il minimo dolore. Il primo atteggiamento alza la tolleranza al dolore, il secondo la abbassa. La Pulsione sessuale La pulsione sessuale, si differenzia dalle altre in quanto non è necessaria per la sopravvivenza dell’individuo, bensì lo è per la sopravvivenza del gruppo. Il termine pulsione sessuale si riferisce alla forza della motivazione che spinge ad adottare un comportamento sessuale. Gli ormoni hanno un influsso sulla pulsione sessuale umana, ma tale influsso non è diretto come negli animali. La pulsione sessuale nei maschi è collegata alla quantità di androgeni (ormoni maschili) prodotti dai testicoli; quando nei maschi aumenta la produzione di androgeni, aumenta anche la pulsione sessuale. Analogamente nelle donne la pulsione sessuale è connessa agli estrogeni ed in parte da androgeni. L’aumento del desiderio sessuale è legato al tempo: più il tempo aumenta maggiore sarà la pulsione; ma ciò non esclude che l’attività sessuale recente impedisca la nuova insorgenza del desiderio sessuale. Genere e sessualità Un importante distinzione è quella che si fa tra sessualità adulta (ossia, quella che inizia con i cambiamenti della pubertà) e sviluppo sessuale precoce. -Sviluppo sessuale precoce: Identità di genere Per i primi due mesi dopo il concepimento, solo i cromosomi dell'embrione umano indicano se si svilupperà un maschio o una femmina. Entrambi i sessi hanno lo stesso aspetto. Fra i due e i tre mesi di gestazione, la ghiandola sessuale primitiva o gonade si trasforma in testicoli se l'embrione è geneticamente maschio o in ovaie se l'embrione è geneticamente femmina; è la presenza o l'assenza del cromosoma maschile (Y) ad influenzare lo sviluppo sessuale perché determina se l'embrione secernerà androgeni. Ormoni versus ambiente L'etichetta assegnata e il ruolo sessuale in cui l'individuo è allevato hanno un'influenza molto più grande sull'identità sessuale rispetto ai geni e agli ormoni individuali. Sia gli ormoni prenatali sia l'ambiente sono due determinanti fondamentali di tale identità e normalmente operano in armonia. Quando non concordano, la maggior parte degli esperti ritiene che l'ambiente diventi dominante. -Sessualità nell’adulto Tale sessualità inizia con la pubertà, di solito avviene tra gli 11 e i 14 anni. L'ipotalamo produce fattori di rilascio delle gonadotropine, tali fattori stimolano l'ipofisi, che a sua volta determinerà gli o ormoni sessuali veri e propri detti gonadotropine. È importante capire come il sesso non può essere pensato come un processo omeostatico. La spinta alla ricerca di stimolazione Chiaramente il livello di energia che avvertiamo è strettamente connesso alla nostra motivazione. La spinta alla ricerca di stimolazione è evidente sia negli animali quanto negli uomini. Le scimmie, ad esempio, si divertono ad aprire i chiavistelli che si trovano nella loro gabbia, ma poiché non ricevono alcun premio per questa attività, è dimostrata chiaramente l’esistenza del bisogno di stimoli. Con attivazione psico-fisica intendiamo un’attivazione del corpo e del sistema nervoso. Tale stato è pari a 0 nella morte; è basso durante il sonno; moderato Analisi funzionale del comportamento - MODELLO ABC’S - A -ANTECEDENTI: situazioni che stimolano l’emissione di un comportamento B -COMPORTAMENTO DEL BAMBINO C -CONSEGUENZE: ciò che accade dopo l’emissione del comportamento. S -EVENTO SITUAZIONALE: setting, contesto, condizioni che si verificano al momento dell’emissione del comportamento (B). Esempio di analisi del comportamento non compliant(non conforme) ANTECEDENTE Il genitore fa una richiesta COMPORTAMENTO Il figlio ignora la richiesta o si rifiuta in maniera insolente CONSEGUENZE Il genitore, dopo ripetuti tentativi – desiste Il genitore, dopo ripetuti tentativi – punisce Ricordiamo che le conseguenze fungono da ulteriore stimolo per ulteriori comportamenti. L’osservazione sistematica di certi comportamenti ci fa capire il perché un soggetto mette in atti determinati comportamenti e quali sono le conseguenze. Tecniche per incrementare la frequenza dei comportamenti adeguati Lodi e attenzioni Differentemente da quanto fa la società che ci abitua alle punizioni, utilizzare conseguenze positive per incrementare i comportamenti adeguati è efficace nell’apprendimento di un comportamento. · Lodi e attenzioni insegnano il comportamento adeguato, mentre la punizione insegna solo che cosa non si deve fare. Le lodi aiutano il bambino ad avere una migliore considerazione di se stesso ed a migliorare le relazioni sociali. Le lodi e le attenzioni servono anche a fare acquisire nuove abilità al bambino. Bisogna innanzitutto imparare: -ad individuare e prestare attenzione ai comportamenti adeguati -dirigere l’attenzione selettivamente sui comportamenti che si vogliono fare aumentare di frequenza e ignorare quelli scorretti -cercare di individuare quali sono le espressioni, gli atteggiamenti o i comportamenti di ricompensa preferiti dai bambini, per individualizzare l'uso delle abilità apprese ed esercitarsi e fare molta pratica. L’utilizzo delle lodi e attenzioni deve seguire delle regole: •Usare lodi e attenzioni solo durante o immediatamente dopo(dopo 3 secondi) il comportamento che si vuole fare aumentare di frequenza. •Evitare accuratamente di dare lodi e/o attenzioni quando il bambino si comporta male. •Dare lodi esplicative. (Es. "Bravo, Mario, oggi sei stato seduto alla scrivania a fare i compiti per 30 minuti facendo tutto per bene”). •Aggiungere commenti positivi ed incoraggiamenti alle lodi. (Es."Bravo, Mario, oggi sei stato seduto alla scrivania a fare i compiti per 30 minuti facendo tutto per bene. Sono sicuro che non avrai difficoltà a finire tutto in tempo senza fare errori"). •Lodare anche comportamenti positivi di minore importanza. •Usare un tono spontaneo e credibile nell'esprimere le lodi. •Evitare assolutamente il sarcasmo o toni che potrebbero suonare ironici. (Es. "Hai finito finalmente, era ora! Non hai fatto nessun errore? Non ci posso credere!"). •Accompagnare le lodi con manifestazioni fisiche di affetto. •Usare espressioni che possano essere sicuramente gradite al bambino. •Variare le espressioni utilizzate, per non annoiare il bambino e non renderle, a lungo andare, inefficaci (saziazione). •Graduare lodi e attenzione in funzione delle difficoltà e dell’impegno. Ricompense e privilegi Servono a far capire chiaramente ai bambini: -quali sono i comportamenti graditi, -cosa ci si aspetta da loro e -cosa quindi possono continuare a fare. E’ indispensabile imparare: ·a variare ricompense e privilegi, altrimenti si rischia l’abituation ·ad adeguarne l’ampiezza e l’importanza all’entità e difficoltà del comportamento specifico ·ad informare il bambino delle caratteristiche che deve avere un certo comportamento per ottenere particolari ricompense o privilegi. L’utilizzo di privilegi e ricompense deve seguire delle regole: •Dare ricompense e privilegi solo durante o immediatamente dopo il comportamento desiderato. •Non usare ricompense e privilegi per bloccare comportamenti inadeguati(se metti a posto la stanza ti do un regalo. Non è giusto insegnamento). Ciò potrebbe essere utilizzato dal bambino per ottenere le ricompense desiderate. •Accompagnare ricompense e privilegi con descrizioni del comportamento ricompensato. Questo serve al bambino a capire esattamente come comportarsi per guadagnare la ricompensa desiderata. •Usare termini positivi e parole di incoraggiamento quando si forniscono ricompense e privilegi. •Usare le cose gradevoli che già abitualmente si fanno per il bambino o si lasciano fare al bambino, modificandone le contingenze, rendendo chiara, cioè, la relazione tra comportamento e conseguenza. •Variare frequentemente ricompense e privilegi. Oppure variare modalità di presentazione: una volta si può accompagnare la ricompensa con parole affettuose, un'altra volta con manifestazioni fisiche di affetto. •Variare l'entità del rinforzo in relazione all'importanza, allo sforzo e alle difficoltà incontrate dal bambino. •Individualizzare ricompense e privilegi in funzione dei reali gusti del bambino. •Informare in anticipo il bambino su cosa deve fare per guadagnare determinate ricompense o privilegi. Tecniche per ridurre la frequenza dei comportamenti inadeguati Rinforzamento differenziale Bisogna imparare a rinforzare il bambino quando emette il comportamento opposto (o incompatibile) a quello che si vuole eliminare o ridurre. Il soggetto deve essere rinforzato in modo proporzionale allo sforzo messo in atto. Insieme alla lode viene fatta esplicita allusione ai comportamenti inadeguati da estinguere. Ad esempio: Le lodi allusive ·Aiutano ad insegnare ai bambini, in modo positivo, le cose che non devono fare ·Aumentano le possibilità di rinforzare positivamente i comportamenti adeguati ·Servono a far discriminare al bambino le cose che è bene che faccia e quelle che non deve assolutamente fare ·Incoraggiano i bambini a continuare a comportarsi in maniera adeguata, facendo aumentare il livello di auto-stima ·Possono bloccare situazioni problematiche prima che si manifestino o si aggravino. L’utilizzo di regole per le lodi allusive è fondamentale: •L’erogazione di lodi allusive deve essere tempestiva (contemporaneamente o subito dopo il comportamento di cui si vuole fare aumentare la frequenza). •Utilizzare espressioni descrittive e un tono sincero e naturale, cioè senza forzature di alcun genere. •Variare il tipo di lodi usate per non annoiare il bambino, e adeguarle alle circostanze, all'età, ai gusti e alle esigenze del figlio, associandole a manifestazioni fisiche di affetto e parole di incoraggiamento. •Le lodi allusive richiedono espressioni che si riferiscono sia al comportamento positivo, sia al comportamento negativo alternativo che si vuole eliminare. Si possono usare frasi come: "per non aver...", "invece di...", "senza..." •Utilizzare le lodi allusive solo quando il bambino si sta comportando bene. Quando se ne fa un uso differito (“La mamma mi ha detto che oggi hai giocato tranquillamente senza litigare con tuo fratello, bravo ti meriti un bacio!”) stare molto attenti che in quel momento il bambino non stia facendo qualcosa di inadeguato. Talvolta alla base del programma di apprendimento di un comportamento risiede l’Ignoramento; il cui principio base (estinzione) è di sottrarre l’attenzione da tutti i comportamenti che si vogliono far cessare e di reagire solo in presenza dei comportamenti che si vogliono far aumentare di frequenza. È fondamentale perché serve per far capire ai bambini che è inutile attuare un certo comportamento per ottenere l’attenzione. L’ignoramento è forse la pratica meno intrusiva, ma sicuramente la più difficile tecnica da utilizzare. Anche per l’ignoramento segue l’utilizzo di regole: -Bisogna usare l'ignoramento ogni volta che vengono emessi dal bambino comportamenti inadeguati per attirare l’attenzione. -Usare l'ignoramento per tutto il tempo in cui dura il comportamento. Guai a cedere per esasperazione, rende ancora più resistente e persistente il comportamento inadeguato del bambino. -Gli effetti dell'ignoramento possono non essere immediati. Soprattutto se in passato si era soliti prestare attenzione ai comportamenti in questione (che sono stati, quindi, rinforzati) ci vorrà più tempo per farli diminuire. All’inizio, anzi, potrebbe aumentare di intensità e frequenza. -Fare qualcosa di distraente può aiutare a ignorare il comportamento disturbante del bambino. -L'ignoramento è veramente efficace quando è integrato ad altre pratiche di rinforzamento positivo di comportamenti alternativi o, comunque, positivi. Tra le forme di insegnamento che si mettono in atto in presenza di un comportamento veramente pericoloso vi è il Time out, che prevede che il bambino trascorra pochi minuti “in castigo”, cioè in uno spazio in cui non ci sia assolutamente nulla di stimolante o rinforzante. Come, quando e perché usare il time-out · E’ più efficace e meno emotivamente coinvolgente di altre pratiche punitive, specie delle punizioni fisiche. · Serve per far diminuire comportamenti pericolosi o veramente gravi e insopportabili · La sua efficacia sarà maggiore se si mettono in atto contemporaneamente pratiche positive per fare aumentare i comportamenti adeguati. L’utilizzo di regole per il time out è fondamentale: -Usare il time out solo per far diminuire comportamenti pericolosi o veramente gravi e insopportabili (che vanno precedentemente identificati nel repertorio del bambino). -Usare sempre un luogo "noioso" per il time out. -Usare il time out solo immediatamente dopo o durante il comportamento che si vuol fare diminuire. -La durata deve essere solo di qualche minuto(non più di cinque minuti). -Non recriminare. Anche quando il bambino dovesse lasciare il luogo del time out prima del tempo stabilito, non fare discussioni, ma riportarlo nel luogo stabilito e ricordargli molto brevemente che potrà uscirne solo se rimarrà zitto e buono. -Lodare il bambino non appena ricomincerà a fare qualcosa di accettabile. Sottrazione di rinforzi e privilegi Mentre al positivo rinforzi e privilegi vengono somministrati in presenza di comportamenti positivi, in questo caso rinforzi e privilegi di vario genere vengono sottratti in concomitanza di comportamenti negativi, che però siano veramente gravi, pericolosi o insopportabili (frequenza, intensità o durata troppo alta). L’utilizzo di tale tecnica prevedere delle regole: -Sottrarre rinforzi e privilegi durante o immediatamente dopo l'emissione del comportamento che si vuole modificare. -L'entità del rinforzo che si rimuove deve essere proporzionata alla "gravità" del comportamento. -Non sottrarre sempre gli stessi rinforzi o privilegi. -Quando si dice al bambino che gli verrà sottratto un privilegio gli deve essere sottratto veramente, l’ESSERE COERENTI è alla base del giusto insegnamento. -Non usare troppo spesso la sottrazione di rinforzi e privilegi. È opportuno non utilizzare un unico metodo per risolvere un problema. -Continuare sempre a rinforzare positivamente tutti i comportamenti desiderabili del bambino. Le Punizioni fisiche sono assolutamente consigliabili perché: -Gli effetti negativi superano quelli positivi, che sono solo momentanei -L’abitudine alle punizioni fisiche rende inefficaci altri metodi quando i bambini diventano più grandi. -L’uso di altri sistemi punitivi associato al rinforzamento positivo dei comportamenti desiderabili è sicuramente più efficace delle punizioni fisiche e gli effetti si mantengono nel tempo. Chi utilizza punizioni fisiche ottiene spesso Effetti indesiderati quali: -L’attuazione di queste pratiche comporta un coinvolgimento emotivo negativo. I figli vivono ansie e paure che inducono meccanismi di evitamento (es. bugie). -Il livello di autostima si abbassa sempre di più, la relazione diventa sempre più difficile da gestire -L’aggressività appresa può essere generalizzata ad altri contesti e degenerare in comportamenti antisociali. Le regole per l’utilizzo delle punizioni fisiche sono: -Mettere in atto la punizione ogni volta che un comportamento si presenta. La punizione intermittente rende il comportamento ancora più "resistente". -L’unica forma di punizione fisica può essere al massimo la sculacciata. -Le sculacciate non vanno mai date quando non si ha un perfetto controllo dei propri nervi. -Come ogni altra forma di punizione, la sculacciata deve essere preventivamente contrattata -Non dimenticare di utilizzare gli altri metodi, specialmente quelli che servono ad incrementare i comportamenti positivi. In sintesi, bisogna: -individuare i comportamenti-bersaglio, -definirli operativamente, -stabilire la frequenza dei comportamenti-bersaglio, La minima quantità di energia capace di produrre una risposta sensoriale per almeno il 50% delle prove si definisce soglia assoluta. I sistemi sensoriali presentano dei limiti superiori, oltre che inferiori: l’uomo è in grado di udire suoni bassi fino a 20 hertz (suoni alti fino a 20.000 hertz), me mai più bassi di tale valore, perché altrimenti sentiremmo perfino i movimenti dei nostri muscoli e sarebbe certamente fastidioso. La soglia dei suoni alti uditi dagli umani, viene superata dagli animali come il pipistrello, il gatto e il cane per tale ragione un cane può distinguere fischi diversi che un uomo non riuscirebbe mai a riconoscere. Le soglie assolute non variano solo da persona a persona, ma cambiano nel tempo per ogni individuo. Soglie differenziali Della psicofisica fa parte anche lo studio delle soglie differenziali in cui la domanda dovrebbe essere: “quanto deve cambiare uno stimolo (ossia, aumentare o diminuire) prima che diventi apprezzabilmente diverso?”. Lo studio delle soglie differenziali ha condotto a una delle prime leggi della psicologia: la legge di Weber, secondo cui la differenza minima avvertibile è una proporzione costante dell’intensità dello stimolo originale. Tono 0,33%, gusto 20% si noti che l’udito è molto più sensibile del gusto. Analisi e codifica sensoriale Non dobbiamo confondere però la sensazione con la percezione, poiché la prima corrisponde all’effetto immediato dovuto all’attivazione dei recettori, la percezione invece è l’organizzazione dei dati sensoriali in una esperienza globale e complessa. La percezione è dunque il processo finale dell’elaborazione sensoriale. Tale processo globale influenza ciò che percepiamo ed è aiutato da alcune caratteristiche specifiche percettive. Ad esempio la vista ha come caratteristiche percettive le linee, le forme, i colori, i contorni e le macchie. Se osserviamo delle linee orizzontali e solo una verticale, è chiaro che la nostra vista verrà colpita dall’unica linea verticale (effetto pop-out), perché il sistema visivo è molto sensibile a caratteristiche percettive come l’orientamento di linee. I sensi generalmente agiscono come i rilevatori di caratteristiche. Dopo aver selezionato l’informazione, i sistemi sensoriali devono codificarla. Con il termine di codifica sensoriale si intende la trasformazione delle caratteristiche percettive in messaggi che vengono inviati al cervello. La scoperta di aree cerebrali deputate all’elaborazione delle diverse sensazioni ha consentito la sperimentazione relativi ad ausili alla vista, all’udito o agli altri sensi. LA VISTA La vista è un sistema sensoriale complesso e meraviglioso. Attraverso la vista vediamo la luce; le diverse lunghezze d’onda formano lo spettro ottico, ovvero la gamma di energia elettromagnetica alla quale l’occhio è sensibile. La luce visibile inizia con onde corte, che vengono percepite con il viola; onde di lunghezza sempre maggiore producono il blu, il verde, il giallo, l’arancio e il rosso. Ricordiamo che, per essere percepita dall’occhio, un’onda luminosa deve superare la soglia assoluta. Le tre grandezze principali della luce visibile sono: - tonalità, cioè le categorie fondamentali del colore, come rosso, arancio, giallo, verde, blu, indaco e viola; - saturazione, ossia la purezza del colore; - vividezza, cioè l’ampiezza, ossia l’altezza delle onde luminose; le onde di ampiezza maggiore sono più alte, contengono più energia e fanno si che vediamo i colori più o meno intensi e brillanti. Struttura dell’occhio L’occhio è dotato di una lente biconvessa, chiamata cristallino, che focalizza e mette a fuoco le immagini nella parte anteriore dell’occhio, grazie l’ausilio della cornea, una membrana trasparente che convoglia la luce all’interno “piegando” i raggi luminosi paralleli per convergerli al cristallino. Bisogna specificare che quando i raggi luminosi passano dall’aria alla cornea, vengono incurvati (processo di rifrazione). Il punto focale dell’occhio si modifica se i muscoli ciliari e i legamenti che sostengono i cristallino n cambiano la forma, in un processo detto di accomodamento. L’accomodazione è un processo di messa a fuoco finalizzato agli elementi presenti nell’ambiente che si trovano a meno di 6 metri dall’occhio. L’accomodazione è responsabile della messa a fuoco insieme al processo della convergenza. Poiché la nostra visione è binoculare, gli occhi devono ruotare verso l’interno per mettere a fuoco un oggetto vicino e verso l’esterno per mettere a fuoco un oggetto più distante. Problemi visivi La messa a fuoco è influenzata anche dalla forma dell’occhio. Se il globo oculare è più corto del normale, gli oggetti vicini risultato sfuocati, mentre quelli distanti vengono visti molto bene (ipermetria, difficoltà a vedere da vicino). Se il globo oculare è più lungo non si riescono a mettere a fuoco gli oggetti distanti (miopia, difficoltà a vedere da lontano). Se la cornea o il cristallino hanno una curvatura asimmetrica, la visione sarà in parte sfuocata in parte nitida (astigmatismo, l’occhio in questo caso ha più di un punto focale). Invecchiando, il cristallino diventa sempre meno flessibile, il punto focale si allontana e non si riesce più a mettere a fuoco le immagini (presbiopia, difficoltà a vedere da vicino a causa dell’invecchiamento); inoltre, in età avanzata il cristallino può perdere la sua trasparenza, diventano opaco (cataratta). Controllo della luce in entrata Nell’occhio è l’ iride che controlla la quantità di luce in entrata. L’iride è un muscolo circolare, la parte del nostro occhio che assume colorazioni diverse, azzurro, verde o castano. Allargandosi e contraendosi, l’iride regola la quantità di luce che penetra nell’occhio, modificando la dimensione della pupilla: in condizioni di scarsa luce le pupille si dilatano (midriasi), mentre si restringono quando la luce è intensa (miosi). Coni e bastoncelli L’occhio ha due tipi di cellule recettoriali, dette fotorecettori: i coni e i bastoncelli. I 5 milioni di coni presenti in ciascun occhio vengono attivati da una luce intensa e distinguono i colori e i particolari minuti. I circa 120 milioni di bastoncelli, viceversa, non sono in grado di distinguere i colori e sono sensibili alla luce crepuscolare. La visione dei bastoncelli è in bianco e nero. La luce non arriva direttamente su coni e bastoncelli, ma deve passare attraverso gli strati esterni della retina costituiti da cellule bipolari e gangliari. Inoltre, coni e bastoncelli hanno la parte recettiva posta posteriormente, solo la metà circa della luce posta di fronte l’occhio raggiunge i fotorecettori, questo permette una maggiore accuratezza visiva. La retina presenta un punto in cui non sono presenti fotorecettori: ciascuno dei due occhi ha un punto cieco, che fa comprendere come la visione dipenda in gran parte dal cervello, che analizza prima di tutto le informazioni visive categorizzandole in linee, angoli, zone d’ombra, colore , movimenti ed altre caratteristiche di base. Poi altre aree del cervello elaborano ed integrano queste informazioni in percezioni visive complesse e globali. Acuità visiva Coni e bastoncelli sono sensibili a differenze della lunghezza d’onda della luce e, quindi sono responsabili dell’ acuità visiva, della anche visus, ovvero della capacità dell’occhio di captare con precisione un pattern spaziale specifico. I coni sono concentrati al centro della retina: infatti, la fovea, l’area retinica centrale a forma di piccola coppa, contiene soltanto i coni. L’acuità visiva normale è di 11/10 e la sua valutazione si effettua mediante il riconoscimento di segni o simboli. Visione periferica Anche le aree intorno alla fovea ricevono luce, creando un’ampia regione di visione periferica. I bastoncelli, posti a circa 20° dal centro della retina, assicurano tale visione periferica. PERCEZIONE DEI COLORI I coni sono più sensibili alla parte giallo-verde dello spettro ottico, mentre i bastoncelli, che ricordiamo non sono sensibili ai colori, tendenzialmente sono più sensibili alle luci blu-verdi. Teorie sulla visione dei colori Esistono due teorie sulla visione dei colori: la teoria tricromatica e la teoria dei processi opposti. La teoria tricromatica afferma che vi sono tre tipi di coni, ognuno dei quali è più sensibile ad alcune lunghezze d’onda, in particolare al rosso, al verde e all’ azzurro. Gli altri colori deriverebbero dalla combinazione di questi tre. La teoria dei processi opposti invece prevede che la vista scompone i colori in messaggi <o l’uno o l’altro>: ciò significa che il sistema visivo può produrre messaggi per il rosso O per il verde, per il giallo O per l’azzurro. Entrambe le teorie sono corrette. La teoria tricromatica riguarda la retina, in cui sono effettivamente stati riscontrati tre tipi diversi di coni: ognuno contiene un diverso tipo di iodopsina, un pigmento fotosensibile composto da una parte proteica, la fotopsina e il retinene, una molecola che cambia forma quando viene colpita dalla luce. Le sensazioni del nero e del bianco invece, sono prodotte dai bastoncelli, il cui pigmento fotosensibile e la rodospina(composto da opsina e retinale). La teoria dei processi opposti invece è valida per spiegare cosa accade a livello delle vie nervose del sistema visivo (nervo ottico, tronco encefalico, talamo) e a livello corticale dopo che l’informazione sensoriale è partita dall’occhio. Costruzione dei colori I colore percepito di un oggetto è influenzato in realtà dai colori degli oggetti vicini per un effetto chiamato contrasto cromatico simultaneo, che si verifica poiché l’attività dei neuroni in un’area della corteccia visiva è influenzata dall’attività delle aree vicine. Cecità assoluta e parziale ai colori La cecità ai colori è l’incapacità di percepire i colori; è come se il mondo fosse un film in bianco e nero. Chi è affetto da tale condizione è privo di coni, oppure i coni non funzionano normalmente. La cecità assoluta ai colori è rara, piuttosto è comune la cecità parziale ai colori, dove non vengono percepiti solo alcuni colori. La cecità ai colori è causata da mutazioni nei geni che controllano i diversi tipi di iodopsina sensibili al rosso, verde e blu nei coni. Un esempio sono gli individui daltonici con cecità al verde e rosso, ma che vedono normalmente il giallo e il blu. ADATTAMENTO AL BUIO Sia i coni che i bastoncelli contengono pigmenti fotosensibili. Quando vengono colpiti dalla luce, si ha una scissione delle iodopsine e della rodopsina nelle loro componenti. Per recuperare la sensibilità alla luce, tali pigmenti devono ricrearsi, cosa che richiede qualche tempo. Quando l’adattamento al buio è completo, l’occhio umano ha la stessa sensibilità alla luce di un rapace notturno; mentre bastano alcuni secondi di luce intensa bianca per azzerare l’adattamento al buio. Il retinale è un componente della rodopsina che viene sintetizzato a partire dalla vitamina A, detta retinene. Quando non è disponibile vitamina A in quantità sufficiente, viene prodotta meno rodopsina, sviluppando talvolta la cecità notturna. Le carote sono un’ottima fonte di vitamina A, e quindi potrebbero essere d’aiuto per chi soffre di problemi di visione notturna. L’UDITO L’udito rileva informazioni sull’ambiente attorno a noi. Se lanciamo un sasso in uno stagno, una serie di onde circolari si allargherà in tutte le direzioni. In modo molto simile, il suono si propaga sotto forma di una serie di invisibili onde di compressione e di rarefazione nell’aria. La frequenza delle onde sonore costituisce il numero di onde al secondo e fa distinguere un suono acuto da uno grave. L’orecchio umano è sensibile solo a suoni compresi fra i 20 e i 20.000 hertz; al di sotto di questi si trovano gli infrasuoni, mentre al di sopra gli ultrasuoni. CAPITOLO 14 CONDIZIONAMENTO E APPRENDIMENTO Quasi tutti i comportamenti umani sono il risultato di un processo di apprendimento. L’ apprendimento è la modificazione dei pattern comportamentali preesistenti, cioè il mutamento del comportamento in relazione all’esperienza. Tipi di apprendimento I tipi di apprendimento sono diversi, conosciamo: - apprendimento associativo, quando c’è l’associazione tra diversi stimoli e risposte; - apprendimento cognitivo, negli essere umani tale forma di apprendimento comporta attività di comprensione, conoscenza ed è perciò fondato su processi mentali superiori (memoria, attenzione e linguaggio). L’APPRENDIMENTO ASSOCIATIVO Nell’apprendimento associativo parliamo di due concetti fondamentali: il condizionamento classico ed il condizionamento operante o strumentale. Dal momento che noi apprendiamo anche risposte nuove si deve pensare ad un meccanismo che ci metta in grado di farlo: Secondo Watson le abitudini nuove di tipo complesso si apprendono attraverso la creazione di una concatenazione di riflessi, di associazioni stimolo-risposta. L'apprendimento si verifica quando una variazione significativa delle condizioni ambientali (Stimolo) determina una modificazione reale (=che permane nel tempo) del comportamento (Risposta). Questa modificazione può comportare un miglior adattamento all'ambiente, ma può anche comportare l'acquisizione di un apprendimento inadeguato (ad es. fobie). Dunque noi non apprendiamo solo cose positive, ma anche comportamenti errati. È fondamentale affinché si abbia la modificazione reale del cambiamento, che ci sia uno stimolo, quest’ultimo non è altro che un qualsiasi evento o condizione ambientale che provochi o evochi una risposta. Gli stimoli vengono classificati in base alle caratteristiche fisiche: possiamo dunque avere stimoli fisici: oggetti e fenomeni naturali; stimoli chimici: es. profumi, farmaci, ecc; stimoli organismici: prodotti dall’organismo (es. fame) e stimoli sociali: di natura relazionale Oppure gli stimoli possono essere classificati in base alle caratteristiche funzionali, dunque avremmo stimoli universalmente funzionali (come la luce, che è funzionale a tutti) e stimoli individualmente funzionali ( come un farmaco, non rispondiamo tutti allo stesso modo a quello stimolo). ESISTONO DIVERSI TIPI DI APPRENDIMENTO: l’assuefazione, la sensibilizzazione e il condizionamento. Con l’assuefazione affinché l'apprendimento si verifichi occorre una stimolazione dell'ambiente che sia diversa da quella solita o precedente e che eliciti una risposta . Se le variazioni dell'ambiente, dopo varie presentazioni, non sono più significative, si verifica il fenomeno dell'assuefazione, qui lo stimolo viene percepito come se non fosse uno stimolo, ma, al massimo, come un elemento di disturbo cui non va prestata particolare attenzione. (es cambiamo casa e ci trasferiamo in una vicino all’aeroporto, all’inizio i rumori ci disturbano, ma poi diventiamo assuefatti dallo stimolo). Dunque è diminuita la capacità di rispondere ad uno stimolo dopo ripetute presentazioni. Per avvenire l’assuefazione devono verificarsi delle condizioni: diminuzione della risposta, si deve trattare di un riflesso, questa diminuzione deve essere legata ad un particolare stimolo, non deve essere prodotta da processi organici. Con la sensibilizzazione in determinate condizioni, la ripresentazione ripetuta di uno stimolo può rendere l’organismo sempre più reattivo a quello stimolo. In entrambi i casi (assuefazione-sensibilizzazione) ciò che si modifica –per effetto della ripresentazione di uno stimolo- è l’intensità della risposta. La branca della scienza che per prima ha studiato l'associazione di uno Stimolo (offerto dall'ambiente) ad una Risposta (data dall'organismo) è la RIFLESSOLOGIA ideata da Ivan Pavlov. Essa ha stabilito che c'è apprendimento solo quando si acquisiscono nuove relazioni tra Stimoli e Risposte. Queste forme di apprendimento si verificano già in fase pre-natale, e poi il bambino nasce con comportamenti definiti. Si parla di riflessi incondizionati, cioè l’organismo quando nasce, possiede geneticamente un programma comportamentale. Un riflesso è un rapporto innato stimolo-risposta. L’ apprendimento non è altro che la possibilità di arricchire o modificare tale programma sulla base dell'esperienza. Quando parliamo di associazione tra stimoli introduciamo il concetto di condizionamento classico. Il condizionamento classico prevede che il cambiamento avvenga tramite associazione di due diversi stimoli, uno naturale e uno nuovo. Il paradigma del condizionamento classico fu ideato da Ivan Pavlov, le cui ricerche(proseguite da Watson negli Usa) partirono dalla constatazione che i cani emettono saliva non solo mentre s'introduce del cibo nella loro bocca, ma anche alla semplice vista del cibo o dello sperimentatore che solitamente li nutre. Pavlov intuì che questa reazione non era un riflesso biologico innato, ma un comportamento appreso. Pavlov distinse gli stimoli capaci di provocare delle risposte da parte dell’organismo in: stimoli condizionati (stimolo che grazie all’apprendimento determinerà una risposta; provocano lo stesso tipo di risposte dopo associazioni con stimoli incondizionati) e stimoli incondizionati (provocano delle risposte in modo spontaneo, è uno stimolo innato); dunque le risposte che seguono uno stimolo possono essere o risposte condizionate (che si stabiliscono dopo ripetute associazioni) o risposte incondizionate (che si attuano in modo spontaneo). Pavlov parla inoltre di uno stimolo neutro, cioè uno stimolo che non produce una risposta incondizionata. Il suo esperimento si articola per fasi: I FASE: dapprima stimolò i cani col suono d'un campanello (stimolo neutro), senza che ciò provocasse salivazione; poi introdusse del cibo nella loro bocca, e ciò comportò salivazione (risposta incondizionata); II FASE: ripresentò più volte i due stimoli (suono e cibo) in successione (apprendimento) III FASE: alla fine notò che i cani cominciavano a salivare al solo suono del campanello (il comportamento di salivazione era diventato una risposta condizionata). Una volte che una risposta è stata appresa, può determinare un condizionamento di ordine superiore: cioè un’ulteriore associazione fra uno stimolo incondizionato e l’originario stimolo condizionato. Estinzione, generalizzazione e discriminazione di un comportamento Pavlov, ripetendo più volte l’esperimento, capì anche che, se si continua a far suonare il campanello senza portare la carne, la salivazione (RC) gradualmente tende a scomparire, perché si elimina il rapporto tra lo stimolo condizionato e incondizionato (ESTINZIONE); se l'esperimento viene interrotto e ripreso successivamente, il campanello può produrre di nuovo la salivazione (RECUPERO SPONTANEO della risposta (RC) precedente); se si usa un suono più o meno intenso rispetto a quello originario, la salivazione si verifica lo stesso (GENERALIZZAZIONE); se invece si dà la carne solo col suono più forte e non con quello più debole, al sentire quest'ultimo suono il cane non produrrà salivazione, dunque si risponde in modo differente a stimoli simili (DISCRIMINAZIONE). IL CONDIZIONAMENTO CLASSICO NEGLI ESSERI UMANI: UN TEMA CONNESSO ALLE EMOZIONI Anche le risposte emotive più complesse possono essere associate a stimoli nuovi; ad esempio se associamo il dolore allo studio di un dentista perché la prima volta che siamo andati ci ha fatto male, le volte successive il nostro cuore batterà forte prima ancora di arrivare. L’apprendimento implica un cambiamento, si possono apprendere anche atteggiamenti ed emozioni ed è importante capire che le cose che si apprendono non sono necessariamente giuste o adattive, coscienti o Intenzionali: pensiamo alla fobia, che è una paura che si manifesta anche quando non esiste un pericolo reale. Anche solo una brutta esperienza provata a contatto con un ragno può condizionare una paura che dura per anni. Gli psicologi ritengono che molte fobie iniziamo come risposte emotive condizionate (REC)o reazioni emotive apprese a uno stimolo precedentemente neutro. Parliamo di APPRENDIMENTO DI REAZIONI EMOTIVE. Un altro esperimento da ricordare e quello di Watson e la moglie Rosalie: l’esperimento del piccolo Albert. Obiettivi dell'esperimento erano: - dimostrare che una emozione come la paura è il risultato di un processo di condizionamento ambientale - studiare l'evoluzione del condizionamento attraverso l'osservazione sistematica . Watson e la moglie Rosalie spaventarono un bambino (Albert) di circa un anno di età con un forte rumore quando questi giocava con un coniglio bianco. L'esperimento ripetuto più volte condizionò il bambino. Dapprima Albert strillava solo quando avvertiva il rumore, ma poi anche alla sola vista del coniglio bianco. Watson e la moglie osservarono che la paura indotta seguiva un processo di generalizzazione: Albert si spaventava in presenza di altri animali dal pelo bianco, pure con oggetti lanosi e bianchi. Per far fronte a queste situazioni di ansia legata a fattori emotivi, si tratta il paziente con la tecnica della Desensibilizzazione sistematica, cioè l’ associazione gerarchica degli stimoli ansiogeni a stimoli gradevoli e antitetici all’ansia. Affinché possa realizzarsi un condizionamento efficace occorre che lo stimolo dev'essere percepibile e d'intensità non troppo elevata per il soggetto che lo percepisce, poiché in caso contrario la risposta sarà di fastidio-disturbo-paura; nel caso della risposta ad uno stimolo, questa deve essere incondizionata. Perché si realizzi un apprendimento per condizionamento classico occorre che tra una prova e l'altra vi sia contiguità temporale, si parla di intervallo ottimale. Chiaramente più si cresce, maggiore sarà la complessità della possibilità di condizionamento. Durante la REC, un’area del cervello, l’ amigdala, che fa parte del sistema limbico, deputato a gestire le emozioni, si attiva e scatena il sentimento della paura. Il condizionamento vicario Tale forma di condizionamento si verifica quando impariamo a rispondere a uno stimolo neutro osservando le reazioni emotive di un’altra persona. Una frase come “i serpenti sono pericolosi” detta a un bambino non riesce a spiegare la sua risposta emotiva; è più probabile che il bambino abbia osservato la reazione di spavento degli altri alla parola serpente o alle immagini di serpenti in TV. L’apprendimento di pregiudizi è tipico di un condizionamento vicario, ecco perché i genitori devono interrogare se stessi sull’origine di una paura o una reazione emotiva particolare. IL CONDIZIONAMENTO OPERANTE Il condizionamento operante si differenzia da quello classico perché, mentre in quest’ultimo il condizionamento è automatico e vi è una mera associazione tra due stimoli, nel condizionamento operante chi sta apprendendo opera attivamente sull’ambiente, associando comportamenti alle conseguenze. Il principio di base è relativamente semplice: se gli atti vengono rinforzati da conseguenze positive, tendono ad essere ripetuti, mentre se non producono alcun effetto o producono effetti negativi tendono ad essere abbandonati. Fu Thorndike a rendersi conto che lo schema pavloviano da solo non riusciva a dar ragione di come l’organismo concretamente operi, di come acquisisca comportamenti nuovi. Thorndike fu il precursore del condizionamento strumentale, colui il quale fornì due leggi per spiegare l’apprendimento: "legge dell’esercizio": più rispondiamo in un certo modo ad uno stimolo, tanto maggiore sarà la probabilità di rispondere allo stesso modo. "legge dell’effetto": dato un certo stimolo, diamo una risposta: se le conseguenze sono positive non modifichiamo la risposta. Infatti il rafforzamento delle connessioni S-R prevede la presenza di determinati effetti che seguono la risposta: se ad uno stimolo segue una risposta che prevede uno STATO DI SODDISFAZIONE, la connessione si rafforza. Se invece segue uno STATO SGRADEVOLE , la connessione si indebolisce. Quindi non basta più il concetto pavloviano S-R, ma si cerca anche di capire l’effetto che provoca una risposta. La pedagogia americana, in seguito, si servì di questo principio psicologico in ambito scolastico, prestando più attenzione a premiare le risposte giuste degli allievi che non a punire quelle sbagliate. Thorndike condusse un esperimento: - Chiuse un gatto affamato nella problem-box, con del cibo all’esterno. - Durante i primi tentativi di fuga il gatto mette in atto vari comportamenti, miagola, gratta le pareti della gabbia ecc. - Per tentativi ed errori, tirando casualmente una corda (o pigiando un pedale) riesce a uscire e ad arrivare al cibo - schema Rinforzamento a intervallo variabile: l’intervallo di tempo tra 2 risposte rinforzate non è costante. Le risposte hanno una grande resistenza all’estinzione. Skinner insomma comprese che: 1) L’intensità della risposta è proporzionale al rinforzo che riceve. 2) Sottraendo il rinforzo inizia l'estinzione della risposta appresa. 3) Tanto più un comportamento è stato bene appreso, tanto maggiore è la sua resistenza alla estinzione. 4) L'introduzione, durante il condizionamento, di prove non rinforzate (rinforzamento intermittente) rallenta l’apprendimento, ma rende meno facile e meno rapida l'estinzione del comportamento appreso. 5) E’ più facile raggiungere l’estinzione sottraendo il rinforzatore (punizione da perdita) che somministrando stimoli aversivi (punizione da danno). L’APPRENDIMENTO Quando parliamo di apprendimento dobbiamo tener conto di alcune applicazioni: - Contiguità e superstizione - L’impotenza appresa (learning helplessness). Superstizione Nel 1948 Skinner decise di rendere più interessante l’esperimento, immettendo nella gabbia un piccione e collegando il dispensatore di cibo non più ad una leva bensì ad un timer (intervalli casuali) Col passare del tempo il piccione cominciò a manifestare comportamenti alquanto bizzarri. Skinner notò che il piccione, con insistenza, ripeteva il movimento che aveva fatto un attimo prima di ottenere il cibo. Si trattava effettivamente di un comportamento superstizioso, osservato per la prima volta negli animali, basato su una falsa correlazione. Dunque può un animale simile all’uomo sviluppare comportamenti superstiziosi? Lo stesso esperimento, ripetuto sui ratti, diede risultati diversi •La spiegazione sta nell’ippocampo (Devenport e Holloway): Il processo evolutivo ha fatto sì che molti mammiferi sviluppassero l’ippocampo proprio come una sorta di “protezione” verso gli inganni del mondo esterno. La superstizione umana L’esperimento fu ripetuto in Giappone su esseri umani che vennero posti all’interno della Skinner’s box, fu inserito un “meccanismo ingannevole”, ovvero un contatore collegato ad un timer. Agli studenti che, volontariamente, decisero di sottoporsi all’esperimento non venne detto nulla, se non che il loro obiettivo era di fare “più punti possibile”. La ricerca dimostrò che dopo vari tentativi infruttuosi di capire il meccanismo, i soggetti cominciarono ad assumere gli atteggiamenti più stravaganti, come arrampicarsi sul tavolo, picchiare sul muro, sul contatore o saltare ripetutamente fino a toccare il soffitto; questo dimostra che anche l’uomo, nonostante la protezione dell’ippocampo, può assumere atteggiamenti e comportamenti“superstiziosi”. La superstizione non è altro che un errore di funzionamento all'interno del meccanismo adattivo rilevatore di causalità che è presente in ogni specie animale. A trarci in inganno è proprio il differente peso che si attribuisce alla presenza o assenza di un determinato stimolo. Nel 1975 Seligman condusse un esperimento sul concetto di impotenza appresa(learning helplessness): - nella I fase: possibilità di evitare la scarica elettrica saltando dall’altra parte del Box - nella II fase: impossibilità di evitare la scarica elettrica (agitazione e successiva rassegnazione) - nella III fase: rassegnazione (anche in assenza della scarica elettrica). Helplessness e depressione Per capire il concetto di helplessness e depressione dobbiamo parlare dello stress, dal francese antico “estrece” (oppressione) Lo stress è dovuto ad una pressione ambientale su un individuo, è un processo che richiede la mobilitazione di tutte le risorse dell’organismo e la necessità di produrre una risposta rapida ed efficace. Walter Cannon propone come risposta a questa fase di stress il concetto di “fight or fly”, cioè attacco- fuga, dallo stress o si scappa o si affronta. Cannon propose anche il concetto di omeostasi organizzazione delle risposte automatiche volte a mantenere la stabilità dinamica dell’organismo. Lo stress procede per fasi, abbiamo tre fasi in particolare: - fase di allarme (arousal) - fase di resistenza (coping, tentativi di riequilibrazione) - fase di esaurimento (deterioramento dei sistemi di riequilibrazione). Lo stress fondamentalmente può essere di due tipi: - mobilitazione globale delle risorse energetiche dell’organismo (eventi che minacciano la sopravvivenza e richiedono una risposta immediata, è il cosiddetto concetto attacco o fuga); è utile. - ansia (minaccia non oggettiva, ma attesa), questa forma di stress può diventare una condizione abituale e quindi logorare l’organismo (disturbi da stress). Hans Seyle studiò tutto ciò. Nella nostra vita capita il verificarsi di un evento traumatico, cioè una condizione fisica, psicologica o sociale estrema, imprevedibile e incontrollabile, che può portare gravi conseguenze psicologiche e comportamentali. Nel momento in cui viviamo una fase di stress, sono molte le variabili che entrano in gioco: - gli eventi stressanti in primo luogo (stressors) - la tensione prodotta nell’organismo (stress) - i fattori biologici coinvolti (vulnerabilità allo stress) - i fattori cognitivi coinvolti (percezione, interpretazione, memorizzazione) C.A.T.S. Teoria di Attivazione Cognitiva dello Stress - i fattori emotivo-motivazionali, temperamentali e comportamentali coinvolti. La risposta di stress dipende: - dalle aspettative (acquisite) sugli esiti degli stimoli (stressors)- cioè dalle nostre aspettative riguardo un evento che ci stressa- - dalle risposte disponibili, che sono relazioni acquisite (apprese) tra stimoli e tra stimoli e risposte - dalle aspettative (acquisite) sulle proprie possibilità/capacità di controllo- quanto noi riusciamo a controllare un momento di ansia è importante per il conseguimento di questa fase. Operazionalizzando lo stress, possiamo dire che tutto dipende da uno stimolo esterno all’organismo (stressors), che viene percepito da un individuo (appraisal). Il fattore ansia può suscitare allarme di incremento delle condizione ansiolitiche del soggetto (arousal). Questa fase di tensione viene così percepita dal nostro cervello attraverso un risposta a feedback positivo, fino a quando il nostro centro nervoso auspica un ritorno all’equilibrio omeostatico. Il soggetto alla fine sarà soggetto al processo di memorizzazione, cioè sarà in grado di ricordare la sua esperienza. Sulla base di uno stimolo posso avere delle aspettative che mi consentono di capire come difendermi da qualunque evento o posso avere anche delle aspettative sull’esito della risposta, che può essere positiva (coping), nulla ( helplessness) o negativa (hopelessness). La risposta coping determinerà una sensazione di controllo, cioè di essere capace di ridurre la risposta di “stress”. Farà ridurre il livello di arousal. Questa riduzione rinforza negativamente la strategia utilizzata e la sensazione di controllo ad essa associata (self efficacy) In situazioni analoghe ( x generalizzazione) aumenterà la probabilità che la stessa strategia venga riutilizzata (stile di coping); cioè se la mia risposta coping è efficace contro una fase di stress, c’è un’alta probabilità che in una futura condizione di stress reagirò sempre con la stessa risposta. Nel caso di una risposta helplessness non c’è alcuna relazione tra ciò che l’individuo può fare e l’esito La risposta helplessness è la percezione di non essere in grado di evitare il verificarsi dell’evento aversivo; per cui è come se l’organismo non avesse il controllo di se stesso. Seligman con l’esperimento dell’impotenza appresa mette tutto ciò in evidenza: quando l’aspettativa helplessness si avvicina a zero, e l’individuo accetta che non vi è soluzione (=si rassegna), l’arousal si può ridurre. Ma l’arousal si può ridurre anche nel caso in cui l’helplessness porti a un guadagno secondario o sia supportato dall’ambiente In questi casi, l’helplessness può funzionare come una strategia di coping e il guadagno secondario può rinforzare e sostenere la condizione di helplessness. Quando la risposta è hopelessness aumenta l’aspettativa che la maggior parte, se non tutte, le risposte porteranno a un risultato negativo. L’esito negativo dipende da un errore o da un limite del soggetto e questo introduce il concetto di colpa o di inadeguatezza che rende l’hopelessness ancor più adeguata dell’helplessness a spiegare la depressione. Se un evento è prevedibile in genere si associa basso arousal (sensazione di controllo) Se l’evento previsto è molto sgradevole, molto probabile e inevitabile, l’arousal sarà alto (paura) In ogni caso il concetto di ansia, legato alla depressione mostra delle diversità rispetto il concetto di paura, poiché: la paura si riferisce ad un evento che ha precise coordinate spazio-temporali mentre l’ansia si scaturisce dall’incertezza, per cui le dimensioni spazio-temporale non sono definite. Nel momento in cui lo stimolo e il conseguente livello di attivazione sono troppo elevati e persistenti e quando le strategie di fronteggiamento di un evento non sono adeguate o sufficienti, si dice che lo stress diventa di-stress. Il distress ha conseguenze sia fisiologiche, che psicologiche e anche comportamentali. Dal punto di vista fisiologico il distress comporta frequente sensazione di stanchezza generale, tachicardia, dolori muscolari, Coliti, gastriti, ulcera, malfunzionamento della tiroide, abbassamento delle difese immunitarie, Diabete, Ipertensione e Cefalea. Se considerassimo le conseguenze psicologiche, senza dubbio un individuo soggetto ad una forma di distress mostrerà una certa irritabilità, intolleranza, noia, difficoltà di concentrazione, attacchi di ansia / panico, demotivazione, perdita di memoria e disturbi dell’umore. A livello comportamentale l’individuo aumenterà i sui errori, avrà disturbi comportamentali vari che potrebbero determinare una forte aggressività, sfociando talvolta in un ritiro dalla società. APPRENDIMENTO COGNITIVO: OLTRE IL CONDIZIONAMENTO Non vi è dubbio che l’apprendimento umano includa un’ampia dimensione cognitiva e tale apprendimento cognitivo implica processi di comprensione, conoscenza, anticipazione, perciò è fondato su processi mentali superiori ricchi di informazioni. In particolare, l’apprendimento cognitivo prevede due processi fondamentali: l’acquisizione di nuove informazioni e il collegamento di queste a conoscenze preesistenti. L’ apprendimento latente può essere considerato un apprendimento di tipo cognitivo e si verifica in assenza di rinforzo. Ognuno di noi ha talvolta imparato delle idee in maniera meccanica, con la reiterazione e la memorizzazione, ma molti psicologi ritengono che la forma di apprendimento più duraturo e flessibile sia lo apprendimento per scoperta o per insight, cioè quando le persone scoprono i fatti e i principi da soli. L’apprendimento per insight è stato teorizzato negli anni Venti all’interno del movimento della Gestalt; Kohler studiò infatti gli scimpanzé e vide che questi per insight unirono due bastoni al fine di raggiungere un casco di banane posto fuori dalla portata. Capiamo dunque che l’insight è importantissimo nel risolvere i problemi nuovi. L’APPRENDIMENTO SOCIALE Il capostipite dell’apprendimento sociale è senza dubbio Albert Bandura, fondamentale nel passaggio dall'approccio comportamentista al cognitivismo, cioè egli fece un’analisi dei fattori individuali e contestuali che determinano il funzionamento della personalità, ed evidenziò come l‘apprendimento non implichi esclusivamente il contatto diretto con gli oggetti, ma avviene anche attraverso esperienze indirette, realizzate attraverso l'osservazione di altre persone (modelling). Il MODELLING è un processo di apprendimento che si attiva quando il comportamento di un individuo che osserva si modifica in funzione del comportamento di un altro individuo che ha la funzione di “modello”. Bandura a proposito del modelling effettua un esperimento con la bambola Bobo, per verificare l’aggressività nei bambini. L’esperimento dimostrò che il comportamento aggressivo dei bambini può essere modellato, cioè appreso per imitazione. Questa ricerca è stata più volte utilizzata anche a sostegno della tesi, ancora attuale, secondo la quale le scene di violenza mostrate in TV possono produrre comportamenti imitativi da parte dei ragazzi. Per il suo esperimento necessitò di 3 gruppi di bambini in età prescolare: - 1° gruppo , sperimentale: il ricercatore si mostrò aggressivo nei confronti di un pupazzo gonfiabile chiamato Bobo. L'adulto picchiava il pupazzo con un martello gridando: «Picchialo sul naso!» e «Pum pum!». - 2° gruppo, di confronto, il ricercatore giocava con le costruzioni di legno senza manifestare alcun tipo di aggressività nei confronti di Bobo. - 3° gruppo, di controllo, era formato da bambini che giocavano da soli e liberamente, senza alcun adulto con funzione di modello. I bambini poi venivano condotti in una stanza nella quale vi erano giochi neutri (peluche, modellini di camion) e giochi aggressivi (fucili, Bobo, una palla con una faccia dipinta legata ad una corda). Bandura, verificando la sua ipotesi (che i bambini modellano il loro comportamento appreso per imitazione) notò che i bambini che avevano osservato l'adulto picchiare Bobo (gruppo sperimentale) manifestavano un'incidenza maggiore di comportamenti aggressivi, sia rispetto a quelli che avevano visto il modello pacifico (gruppo di confronto) sia rispetto a quelli che avevano giocato da soli (gruppo di controllo). È chiaro che un bambino per poter imitare un adulto deve rivolgere l'attenzione verso il modello. Tale attenzione si rivolge a lui anche senza essere rinforzata o premiata. 6) da 18 a 24 mesi Il bambino è in grado di produrre combinazioni nuove degli schemi posseduti e di usarle per risolvere situazioni problematiche. È in grado di interiorizzare le azioni e rappresentarsi mentalmente oggetti e situazione e quindi di prevedere il risultato delle sue azioni. Gli oggetti hanno acquisito una loro permanenza , esistono cioè indipendentemente dalle azioni compiute su di essi e indipendentemente dalle possibilità percettive. (La permanenza degli oggetti). In questa fase, con l'acquisizione di concetti logici (causa-effetto) e spazio temporali, si raggiunge il livello di intelligenza senso motoria. Il mondo esterno viene organizzato attraverso l’interazione del proprio corpo con la realtà esterna (prima modalità di adattamento). STADIO PRE OPERATORIO (2 – 7 anni) Il pensiero di questo stadio è chiamato da Piaget pensiero prelogico o intuitivo ed è caratterizzato dalla presenza dell’attività rappresentativa espressa sotto forma di imitazione differita,che rappresenta un gioco della vità reale; gioco simbolico, il bambino utilizza un oggetto attribuendogli un significato immaginario e linguaggio. In questo periodo si osserva un rapido aumento delle abilità del bambino nei giochi di immaginazione e nell’uso di simboli. I bambini che attraversano lo stadio preoperatorio sono caratterizzati dalla presenza di un pensiero egocentrico e Piaget lo dimostra con l’esperimento delle tre montagne. Un’altra caratteristica di questo stadio dello sviluppo è l’incapacità di compiere abilità cognitive come quella di completare esercizi di conservazione. CONSERVAZIONE DELLA SUPERFICIE lo stesso accade per la conservazione della superficie che implica la capacità di riunire mentalmente delle unità parziali in un tutto, che non varia in funzione degli spostamenti delle parti. CONSERVAIZONE DI QUANTITÀ FISICHE quantità, peso e volume. Es 2 palline di plastilina non vengono definite uguali se cambia la loro forma. CONSERVAZIONE DELLA QUANTITÀ (es le monetine, se di due file di monetine, ne spostiamo una, la quantità per il bambino sarà diversa) CONSERVAZIONE DEI LIQUIDI allo stesso modo se un liquidi viene versato in un contenitore di forma diversa, la quantità di un liquido viene ritenuta diversa, anche se il travaso del liquido avviene in loro presenza. I bambini fino a 6 anni non sono in grado di tener presenti più punti di osservazione di un avvenimento nelle sue trasformazioni. Valutazione unidirezionali. STADIO DELLE OPERAZIONI CONCRETE Operare= tener presenti mentalmente più fattori della realtà. Dopo i 7 anni il bambino diventa capace di cogliere le relazioni tra gli oggetti e gli eventi. Questo cambiamento non è però immediato, né uguale per tutte le operazioni precedentemente descritte. Piaget parla di decalages (sfasamenti). Durante tale stadio le operazioni intellettuali dei bambini migliorano notevolmente: riconoscono il concetto di conservazione della sostanza, della seriazione e classificazione degli oggetti e della reversibilità. Nella fase delle operazioni concrete, il bambino comincia a comprendere il principio di reversibilità, come in matematica capisce che se5+5=10 per il concetto di reversibilità 10-5=5. STADIO DELLE OPERAZIONI FORMALI Dopo i 10 anni il bambino diventa capace di padroneggiare anche la realtà che non percepisce direttamente. In questo ultimo stadio si assiste al riconoscimento, da parte dei bambini, del passaggio da concetti concreti ai concetti astratti, cioè risolvere problemi puramente ipotetici. Può quindi ragionare secondo principi logici e risolvere problemi anche se in questi vengono posti solo verbalmente, formulare ipotesi e prevedere le conseguenze di un’azione, anche se non lo riguarda direttamente. Piaget ha denominato le competenze fondamentali di questo stadio pensiero ipotetico-deduttivo o delle operazioni formali. Il pensiero formale è quindi la rappresentazione in astratto di azioni possibili. Esempio : sillogismo, problemi matematici ecc,. CRITICHE A PIAGET E SVILUPPO DI PROBLEMATICHE LASCIATE APERTE Piaget fu criticato in quanto gli stadi non sono legati all’età: lo sviluppo di ogni bambino procede ad un ritmo peculiare e le competenze dei diversi stadi non si raggiungono nell’ordine indicato da Piaget Aspetti critici La difficoltà del compito (comprensione delle consegne): Modificando aspetti criteri ali dei compiti, numerosi esperimenti hanno ottenuto risposte corrette da bambini che avevano fallito nelle prove piagetiane standard. L’ESPERIEMENTO DELLE TRE MONTAGNE Il bambino non sa valutare il punto di vista degli altri. IL BAMBINI RIESCE MEGLIO IN COMPITI VICINI ALLA SUA REALTA’ Martion Hughes sosteneva che le risposte dei bambini di 8 anni in alcune prove piagetiane potrebbero essere risultate egocentriche perché il compito era poco “ecologico”. Proponendo un compito più realistico e più stimolante (es il ragazzo e il poliziotto), anche i bambini di età prescolare dimostrarono di saper valutare il punto di vista degli altri. IL RAGAZZO E IL POLIZIOTTO Due pareti disposte a croce su un tavolo creano 4 settori (A-B-C-D). un pupazzo poliziotto può vedere A e B, ma non Ce D che sono coperte dalla parete. Si chiede al bambino di collocare un pupazzo in modo che il poliziotto non possa vederlo. La prova si ripete più volte cambiando di posto il poliziotto. I bambini di 4 anni rispondono correttamente. Non sarebbe quindi l’età a condizionare la soluzione di problemi logici, quanto la capacità di comprendere il compito, collocando in un contesto familiare e pragmatico. ANALISI DEL CONCETTO DI STADIO Non sembra vero che all’interno di uno stadio esista una completa omogeneità del funzionamento delle strutture cognitive. Non esiste stabilità,né sistematicità nelle risposte che un bambino fornisce a compiti diversi. Flavell ha sottolineato che solo alla fine di uno stadio il bambino è in grado di rispondere a tutti i problemi tipici di esso, ed inoltre chiama in causa altri fattori, come l’aumento delle capacità attentive e della competenza linguistica. ANALISI DEI MECCANISMI DI TRANSIZIONE Piaget non specifica, tranne che per il periodo senso-motorio, come avvenga l’adattamento, ne indica quali situazioni siano in grado di produrre il disequilibrio che dovrebbe innescare il bisogno di riequilibrazione, ne indica quali condotte o strategie debbano essere messe in atto per ristabilire l’equilibrio. Il fatto che Piaget abbia affermato che il processo di costruzione delle conoscenze sia auto- generative ha indotto molti ricercatori ad analizzare e verificare fattori trascurati nella teoria classica, come: - il ruolo dell’esperienza e dell’apprendimento - il ruolo delle interazioni sociali. IL RUOLO DELL’ESPERIENZA E DELL’APPRENDIMENTO Negli anni ’60 e ’70 la ricerca psicologica è stata focalizzata sulla fiducia nella modificabilità del normale corso dello sviluppo, nella convinzione che modificano i contesti, le condizioni e facendo leva sui prerequisiti posseduti dal bambino, gli si potesse far apprendere abilità cui la teoria di Piaget negava l’accesso, in virtù dei vincoli posti dalle sue strutture mentali. STUDI SUL RAGIONAMENTO LOGICO -Piaget sosteneva che nello stadio delle operazioni formali si raggiungesse l’apice del ragionamento logico. -Alcuni esperimenti hanno messo in dubbio tale affermazione, sostenuti da molte evidenze empiriche: ●presenza di errori logici, tipici e sistematici, in soggetti adulti ●influenza della familiarità dei compiti (abilità comunicative, livello culturale, conoscenze specifiche. IL RUOLO DI CONOSCENZE SPECIFICHE (EXPERTISE) Michelene Chi ha dimostrato che la capacità di ricordare la posizione delle pedine è molto maggiore (velocità e accuratezza) in giocatori di scacchi “esperti” indipendentemente dall’età e dallo stadio di sviluppo. Piaget aveva inoltre sottovalutato le capacità cognitive dei neonati perché riteneva che i bambini sotto il primo anno di età, avessero abilità fisiche e mentali limitate: non erano capaci di pensare e quindi di usare attivamente le rappresentazioni interne. EQUIFINALITÀ Piaget per concetto di equifinalità indica che : lo stesso livello di sviluppo può essere raggiunto partendo da condizioni biologiche e ambientali diverse. MODELLO DI HOROWITZ cubo aperto. Voglio valutare lo sviluppo di un bambino in un certo momento. (esito evolutivo). Collochiamo il bambino X in una posizione nel cubo, tracciamo le rette all'incrocio e vediamo dove si trova il bambino. Un bambino pur partendo da una condizione organica svantaggiata se vive in un ambiente di vantaggio, può avere lo stesso esito di un bambino che vive in un ambiente sfavorevole ma di condizione organica sviluppata. CONCETTO DI STADIO EVOLUTIVO E LO SVILUPPO È SEQUENZIALE in ogni fase evolutiva c'è un consolidamento di determinate strutture mentali, si passa alla fase successiva quando queste si sono consolidate. Si passa così ad uno stadio evolutivo. La sequenza è rigida e non può cambiare. La teoria socioculturale di Vygotsky Vygotsky fu contemporaneo di Piaget e l’ assunto di base del pensiero di Vygotskij è che lo sviluppo del pensiero è guidato e influenzato dal contesto sociale e quindi dalle particolari condizioni culturali che caratterizzano il periodo storico in cui l’individuo vive. La teoria Per adattarsi, l'uomo trasforma la natura, crea oggetti e prodotti culturali e , in quest’opera di trasformazione, trasforma anche se stesso. Gli uomini sono artefici del proprio destino , anche del proprio sviluppo cognitivo. Lo sviluppo cognitivo è essenzialmente un processo sociale: - le funzioni intellettuali superiori ( pensiero, memoria, problem- solving) emergono dalle esperienze sociali del bambino e sono il risultato dello sviluppo storico delle società umane. Lo sviluppo cognitivo del bambino non comincia da zero (come in Piaget) , ma beneficia delle acquisizioni delle generazioni precedenti che trasmettono oggetti materiali e concetti astratti e simbolici( linguaggio , teorie scientifiche , valori morali). Teoria storico- culturale La teoria storico- culturale dello sviluppo elaborata da Vygotskij suggerisce che lo sviluppo infantile sia il risultato di una componente biologica e delle interazioni sociali. Senza il contatto con gli altri, secondo lo studioso, l’individuo non procederebbe oltre schemi di pensiero molto primitivi. Vygotskij introdusse il concetto di scaffolding (impalcatura, ideato da Bruner) che descrive come adulti e bambini più grandi aiutino il bambino a migliorare le proprie abilità (per esempio, incoraggiandolo a fare i compiti). Le procedure di scaffolding consistono nella : - semplificazione di un compito e suddivisione di esso in parti ridotte (task analysis) - Attribuire al bambino la responsabilità delle fasi più semplici ( apprendimento senza errori) - Dare dimostrazioni ( modeling) - Fornire incoraggiamenti e supporti ( prompting: Skinner e rinforzamento ) - Ridurre gradualmente gli aiuti , adattando le istruzioni al livello di abilità dell’apprendista ( fading: Skinner). La risoluzione di un problema richiede spesso una strategia. Si definisce euristica una procedura di semplificazione del percorso solutorio attraverso “scorciatoie” di pensiero per il raggiungimento della soluzione. Lo scopo di tale strategia è risparmiare impegno cognitivo e tempo per arrivare alla soluzione, tuttavia le euristiche non garantiscono sempre il raggiungimento della meta. L’euristica è un altro esempio di pensiero per prove ed errori, alternativo all’algoritmo. In generali l’euristica è una soluzione che riduce il numero di alternative da considerare. Tra le strategie euristiche ricordiamo: - strategia analisi mezzi-fini, si cerca di identificare le differenze tra lo stato di cose attuale e l’obiettivo desiderato; - strategia della ricerca in salita (hill-climbing), si cerca di identificare un obiettivo intermedio o un sottoproblema che conduca più vicino all’obiettivo finale; - strategia della ricerca per astrazione, si rappresenta il problema in altri modi, per esempio con grafici, diagrammi o analogie. Esperti e principianti Gli esperti sono più abili a individuare la vera natura dei problemi e dispongono di un numero più elevato di strategie che permettono loro di giungere ad un obiettivo. Fu formalizzata da Simon e Chase la famosa legge dei 10 anni, secondo la quale si acquisisce un’abilità di livello elevato solo dopo una pratica di 30.000 ora (pari a 10 anni). Soluzioni intuitive Chi all’improvviso risolve un problema, è possibile che abbia sperimentato un’intuizione o un insight. L’insight è basato in genere sulla riorganizzazione degli elementi di un problema: si riescono così a vedere i problemi da altri punti di vista e la soluzione appare ovvia. All’inizio si cerca di applicare procedure già utilizzate in altri problemi e Wertheimer parla a tal proposito di pensiero riproduttivo. In altre parole, si cerca di risolvere un problema applicando regole conosciute per prove ed errori in base all’esperienza. Solo con l’insight si utilizza il pensiero produttivo , cioè vengono ristrutturati gli elementi e si cambiano le relazioni fra quelli esistenti. La natura dell’insight Gli psicologi Sternberg e Davidson ritengono che l’insight implichi tre capacità distinte: - codifica selettiva, si riferisce alla capacità di selezionare informazioni rilevanti per un certo problema, ignorando allo stesso tempo le distrazioni; - combinazione selettiva, si riferisce alla capacità di riunire informazioni di dati utili, che sembrano apparentemente scollegati; - confronto selettivo, si riferisce alla capacità di mettere a confronto problemi nuovi con informazioni preesistenti o con problemi già risolti. Fissità funzionale Uno degli ostacoli più difficili da superare nella risoluzione di problemi è la tendenza a restare <bloccati> su soluzioni errate o a essere <ciechi> rispetto alle soluzioni alternative. Di solito, le persone si pongono da soli limiti alla propria attività di pensiero; tale limitazione è stata definita da Dunker fissità funzionale, ed è stata attribuita a tre diversi fattori: - funzionali, ovvero l’incapacità di attribuire nuove funzioni a oggetti familiari; - percettivi, cioè l’incapacità di cambiare la percezione dell’oggetto critico; - effetto del set o dell’abitudine, in altre parole le persone sono solite risolvere un certo tipo di problema in una determinata maniera e hanno difficoltà ad agire in modo diverso. Si potrebbero senza dubbio evitare molte difficoltà nella risoluzione di problemi se si fosse più flessibili nel categorizzare il mondo. Ostacoli comuni nella risoluzione di problemi Esistono diversi ostacoli che possono impedire di trovare soluzioni: - ostacoli emotivi: inibizione e timore di fare brutta figura, timore di sbagliare , incapacità di tollerare l’ambiguità; - ostacoli culturali: convinzioni in base alle quali la fantasia è una perdita di tempo; la giocosità è <roba da bambini> e solo la razionalità e la logica sono utili; - ostacoli appresi: convinzioni riguardo a usi, significati, abitudini che impediscono di individuare gli elementi importanti di un problema. RAGIONAMENTO DEDUTTIVO Il ragionamento deduttivo si utilizza quotidianamente ed è stato studiato anche da Aristotele che identificava la deduzione con il sillogismo, un tipo di ragionamento che parte da una legge universale per giungere a conclusioni particolari. Si tratta di un ragionamento certo ed esatto da un punto di vista logico, poiché si basa su regole fisse, che non crea nuove informazioni ma estrae conoscenze già intrinsecamente presenti nelle premesse; pertanto la deduzione è un processo di ragionamento in cui la conclusione è necessariamente vera. La teoria normativa che permette di distinguere una deduzione corretta da una errata è la logica, che la psicologia utilizza per stabilire le regole normative di un ragionamento è corretto o sbagliato, sia per descrivere il ragionamento deduttivo umano. Sono stati ampiamente studiati dagli psicologi tre tipi di sillogismi: categorici o aristotelici, condizionali e lineari. Sillogismi categorici Un sillogismo categorico o aristotelico si compone di: - premessa maggiore, che mette in relazione il predicato con il termine medio “tutti i bovini sono animali”; - premessa minore, che mette in relazione il soggetto con il termine medio “tutte le mucche sono bovini” - conclusione, che stabilisce una relazione fra il soggetto e il predicato eliminando il termine medio “tutte le mucche sono animali”. Le due dimensioni che caratterizzano i sillogismi categorici sono: - modo, cioè la combinazione di qualità (positiva e negativa) e quantità (universale o particolare) delle proposizioni categoriche; - figura, cioè una delle diverse posizioni del termine medio all’interno delle premesse. Le regole che devono essere soddisfatte perché un sillogismo categorico possa essere considerato valido e logico, si basano sulla teoria della distribuzione dei termini, che sostiene che in un sillogismo categorico valido nessun termine che non è distribuito(cioè che dice qualcosa circa ciascun elemento della sua classe) nelle premesse può esserlo nella conclusione. Ad esempio “alcuni uomini sono biondi, alcuni uomini sono italiani, alcuni italiani sono biondi”. Sillogismi condizionali I sillogismi condizionali sono argomenti nei quali una delle due premesse, detta ipotetica, ha la forma di un enunciato condizionale “se.. allora”; mentre l’altra premessa, detta categorica, è formata da un enunciato che esprime la proposizione in forma affermativa o negativa. L’elemento “se…allora”, che permette di unire le proposizioni semplici in una composta, è un connettivo logico, detto condizionale semplice. Esistono altri connettivi logici quali la disgiunzione inclusiva “”o”, la negazione “non” o la congiunzione “e”. Sillogismo lineari Un sillogismo lineare, detto anche problema seriale a tre termini, è un’inferenza deduttiva basata sull’esplicitazione di relazioni fra elementi contenute in maniera implicita nelle premesse. Tali relazioni possono essere relative a ordini di altezza (più basso/ più alto), relativi a ordini di specifiche qualità (più ricco/più povero, più vecchio/più giovane). Le premesse non dicono nulla di esplicito su tale relazione, e la conclusione può essere raggiunta collegando la prima alla seconda premessa attraverso l’uso del termine medio, che ricorre in entrambe. Ad esempio “Anna è più alta di Maria, Claudia è più bassa di Maria, Anna è più alta di Claudia” Fasi del ragionamento deduttivo Secondo la teoria dei modelli mentali di Laird e Bryne, il ragionamento deduttivo si articola in quattro fasi: - comprensione delle premesse - integrazione delle premesse - estrazioni delle conclusioni - ricerca di controesempi e costruzione di modelli alternativi, in cui si valuta se esiste un modello alternativo del problema, e nel caso si trovi, si procede producendo una conclusione alternativa. La teoria dei modelli mentali presuppone che le persone si avvalgono di rappresentazioni analogiche delle premesse per produrre una conclusione. Nella fase iniziale della comprensione delle premesse possono verificarsi errori a causa degli elementi pragmatici del linguaggio. Grice, ad esempio, parla di impalcature conversazionali; ad esempio se dite al vostri interlocutore <quella signora è una vecchia strega> e rispondete < si oggi fa proprio caldo”, la vostra inferenza dipende dal fatto che il vostro interlocutore non sta rispettando né una regola fondamentale della conversazione, neppure il principio di cooperazione, a cui Grice ne individua quattro massime: - massima di qualità, non dire ciò che è falso; - massima di quantità, dire il necessario, non di più; - massima di relazione, essere pertinente; - massima di modo o maniera, essere precisi e mai ambigui. RAGIONAMENTO INDUTTIVO Il ragionamento induttivo può essere definito come un’attività di pensiero in cui una regola o un principio generale viene inferita da una serie si esempi specifici; dato che le premesse si basano su casi specifici, in alcune circostanze la conclusione può rivelarsi falsa dunque tale ragionamento non fornisce certezze. Le conclusioni quindi non sono necessariamente vere; esse possono essere solo plausibili o implausibili. Si dice che una conclusione è plausibile equivale a dire che è probabilmente vere. In questo senso, il ragionamento induttivo ha una natura probabilistica e si basa sul calcolo delle probabilità, che può essere definita come il “grado di certezza”. Nonostante l’incertezza insita nel ragionamento induttivo, esso è il tipo di ragionamento più usato nella vita di tutti i giorni. Sono stati condotti diversi studi per spiegare come le persone effettuano stime di probabilità e valutano o generino una serie di eventi casuali; vi è un’aspettativa chiamata tendenza alla sovralternanza o fallacia del giocatore e consiste nella valutazione di serie lunghe meno casuali rispetto a serie corte (se per 7 volte di seguito alla ruota della roulette esce il nero il giocatore scommetterà sul rosso, ma vi è l’ 1% di probabilità che esca nuovamente il nero). Euristica della rappresentatività Kahneman e Tversky hanno dimostrato che spesso le valutazioni probabilistiche si basano su valutazioni di tipo euristico; in particolare si parla di euristica della rappresentatività; cioè si tende a dar maggior peso all’ipotesi che appare maggiormente rappresentativa sella sua categoria. Fallacia delle frequenze di base Un altro errore comune o bias nelle valutazioni probabilistiche, è quello di ignorare le frequenze di base o le probabilità a priori di un evento: ad esempio coloro che fumano, bevono e poi si mettono alla guida ignorano le probabilità piuttosto elevate di avere un incidente. Disponibilità, ancoraggio e accomodamento L’ euristica della disponibilità porta a stimare le probabilità di un determinato evento sulla base della facilità con cui vengono alla mente esempi di quell’evento. L’ euristica dell’ancoraggio si riferisce alla tendenza a utilizzare un punto di riferimento per fornire giudizi probabilistici; è il caso degli alunni che se danno una brutta impressione di sé agli insegnanti, faticano a modificarla. L’ euristica dell’accomodamento si occupa dell’analisi e dell’integrazione di tutte le informazioni disponibili. DECISION-MAKING La presa di decisione o decision making è un processo complesso, che coinvolge il pensiero e il ragionamento in cui l’individuo valuta e interpreta gli eventi. Modelli normativi LE ORIGINI DEL LINGUAGGIO Alcuni studiosi , in contrasto con i teorici dell’apprendimento sociale, sostengono che il linguaggio non si apprende ma esso è una abilità innata. Essi sostengono che è improbabile che i bambini possano comprendere le regole della grammatica e della sintassi di una lingua attraverso il semplice apprendimento per imitazione e rinforzo. Questo perché se ascoltiamo gli adulti parlare, sono rari i casi in cui essi si esprimono con frasi assolutamente corrette dal punto di vista grammaticale, il che rende improbabile che i bambini imparino in questo modo le norme che regolano il linguaggio. Inoltre essi sostengono che nemmeno l’utilizzo del motherese può spiegare l’apprendimento della sintassi poiché è stato dimostrato che anche i bambini che non vengono esposti alla comunicazione sviluppano il linguaggio normalmente. Noam Chomsky , uno dei linguisti più importanti, ha suggerito che gli esseri umani possiedono una predisposizione biologica, cioè un dispositivo di acquisizione del linguaggio (LAD): struttura cognitiva innata che permette l’acquisizione del linguaggio e lo sviluppo di grammatica e sintassi. Dunque il LAD è una struttura innata che predispone l’individuo all’acquisizione del linguaggio . Il LAD, se esiste, deve avere una base biologica. La parte del cervello coinvolta nel linguaggio è, nella maggior parte dei casi, l’emisfero sinistro. Alcune ricerche effettuate su alcuni pazienti con dei danni celebrali hanno dimostrato che le parti dell’emisfero sinistro coinvolte nel linguaggio sono l’area di Broca e l’area di Wernicke. L’area di Broca è importante per la produzione delle parole. Gli individui con dei danni in quest’area hanno problemi nel linguaggio espressivo, le loro frasi sono brevi e il loro discorso distorto. L’area di Wernicke è coinvolta nella comprensione del linguaggio. Dunque gli individui con dei danni in quest’area fanno fatica a comprendere il discorso altrui. La ricerca contemporanea sulle basi biologiche del linguaggio, studiando bambini che hanno subito lesioni celebrali traumatiche, ha dato sostegno all’ipotesi dell’esistenza di un periodo critico: idea secondo cui esiste uno specifico periodo temporale, nella prima parte della vita del bambino, durante il quale il linguaggio dovrebbe essere appreso per potersi sviluppare normalmente. Le indicazioni relative all’inizio e alla fine del periodo critico variano. Plasticità: l’abilità del cervello di riorganizzare le vie neurali sia in risposta all’apprendimento derivato da nuove esperienze sia per recuperare funzioni perse in seguito a un danno cerebrale subito (capacità del cervello di recuperare il proprio funzionamento). Il linguaggio dell’interazione precoce adulto-bambino I genitori si danno molto da fare per far si che i loro bambini comincino a sorridere e a emettere vocalizzi. In particolare, lo sguardo, il sorriso, il toccare, l’emettere vocalizzi, rappresentano segnali condivisi che stabiliscono un modello di turn-taking conversazionale tra adulto e bambini. Già da quando sono piccoli i bambini con l’alternanza dei turni stabilisco delle interazioni con la madre specialmente; più i bambini interagiscono con i genitori maggiore è la rapidità con la quale imparano a parlare e sviluppare le abilità cognitive. Il baby-talk La comunicazione madre-figlio viene denominata genitorese, baby talk, motherese , cioè il tipo di linguaggio che si realizza quando gli adulti parlano agli infanti. Generalmente ha suoni più alti, è più lento, più semplice con molte ripetizioni e le parole vengono articolate molto chiaramente, per rendere più accessibile al bambino ciò che stiamo comunicando. Non appena il figlio pronuncia la prima parola, i genitori passano al baby-talk, che possiede la funzione di catturare l’attenzione dei figli, permettendo così di comunicare con loro e, allo stesso tempo, favorire l’ apprendimento linguistico. Tuttavia è stato dimostrato che non è necessario l’utilizzo del motherese affinché il bambino sviluppi adeguatamente il linguaggio: in alcune comunità i bambini non vengono esposti a questa comunicazione madre-figlio, tuttavia i bambini sviluppano il linguaggio più o meno allo stesso modo e alla stessa velocità degli infanti esposti. Ciò suggerisce che, pur potendolo facilitare, il discorso rivolto al bambino non è strettamente necessario allo sviluppo del linguaggio. Tra l’altro è stato anche visto che le madri di Paesi diversi parlano con i bambini con le medesime alternanze di tono di voce; breve e secco per gli ammonimenti <Basta! Basta!> <Nein! Nein!>, un tono di voce più grave, morbido e prolungato per consolare <Oooooooooh poverino> <Ooooooooh poor baaa-by>. IL LINGUAGGIO La maggior parte del pensiero si basa in modo preponderante sul linguaggio, in quanto le parole codificano il mondo il simboli mentali. Lo studio delle parole e della linguaggio viene definito semantica , cioè si occupa di capire il significato delle parole e di utilizzarle nel contesto più appropriato. Un vero linguaggio è produttivo, ossia è in grado di esprimere idee o pensieri nuovi; dipende dalla disposizione delle parole che producono un numero di enunciati, più o meno sensati, praticamente infinito . Il linguaggio ha inoltre un ruolo fondamentale nella definizione delle comunità etniche e di altri gruppi sociali; in questo senso il linguaggio può diventare un ponte o una barriera tra le culture. La traduzione in altre lingue può anche essere causa di innumerevoli problemi semantici. La struttura del linguaggio Il linguaggio è formato da quattro componenti : la fonologia, la semantica, la sintassi e la pragmatica. Cos’è la fonologia? Innanzitutto la fonologia è il sistema di suoni di una lingua. Lingue differenti hanno suoni differenti ed è importante saper cogliere queste differenze fonologiche affinché si possa usare efficacemente il linguaggio. I bambini , già a partire da molto presto nel primo anno di vita, sono in grado di distinguere fonemi differenti. Il fonema è la più piccola unità del linguaggio, mentre il morfema è il più piccolo elemento dotato di significato. Si è inoltre mostrato che le abilità iniziali degli infanti di distinguere tra differenzi fonemi si estendono oltre le lingue alle quali sono stati esposti: ciò può indicare che l’abilità di percepire le differenze nei suoni del linguaggio è innata, anziché appresa in seguito all’esposizione al linguaggio. Tuttavia questa abilità ,mostrata nella prima infanzia, di distinguere i suoni si restringe con la crescita perché il LAD si specializza nell’acquisizione di una lingua. Che cos’è la semantica? La semantica è quella parte del linguaggio che ha a che fare con il significato di parole e frasi. I bambini crescendo iniziano ad apprendere il significato delle parole e diventano capaci di raggruppare insieme le parole semanticamente correlate (parole che hanno qualcosa in comune per ciò che riguarda il loro significato, es : ‘micio’ e ‘gatto’). Nel secondo anno di vita del bambino avviene un incremento del patrimonio lessicale conosciuto come scoperta improvvisa della denominazione : la consapevolezza che tutte le cose hanno un nome. È la base cognitiva per l’esplosione del vocabolario : momento nello sviluppo del linguaggio in cui si ritiene che la velocità di acquisizione di parole nuove acceleri rapidamente. Spesso si verifica attorno ai 18 mesi, ma il momento esatto varia da bambino a bambino al punto che alcuni possono anche non manifestarla affatto.Un’altra caratteristica legata all’esplosione del vocabolario è lo sviluppo delle relazioni semantiche : il raggruppamento di parole sulla base della loro comune appartenenza a un gruppo o a una categoria. Dopo l’esplosione del vocabolario, il lessico dei bambini continua ad arricchirsi al punto che, secondo alcune 0 3 0 0stime, entro i 6 anni di età si possiede un vocabolario di 14.000 parole. Che cos’è la sintassi? La sintassi è una parte specifica della grammatica del linguaggio interessata alle regole che servono all’individuo per esprimersi e farsi comprendere . Prima dei due anni, gli enunciati dei bambini tendono a essere composti da una o due parole. La fase monoverbale è il periodo che precede l’associazione delle parole da parte dei bambini. In questo periodo i bambini dunque pronunciano solo parole singole ma che, a volte, possono assumere significati più complessi; si parla di olofrase : parola singola che esprime un significato più complesso di quello mostrato dal suo significante (cioè dalla parola singola che ascoltiamo). Per esempio, immaginiamo un bambino seduto sul seggiolone con il proprio giocattolo preferito che, ad un certo punto, cade sul pavimento. Il bambino indica in direzione del peluche e grida :’Orsacchiotto! Orsacchiotto’ ; è probabile che il bambino voglia trasmettere un messaggio e incitare qualcuno a riprendergli il giocattolo, nonostante egli abbia utilizzato una sola parole e non l’abbia detto esplicitamente. All’età di circa diciotto mesi , i bambini iniziano a mettere insieme due parole. Per esempio una combinazione di due parole permette a un bambino di indicare possesso (Caramella mia) , di attribuire caratteristiche ad una cosa (buona caramella) , di trasmettere informazioni sulla posizione (caramella lì) o di attribuire un’azione a qualcuno a qualcosa (mamma cammina). Si parla di discorso telegrafico: discorso costituito da frasi composte da un numero limitato di parole (solitamente nomi, verbi e aggettivi), messe insieme in modo da avere significato ma prive di forme grammaticali complesse. Dal compimento dei due anni, i bambini iniziano a mettere insieme tre e quattro parole . Il loro discorso e i loro errori dimostrano che sono già in grado di capire alcune regole che governano la propria lingua. Lo psicolinguista Jean Berko Gleason condusse uno studio noto come Wug Test nel quale veniva chiesto ai bambini di formare il plurale di un nome fittizio, Wug : la maggior parte dei bambini ha prodotto correttamente la parola ‘wugs’ come forma plurale del termine fittizio ‘wug’ . Ciò dimostra che i bambini hanno compreso le regole che disciplinano la costruzione dei plurali. Che cos’è la pragmatica? La pragmatica riguarda la parte sociale del linguaggio. Determina il modo in cui esso può essere usato in maniera appropriata in diversi contesti sociali : il linguaggio deve essere modificato in base alla persona con cui si parla ( il modo in cui si parla ad un amico , al docente e al nonno è diverso). Con lo sviluppo del sistema pragmatico, i bambini hanno una maggiore considerazione degli altri individui 0 3 0 0nelle conversazioni e mostrano una maggiore consapevolezza, per esempio, di ciò che le persone sanno e non sanno. Ciò può collegarsi allo sviluppo di altre aree della cognizione insieme alla pragmatica, come la teoria della mente e, nella teoria piagetiana, lo sviluppo del pensiero non egocentrico. Il periodo importante per lo sviluppo della pragmatica è il terzo anno di età. Non tutte le abilità linguistiche sono collocate nell’emisfero sinistro. Per quanto riguarda la pragmatica e l’aspetto sociale del linguaggio, è l’emisfero destro a essere coinvolto. Il fatto che entrambi i “lati” del cervello siano coinvolti nel linguaggio mette in evidenza la 0 3 0 0complessità di questa funzione umana. La lingua dei segni Contrariamente a quanto si crede, non esiste solo il linguaggio verbale: pensiamo a chi nasce sordo, che conquista ed impara la propria lingua dei segni, che non è né un codice né una pantomina, ma una vera e propria lingua. I gesti aiutano a collegare le parole tra loro mentre si parla e certe persone troverebbero difficile parlare se avessero le braccia legate lungo i fianchi. Alcuni psicologi ritengono oggi che il linguaggio si sia evoluto proprio dai gesti in un momento lontano della storia dell’uomo e con lo scopo e la necessità di comunicare visivamente delle informazioni. LA QUESTIONE DEL LINGUAGGIO DEGLI ANIMALI Gli animali comunicano attraverso versi, gesti, richiami, che hanno ampi significati e che sono immediatamente compresi da altri animali della stessa specie. La comunicazione animale manca però della qualità produttiva del linguaggio umano, cioè il linguaggio animale non è completo e, per certi casi, complesso come quello umano. I primi tentativi di insegnare il linguaggio, fu effettuato sugli scimpanzé e tali tentativi si conclusero in un misero fallimento. Alcuni psicologi usarono il condizionamento operante e l’imitazione per insegnare a uno scimpanzé come usare la lingua dei segni americana. La maggior parte degli studiosi che lavora con gli scimpanzé ritiene che essi abbiano realmente comunicato con loro. In tempi molto più recenti invece, uno scimpanzè imparò a comunicare attraverso una tavola di simboli. Con i lessigrammi, un simbolo-parola geometrico, lo scimpanzé è riuscito a formare frasi semplici con parole diverse. LA COMUNICAZIONE Il linguaggio costituisce certamente lo strumento più utilizzato dagli individui per comunicare. I sistemi di comunicazione sono composti da elementi dinamici propri dell’interazione, come il sistema verbale, intonazionale, paralinguistico (ritmo e velocità dell’eloquio) e cinesico (uso dello sguardo e dei movimenti del corpo). Le prime teorie della comunicazione, rappresentavano la comunicazione come un passaggio di un segnale da una fonte a un destinatario.
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