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Guide e consigli
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Tesina sull'aborto, Guide, Progetti e Ricerche di Diritto Civile

Ricerca sulla storia dell'aborto in Italia e relative leggi. Pagine 14.

Tipologia: Guide, Progetti e Ricerche

2014/2015

In vendita dal 20/04/2015

thefox06
thefox06 🇮🇹

4.4

(170)

177 documenti

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Scarica Tesina sull'aborto e più Guide, Progetti e Ricerche in PDF di Diritto Civile solo su Docsity! Il tema dell’aborto suscita da sempre polemiche e perplessità; nella donna, in particolare, provoca un senso di timore, il timore di potersi vedere negato, un giorno, il diritto di scegliere della propria vita, di decidere che cosa possa essere giusto o sbagliato per se stessa, ma soprattutto decidere se avere o meno un figlio, scelta tanto personale da precludere qualsiasi sindacato da parte di individui esterni. La situazione attuale, alla luce della L. 194/1978, non è quella auspicata. Facciamo un passo indietro: Prima del 1978, l'interruzione volontaria di gravidanza (IVG), in qualunque sua forma, era considerata dal Codice Penale italiano un reato grave, le cui sanzioni, piuttosto severe, erano contenute nel Titolo X del Libro II dello stesso codice (art. 545 e segg. c. p., abrogati nel 1978). Segnatamente:  causare l'aborto di una donna non consenziente (o consenziente, ma minore di quattordici anni) era punito con la reclusione da sette a dodici anni (art. 545);  causare l'aborto di una donna consenziente era punito con la reclusione da due a cinque anni, comminati sia all'esecutore dell'aborto, sia alla donna stessa (art. 546);  procurarsi l'aborto era punito con la reclusione da uno a quattro anni (art. 547);  istigare all'aborto, o fornire i mezzi per procedere ad esso, era punito con la reclusione da sei mesi a due anni (art. 548). In caso di lesioni o morte della donna, le pene erano ovviamente inasprite (art. 549 e 550), ma, nel caso in cui «alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 545, 546, 547, 548 549 e 550 è stato commesso per salvare l'onore proprio o quello di un prossimo congiunto, le pene ivi stabilite sono diminuite dalla metà ai due terzi» (art. 551)1. Nondimeno, la Corte Costituzionale, pur ritenendo che «la tutela del concepito ha fondamento costituzionale»2, si è espressa in favore dell'interruzione della gravidanza che sia giustificata da motivi «molto gravi» (sentenza n. 27 del 18 febbraio 1975)3: questo può essere considerato il primo passo verso una visione 1 Per le fonti normative storiche si veda A. CADOPPI, S. CANESTRARI, A. MANNA, M. PAPA, M., Trattato di diritto penale, Wolters Kluwer Italia, Assago, 2011, pp. 46-48. 2 R. CATERINA, Le persone fisiche, Giappichelli, Torino, 2012, p. 6, in riferimento all’art. 2 della Costituzione in difesa dei diritti inviolabili dell’uomo. 3 In proposito, si vedano R. D’ALESSIO, L’aborto nella prospettiva della Corte costituzionale, in «Giurisprudenza Costituzionale» 1975, 538 ss.; S. BARTOLE, Scelte di valore più o meno implicite in una laconica sentenza sull’aborto, in «Giurisprudenza Costituzionale» 1975, 2099; C. CHIOLA, Incertezza sul parametro costituzionale per l’aborto, in «Giustizia Civile» 1975, 1098 ss. più moderna, che apriva di fatto la strada verso una nuova disciplina sull'aborto consentendo la soppressione del feto nelle circostanze in cui la gravidanza «implichi danno o pericolo grave, medicalmente accertato e non altrimenti evitabile per la salute della donna»4. Sempre nel 1975, il tema della regolamentazione dell'aborto riceveva l'attenzione dei mass media anche e soprattutto per l'arresto – in seguito ad autodenuncia presso le autorità – del segretario del Partito Radicale, Gianfranco Spadaccia, della segretaria del Centro d'Informazione sulla Sterilizzazione e sull'Aborto (CISA), Adele Faccio, e della militante radicale Emma Bonino, per aver praticato aborti5. Il CISA – dove l’aborto veniva considerato una forma di disobbedienza civile, nell’ambito della politica radicale della lotta non violenta – era stato fondato due anni prima da Adele Faccio: con l’ausilio di molte altre donne, si proponeva di combattere la piaga dell'aborto clandestino mediante la creazione dei primi consultori in Italia e l’organizzazione dei cosiddetti “viaggi della speranza” verso cliniche inglesi e olandesi, dove, grazie a convenzioni contrattate dallo stesso CISA, gli interventi medici erano assicurati a prezzi contenuti e con i mezzi tecnologicamente più avanzati. In seguito ad un incontro con Marco Pannella, prima, e con Gianfranco Spadaccia, poi, il Centro si federava con il Partito radicale, e, poche settimane più tardi, entrava in funzione l'ambulatorio di Firenze presso la sede del partito6. Il 5 febbraio, una delegazione composta da Marco Pannella e Livio Zanetti, direttore de «L'espresso», presentava alla Corte di Cassazione la richiesta di un referendum abrogativo degli articoli nn. 546, 547, 548, 549 (comma 2), 550, 551, 552, 553, 554, 555 del codice penale, inerenti ai reati di aborto su donna consenziente, istigazione all’aborto, atti abortivi su donna ritenuta incinta, sterilizzazione, incitamento a pratiche contro la procreazione, contagio da sifilide o da blenorragia. Il referendum, patrocinato dalla Lega XIII maggio e da «L’Espresso» e promosso unitamente al Partito Radicale e al Movimento di liberazione della donna, annoverava tra le forze aderenti anche Lotta continua, Avanguardia operaia e PdUP - Manifesto. Dopo la raccolta di oltre 700.000 firme, il 15 aprile del 1976, con un Decreto del Presidente della Repubblica, veniva fissato il giorno per la consultazione referendaria, ma lo stesso Sergio Leone, il 1° maggio, 4 Sentenza 27/1975 della Corte Costituzionale, consultabile in internet all’url http://www.cortecostituzionale.it/ actionSchedaPronuncia.do?anno=1975&numero=27 [09/01/2014]. 5 V. VECELLIO, Marco Pannella. Biografia di un irregolare, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2010, p. 76. 6 M. A. BRACKE, Women and Reinvention of Politics: Feminism in Italy (1966-1983), Routledge, New York, 2014, p. 81 ss. ricorrere all'obiezione di coscienza; peraltro, l’esercizio di tale diritto non è consentito allorché l'intervento sia «indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo» (art. 9, comma 5)15. Alla legge 194/1978, confermata dagli elettori nel 1981 con una consultazione referendaria, si era arrivati confidando in una diminuzione degli aborti terapeutici, ma anche e soprattutto di quelli clandestini, cui sempre più donne facevano ricorso; la normativa si proponeva, inoltre, di favorire la procreazione cosciente e di avvantaggiare la maternità, tutelando la vita umana fin dal suo principio. Inizialmente, molte di queste promesse venivano disattese, a partire dal mancato calo degli aborti terapeutici. Tra il 1978 e il 2001, questa pratica superò i 4 milioni di casi, con un rapporto annuo di 1 a 3 tra numero di aborti e di nascite. Ciò indicava chiaramente che si trattava di episodi piuttosto diffusi, che non potevano spiegarsi semplicemente con situazioni eccezionali o con difficoltà insuperabili16. Anche sotto il profilo della clandestinità, la legge sull’aborto non dava i risultati sperati, perché ancora nel 2005 gli aborti clandestini in Italia erano circa 15 mila, riferiti soprattutto alle regioni del Meridione. L’ultima relazione del Ministero della Salute sull’attuazione della Legge 194, relativa all’anno 2013, rivela che «nel 2012 sono state effettuate 105.968 IVG, con un decremento del 4.9% rispetto al dato definitivo del 2011 (111 ̇415 casi) e un decremento del 54.9% rispetto al 1982, anno in cui si è registrato il più alto ricorso all’IVG (234 ̇801 casi)»17. Nonostante alcuni segni di miglioramento – si consideri che il tasso di abortività nel nostro Paese è fra i più bassi in Occidente18 – non mancano alcuni punti critici dell’applicazione della 194. Uno di questi riguarda, senza dubbio, l’obiezione di coscienza, che limita fortemente il diritto delle donne di ricorrere all’interruzione volontaria della gravidanza. Essa è prevista dalla Legge 194/1978 nei seguenti termini: «Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione. […] L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed 15 Ivi, p. 3. 16 Secondo i dati raccolti dal Ministero della Sanità, le donne che ricorrevano all’aborto – nel periodo citato – erano generalmente coniugate, di età compresa tra i 25 e 34 anni, con un buon livello di istruzione e con non più di due figli, pertanto in condizioni ottimali per accogliere un eventuale ulteriore nascituro (http://www.salute.gov. it/imgs/c_17_pubblicazioni_2023_allegato.pdf, pp. 21-22). Sull’argomento, si veda altresì D. FRANCESCATO, Verso una prevenzione dell'aborto, Casa del libro, Roma, 1983. 17 http://www.salute.gov.it/imgs/c_17_pubblicazioni_2023_allegato.pdf, p. 2. 18 Ivi, p. 8. esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento. […] L’obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario, ed esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo» (art. 9)19. Dal momento che la legge italiana consente a medici, infermieri e personale sanitario di sottrarsi all’effettuazione dell’aborto, quest’ultimo, da diritto – quale è – della donna, diventa, in realtà, un privilegio: infatti, il nostro Paese, dove si registra un tasso di obiezione di coscienza molto elevato fra i ginecologi (63.9%, come a dire sette su dieci), non è effettivamente in grado di garantirlo a tutte le donne. L’alta percentuale ha messo addirittura in allarme il Consiglio d’Europa, che, nel marzo 2014, ha condannato l’Italia per «violazione dei diritti delle donne», in quanto «la percentuale di obiettori è troppo alta perché una donna possa abortire senza ostacoli»20. La situazione è particolarmente grave nel Meridione, dove, secondo il Ministero della Salute, il tasso di obiezione tra i ginecologi è dell’«87.9% in Molise, 85.2% in Basilicata, 84.6% in Sicilia, 83.8% in Abruzzo»21, un’enormità se si considera che in Emilia Romagna non si arriva al 52%22. La tabella seguente permette di confrontare con immediatezza le diverse situazioni regionali, consentendo altresì di constatare come, dal 1982 al 2011, la percentuale di ginecologi obiettori di coscienza 19 http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_normativa_845_allegato.pdf, testo della L. 194/1978, cit., pp. 3-4. 20 N. MULE’, L’aborto in Italia e il triste declino della legge 194, 13 agosto 2014, all’url http:// www.deapress.com/societa/17264-laborto-in-italia-e-il-triste-declino-della-legge-194.html, senza numero di pagina [12/01/2015]. Sullo stesso argomento, M. N. DE LUCA, 194, così sta morendo una legge. In Italia torna l’aborto clandestino, inchiesta di «Repubblica», 23 maggio 2013, consultabile in internet, all’url http://inchieste. repubblica.it/it/repubblica/rep-it/inchiestaitaliana/2013/05/23/news/aborti_obiettori_di_coscienza-59475182/ [12/01/ 2015]. 21 http://www.salute.gov.it/imgs/c_17_pubblicazioni_2023_allegato.pdf, p. 41. 22 Contro i numeri ufficiali si scaglia la Libera Associazione Italiana Ginecologi per l'Applicazione della legge 194 del 78 (LAIGA) che denuncia una situazione reale ben più grave di quella riportata nella relazione del Ministero. Dai dati raccolti telefonicamente dall’Associazione presso le singole strutture (infatti, non esiste un registro dettagliato degli obiettori di coscienza), è risultato che nel Lazio non esiste il servizio IVG in 10 ospedali su 31; alcuni, come l’ospedale civile di Tarquinia e il San Benedetto di Alatri, non eseguono IVG; tra le strutture ospedaliere con il più alto numero di obiettori di coscienza si annoverano gli ospedali riuniti Borgomanero-Novara (con 10 obiettori su 11), il San Gerardo di Monza (21 su 23), l’ospedale civile di Como (18 su 20), gli ospedali civili riuniti di Venezia (8 su 10), il Policlinico Umberto I di Roma (39 su 40), l’Università di Napoli (57 su 60) e gli ospedali civili di Bosa, Ozieri e Businco in Sardegna (dove tutti i ginecologi sono obiettori di coscienza). Si rimanda, per un approfondimento in merito, a C. LALLI, Aborto: l’obiezione di coscienza e il diritto negato, 2013, consultabile in Internet all’url https://www.academia.edu/6332649/Aborto_l_obiezione_di_coscienza_e_il_diritto_negato, p. 78, e al sito http:// www.laiga.it/index.php?option=com_content&view=article&id=122:14-giugno-conferenza-stampa-a-cura-di-laiga& catid=42:noti zie&Itemid=93, testo della conferenza stampa della LAIGA, Roma, 14 giugno 2014 [12/01/2015]). sia calata in alcune aree (soprattutto. in Valle d’Aosta) e lievitata in altre (il caso limite è quello della Campania, dove si è passati dal 47.7% del 1982 all’88.4% del 2011, valore preoccupante, al di là dell’incompletezza dei dati) 23. Tra gli anestesisti la situazione è più stabile con una variazione dal 45.7% nel 2005 al 50.8% nel 2010 e al 47.5% nel 201124, mentre per il personale non medico il valore degli obiettori si aggira intorno ai 43 punti percentuali (2011). Il significativo numero di obiettori di coscienza fa sì che i medici disposti a procurare un aborto siano pochi, che le liste di attesa si allunghino in maniera improponibile (a Bari, nel mese di marzo 2014, si registrava un solo ospedale pubblico in cui poter abortire)25 e che siano indispensabili spostamenti da regione a regione. 23 La tabella è estrapolata dalla Relazione del Ministero sull’attuazione della Legge 194/1978, p. 41. (*) Dato che si riferisce al 1982. (**) Dato che si riferisce al 1993. (***) Dato che si riferisce a 12 strutture su 26. 24 http://www.salute.gov.it/imgs/c_17_pubblicazioni_2023_allegato.pdf, cit., p. 41. 25 M. PANARIELLO, Sull’aborto, le donne spagnole hanno vinto, articolo pubblicato il 25 settembre 2014 su «Il Journal», consultabile all’url http://iljournal.today/cronache/aborto-donne-spagnole-vinto/ [11/01/2015]. sostegno e cura. Tra le loro attività rientra l’assistenza alle donne che intendono ricorrere ad un intervento di IVG. Nell’ultima relazione annuale attuativa della legge sopraccitata, il Governo ha posto prima di tutto l’accento sul basso ricorso a tali strutture, che non solo hanno una presenza sul territorio nazionale (0.7 ogni 20 mila abitanti) inferiore al valore previsto dalla Legge 32/1996 (1 ogni 20 mila abitanti), ma pagano lo «scarso» interesse intorno al loro operato con il «mancato adeguamento delle risorse, della rete dei servizi, degli organici, delle sedi»31. Tuttavia, non si tratta solo di questo: il discorso, infatti, si intreccia strettamente con quello dell’obiezione di coscienza, dal momento che il personale dei consultori spesso rifiuta addirittura di prescrivere la contraccezione d’emergenza. Nel maggio del 2014, la regione Lazio ha sentito l’esigenza di varare, unitamente al decreto U00152/2014, le Linee di indirizzo regionali per le attività dei Consultori Familiari32, al fine di escludere ogni ambiguità circa la contraccezione e l’IVG, e di mettere ordine tra le pratiche dei Consultori stessi. Riguardo alla contraccezione, il documento ribadisce l’ovvio. Di fatto, poiché la prescrizione ha effetti puramente contraccettivi e non abortivi, l’obiezione di coscienza non può essere invocata: «Il personale operante nel consultorio è tenuto alla prescrizione di contraccettivi ormonali, sia routinaria che in fase post- coitale, nonché all'applicazione di sistemi contraccettivi meccanici, vedi I.U.D. (Intra Uterine Devices)»33. Merita maggiore attenzione, invece, quanto le Linee aggiungono in materia di obiezione di coscienza, ribadendo che questa riguarda «l’attività degli operatori impegnati esclusivamente nel trattamento dell’interruzione volontaria di gravidanza […] Al riguardo, si sottolinea che il personale operante nel Consultorio Familiare non è coinvolto direttamente nella effettuazione di tale pratica, bensì solo in attività di attestazione dello stato di gravidanza e certificazione attestante la richiesta inoltrata dalla donna di effettuare IVG»34. L’intento di quest’ultima affermazione è quello di assumere una posizione netta rispetto a quanto dichiarato dall’art. 9 della L. 194/1978, là dove si dice che «il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7», lasciando intendere che tali 31 Ivi, p. 7. 32 Il cui testo è consultabile in Internet, all’url http://www.regione.lazio.it/binary/rl_sanita/tbl_normativa/ Decr_U00152_12_05_14_Riordino_Consultori_e_Tariffa_parto_a_domicilio.pdf [11/01/2015]. 33 Ivi, p. 7. 34 Ivi, pp. 6-7. «attività» e «procedure» comprendano visita, accertamenti e conseguente certificazione e sollevando almeno due interrogativi: 1. quali sono i confini precisi entro cui comprendere le procedure e le attività «specificamente e necessariamente dirette a determinare l'interruzione della gravidanza»? 2. quali sono esattamente le funzioni alle quali ci si può sottrarre per obiezione di coscienza, in caso di assenza di altri operatori sanitari? Le Linee di indirizzo regionale sono state varate proprio allo scopo di porre rimedio ai dubbi, alle controversie e alla confusione che inevitabilmente regna nei Consultori, ribadendo senza mezzi termini che i loro operatori non possono esimersi dall’effettuare visite e certificazioni; non è sufficiente conoscere l’intenzione della donna di ricorrere all’IVG, o nutrirne anche solo il sospetto, per ricorrere all’obiezione di coscienza: in tal caso, infatti, anche chi è all’accettazione o chi semplicemente risponde al telefono potrebbe valersi di questo diritto! La risposta delle Linee pare, dunque, un passo avanti verso una corretta attuazione della legge 194. Molti dei problemi sorgono dal fatto che, nel corso degli ultimi decenni, l’espressione “obiezione di coscienza” ha subito un’importante evoluzione semantica: da scelta individuale e libertaria di chi rifiutava la leva militare, è divenuta un’imposizione della propria visione del mondo, a volte ipocrita, prossima all’omissione di servizio pubblico, come nel caso dei medici obiettori che si rifiutano di praticare le interruzioni di gravidanza35. La differenza tra i casi indicati a distanza di tempo con la medesima terminologia è enorme, al punto che ci si chiede come si possa definire obiettore di coscienza tanto chi si sottraeva al servizio militare obbligatorio quanto il medico che attualmente si astiene dal praticare l’aborto. Ma soprattutto ci si chiede se l’obiezione non sia, per gli operatori sanitari coinvolti, una scusa per lavorare meno36; tanto più che, mentre negli anni ’70 del Novecento la L. 772/1972 aveva stabilito un servizio alternativo, civile, in sostituzione della leva armata, la legge 194 non prevede nulla di simile per i ginecologi obiettori (i quali, tra l’altro, scelgono liberamente di praticare una professione inerente alla riproduzione umana, sapendo benissimo di potersi trovare spesso a fronteggiare una situazione di aborto). 35 LALLI, op. cit., p. 72. 36 Ivi, p. 73. Per questo è perlomeno necessario che la legge, pur prevedendo la possibilità di ricorrere all'obiezione, sia chiara nel tracciare i confini di tale diritto e nello stabilire la gerarchia da seguire: la richiesta della donna, infatti, deve sempre venire prima della coscienza dell’operatore. La L. 194/1978, invece, suscita – come si è visto non poche perplessità, poiché stabilisce un servizio e, contemporaneamente, offre gli strumenti per boicottarlo: non poteva essere altrimenti, visto che, al momento della sua promulgazione, chi era ginecologo o ostetrico aveva scelto quella specializzazione quando ancora era proibito interrompere una gravidanza. Anche il Comunicato che accompagna la Relazione del Ministero della Salute sull’attuazione della L. 194, là dove si legge che «il numero di non obiettori è congruo rispetto alle IVG effettuate, e il numero degli obiettori di coscienza non impedisce ai non obiettori di svolgere anche altre attività oltre le IVG», sembra animato da un ottimismo eccessivo, e pare ignorare le oggettive difficoltà che molte donne, in questi anni, hanno incontrato per far valere il proprio diritto. Lo stesso Comunicato, inoltre, non fa cenno all’impossibilità di scegliere tra l’aborto chirurgico e quello medico, mediante la pillola Ru486, la quale, pur essendo – in alcune regioni – ormai somministrabile anche fuori degli ospedali e senza necessità di ricovero – non è sempre e dovunque disponibile37. Similmente, la Relazione “dimentica” di parlare dell’“obiezione di struttura”, illegale ma ugualmente praticata da alcuni ospedali, per cui l’assenza di un reparto apposito impedisce addirittura di eseguire un’interruzione volontaria di gravidanza (dove manca il reparto IVG non vi è bisogno di dichiararsi obiettori di coscienza), specie se tardiva38. In conclusione, la questione dell’obiezione di coscienza riferita all’aborto porta a riflettere non solo sulla logica che lega una specializzazione medica come quella del ginecologo al privilegio di potersi sottrarre all’esecuzione di un aborto, ma anche sulla necessità di trovare una soluzione alla contraddizione interna alla L. 194/1978, che – come si è visto – fissa un servizio e nello stesso tempo lo boicotta. Non consentendo, di per sé, di stabilire un equilibrio tra tutti i diritti in gioco, la legge ha indubbiamente bisogno di essere integrata. Infatti, il perdurare dell’attuale situazione potrebbe portare ad un nuovo, drastico aumento degli aborti clandestini. 37 LALLI, op. cit., p. 77 e n. 6. 38 L’IVG tardiva è la più difficile ad effettuarsi, non solo perché il quadro clinico è maggiormente rischioso, ma anche perché sono ancora meno le strutture in grado di eseguirle o disposte a farlo. Ciò richiede spostamenti da una regione all’altra (o interni ad una stessa regione) e la formazione di lunghe liste d’attesa (LALLI, op. cit., p. 78).
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