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Appunti di Psichiatria, Appunti di Psichiatria

Appunti di Medicina. Riassunti di Psichiatria. Argomenti trattati: disturbo di panico, disturbo d'ansia generalizzata, disturbo da stress post-traumatico, disturbo di personalità, disturbi dell'alimentazione, disturbi dell'umore

Tipologia: Appunti

2012/2013

In vendita dal 09/10/2013

federico_88
federico_88 🇮🇹

7 documenti

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Scarica Appunti di Psichiatria e più Appunti in PDF di Psichiatria solo su Docsity! 1 Una lesione del nostro cervello si manifesta con una disfunzione del nostro comportamento; ma in realtà può accadere che una persona con un cervello palesemente danneggiato abbia una personalità normale, mentre persone con cervello apparentemente normale abbiano per es. Alzheimer (quindi non è così automatico, non sempre a una lesione corrisponde una disfunzione). C’è poi l’aspetto della genetica e dell’epigenetica; l’individuo è fatto in un certo modo e viene modificato dall’ambiente: per es. se si prendono due topi e si mettono uno in una gabbia vuota e uno in una gabbia con una ruota, nascono molti più neuroni nel topo nella gabbia con la ruota. Prima si diceva che si nasceva con un tot. di neuroni, e quelli rimanevano; non è così, perché una parte dei neuroni si rinnova ogni giorno. Un certo numero di pz con disturbo ossessivo-compulsivo mostra un iperfunzionamento del nucleo caudato; prendendo questi pz e mettendoli in cura, si è visto che quelli che stavano meglio avevano una normalizzazione di quella zona del cervello. Quindi non è corretto dire che i neuroni rimangono uguali per tutta la vita. Dall’epigenetica vengono fuori cose stravolgenti: se ci sono due topi, uno con madre accudente e uno con madre che lo scaccia, il secondo si ammala di varie patologie, ma soprattutto mostra una zona del DNA che è diversa rispetto a quella del primo topo; ma se si scambiano i topi il secondo mostrerà una modificazione di quella zona del DNA e la trasmette ai suoi figli. Quindi la genetica non è un “marchio” immodificabile. Altro es. è quello dei gemelli monozigoti, che hanno probabilità del 70-80% di contrarre le stesse malattie: fosse per la genetica la probabilità sarebbe 100%, ma intervengono i fattori ambientali. Ogni evento fisico ha ripercussioni a livello del comportamento e viceversa ogni alterazione del comportamento ha ripercussioni a livello fisico. La psichiatria è una branca della medicina che nasce alla fine del ‘700, e viene definita nel ‘900. Le manifestazioni di alcune malattie descritte nel secolo scorso sono tuttora le stesse. Charcot descrisse l’isteria, col tipico “arco di Charcot”. Freud vide che se una pz isterica veniva sottoposta ad ipnosi, in una certa fase raccontava fatti traumatici avvenuti in passati. Al risveglio, per un certo periodo, i sintomi sparivano. Introdusse in questo modo la psicoanalisi. Il TSO diventa non più una legge di pubblica sicurezza, ma un provvedimento sanitario, che va eseguito in determinate circostanze, e viene stabilito da un giudice. Negli anni ’70 si cercarono dei criteri per diagnosticare certe patologie e degli strumenti per valutarne l’andamento. Quindi iniziano a svilupparsi vari sistemi di diagnosi (DSM: Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali), il più famoso dei quali è quello per la depressione. Il DSM è “ateoretico”, non fa riferimento ad alcun costrutto teoretico, ma il suo obiettivo era quello di identificare quello che è visibile, definirlo e utilizzarlo all’interno di un costrutto. Si basa su una struttura multiassiale, cioè con diversi sistemi categoriali, con 5 assi: 1. Malattie mentali 2. Disturbi di personalità 3. Malattie infermistiche 4. Malattie generali che il pz potrebbe avere 5. Valutazione dell’impatto e lv di funzionamento psicosociale dell’individuo Negli USA il DSM ha il valore legale che ha da noi l’ICD (International Classification of Disease). Il secondo asse è la vera novità del DSM; in quegli anni all’interno della psichiatria americana c’erano un pensiero tradizionale (“psico-analitico”) e un pensiero più moderno (“farmacologico”); il fatto di 2 rendere obbligatorio di fare diagnosi anche dei problemi di personalità sembra una concessione all’anima tradizionale della psicologia americana, facendo una sorta divisione tra malattie mentali, che si curano coi farmaci, e disturbi di personalità, che si curano con la psico-analisi. In realtà la psico- terapia si può usare anche nelle malattie mentali, così come la farmaco-terapia ha valore anche nei disturbi di personalità. Quindi questa distinzione non ha senso di esistere in teoria, però in pratica mise d’accordo le due scuole di pensiero. Lo scopo del DSM è l’affidabilità, quindi scompaiono le diagnosi di nevrosi, di autismo (non c’è chiarezza di definizione, è difficile stabilire criteri affidabili per fare diagnosi). I criteri diagnostici devono seguire uno schema monometrico: se ci sono 5 criteri per far diagnosi di depressione, devono essere presenti tutti e 5, se ne ho 4 non si può fare diagnosi: così si hanno pochissimi falsi positivi e molti falsi negativi. Però così la diagnosi è ripetibile anche da un altro psichiatra di altri paesi, e al 98-99% verrà la stessa diagnosi. Si tratta di criteri che fanno riferimento a sintemi e a un costrutto che si richiede corrisponda a una patologia, perché nel DSM non vengono presi in considerazione agenti eziopatogenetici, in quanto la certezza riguardo questi non c’è. La possibilità di avere variazioni ed elaborazioni è legata ai progressi della conoscenza. A breve dovrebbe uscire il V. Problemi dell’asse 2: le dimensioni di personalità non sono sintomi, è molto più difficile definire anormale un comportamento, distaccato dal contesto socio-culturale in cui il soggetto si muove. Tra i vari criteri americani: il ragazzino copiava a scuola; non rispetta i limiti di velocità mentre guida. Per fare diagnosi ci vogliono 5 criteri su 9, di modo che si hanno pochissimi falsi negativi, ma soprattutto si hanno individui che possono avere diverse combinazioni di criteri, e per questo l’affidabilità della diagnosi scende al 50%. Pur con questi problemi, il fatto di rendere obbligatorio l’investigazione della personalità ha determinato il fatto che negli anni c’è stata una proliferazione di studi. 5 Il più delle volte si fa psico-terapia associata a farmaco-terapia  farmaci serotoninergici di ultima generazione, che più o meno funzionano tutti; prima si utilizzavano gli antidepressivi triciclici (TCA), che in realtà vengono utilizzati anche adesso ma hanno tre controindicazioni principali: ipertrofia prostatica (blocco minzione), glaucoma, aritmia cardiaca (inoltre ci sono altri effetti collaterali: aumento rischio cardiovascolare, sudorazione, stipsi). I triciclici si utilizzano anche nelle forme ossessive. Nei problemi depressivi vanno dati 3 volte/die, e comunque a dosaggio consistente. L’avvento dei serotoninergici ha cambiato l’approccio alle malattie come la depressione, perché hanno portato al monodosaggio (1 pillola è la dose giusta), con pochi effetti sedativi, senza effetti tossici e con poche controindicazioni reali. Però hanno effetti collaterali a medio-lungo termine: a parte una iniziale sensazione di fastidio allo stomaco/nausea, danno a lungo termine una riduzione della libido e un aumento dell’appetito; i triciclici migliorano la qualità del sonno (3° e 4° stadio), i serotoninergici no. Nel panico si usano ancora in parte i triciclici, e dei serotoninergici (es. paroxetina). Oggi si cerca di usare farmaci magari un po’ meno efficaci ma che abbiamo minore impatto di questo tipo. Complicanze: abuso di ansiolitici, uso di alcolici, quadro simile alla depressione, legato alla sensazione di essere impotente (depolarizzazione secondaria)  se uno poi sta meglio, scompare. La depressione vera e proprio può essere presente come comorbilità. Come detto i farmaci utilizzati sono i serotoninergici. Si utilizza anche la psicoterapia cognitiva- comportamentale, una delle poche certificate (sono stati fatti studi comparativi per convalidarne efficacia). 6 ANSIA GENERALIZZATA L’ansia anticipatoria dell’attacco di panico è diversa dall’ansia generalizzata, non tanto per i sintomi, ma perché l’ansia anticipatoria è rivolta all’individuo (che è preoccupato per sé stesso), mentre nell’ansia generalizzata la preoccupazione è rivolta agli altri, oppure riguarda le possibili conseguenze di eventi futuri, con necessità di programmare e pianificare. L’ansia generalizzata presenta una caratteristica: si tratta di una modalità di affrontare le situazioni quotidiane che vengono vissute da chi le ha non come patologia, ma come modo di essere; questi individui difficilmente vanno dallo psichiatra, dicono di “essere fatti così”, e restistono a qualsiasi interpretazione in chiave ansiosa a una serie di sintomi, che invece sono tipici dell’ansia. Per es. la cefalea muscolo-tensiva è dovuta all’ansia, ma non viene interpretata come legata a questo disturbo; anche gastrite e colite sono manifestazioni strettamente collegati alla componente ansiosa, tuttavia questo collegamento tra stato d’animo e sintomo fisico non avviene; il timore dell’uomo di essere impotente è anch’esso in realtà collegato all’ansia, la cosiddetta “ansia da prestazione”; anche il dolore lobare può essere legato all’ansia, e qualche volta anche alla depressione. L’ansia è stata vista essere un fattore di rischio per il ricovero per qualunque malattia organica (magari perché il pz esagera i suoi sintomi per il fattore ansioso). Andando nei vari reparti, ci sono disturbi che non hanno apparentemente causa e che sono spesso legati a questa componente ansiosa; per es. la fibromialgia (in vero correlata più alla depressione che non all’ansia); oppure l’astenia/neuroastenia/sindrome da affaticamento cronico, altra tipologia per cui non si riconosce una causa, ma molti pz con questa sindrome manifestano un vissuto ansioso; infine l’insonnia, è un altro motivo per cui la persona va dal medico a chiedere qualcosa per dormire, ma per prima cosa bisogna vedere che tipo di insonnia sia (esistono classificazioni internazionali); grossolanamente si può dire che l’insonnia dell’ansioso è un’insonnia iniziale, quella del depresso è centrale-terminale e in più è legata a una abolizione degli stadi 3 e 4 del sonno; il problema viene fuori se per questa insonnia si somministrano benzodiazepine, che vanno a bloccare il sonno REM, non interferiscono con gli altri stadi (vantaggioso se è ansioso, svantaggioso se è depresso), quindi in sostanza possono agire e far dormire il soggetto, ma sarà un sonno non riposante. Poi sono subentrati farmaci ipnotici, ad azione molto rapida e senza effetti indesiderati (è discusso se diano dipendenza, ci sono soggetti che abusano di questi farmaci anche di giorno, quando hanno effetto paradosso, stimolante). Spillox, Zolpidem (?).. Un’altra possibilità è il prazolone (nome commerciale del trittico) che nasce come anti-depressivo a dosaggio elevato, ma dà ipotensione ortostatica; invece è stato a lungo il farmaco di prima scelta per migliorare la qualità del sonno, perché sembra che abbia la capacità di mantenere l’integrità della qualità del sonno. Si possono utilizzare anche farmaci anti- epilettici di ultima generazione (pregabalin), che insieme a pochi altri farmaci ha indicazione per l’ansia generalizzata. Un farmaco fuori indicazione, come in questo caso, si può dare se ci sono dimostrazioni nella letteratura mondiale che può funzionare in quel determinato caso (a volte non c’è interesse delle case farmaceutiche per indicare un farmaco per un certo caso, ma cioè non vieta, se è il caso, di prescriverlo). Il pregabalin, oltre a migliorare il sonno, tenderebbe ad aumentare il 3° e 4° stadio del sonno (ristrutturazione). Per l’ansia generalizzata i farmaci indicati sono qualche serotoninergico (floroxetina), un paio di noradrenegergici (…), e alcuni dicono pregabalin e pochi altri. 7 DISTURBO DA STRESS POST-TRAUMATICO Veniva chiamato in vari modi (shock da granata, il disturbo del soldato, comunque con connotazione di tipo bellico). Il riconoscimento di questa patologia è stato modesto fino agli anni ’60-’70, quando ci fu la guerra del Vietnam (“operazione di polizia”), e per la prima volta i soldati americani perdevano, e c’erano alte probabilità di morire o rimanere feriti. In più c’erano condizioni climatiche avverse, con pioggia, fango e tutta una serie di cose che comportavano l’impossibilità di usare in modo adeguato gli strumenti del soldato, e in più c’era una parte della popolazione che non era favorevole a questa operazione. Inoltre c’era il fatto che quella zona era una zona di grande produzione di sostanze (come l’oppio). Ci andavano persone che avevano appena finito il liceo, 17-18 aa, quindi completamente impreparati. Quando finisce la guerra e questi soggetti tornano a casa hanno subito traumi pesanti (sono stati strappati alla loro città, sono stati esposti a forti traumi, hanno utilizzato morfina in grosse quantità, etc.); molte persone manifestano sintomi particolari. Ma perché non nella Seconda Guerra Mondiale? C’è una differenza importante nel ritorno, che nel caso della Seconda Guerra Mondiale è un ritorno trionfale (sconfitta nazismo), mentre per la guerra del Vietnam è un ritorno da una guerra di cui vergognarsi. Il disturbo da stress post-traumatico richiede l’esposizione a un trauma importante, che deve mettere in pericolo la vita del soggetto e deve essere improvviso, col soggetto che si sente inerme, incapace di reagire. Per es. la violenza sessuale, la rapina, il rapimento, etc. Studi francesi hanno dimostrato che i soggetti reduci dai campi di concentramento avevano, anche a distanza di tempo, determinati sintomi. Chi c’era stato per certo tempo (per es. 6 mesi), aveva matematicamente questi sintomi, cioè c’è un punto soglia, oltre il quale chiunque ne risente. Altrimenti si ha una risposta che dipende dall’individuo. In Emilia e in passato in Friuli e in Umbria, dove pure ci sono stati importanti terremoti, ci sono condizioni socio-ambientali (fortissimo legame tra di loro sostegno) che determinano il fatto che il trauma viene sopportato meglio, riducendo l’impatto post-traumatico. L’elemento fondamentale è uno stato di tensione emotiva costante, un’ansia vissuta come “vivere sul filo del rasoio”. Questo è legato alla paura che possa succedere qualcosa: l’evento traumatico è stato improvviso, non ci si è potuto fare niente. Per es. una ragazza è andata in discoteca, e improvvisamente il gestore del locale gli ha messo un pitone sulla schiena; per 2-3 anni di fila è stata con la sensazione di avere questo serpente addosso. Essere testimoni di un fatto pesante, in cui ci scappa il morto, è anch’essa una situazione che predispone. Tipico è l’evitamento delle situazioni in cui è stato vissuto il trauma (donna violentata in ascensore, non prende più l’ascensore). C’è poi la sensazione di rivivere la situazione traumatica quando stimolato da rumori, odori e sensazioni simili (improvviso flashback). Comune è anche l’incubo. Alcuni individui diventano particolarmente sensibili agli stimoli (in Garfagnana i soggetti sono particolarmente sensibili ai terremoti). Componente depressiva: il soggetto si sente svuotato, come se non avesse più stimoli, la sua vita cambia da un momento all’altro. Numbing: ottundimento, appiattimento. Dopo essere stati dal dentista, dopo l’anestesia, si sente una certa sensazione, però attenuata. Il numbing è più o meno questo. Soggetti con il numbing vanno a fare cose pericolose, per avvertire certe sensazioni, altrimenti non sentirebbero niente. Si può manifestare o subito dopo il trauma o a distanza di mesi. Durata: può durare tutta la vita, oppure gradatamente questa sensazione si attenua in qualche anno. Il segnale di cronicizzazione, il numbing, segna un punto di svolta; una volta che ci si arriva è difficile tornare indietro. C’è un dibattito su come agire dal punto di vista terapeutico: antidepressivi, psicoterapia di gruppo? Se c’è stato trauma fisico, con residui come cicatrici e handicap, che rendono 10 Drammatico Ansioso Può essere dipendente, evitante, ossessivo-compulsivo. Il soggetto dipendente non può fare a meno di avere un sostegno, tanto che spesso si trovano tratti di questo tipo in soggetti con malattia grave, invalidante, e quindi hanno bisogno di appoggiarsi a qualcuno. È alla ricerca costante di una rassicurazione. L’evitante è la manifestazione dell’ansia sociale, cioè del tumore del giudizio negativo altrui, e di conseguenza dell’incapacità di fare qualcosa, che comprometta il giudizio di altri. Rovesciamento della dipendenza: si fa il contrario del normale (tipo mettere il maglione quando fa caldo e non metterselo quando fa freddo). Se poi la mamma per es. dice “se ti metti la maglia non mi vuoi bene” e allora si impunta (ci si mette e poi la togliamo) oppure si fa un salto e si guarda quali sono le cose che per cui valga la pena giungere a un compromesso. Lo stesso avviene per decidere che lavoro fare, la persona con cui stare. Quindi la dipendenza ha un’evoluzione, spesso nel rapporto genitore-figlio. Dire “no” è un altro punto cruciale: chi ha una personalità dipendente non ci riesce. DISTURBO ANTISOCIALE È quello che ha i criteri più facilmente identificabili, ma risente in maniera più marcata del contesto culturale (es. copiare a scuola, guidare veloce, etc.)  cose ritenute contro la comunità. Questo tipo di disturbo si ritrova più facilmente all’interno delle carceri degli USA (emarginazione). Un problema è che molte caratteristiche (incuranza delle regole, esageratamente concentrato sulle proprie capacità, sul proprio essere), e quindi alcuni criticano che non si tratti di dis antisociale, ma di disturbo bipolare, con caratteristiche di discontrollo che fanno sì che questi soggetti abbiano scarsa considerazione delle regole sociali. Scala sociale di Hare: racchiude gran parte della sintomatologia che si riscontra in soggetti bipolari. Potrebbe anche essere il risultato di una componente bipolare e di una componente ambientale (ambiente culturalmente povero)  incapacità di tenere sotto controllo certi impulsi, che poi si manifestano come comportamento antisociale. DISTURBO NARCISISTICO e ISTRIONICO Ha come caratteristica principale il fatto che l’individuo tiene conto solo di sé stesso, è al centro del mondo, distaccato dagli altri, privo di sentimento. Non tiene conto degli altri. Difficile trovare questo tipo di disturbo, più frequentemente si possono trovare tratti di questo tipo. Come il disturbo istrionico, a questo molto vicino, è mantenuto come disturbo in sé e per sé perché ha importanza nell’approccio psicoanalitico. Mentre per il narcisista il parere degli altri non conta, basta il suo, l’istrionico ha necessità di costante attenzione da parte degli altri, la componente affettivo/emotiva è molto marcata; es. tipico è la diva, che deve sentirsi al centro, un centro che però quasi mai è esclusivo; ci possono essere tanti pretendenti ma nessun amante, ci devono essere tanti personaggi che si avvicinano; si parla di attrazione distacco, quando la persona si avvicina troppo se ne allontanano, quando si allontana se ne avvicinano; costante tensione affettiva, che non può raggiungere mai la relazione stabile. DISTURBO BORDER-LINE DI PERSONALITÀ Inizialmente fu definito come al confine con la follia. Poi nel tempo si è modificata la definizione, mantenendo l’idea di confine, punto di passaggio, ma non più con la psicosi/schizofrenia, ma con i disturbi dell’umore (disturbo bipolare), e allo stesso tempo si è costruita una visione che non ha niente a che vedere col termine confine, ma è legato a certe caratteristiche: per molti era assimilato alla visione degli psicanalisti  soggetti che non erano adatti all’approccio psicoanalitico, che avevano la 11 caratteristica di non rispettare il setting psicoanalitico (condizione all’interno della quale si sviluppa il processo di psicoanalisi): non rispettavano le regole, arrivavano in ritardo, chiedevano spiegazioni mentre magari dovevano descrivere il sogno, si avvicinavano troppo, insomma facevano cose contrarie a quello che doveva essere il rapporto con lo psicanalista. Questo rendeva i soggetti inadatti al processo psicoanalitico, rendendoli borderline. Poi si è arrivati ad una definizione confusa, mischiando le due cose  patologia complessa, multipla, resistente al trattamento, potendo arrivare a fare una definizione di borderline di moltissimi soggetti. Anche oggi, parlando con qualcuno che descrive un caso complesso, articolato, è probabile che venga inquadrato come borderline. Quindi oggi questo termine è altamente aspecifico. Nel DSM il disturbo borderline viene definito eliminando la parte psicotica pura (situazioni in cui compaiono a tratti sintomi psicotici: transitori fenomeni allucinatori, di delirio), rimanendo una diagnosi che è emblematica nella difficoltà di fare diagnosi dei disturbi comportamentali; vengono dati 9 criteri, e ne bastano 5; il risultato è che ci possono essere soggetti con la stessa diagnosi ma con un solo criterio comune. Difficile dare uniformità alla diagnosi. A questo si aggiunge il fatto che andando a vedere i criteri, questi non sono dissimili da altri che si trovano in altre patologie; per es. variabilità dell’umore, alterazione pattern alimentare, discontrollo (atteggiamenti di tipo autolesionistico) ma quasi mai autosuicidio, relazioni interpersonali burrascose (perché c’è un andamento imprevedibile, un giorno una persona è affascinante, attraente, disponibile, il giorno dopo diviene intrattabile, disinteressato). Scomponendo gli elementi potremmo dire che non siamo di fronte a una costruzione coerente, ma ad un sovrapporsi di elementi: cioè potrebbero essere soggetti con esagerata dimensione del discontrollo degli impulsi, oppure soggetti con problemi della condotta alimentare. Problema: ragazza bulimica ha tratti di tipo borderline; persone con problemi nei rapporti inter- personali hanno dei tratti borderline. Il migratore degli Stati Uniti, che cambia sempre situazione, si riconosce in questa personalità. È difficile che queste persone vengano a curarsi, ed è anche oggettivamente difficile curarle. Lo psicanalista aveva capito che questi personaggi non sono da psicoterapia; i farmaci sono rifiutati assolutamente; rimangono quindi persone difficilmente controllabile e difficilmente sopportabile dagli altri, anche se hanno una componente di fascino, di attrattività (“bello e dannato”). Problemi relativi ai disturbi di personalità: 1. Commistione con altre patologie 2. Si parla di disturbo di personalità solo dopo una certa età (18-20 aa), ma l’esordio è spesso in età infantile; problema di intervenire/non intervenire; inoltre come si fa a distinguere un disturbo di personalità da un’altra patologia? C’è anche il problema dell’ambiente dove vive il bambino, che influisce sul comportamento, a prescindere dal tipo di patologia che si è avuto in origine. 3. Per definizione il disturbo di personalità dovrebbe essere immodificabile, però in realtà con l’età la personalità cambia, e inoltre alcuni soggetti, laddove trattati con psicoterapia e/o farmaci, cambiano, il che fa pensare che non c’è modificazione reale di personalità, ma magari un disturbo psichico per cui magari ci sono forme più attenuate, che però vanno a modificare il comportamento, per cui il soggetto assume personalità inverse. DISTURBO DI PERSONALITÀ OSSESSIVO-COMPULSIVO Atteggiamento nei confronti delle cose legato al perfezionismo, alla scrupolosità, alla precisione delle cose. Ma cos’è che è patologico e cosa no? La patologia sta nell’ossessività fine a sé stessa, non funzionale. Per es. una persona che fa sempre molto tardi, perché deve finire qualcosa. 12 DISTURBI DI ALIMENTAZIONE Il cibo è necessario. Oggi non è più solo necessità, rappresenta qualcosa di più. In passato assumeva un significato simbolico: importanza del sacrificio e del digiuno. In Grecia: categorie sociali diverse mangiano cose diverse: i poveri mangiano le verdure, i ricchi mangiano la carne. Il dolce è della divinità, perché non necessario per la sopravvivenza. Etruschi: stessa divisione, ma con aspetto in più, l’etrusco obeso è ricco ed è anche bello. Con i Romani il cibo diventa uno status simbol. Comincia l’industrializzazione del cibo. Compaiono le prime ricette, che servono come manuale di istruzione. Qualunque guerra o carestia comporta divisione nel popolo, tra chi ce l’ha e chi non ce l’ha. In una società di questo tipo si ritorna al concetto che è bello essere grassi. Anoressia Le prime descrizioni si hanno intorno al 1600, con casi di alcune ragazzine (prima si sarebbero le Sante Anoressiche, che però non sono considerata malate, dipende dal contesto). Nell’800 si inizia a parlare di anoressia nervosa. All’inizio del ‘900 descritti casi di cachessia ipofisaria: la causa era riconosciuta in una lesione dell’ipofisi, ma non era così, in anoressiche morte si vedeva ipofisi normale. Per un lungo periodo la medicina non affronta più il problema dell’anoressia. Successivamente riprendono gli studi, e si attribuiscono all’anoressia dei valori che portano all’utilizzo della psico- analisi. Il primo libro in Italia sull’anoressia descrive sostanzialmente un fallimento terapeutico, quindi anche la psico-analisi fa il suo corso. Poi intorno al 1960 viene pubblicato un testo “Pragmatica della Comunicazione Umana”, nel quale viene studiata la comunicazione tra le persone utilizzando un sistema cibernetico (faceva riferimento ai meccanismi dei computer dell’epoca) come azione-reazione; questo tipo di meccanismo ha una sua valenza particolare nell’ambito di sistemi di comunicazione chiusi. Nei rapporti umani un tipico sistema chiuso è la famiglia, nel quale la comunicazione assume particolari codici e caratteristiche (se diciamo una cosa sappiamo che un componente farà qualcosa in maniera prevedibile, per es. “se dico questo si arrabbia”; le regole di quel nucleo sono proprie di quel nucleo, chiunque ne entri a far parte deve imparare a conoscerle); inoltre ogni modificazione si riflette su tutti i componenti della famiglia. Se all’interno della famiglia c’è un elemento malato di mente, si ritiene che sia malata tutta la struttura familiare, e che l’elemento che manifesta la malattia sia l’anello debole della malattia. È sbagliatissimo dire che la colpa dell’anoressia della figlia sia della madre, primo perché non si può dimostrare scientificamente, secondo perché in questo modo la figlia scarica la colpa sulla madre e la madre stessa riterrà il medico un cretino, quindi verrà a mancare un fondamentale progetto collaborativo con la famiglia. Di regola si definisce anoressica una persona che è 15% sotto il peso normale, ma in realtà si arriva a un peso nettamente inferiore. Quando si arriva a certi lv la sopravvivenza è discutibile (secondo i manuali certe persone dovrebbero essere morte, ma in realtà sopravvivono). Anoressia non è uguale a mancanza di appetito, anche se etimologicamente il senso è questo: queste donne hanno fame, ma esercitano un controllo rigidissimo sull’alimentazione. Il nucleo centrale è la totale distorsione dell’immagine corporea, si vedono e si sentono grasse, sempre, dovunque (nel senso dalla testa ai piedi) e comunque. Partono con una leggerissima dieta, poi continuano senza che ci sia un peso di sicurezza; magari dicono “non posso essere più di 40 chili”, ma poi per sicurezza vogliono dimagrire ancora, e ancora, e ancora.. 15 Decorso ed esiti - 0-30% guarigione (totale assenza di sintomatologia non si ha mai) - 50% sintomi residui o sequele psicopatologiche - 5-20% mortalità (malnutrizione, squilibri elettrolitici, suicidio) Bulimia nervosa La storia della bulimia è più “nascosta”, si è vista a partire dagli anni ’80, e si diceva che era l’altra faccia dell’anoressia, in realtà ci sono forme di evoluzione verso la bulimia ma ci sono anche delle forme cliniche assolutamente indipendenti dall’anoressia. Caratteristiche: - Distorta percezione dell’immagine corporea limitata a certe zone; variazione del peso in funzione dell’autostima. - Perdita di controllo sull’alimentazione: iniziano a fare dieta (perché si vedono i fianchi troppo grossi) e poi finiscono per fare abbuffate - Abbuffate (fino a lacerazione dello stomaco), da una volta a settimana a 10 volte/giorno - Condotte di eliminazione - In genere mantenimento di un peso adeguato (mai troppo magra o troppo grassa) Il vomito si può fare contraendo la parete addominale senza toccare niente o bevendo acqua (o anche sapone per i piatti). Oltre a vomito si ha anche esercizio fisico, tipico delle coetanee; però si ha il problema che aumenta la massa magra, ed è visibile, inducendo un circolo vizioso con aumento del digiuno. Sono “nascoste” perché le abbuffate vengono fatto a volte rubando il cibo, o rubando i soldi per comprarlo; pensano ai soldi per farsi la cucina piuttosto che il resto della casa. È una malattia tipica delle donne in carriera. A volte si usano anche lassativi. Insieme al vomito fanno perdere potassio e allora si muore per arresto cardiaco, magari per la strada, senza nemmeno rendersene conto. Una cosa più pericolosa del vomito e dei lassativi è l’utilizzo dei diuretici, che fanno sgonfiare; cominciano a prendere una pasticca, perdendo peso, poi smette e rigonfia, e quindi li riprende fino a prenderne decine al giorno, fino a che insorge edema permanente irreversibile. Assunzione di farmaci dimagranti; a volte si usa eutirox, altre volte vari tipi di miscele venduti da farmacisti o dietisti (fluoxetina, prozac, diuretici naturali, etc.) Esteticamente si ha anche il fatto che si rovinano i denti, per via dei succhi gastrici acidi. Si risolve NON lavandosi i denti (che è un errore) ma facendo risciacqui con bicarbonato, che va a bloccare l’acidità. Altro fatto portato all’estremo è l’esofagite da reflusso, fino ad arrivare al Barrett. Epidemiologia - 1-3,8% della popolazione generale - 10% popolazione liceale universitaria (?) - Sesso femminile 85-90% dei casi - Esordio tra i 12 e i 35 anni (media 18) - Livello socio-economico medio alto 16 Ragazze giovani-adulte sono più complicate dal punto di vista del carattere, del controllo e della sintomatologia (temperamento ciclotimico, con umore che va su e giù). Passano dalla chiusura più rigida a periodi di esposizione estrema (pur avendo sempre il chiodo fisso dell’aspetto fisico). Non diventano mai tossicodipendenti, però sperimentano un po’ di tutto. Anche l’uso di alcool ci può essere occasionalmente, però magari una volta ogni tanto si devastano. A volte si procurano lesioni, a volte anche importanti. Quindi in sostanza quello che conta è che aumenta il discontrollo, e questo alle volte le porta al suicidio. Non esistono in letteratura studi di follow-up a lungo termine Mortalità 3% (malnutrizione, squilibri elettrolitici, suicidio). Differenza importante con anoressia: la bulimica cerca molto spesso aiuto, mentre l’anoressica è restia a qualsiasi trattamento. Gli uomini sono molto peggio, perché hanno tendenzialmente un andamento più marcato e discontrollato, beve molto di più ed esagera anche nelle abbuffate. Obesità: disturbo da crisi bulimiche  Abbuffate - Sensazione di perdita di controllo sull’alimentazione - Sentimenti di colpa e autosvalutazione dopo l’abbuffata - Assenza di condotte di eliminazione per compensare l’abbuffata - Frequentemente associazione con disturbi dell’umore, da uso di sostanze e disturbi di personalità Sono più difficili da identificare Grazing: mangiare continuamente (per es. soggetto che mangia in continuazione mentre guarda il pomeriggio la tv) Trattamento dei disturbi dell’alimentazione o Psicoterapia o Terapia farmacologica o Terapia e counselling nutrizionale Le anoressiche non si vogliono curare; a volte arrivano a compromessi, accettando trattamento e miniziando un percorso, che si articola in varie stazioni; la più comune è quella ambulatoriale, poi ci sono strutture più o meno organizzate (day hospital) focalizzati su questo campo, dove si fanno una serie di trattamenti e una valutazione del pasto, il pasto assistito etc., per poi arrivare a situazioni di emergenza, che impongono il ricovero. Ci sono poi strutture residenziali (in genere private) dove quadri relativamente stabilizzati necessitano di una riabilitazione al quotidiano all’alimentazione, al mantenimento del peso, alla relazione con l’esterno: approccio clinico, psicologico psichiatrico. Se ne occupa il nutrizionista, che però deve riuscire a motivare la persona a fare certi passaggi (anche mettere un cucchiaino di olio nella minestra può richiedere molto tempo, c’è un grosso lavoro mentale dietro); quindi deve avere esperienza, cultura ma anche riuscire a “entrare nella testa” di queste persone. Di solito si raggiungono compromessi (si fissa un peso, magari 30 chili, un margine di sicurezza, sotto il quale non si deve scendere; in genere viene accettato); il discorso cambia in situazioni di urgenza, in cui si deve sempre ottenere collaborazione. Lo psicoterapeuta con le anoressiche ci lavora con molta difficoltà; o perché sono troppo piccole o perché se sono grandi non ne vogliono sapere. È importante che però ci sia, perché si occuperà della gestione. 17 Lo psichiatra ha un approccio complicato, non ci sono linee guida; molto di quello che si fa, lo si fa seguendo diverse ipotesi. Tenere presente che l’anoressica accetta molto difficilmente di fare farmaci. Nei soggetti con grande resistenza si danno alcuni antipsicotici a basso dosaggio, che sembrano modificare l’atteggiamento nei confronti dell’immagine corporea. In pratica si fa tanto ma si ottiene poco. Per la bulimica il discorso è diverso, viene spontaneamente, di solito anche di nascosto dai familiari (non ne parla in casa) e accetta quello che le viene proposto. Il nutrizionista serve specie con le più piccole. Per poter valutare correttamente l’astinenza deve passare un anno, e se cadono ripartono immediatamente a ricontare l’anno. Se si prevede che ci sia una ricaduta si toglie una grossa fetta dei sensi di colpa al pz, che è motivato a ripartire. Si lavora in termini di progetto e progressione. Due tipi di psicoterapia: lavorano sulla facilità di controllo e sull’oscillazione dell’umore. Lo psichiatra può somministrare farmaci; l’unico accettato oggi è la fluoxetina, a dosaggi più alti rispetto a quelli usati nella depressione. Le cose più utili sarebbero gli stabilizzanti dell’umore, ma non vengono presi perché fanno ingrassare. Antiepilettici sembrano funzionare (come stabilizzanti dell’umore???), ma non hanno indicazione. Si usano anche anti-serotoninergici e ibupropione.
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