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Appunti sul fallimento - presupposti, procedura ed effetti, Sintesi del corso di Diritto fallimentare

Lo schema affronta in maniera completa ma schematizzata tutti gli elementi principali della procedura fallimentare; il documento si compone dei seguenti paragrafi: presupposti, dichiarazione di fallimento, procedura fallimentare, gli organi del fallimento, lo svolgimento della procedura fallimentare, effetti del fallimento, cessazione del fallimento, gli effetti del fallimento nei confronti di terzi.

Tipologia: Sintesi del corso

2013/2014

In vendita dal 29/11/2014

maurinho777
maurinho777 🇮🇹

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Scarica Appunti sul fallimento - presupposti, procedura ed effetti e più Sintesi del corso in PDF di Diritto fallimentare solo su Docsity! Fallimento Presupposti: 1) La qualità di imprenditore commerciale (requisito soggettivo) 2) Stato di insolvenza – si ha nel momento in cui l’imprenditore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni; si tratta quindi si una situazione patologica irreversibile che non consente all’imprenditore di soddisfare – con i mezzi ordinari – le obbligazioni assunte. Indici dello stato di insolvenza sono: l’inadempimento di una o più obbligazioni, fuga dell’imprenditore, pagamenti anomali ecc. L’inadempimento quindi è solo un indice dell’insolvenza e non va confuso con quest’ultima. 3) Ammontare dei debiti scaduti superiore a 30.000 euro 4) Superamento di almeno uno dei limiti dimensionali indicati dall’art 1 della l.fallimentare a) Avere nei tre esercizi precedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento un attimo patrimoniale annuo non superiore a 300.000 euro b) Aver realizzato nei tre esercizi precedenti ricavi lordi per un ammontare annuo non superiore a 200.000 euro c) Avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore a 500.000 euro Dichiarazione di fallimento: Il fallimento può essere dichiarato su richiesta: 1) di uno o più creditori 2) dell’imprenditore stesso – l’imprenditore potrà richiedere il proprio fallimento per sottrarsi ad una serie di azioni esecutive in atto. In tal caso dovrà depositare presso la cancelleria del tribunale tutti i documenti e le scritture contabili della società ed indicare i nominativi dei creditori e i loro rispettivi crediti. 3) del pm. – potrà richiedere il fallimento solo quando l’insolvenza risulti da fatti che configurano reati fallimentari. Competente per la dichiarazione di fallimento è il tribunale del luogo dove l’imprenditore ha la sede principale della propria impresa. Procedura fallimentare: Il tribunale fissa un’udienza durante la quale verranno sentiti sia l’imprenditore che i creditore istanti – si tratta di un’innovazione introdotta con la riforma del 2006 al fine di garantire l’esercizio del diritto di difesa all’imprenditore già nell’istruttoria prefallimentare. Il tribunale è dotato di poteri inquisitori e può perciò compiere tutte le indagini che ritiene opportune ai fini della dichiarazione di fallimento senza essere vincolato dall’iniziativa delle parti. In ogni caso il tribunale ordinerà all’imprenditore di depositare tutte le scritture contabili e documenti che rispecchino la situazione patrimoniale della società. Al termine di tale fase il tribunale deciderà – in camera di consiglio – sull’esito di tale domanda di fallimento. Nel caso in cui ritenga non sussistere i presupposti per la dichiarazione di fallimento emanerà un decreto di rigetto motivato (appellabile); nel caso in cui invece ritenga sussistere i presupposti per il fallimento emanerà una sentenza con la quale verrà dichiarato il fallimento della società. La sentenza è immediatamente esecutiva. La sentenza dichiarativa del fallimento può essere impugnata, mediante reclamo alla Corte d’Appello, dal fallito o da qualunque interessato entro 30 giorni. L’impugnazione non sospende gli effetti della dichiarazione di fallimento anche se ciò può avvenire su richiesta della corte d’appello. Il fallimento deve essere revocato se si accerti l’inesistenza dei presupposti necessari per la dichiarazione di fallimento. La sentenza di revoca non intacca tuttavia gli atti già prodotti dagli organi fallimentari, quindi, sul piano patrimoniale, vengono fatti salvi gli effetti prodotti sino alla revoca del fallimento. Gli organi del fallimento: Tribunale fallimentare – il tribunale che ha dichiarato il fallimento è investito dell’intera procedura fallimentare, e sovraintende al corretto svolgimento della stessa. Il tribunale fallimentare nomina il curatore e il giudice delegato, decide le controversie relative alla procedura che non siano di competenza del giudice delegato ed ha un generale potere di informazione nei confronti del curatore, del fallito e del comitato dei creditori. Il tribunale opera mediante l’emanazione di decreti che sono impugnabili presso la Corte di Appello. Il tribunale fallimentare inoltre sarà competente per tutte le controversie che derivano dal fallimento (vis actractiva) in deroga ai criteri di competenza funzionale e per territorio. Giudice delegato – il giudice delegato vigila sulle operazioni del fallimento e controlla la regolarità della procedura, nomina il comitato dei creditori ed emette i provvedimenti urgenti per la conservazione del patrimonio. Curatore – il curatore è l’organo preposto all’amministrazione del patrimonio fallimentare. Viene nominato dal tribunale fallimentare e, nello svolgimento delle sue funzioni, acquista la qualità di pubblico ufficiale. Il curatore è scelto tra avvocati, commercialisti e ragionieri e, come corrispettivo del suo lavoro, avrà diritto ad un compenso che si concretizzerà in una percentuale dell’attivo realizzato. Nell’esercizio delle sue funzioni il curatore può porre in essere tutti gli atti necessari a conservare, gestire e realizzare il patrimonio del fallito; di conseguenza dovrà agire nel rispetto dei doveri di diligenza pena la sua responsabilità personale e l’obbligo di risarcimento per i danni da esso causati. Comitato dei creditori – Il comitato, composto da 3 o 5 membri scelti tra i creditori in modi da rappresentare in misura equilibrata quantità e qualità dei creditori, è nominato dal giudice delegato. La sua funzione è quella di vigilare principio della par condicio creditorum (anche se rimane fermo l’ordine c.prededucibli, c.priviligiati, c.chirografari, nella ripartizione degli utili). La dichiarazione del fallimento comporta come effetti per i creditori a) Ogni credito dovrà essere giudizialmente accertato con la procedura prevista per lo stato passivo b) Dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione esecutiva individuale potrà essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento c) I creditori parteciperanno al fallimento per l’importo vantato al momento della dichiarazione di fallimento; vengono sospesi quindi gli interessi legali e convenzionali. Effetti nei confronti di terzi che hanno avuto rapporti con il fallito: Normalmente intercorre un certo lasso di tempo tra il giorno in cui viene dichiarato il fallimento e il momento in cui si manifesta lo stato di insolvenza. In questo arco temporale il fallito potrebbe porre in essere una serie di atti di disposizione che alterano il proprio patrimonio con conseguente pregiudizio per i creditori. Contro tali atti è previsto il rimedio dell’azione revocatoria ordinaria o fallimentare. Azione revocatoria ordinaria: è una facoltà riconosciuta al creditore il quale potrebbe chiedere al giudice di dichiarare inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione con in quali il debitore gli ha recato pregiudizio, facendo si che i relativi beni rientrino nel patrimonio del debitore in modo tale che sugli stessi il creditore possa soddisfarsi. L’azione revocatoria è però di difficile esercizio in quanto richiede al creditore di provare sia l’eventus damni (l’impossibilità per il creditore di soddisfarsi sul patrimonio residuo) che il consilium fraudis (l’intenzione dolosa del debitore e del terzo). L’azione revocatoria ordinaria potrà essere esercitata anche nel caso di fallimento dal curatore. Azione revocatoria fallimentare: il principio ispiratore di quest’azione è la presunzione della pregiudizialità di tutti gli atti posti in essere dall’imprenditore che versa in stato di insolvenza. Il curatore che esercita tale azione quindi sarà dispensato dal dover provare l’eventus damni e il consilium fraudis. Presupposti (a b) e caratteri (c d) dell’azione revocatoria sono: a) Lo stato di insolvenza dell’imprenditore b) La conoscenza dello stato di insolvenza da parte del terzo c) Tutti gli atti compiuti 6 mesi o 1 anno (periodo di sospetto legale) prima della dichiarazione di fallimento si presumono compiuti in stato di insolvenza; quindi sarà il terzo a dover provare l’assenza dello stato di insolvenza d) Per alcuni atti particolarmente sintomatici dello stato di insolvenza si presumerà il consilium fraudis del terzo. Gli effetti dell’azione revocatoria (sia ordinaria che fallimentare): gli atti di disposizione compiuti dall’imprenditore sono validi ma inefficaci nei confronti dei creditori. Il terzo quindi dovrà restituire quanto ricevuto e tali beni rientreranno nel patrimonio del fallimento. Qualsiasi azione revocatoria dovrà essere promossa entro 3 anni dalla dichiarazione di fallimento o comunque entro 5 anni dall’atto di disposizione. Gli atti revocabili possono essere suddivisi in: Revocatoria di diritto: gli atti a titolo gratuito compiuti nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento; i pagamenti di debiti con scadenza successiva al giorno della dichiarazione di fallimento; Questi atti sono di diritto inefficaci nei confronti dei creditori. Revocatoria giudiziale: si tratta di atti revocabili sono a seguito di azione giudiziaria promossa dal curatore; ad esempio rientrano in tale categoria: gli atti a titolo oneroso caratterizzati da una notevole sproporzione tra la prestazione a carico del fallito e quella a carico della controparte (vendita di merci sottoprezzo); pagamento di debiti scaduti effettuati con mezzi anomali. Revocabili inoltre sono sicuramente gli atti di disposizione a favore del coniuge del fallito; il questi casi si presume sempre il consilium fraudis e si considerano revocabili tutti gli atti di disposizione senza limiti di tempo (fin dal giorno dell’avvio dell’attività commerciale dell’imprenditore). La riforma del 2006 ha particolarmente ampliato anche la categoria degli atti non revocabili: 1) Pagamenti di beni o servizi rientranti nell’esercizio dell’attività d’impresa effettuati con mezzi ordinari e nei termini d’uso 2) Pagamento del compenso dovuto a soggetti che abbiano prestato al propria opera o il proprio lavoro al fallito. Effetti del fallimento rispetto ai contratti in corso di esecuzione – L’imprenditore fallito è di regola al centro di una trama di rapporti contrattuali non ancora eseguito o non ancora del tutto eseguiti, sui quali il fallimento andrà ad operare. La soluzione del legislatore non è unanime bensì può essere divisa in tre sottosoluzioni: a) Contratti che si sciolgono di diritto a seguito della dichiarazione di fallimento b) Contratti che continuano automaticamente nonostante il fallimento in quanto, per legge, ritenuti vantaggiosi per la massa dei creditori c) Contratti che vengono sospesi a seguito del fallimento e la cui sorte dipende dal curatore che, su autorizzazione del comitato dei creditore, deciderà se continuarli o scioglierli. Esercizio provvisorio dell’impresa: La procedura fallimentare normalmente è orientata alla liquidazione dei beni aziendali per il soddisfacimento dei crediti vantati da terzi nei confronti dell’imprenditore fallito; E’ possibile tuttavia che si possa procedere in modo differente tramite la continuazione provvisoria dell’attività d’impresa nel fallito; si parla in tal proposito di “esercizio provvisorio” o di “affitto dell’azienda”. Esercizio provvisorio: il curatore può proporre al comitato dei creditori di continuare l’attività d’impresa per un tempo determinato. Se il comitato esprime parere favorevole il giudice delegato potrà autorizzare la continuazione dell’attività d’impresa. Si tratta tuttavia di una procedura pericolosa in quanto tutte le obbligazioni assunte dal curatore per l’esercizio dell’attività d’impresa costituiranno crediti prededucibili che dovranno essere soddisfatti con precedenza rispetto ai crediti vantati dal creditore del fallito. L’esercizio provvisorio quindi sarà utilizzato solo nel caso in cui davvero possa apportare dei vantaggi rispetto alla liquidazione del patrimonio del fallito essendo possibile, negli altri casi, il concretizzarsi di effetti negativi a carico dei creditori del fallito. Affitto d’azienda: il curatore potrà proporre al comitato dei creditori di affittare l’azienda ad un terzo in cambio della corrispezione di un canone di locazione. Il terzo sarà direttamente responsabile per le obbligazioni assunte nell’esercizio dell’attività d’impresa (che non graveranno quindi sulla massa fallimentare) e vanterà un diritto di opzione all’acquisto dell’azienda nel caso di sua futura vendita. La cessazione del fallimento: il fallimento può chiudersi per varie cause: 1) Mancata presentazione di domande di ammissione allo stato passivo 2) Pagamento integrale di tutti i crediti ammessi allo stato passivo 3) Ripartizione integrale dell’attivo – in tal caso i creditori resteranno parzialmente insoddisfatti 4) Impossibilità di continuare utilmente la procedura per insufficienza dell’attivo. Nei casi 3) e 4) è possibile la riapertura del fallimento se non sono trascorsi 5 anni dal decreto di chiusura e se nel patrimonio del fallito si rinvengano nuove attività che rendano utile la riapertura. La chiusura del fallimento è dichiarata con decreto motivato del tribunale su istanza del curatore, del fallito o d’ufficio. Con la chiusura del fallimento
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