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Appunti dipartimento dott.ssa Grippo - Procedura civile I, Rascio, Appunti di Diritto Processuale Civile

Appunti su: sentenza di condanna generica, principio del contraddittorio, artt. 106 - 107, efficacia riflessa del giudicato, successione nel processo a titolo particolare art.111, diritti autodeterminati ed eterodeterminati, litisconsorzio, intervento adesivo dipendente, art.32, art.34, translatio iudicii, art.112, causa petendi, forma dei provvedimenti del giudice (sentenza, ordinanza, decreto), sostituzione processuale

Tipologia: Appunti

2014/2015

In vendita dal 15/05/2015

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Scarica Appunti dipartimento dott.ssa Grippo - Procedura civile I, Rascio e più Appunti in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! Appunti dipartimento dott.ssa Grippo L’azione e la sentenza di condanna. La legge prevede all’art.2818 cc. Che la condanna generica costituisca titolo per l’iscrizione per l’iscrizione di ipoteca giudiziale sui beni del debitore, da parte, naturalmente, del creditore. Quest’utilità la possiamo definire EFFETTO, più precisamente EFFETTO SECONDARIO. La sentenza di condanna generica, però, non produce l’EFFETTO PRIMARIO. Questo perché NON è una SENTENZA DEFINITIVA. Una SENTENZA NON DEFINITIVA non chiude il processo dinanzi al giudice che l’ha pronunciata. Dopo aver deciso sull’AN con sentenza (essendo sentenza, ha un regime di impugnazione), continua per accertare il QUANTUM. SENTENZA DEFINITIVA, quindi, è quella che chiude il processo dinanzi al giudice, a prescindere dal suo contenuto (ad es., di rito), avanti a quel giudice che l’ha pronunciata. diversamente, sarà una sentenza non definitiva, come quella di condanna generica. Il motivo per cui NON è TITOLO ESECUTIVO è il seguente: l’art. 474, che è la norma a cui dobbiamo riferirci quando parliamo di titoli esecutivi, deve riguardare un credito che sia CERTO, LIQUIDO ed ESIGIBILE. Questo credito, cioè quello della condanna generica, è CERTO, ma NON è LIQUIDO, perché non è determinato nel suo ammontare. La condanna produce non solo quest’effetto, ma anche un altro effetto secondario. Art. 2818: non si pongono problemi perché è determinato dalla legge; anzi, se non ci fosse, potrebbe essere qualificata come mero accertamento. Per quanto riguarda l’altro effetto, cioè trasformare le prescrizioni brevi in lunghe decennali, non è previsto nel codice. Non c’è una previsione normativa. Non c’è, però, ragione di escludere che ci sia, però, anche quest’effetto. Principio del contraddittorio. “Il giudice non può decidere sopra alcuna domanda, se la parte contro la quale è proposta non è stata regolarmente citata e non è comparsa”. In realtà, deve essere regolarmente citata, ma il fatto che non sia comparsa non costituisce un ostacolo per il giudice. È una norma scritta male, perché intendiamo che il principio del contraddittorio si realizza sia quando la parte sia stata citata sia quando è comparsa, quando si è costituita in giudizio. Quella “e” è fuorviante perché ci fa credere che occorrano entrambe le cose. Il principio del contraddittorio si realizza quando il convenuto sia regolarmente a conoscenza del processo. Riceve una valida notificazione e a quel punto si realizza il contraddittorio. Non si realizza nel momento in cui il convenuto si difende, perché potrebbe scegliere anche di non difendersi. Quella “e” dovrebbe essere letta come una “o”. Deve esserci una valida notificazione. Dopodichè, se decide di rimanere contumace, ciò verrà preso in considerazione dal giudice come sua scelta. Il processo va avanti senza il convenuto che ha scelto di non difendersi. Se c’è stato un vizio nella notificazione, il convenuto viene, ad es., lo stesso a conoscenza del processo, ed ha interesse, va a depositare 20 giorni prima la comparsa di risposta in cancelleria. Sana quel vizio e realizza COMUNQUE il contraddittorio. Se, quindi, la valida notificazione dell’atto di citazione non c’è stata e, nonostante ciò, il convenuto si è costituito, il contraddittorio è realizzato. Condizioni dell’azione e presupposti processuali. Legittimazione ad agire. Legittimato attivo o passivo è il soggetto cui la legge attribuisce il potere di far valere in giudizio un determinato diritto, ovvero consente che nei suoi confronti sia fatto valere un determinato diritto. Il difetto di legittimazione attiva o passiva comporta l’inammissibilità della domanda. La legitimatio ad causam si appunta in capo a colui al quale sia attribuita la titolarità del rapporto giuridico controverso. È necessario, affinchè all’attore sia riconosciuta la legittimazione, che egli stesso si affermi titolare del diritto. Sarà necessario altresì che in capo al convenuto si affermi la titolarità passiva del rapporto. Sono legittimati ad agire e a resistere gli stessi titolari del rapporto dedotto in giudizio, ma tale regola non si sottrae alle eccezioni, come avviene in tema di sostituzione processuale. L’art.81, infatti, prevede che vi sono dei casi, tassativamente indicati dal legislatore, in cui è consentito far valere nel processo IN NOME PROPRIO UN DIRITTO ALTRUI. Sono queste le ipotesi di legittimazione straordinaria, altrimenti dette di sostituzione processuale. Il sostituto processuale è abilitato ad agire, in nome proprio, per ottenere una decisione circa un rapporto giuridico cui egli è dichiaratamente estraneo e di cui è titolare, invece, il sostituito. Uno degli esempi puù noti è quello dell’art. 2900 cc, azione surrogatoria. In questo caso, si consente al creditore di esercitare i diritti e le azioni che spettano verso i terzi al proprio debitore, allorchè questi ometta di farlo. L’attore agisce, quindi, per un proprio interesse. La legittimazione a contraddire, infine, attiene alla titolarità passiva dell’azione, spettante a chi, nella prospettazione della domanda, venga indicato quale titolare dell’obbligo o della situazione soggettiva passiva. Interesse ad agire. L’art. 100 stabilisce che per proporre una domanda o contraddire alla stessa è necessario avervi interesse. Esso consiste nell’interesse ad ottenere il provvedimento giurisdizionale ed ha natura processuale strumentale rispetto al diritto sostanziale per il quale si agisce, nel senso che il ricorso al giudice appare indispensabile per evitare un danno ingiusto. prevedeva che ci fossero effetti nei confronti dei terzi. Questa è l’efficacia riflessa. Da qui possiamo dire che nel nostro ordinamento c’è efficacia riflessa. La giurisprudenza è partita dalle norme analizzando articoli come 1595, che dice che la sentenza resa tra conduttore e locatore produce effetti nei confronti del subconduttore. Art.1485 sulla garanzia per evizione: la sentenza resa tra chi rivendica la proprietà del bene acquistato e il compratore produce effetti nei confronti del venditore nel senso che il venditore sarà tenuto a restituire il prezzo versato. Art.1306: quando c’è una sentenza nei confronti di uno soltanto degli obbligati in solido, produce effetti favorevoli solamente nei confronti degli altri coobbligati. La dottrina afferma che in realtà queste sono ipotesi speciali, ma non può essere così a livello di principio generale. Si deve tenere conto del diritto di difesa, principio del contraddittorio, art.2909. oltre questi casi, l’efficacia riflessa del contraddittorio non si può avere secondo parte della dottrina. La dottrina non è infatti un blocco monolitico. La giurisprudenza diviene un blocco monolitico quando si consolidano gli effetti della cassazione. Studiamo ora l’efficacia riflessa con riferimento all’intervento adesivo dipendente. Quindi, ricapitolando, secondo Balena l’efficacia riflessa non esiste come principio generale, ma soltanto in alcuni casi in cui il legislatore lo prevede. In riferimento all’intervento adesivo dipendente, l’interrogativo che ci poniamo è per quale motivo un terzo dovrebbe avere interesse ad intervenire in un processo da altri istaurato. Semplicemente per sostenere, in verità, le ragioni di una delle due parti, ma non per tutelare un suo diritto. Allora, questo discorso sull’efficacia riflessa ritorna nella maniera in cui dobbiamo dire che la risposta a questo interrogativo non viene dall’efficacia riflessa, sempre secondo Balena, ma da un altro tipo di ragionamento. Non essendo principio generale, non possiamo dimenticare che se facciamo l’esempio del subconduttore non stiamo facendo alcuno sforzo perché stiamo semplicemente dicendo che, siccome c’è una norma del codice che dice che la sentenza è destinata a produrre effetti nei confronti del subconduttore, questo ha interesse ad intervenire nel processo. Non stiamo sciogliendo il nodo secondo cui dobbiamo trovare una risposta per i casi in cui non c’è una norma del codice al di là di queste ipotesi individuare perché c’è interesse. La risposta non è quella diretta a definire l’efficacia riflessa come istituto di carattere generale, ma deve essere un’altra. Quella che dà Balena è che esistono nessi di pregiudizialità dipendenza tra rapporti giuridici per cui il diritto del terzo, se pur non tutelato in questo processo, essendo però collegato a quello fatto valere in giudizio, il terzo potrebbe subire un pregiudizio dalla sentenza che non è mai un pregiudizio giuridico, perché non è un pregiudizio che nasce dall’efficacia della sentenza, ma è un pregiudizio di fatto. L’interesse del terzo si giustifica sulla base della pregiudizialità dipendenza. Il diritto del terzo diventa la ragione del suo intervento, anche se non è oggetto del processo, perché lui non lo fa valere. Si tratterà di un diritto che dipende da quello che le parti stanno facendo valere in giudizio. È una valutazione di quello che accadrebbe se lui non intervenisse. Diritti autodeterminati ed eterodeterminati. Il diritto autodeterminato è un diritto che non può esistere più volte, con lo stesso contenuto, tra le stesse parti e nello stesso momento. Es. DIRITTO DI PROPRIETà. Invece, il diritto eterodeterminato è quello che può esistere più volte, con lo stesso contenuto, tra le stesse parti e nello stesso momento. Es. diritto di credito avente ad oggetto una prestazione generica (pagamento di una somma di denaro). Ne consegue che la CAUSA PETENDI è qualcosa di diverso nei diritti autodeterminati e in quelli eterodeterminati. In quelli autodeterminati consiste nel PETITUM, cioè nella prospettazione giuridica del diritto dedotto in giudizio. Se nell’atto di citazione parlo di diritto di proprietà, cio è sufficiente perché sia individuata la causa petendi. Mentre, in quelli eterodeterminati, non è sufficiente che io dica che sto facendo valere un diritto di credito avente ad oggetto il pagamento di una somma di denaro, perche ne possono esistere infiniti nei confronti della stessa persona. Devo necessariamente specificare il fatto costitutivo, che ne permetterà, quindi, l’identificazione. Il concetto di causa petendi ha un significato diverso a seconda che ci troviamo di fronte ad un diritto autodeterminato o ad uno eterodeterminato. Mutatio libelli ed emendatio libelli. La mutatio non si può mai avere; l’emendatio, invece, si. Per mutatio, infatti, intendiamo la modificazione della domanda IN TOTO (questo, nel nostro ordinamento, non si può fare MAI). L’emendatio comporterebbe delle modifiche che comunque sono consentite, che non vanno a cambiare quella che è in sostanza la domanda. Però, andando a precisare, nell’ambito dell’emendatio, quello che possiamo fare e quello che non possiamo fare, dobbiamo tenere conto della distinzione tra diritti autodeterminati e quelli eterodeterminati. Se si tratta di un diritto autodeterminato, nell’emendatio noi potremmo spingerci fino al cambiamento del fatto costitutivo e ciò non modifica il diritto. Ad es., se dicevo che il mio diritto di proprietà nasceva dall’usucapione, successivamente posso anche dire che un contratto di compravendita dimostra che ho acquistato il bene, ma non sto cambiando il diritto che rimane sempre di proprietà. Se, invece, sto parlando di un diritto eterodeterminato, allora quello che posso fare, sempre nell’ambito dell’emendatio, è molto più limitato, in quanto abbiamo detto che qui il fatto costitutivo non può essere cambiato, se non nei particolari che non ne modificano l’essenza. La sostanza del fatto non deve cambiare. Quanto ai SOGGETTI, sembra difficile ipotizzare delle variazioni, dal lato attivo o passivo, che non incidano sull’identità della domanda. Quanto all’OGGETTO, la giurisprudenza mostra maggiore rigidità in relazione all’identità del bene giuridico perseguito dall’attore, cioè al PETITUM cd. Mediato, mentra appare lievemente più flessibile rispetto al tipo di provvedimento concretamente richiesto al giudice (PETITUM immediato), le cui variazioni vengono talora ricondotte nell’ambito dell’emendatio libelli. La precisazione della domanda (art.183, comma 5) è consentita per tutto il corso del processo e non soltanto nella sua fase iniziale. Esempi: a) Quanto al PETITUM, con riguardo alle azioni aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro, costituiscono una precisazione: l’indicazione del QUANTUM della domanda inizialmente omessa oppure la sua variazione (anche) in aumento; b) Quanto alla CAUSA PETENDI, costituiscono mera precisazione ogni variazioni di elementi di diritto della domanda (es. diverso collegamento di fatti costitutivi ad una norma). Art.112 (relativamente alle eccezioni). Tale articolo stabilisce che “il giudice non può pronunciare d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte solo dalle parti”. La cassazione dice che, nel nostro ordinamento, le eccezioni sono rilevabili d’ufficio a meno che non ci sia un’espressa previsione normativa che prevede che le eccezioni sono rilevabili solo su istanza di parte. Leggendo l’art.112, si evince che esistono 2 tipi di eccezioni: quelle rilevabili d’ufficio e quelle che, invece, sono riservate alle parti. Quando l’eccezione è di un tipo e quando di un altro tipo? Nel codice civile, ad es., possiamo leggere che l’eccezione di prescrizione è rilevata su istanza di parte. Quando la legge, però, non prevede il regime delle eccezioni, cioè chi può far valere l’esistenza del fatto estintivo, modificativo, impeditivo, si deve avere un principio generale a cui ispirarsi. Principio generale che, però, non ci è dato dall’art. 112 in maniera esplicita. Si esprime in una maniera che lascia un dubbio che deve essere risolto. Le eccezioni rilevabili su istanza diparte possono essere fatte valere solo nella comparsa di risposta, mentre le eccezioni rilevabili d’ufficio possono essere fatte valere ANCHE dal giudice (parte e il giudice). La rilevabilità d’ufficio non preclude la possibilità di far rilevare quell’eccezione su istanza di parte. Ecco perché è importante sapere di quale eccezione si tratti. Ad es., relativamente all’eccezione di prescrizione, so che se non la faccio valere nella comparsa di risposta, non posso farla valere più. Se, invece, devo far valere l’eccezione di pagamento, che è un’eccezione che può essere fatta valere anche d’ufficio, so che posso anche non farlo nella comparsa di risposta, ma posso farlo anche nel corso del processo. Sapere di quale tipo si tratti, quindi, significa sapere quello che devo fare. di un soggetto che per forza di cose andrebbe a rafforzare la posizione di una parte. Questi 3 rapporti sono sempre quelli che intercorrono tra una parte del processo e un terzo. ALTERNATIVO: tra attore e terzo che secondo il convenuto è il vero titolare passivo. PREGIUDIZIALE: tra datore di lavoro e lavoratore che sta fuori. DIPENDENTE: tra il conduttore (che sta nel processo) e subconduttore. L’esempio che si va a fare è tra un soggetto del processo e il terzo. Litisconsorzio facoltativo. Non necessariamente se le cause sono connesse devono essere trattate congiuntamente. Fin dall’origine si fa un unico processo. È una scelta (perciò facoltativo). Le parti scelgono di iniziare insieme il processo. Perciò LITISCONSORZIO FACOLTATIVO ORIGINARIO (quello successivo si verifica quando ci sono degli interventi). Il 103 prevede la possibilità di un’unica causa nel momento in cui esistono fenomeni di connessione. Essendo una scelta delle parti, è possibile anche non procedere alla trattazione congiunta. Il litisconsorzio facoltativo si differenzia da quello necessario non solo nella nascita, ma anche nella morte. Quando c’è un litisconsorzio necessario, il processo non può svolgersi se non ci sono tutti i litisconsorti necessari. Quando parliamo del litisconsorzio facoltativo, c’è da dire anche che questo può finire in una maniera diversa e cioè che le cause si separino. Si separano perché non è indispensabile che vengano trattate insieme. La decisione di trattare le cause congiuntamente potrebbe anche non essere mantenuta qualora vengano a cadere le premesse. Quali possono essere le premesse? Che magari una causa può essere già stata decisa e un’altra no, per esempio. Magari il giudice è pronto a decidere su una causa e su un’altra no perché le prove non sono ancora sufficienti. NULLA TOGLIE CHE QUESTE CAUSE VENGANO SEPARATE. Questo meccanismo di separazione può operare quando c’è il LITISCONSORZIO FACOLTATIVO. Quest’ultimo contempla, quindi, la possibilità di separazione di cause. DIFFERENZA CON LITISCONSORZIO UNITARIO: che è una via di mezzo. Un litisconsorzio unitario è una figura intermedia perché nasce come facoltativo e muore come necessario. ESEMPIO: IMPUGNAZIONE DELLE DELIBERE ASSEMBLEARI EX ART. 2378 CC. Se un socio impugna una delibera assembleare, non è detto che gli altri soci debbano impugnarla insieme a lui, quindi non è un LITISCONSORZIO NECESSARIO; però, nel momento in cui gli altri soci impugnano con lui e inizia il processo, le cause non possono essere più separare, quindi LITISCONSORZIO NECESSARIO. La decisione, alla fine, deve essere una. Non è immaginabile che ci siano due giudicati, come invece avverrà in un litisconsorzio facoltativo, laddove le cause vengano separate (lì si formeranno più giudicati). Qui la scelta iniziale esiste, perché ciascun socio può decidere se impugnare o non impugnare. Quello PROCESSUALE è una elaborazione di Balena, non è un istituto contemplato. Il litisconsorzio processuale sarebbe una continuazione di quello unitario, ma la differenza è che mentre quello unitario scaturisce sempre dal diritto sostanziale, questo scaturirebbe da quello che è accaduto nel processo. Fa 2 esempi: a) Se una delle parti in causa muore, si verifica questo fenomeno dell’interruzione del processo. In seguito a questa, poi, questo processo potrà essere riassunto da uno dei suoi eredi, i successori della parte a titolo universale. Un processo che è iniziato tra il morto e l’altro, se gli eredi del morto sono più di uno, diventa un processo con più parti. Balena dice che abbiamo un fenomeno di LITISCONSORZIO SUCCESSIVO all’evento (morte). INSCINDIBILE, non più separabile. b) Causa comunque inscindibile: INTERVENTO COATTO SU ISTANZA DEL GIUDICE; un terzo interviene in un processo per ordine del giudice. A quel punto il processo dovrà svolgersi anche nei confronti del terzo. Queste due ipotesi vengono definite da Balena come LITISCONSORZIO UNITARIO di origine PROCESSUALE perché in seguito ad un evento che si ha nel corso del processo. Il soggetto che entra nel processo deve rimanere nel processo fino alla fine. Le cause non si possono più separare. Però, la partecipazione del terzo non era necessaria AB ORIGINE. La differenza tra integrare il contraddittorio ed essere chiamati: nel primo caso, il terzo diventa parte del processo, cioè la domanda viene proposta nei suoi confronti. Le ipotesi, dice Balena, a cui applicare l’art. 107 sono ipotesi molto diverse tra di loro, per cui potremmo parlare di LITISCONSORZIO UNITARIO DI ORIGINE PROCESSUALE, come figura intermedia, in quanto il giudice valuta di chiamare il terzo in quanto esiste l’aspetto del FACOLTATIVO. Non è necessario, quindi. Art.32: cause di garanzia.  ESTROMISSIONE DEL GARANTITO: ENTRA IL GARANTE, ESCE IL GARANTITO -> GARANZIA PER EVIZIONE= ART. 1485. Immaginiamo che ci sia un terzo che rivendica la proprietà del bene acquistato e cita in giudizio il compratore. Il compratore ha l’onere di chiamare in questo processo il venditore perché questo potrebbe avere delle ragioni da opporre al terzo. ATTORE: COLUI CHE RIVENDICA LA PROPRIETà DEL BENE ACQUISTATO; CONVENUTO: COMPRATORE; TERZO: VENDITORE. Il compratore chiama il venditore, il suo garante. La garanzia consiste nell’obbligo di restituire il prezzo versato qualora si accerti che il bene non era suo, ma di un altro. Il terzo può entrare nel processo per vari motivi. Può essere chiamato, ma può anche intervenire volontariamente (INTERVENTO ADESIVO DIPENDENTE). Nel momento in cui è entrato, dobbiamo chiederci se il convenuto (compratore) può uscire dal processo. Quando può uscire? Il terzo ha un rapporto sia con colui che rivendica la proprietà del bene acquistato sia nei confronti del compratore (rapporto di garanzia). Può succedere che il compratore venga estromesso; il processo si fa tra attore e venditore; una volta che si è avuta la sentenza, se in questa viene stabilito che l’attore ha ragione e, quindi, il bene è di sua proprietà, il venditore dovrebbe restituire il prezzo al compratore. Essendoci questo rapporto tra compratore e venditore, il compratore non è detto che debba aspettare la fine di questo processo per chiedere la restituzione del prezzo. La causa di garanzia la può esercitare anche nello stesso processo: o lo chiama e propone domande nei suoi confronti o gli chiede la restituzione del prezzo nell’eventualità che egli risulti soccombente in questo processo. Se il compratore ha esercitato l’azione di garanzia nei confronti del venditore non può essere estromesso dal processo, perché, in quel momento, ha proposta lui la domanda. Lui, convenuto, ha proposto una domanda nei confronti del soggetto che entra nel processo. Il garantito può essere estromesso dal processo se le altre parti lo consentono e non ha esercitato l’azione di garanzia nei confronti del venditore garante -> 1485 -> INTERVENTO ADESIVO DIPENDENTE: ipotesi di efficacia riflessa della sentenza. Il venditore garante è destinatario degli effetti riflessi della sentenza resa tra il terzo, che rivendica la proprietà del bene, e il compratore. Nel momento in cui quest’ultimo perde la causa, quindi, c’è una sentenza nella quale lui viene condannato a restituire il bene che ha acquistato al terzo. Sulla base di questa sentenza, può chiedere al venditore di restituirgli il prezzo. Ciò significa che la sentenza resa tra i due (il venditore non ha partecipato al processo, non è intervenuto) è destinata a produrre effetti anche nei confronti del venditore, anche se questi non vi ha partecipato. È sulla base di essa, infatti, che il compratore gli può chiedere la garanzia. Però, è un’ipotesi di efficacia riflessa diversa da quella del 1595 (subconduttore) perché qui nel momento in cui il venditore viene citato dal compratore per la garanzia, gli può rispondere che aveva delle ragione da opporre, che non ha potuto far valere perché il compratore non lo ha chiamato e, quindi, quest’ultimo perde la garanzia. EFFICACIA RIFLESS condizionata, però, dall’esercizio di un onere (onere del compratore di chiamare in giudizio il venditore). Nel 1595, invece, gli effetti della sentenza si produrranno anche nei confronti del subconduttore senza alcuna condizione. Le sentenze processuali sono quelle pronunciate sulla giurisdizione e sulla competenza (che sono presupposti processuali). Il provvedimento, invece, che è destinato a decidere sull’ammissione di un mezzo di prova è l’ORDINANZA. Tutto quello che riguarda lo svolgimento del processo devo immaginarlo deciso con un’ordinanza, che ha un regime diverso dalla sentenza, in quanto per essa si chiede la revoca o la modifica. Per i DECRETI, invece, può essere previsto un rimedio ad hoc che è il reclamo (che è sempre un rimedio di natura impugnatoria, ma non è di certo un mezzo di impugnazione). Diciamo che l’errore del giudice può, eventualmente, riguardare sentenza ed ordinanza (è difficile che il giudice sbagli ed emani un decreto piuttosto che una sentenza). Il giudice per ammettere una prova (dopo che le parti hanno chiesto al giudice di ammettere la stessa) deve emanare un’ordinanza. Immaginiamo che il giudice, sbagliando, emetta una sentenza e non un’ordinanza; oppure che decida su un diritto con un provvedimento SUCCINTAMENTE MOTIVATO. In entrambi i casi il giudice ha sbagliato. Il problema che dobbiamo porci è in merito alla garanzia delle parti, cioè al rimedio che esse possono utilizzare nei confronti di questi provvedimenti erronei. Le soluzioni sono due: - La giurisprudenza tende a dare prevalenza alla sostanza, cioè dice che dobbiamo sempre vedere qual è il contenuto del provvedimento, indipendentemente dalla forma che questo ha assunto; se è un provvedimento decisorio, il rimedio sarà l’appello; se ordinatorio, il rimedio sarà chiedere la revoca o la modifica. Non guardiamo la forma del provvedimento, ma prendiamo in considerazione la sua sostanza. - In dottrina, invece, ci sono orientamenti diversi, dove in alcuni casi si ritiene opportuno far prevalere la forma sulla sostanza. Ciò significa che la parte dovrebbe preferire il rimedio previsto per quella determinata forma. La sostituzione processuale ex art. 81. Differenza tra titolarità dell’azione e titolarità del diritto. Quest’ultima affermata da chi agisce. Il diritto può essere fatto valere da chi afferma di esserne il titolari. Ci sono dei casi previsti dalla legge in cui agisce chi non è il titolare. La sostituzione processuale o legittimazione straordinaria si ha quando un soggetto fa valere un diritto in giudizio in nome proprio, ma per far valere il diritto di un altro, per ragioni valutate dalla legge. Art.34 ACCERTAMENTO INCIDENTALE. La questione sorge nel momento in cui il convenuto fa valere un’eccezione, altrimenti non ci sono questioni nel processo, ma punti pregiudiziali. L’attore, quando fa valere un diritto ne processo, allega naturalmente i fatti costitutivi di questo diritto. Rispetto a quello che l’attore ha fatto, il convenuto potrebbe non contestare i fatti. Il giudice accoglierà la domanda dell’attore. Dopo l’allegazione deve esserci la prova di tali fatti. Se non c’è, l’attore ne dovrà provare l’esistenza. Rispetto ad un fatto che non è controverso tra le parti, il giudice dovrà semplicemente prenderlo in considerazione nella sua decisione. PUNTO PREGIUDIZIALE: il giudice deve sempre sciogliere quel nodo prima di decidere di accogliere la domanda dell’attore. Il giudice deciderà qualcosa prima di andare a decidere altro. La QUESTIONE PREGIUDIZIALE, invece, nasce nel momento in cui, se l’attore ha allegato l’esistenza di un fatto costitutivo, il convenuto ha allegato l’esistenza di un fatto estintivo, modificativo, impeditivo. C’è contrasto. Es., l’attore dice “tu mi devi dare 100”. Il convenuto risponde che i 100 già li ha dati e mostra la quietanza. Quindi, il giudice dovrà, innanzitutto, decidere la questione (cioè se è fondato e vero il fatto costitutivo dell’attore o se è fondato e vero il fatto impeditivo, estintivo, modificativo del convenuto). Tutto questo il giudice lo fa INCIDENTER TANTUM, cioè lo fa solo ai fini dell’accoglimento o del rigetto della domanda dell’attore. Non lo fa per decidere su quella questione in particolare, ma lo fa soltanto perché da quella decisione sulla questione, lui potrà concludere se accogliere o rigettare la domanda del convenuto. Se esiste solo un fatto impeditivo, estintivo o modificativo, dovrà rigettare la domanda dell’attore. Questi fatti impeditivi, estintivi, modificativi, possono essere fatti semplici o fatti diritti. Il fatto semplice è un mero accadimento. Il fatto diritto, invece, è un diritto del convenuto che viene allegato nel processo nella sua valenza di fatto in riferimento al diritto dell’attore. Es. eccezione di compensazione: il convenuto allega l’esistenza di un credito che lui vanta nei confronti dell’attore (vedi art.35), ma lo introduce nel processo non per farlo valere, ma per ottenere il rigetto della domanda dell’attore, perché i due crediti possono estinguersi per compensazione. Prende un diritto e lo utilizza come fatto. Se questo fatto, invece, di essere un fatto semplice, è un fatto diritto, allora la questione pregiudiziale potrebbe essere contemplata dall’art.34. l’art.34 parla di questione pregiudiziale soltanto quando il fatto allegato dal convenuto è un fatto diritto, perché non è che il giudice può pronunciarsi con efficacia di giudicato su di un mero accadimento della vita. C’è un interesse delle parti a chiedere che il giudice si pronunci con efficacia di giudicato su di un diritto. L’efficacia di giudicato avrà rilevanza anche oltre il processo. Ad es.: - DOMANDA PER CHIEDERE GLI ALIMENTI - SI DEVE ACCERTARE SE SUSSISTE IL RAPPORTO DI PARENTELA - Se si chiede al giudice di decidere con efficacia di giudicato, allora questa decisione sarà valida anche per un altro processo (valida per tutti i successivi rapporti). Deve esserci una richiesta perché il giudice decida con efficacia di giudicato. Nell’art.35 c’è la previsione normativa relativa alla causa pregiudiziale. Il giudice può, come sappiamo, decidere con efficacia di giudicato sia su istanza di parte sia quando è previsto dalla legge ex art.34. è la legge che dice che se l’attore contesta il controcredito, la questione si trasforma in causa pregiudiziale.
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